Rivolta ungherese del 1956

 

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La Rivoluzione ungherese del 1956, nota anche come insurrezione ungherese o semplicemente rivolta ungherese, fu una sollevazione armata di spirito anti-sovietico scaturita nell'allora Ungheria socialista che durò dal 23 ottobre al 10 - 11 novembre 1956. Inizialmente contrastata dall'ÁVH, [Államvédelmi Hatóság, in lingua italiana: Autorità per la protezione dello Stato - in pratica il servizio segreto] venne alla fine duramente repressa dall'intervento armato delle truppe sovietiche. Morirono circa 2652 Ungheresi (di entrambe le parti, ovvero pro e contro la rivoluzione) e 720 soldati sovietici. I feriti furono molte migliaia e circa 250.000 (circa il 3% della popolazione dell'Ungheria) furono gli Ungheresi che lasciarono il proprio Paese rifugiandosi in Occidente. La rivoluzione portò a una significativa caduta del sostegno alle idee del comunismo nelle nazioni occidentali.

Panoramica

La rivolta ebbe inizio il 23 ottobre 1956 da una manifestazione pacifica di alcune migliaia di studenti. In poco tempo molte migliaia di Ungheresi si aggiunsero ai manifestanti e la manifestazione (inizialmente a sostegno degli studenti della città polacca di Poznań, in cui una manifestazione era stata violentemente repressa dal governo), si trasformò in una rivolta contro la dittatura di Mátyás Rákosi, una "vecchia guardia" stalinista, e contro la presenza sovietica in Ungheria. Nel giro di alcuni giorni, milioni di ungheresi si unirono alla rivolta o la sostennero. La rivolta ottenne il controllo su molte istituzioni e su un vasto territorio. I partecipanti iniziarono a rafforzare le loro politiche. Vi furono esecuzioni sommarie di filo-sovietici e membri dell'ÁVH (polizia politica, particolarmente invisa alla popolazione). Dopo varie vicissitudini il Partito Ungherese dei Lavoratori nominò primo ministro Imre Nagy che concesse gran parte di quanto richiesto dai manifestanti, finendo per interpretare le loro istanze, identificandosi con la rivoluzione in corso.

Il 3 novembre, in un acquartieramento dell'Armata Rossa comandato dal generale Malinin, durante la ripresa dei colloqui di trattative con i sovietici in merito al ritiro dell'Armata Rossa in séguito alla dichiarazione di neutralità del 1º novembre, l'appena nominato ministro della difesa, generale Pál Maléter, fu arrestato da truppe del KGB al comando di Ivan Serov, assieme a tutta la delegazione ungherese, con le proteste di Malinin stesso. La sera del 4 novembre, Imre Nagy si rifugiò nell'ambasciata iugoslava, grazie ad un salvacondotto fornitogli da quel paese. Il 22 novembre, per un accordo intervenuto nel frattempo tra Josip Broz Tito e Nikita Chruščёv, dopo una visita del secondo al primo a Brioni, verrà consegnato ai sovietici. I due saranno poi processati e successivamente impiccati (e non fucilati, come riportato da qualche fonte) dopo quasi due anni (il 16 giugno 1958, assieme al giornalista Gimes). Ebbe così fine tra il 4, giorno dell'entrata dell'Armata Rossa a Budapest, e il 7 novembre, con la restaurazione di un governo filo-sovietico capeggiato da Kádár, la "Rivoluzione del '56".

Le truppe sovietiche intervennero in Ungheria in due occasioni, sempre per puntellare governi favorevoli ai sovietici: la prima volta le truppe già di stanza in Ungheria sostennero il governo stalinista nella fase di passaggio dal governo Gerő, che collassò il 23 ottobre, al governo Nagy, su richiesta del CC del partito socialista ungherese al potere. La seconda, utilizzando truppe corazzate provenienti dall'Unione Sovietica (invasione), fu a sostegno del governo Kádár, la cui formazione (avvenuta realmente dopo il 7), fu poi retrodatata al 3 novembre in modo da poter sostenere la tesi che anche quella volta le truppe fossero state formalmente invitate ad intervenire da un governo "legittimo".

Nella notte del 23 ottobre e nei giorni successivi, l'ÁVH ungherese sparò ai dimostranti. Le truppe sovietiche (già presenti in Ungheria) nel primo intervento tentarono di mantenere l'ordine nei dintorni delle proprie caserme. La resistenza armata degli insorti e l'intervento mediatore del governo Nagy, oltre al collasso del Partito Socialista Ungherese, portarono ad un cessate il fuoco tra le truppe sovietiche e gli insorti il 28 ottobre 1956. La notte del 4 novembre 1956 l'Armata Rossa, che era entrata in Ungheria in forze nei giorni precedenti, intervenne, lanciando un'offensiva con più divisioni appoggiate da artiglieria e aeronautica contro Budapest. Entro il gennaio 1957 Kádár aveva posto fine alla rivolta. A causa del rapido cambiamento nel governo e nelle politiche sociali, e all'impiego delle forze armate per raggiungere fini politici, questa insurrezione viene spesso considerata una rivoluzione.

La rivolta

Preludio

Negli anni trenta, il reggente d'Ungheria, il militarista di destra Miklós Horthy, strinse un'alleanza con la Germania Nazista, nella speranza di recuperare alcune delle perdite territoriali dovute al Trattato di Trianon che fece seguito alla prima guerra mondiale. Avendo guadagnato dei territori grazie alle concessioni dei due arbitrati di Vienna e nel Banato, l'Ungheria entrò infine nella seconda guerra mondiale nel 1941, combattendo principalmente contro l'Unione Sovietica. Nell'ottobre 1944, Hitler rimpiazzò Horthy con il collaboratore nazista ungherese Ferenc Szálasi e il suo partito delle Croci Frecciate, allo scopo di evitare la defezione dell'Ungheria a favore dell'Unione Sovietica, come era avvenuto pochi mesi prima con la Romania. Più di 400.000 ebrei ungheresi e diverse decine di migliaia di zingari furono deportati durante la guerra.

Successivamente alla seconda guerra mondiale, vennero ripristinati i confini del 1920, eccetto piccole perdite territoriali a favore della Cecoslovacchia. L'Ungheria divenne parte della sfera di influenza sovietica, e dopo un brevissimo periodo di democrazia multipartitica, si trasformò gradualmente in uno stato comunista nel biennio 1947-1949, sotto la dittatura di Mátyás Rákosi e del Partito dei lavoratori ungheresi. Le truppe sovietiche avevano occupato l'Ungheria fin dal 1944; inizialmente come esercito invasore e forza di occupazione, quindi su invito nominale del governo ungherese, e infine in base a quanto richiesto dall'appartenenza dell'Ungheria al Patto di Varsavia.

Il 5 marzo 1953 decede Stalin, lasciando un vuoto di potere al vertice dell'Unione Sovietica. Si apre quindi una fase caratterizzata da un breve periodo di relativa "destalinizzazione" - durante la quale vennero tollerati velati sentimenti anti-stalinisti. La maggior parte dei partiti comunisti europei iniziò a esprimere un'ala "revisionista". Il 17 giugno dello stesso anno i lavoratori di Berlino Est danno vita ad una insurrezione, richiedendo le dimissioni del governo della SED. Questa viene repressa rapidamente e con violenza, con l'aiuto dell'esercito sovietico. Il numero delle vittime fu tra le 125 e le 270.

Il 13 giugno 1953, prima dell'insurrezione anticomunista di Berlino Est il Politburo del Cremlino convoca i dirigenti ungheresi al Cremlino e defenestra il primo ministro ungherese Mátyás Rákosi, "il miglior discepolo ungherese di Stalin", imponendogli di cedere il posto di primo ministro a Imre Nagy, che era già stato ministro dell'Agricoltura in governi precedenti, ed era inviso a Rákosi. È Malenkov colui che sostiene con forza Nagy. Dopo l'insediamento del governo Nagy, il 4 luglio, inizia la liberazione di prigionieri politici vittime delle "purghe" di Rákosi. Vengono prese diverse misure di liberalizzazione in campo economico, politico e culturale. Inizia inoltre la convivenza tra due personaggi politici tra loro incompatibili: Nagy e Rákosi.

Nel gennaio del 1955 il Politburo convoca al Cremlino i dirigenti ungheresi e attacca violentemente Nagy. Il ruolo dell'accusatore lo svolge Malenkov (Lavrentij Beria è stato nel frattempo arrestato e giustiziato nel dicembre 1953 e non fa più parte della delegazione che riceve gli ungheresi, come nel 1953), che aveva sostenuto Nagy nel 1953. Le accuse riguardano la gestione dell'agricoltura, che non ha replicato il sistema dei kolchoz sovietici, un eccessivo liberalismo che ha provocato una (blanda) manifestazione antisovietica durante un incontro di pallanuoto tra le due nazionali, a Budapest, l'anno precedente, e in generale il "deviazionismo borghese". Le accuse sono svolte sulla base di un dossier preparato da Andropov, allora ambasciatore sovietico a Budapest. Poco dopo Nagy avrà un lieve infarto. Dimesso dall'ospedale, durante la sua convalescenza verrà sostituito, grazie alle mene di Rákosi.

Il 25 marzo 1955 l'Organizzazione giovanile comunista fonda a Budapest il "circolo Petőfi", che avrà un ruolo essenziale negli avvenimenti del 1956. Il nome è quello di Sándor Petőfi, il poeta che secondo la leggenda avrebbe scatenato la rivoluzione del 1848 con la lettura di una sua poesia. Il 18 aprile del 1955 diventa primo ministro András Hegedüs, un uomo di Rákosi. Il 14 maggio 1955 nasce il Patto di Varsavia che lega l'URSS e i "paesi satelliti" da un'alleanza militare di "reciproca assistenza". Poco dopo Chruščëv si reca a Belgrado per riallacciare i rapporti con Tito, rotti in maniera drammatica all'epoca di Stalin.

Il 15 maggio 1955 viene firmato il Trattato dello Stato austriaco, che pone fine all'occupazione alleata dell'Austria, che diventava una nazione indipendente e demilitarizzata. Come diretta conseguenza, il 26 ottobre 1955 l'Austria dichiara formalmente la propria neutralità. Il trattato e la dichiarazione cambiano significativamente i calcoli della pianificazione militare nella Guerra Fredda in quanto creano un cordone neutrale che spacca la NATO da Vienna a Ginevra e aumenta l'importanza strategica dell'Ungheria per il Patto di Varsavia. Tra giugno e luglio 1955 continua un certo processo di "normalizzazione". Rajk, impiccato nel 1949 per "titoismo", viene riabilitato, sia pure con un documento interno al partito socialista. Il cardinale József Mindszenty viene trasferito dal carcere al domicilio coatto nel castello di Almassy, presso Felsopeteny. I sovietici vogliono tenere sotto controllo il potere in Ungheria, ma non vogliono il ritorno ai metodi del passato. Autorizzano una certa opposizione sia pure entro limiti molto stretti. C'è un certo fermento tra gli intellettuali, gli scrittori, gli studenti, con giornali e pubblicazioni. Rákosi regna per interposta persona, ma la sua libertà di movimento è limitata da Mosca.

Nell'ottobre 1955 cinquantanove scrittori e artisti famosi firmano un manifesto di protesta contro i metodi brutali usati contro gli intellettuali. Rákosi cerca di avere ragione di questa "minirivolta" ma senza successo. Il 3 dicembre dello stesso anno Imre Nagy viene espulso dal partito. Il 25 febbraio 1956 ha luogo a Mosca il XX Congresso del PCUS. Nikita Chruščёv denuncia il "culto della personalità" di Stalin e le sue "violazioni della legalità socialista". Inizia la destalinizzazione e il 28 giugno a Poznań, in Polonia, tumulti operai vengono repressi dalla polizia.

Il 13 luglio 1956 la destalinizzazione segna la fine della carriera di Rákosi. Il Cremlino, preoccupato dai rapporti di Andropov, spedisce Anastas Mikojan a Budapest che lo liquida imponendogli di "ammalarsi" e di andare in Russia per un ciclo di cure. Per liquidarlo lo coglie in fallo sul giudizio sul circolo Petőfi. Per Rákosi è un covo di nemici del popolo, ma Mikojan lo contraddice. Per Rákosi è la fine. Cinque giorni dopo Rákosi è costretto a dimettersi da Segretario Generale del Partito Socialista Ungherese, e viene rimpiazzato da Ernő Gerő, suo ex "fedele luogotenente", più pronto di lui a cogliere il cambiamento di vento. Il 6 ottobre 1956 hanno luogo a Budapest i funerali di Rajk, riabilitato postumo. Partecipano circa 200.000 persone, tra le quali Nagy, che tiene al braccio Julia, la vedova di Rajk. Una settimana dopo 1956 Imre Nagy viene riammesso nel partito.

Tra il 19 e il 21 ottobre 1956 in Polonia, il "revisionista" Władysław Gomułka viene riabilitato e eletto a capo del Partito Comunista Polacco, dopo una "prova di forza" con i sovietici. La reinstaurazione di Gomułka ispirerà speranze di grandi riforme e maggiore autonomia in tutta l'Europa Orientale. Il 22 ottobre 1956 si svolgono assemblee studentesche nelle principali città universitarie ungheresi. Tutti votano per l'uscita dalla Gioventù comunista e per la ricostituzione di organi studenteschi autonomi. Il circolo Petőfi si associa al movimento e viene elaborato un documento in 16 punti, che costituisce la piattaforma per la manifestazione convocata per il 23 a Budapest, in solidarietà con la Polonia. Ecco i punti principali: uguaglianza nei rapporti con l'URSS, processo pubblico a Rákosi, reintegrazione di Nagy, elezioni pluripartitiche, ritiro delle truppe sovietiche (che erano presenti in Ungheria sulla base del trattato di pace a conclusione della seconda guerra, e non come talvolta erroneamente sostenuto, per il Patto di Varsavia).

Comincia la rivolta - 23 ottobre

Verso le 15 del 23 ottobre 1956, studenti del Politecnico si riuniscono di fronte alla statua di Petõfi a Pest, per inscenare una manifestazione pacifica di solidarietà a favore di Gomułka. Nagy è reclamato dalla folla, e pronuncia un breve discorso dal Parlamento al termine del corteo in serata. Ma non ha grande successo: la folla fischia il suo 'Compagni', parola classica del gergo comunista col quale esordisce, perché non ne può più di quell'appellativo, né gradisce il suo invito a rimettere tutto alle decisioni del Partito. La radio trasmette un discorso minaccioso di Gerõ. Il piccolo raduno iniziale ha attratto progressivamente moltissime altre persone e si è trasformato rapidamente da dimostrazione in protesta. Molti soldati ungheresi di servizio in città si uniscono ai dimostranti, strappando le stelle sovietiche dai loro berretti e lanciandole alla folla. Incoraggiata, questa folla crescente decide di attraversare il grande fiume Danubio che divide in due la città e di muoversi verso il palazzo del Parlamento. All'apice, la folla conta almeno duecentomila persone (ma il numero preciso è difficile da calcolare) senza un leader riconosciuto. I manifestanti demoliscono l'enorme statua di Stalin e distruggono diverse librerie sovietiche.

Davanti alla sede della radio ungherese, chiedono che venga trasmesso un comunicato stilato in 16 punti. La direzione della radio fa finta di accettare, ma la delegazione accolta nella sede della radio viene arrestata. Al diffondersi della notizia, il palazzo è preso d'assedio dai manifestanti che chiedono la liberazione immediata della delegazione. La polizia di sicurezza (ÁVH) apre il fuoco sulla folla, provoca i primi morti tra i manifestanti e inizia una vera e propria battaglia. Altre manifestazioni in altri centri del paese conoscono un destino simile: l'ÁVH spara e uccide.

In serata, il comitato centrale del partito si riunisce e decide di "chiedere l'intervento delle truppe sovietiche in caso di necessità". Crea un comitato militare, il 24 decide la nomina di Imre Nagy a capo del governo, in sostituzione di András Hegedüs, e coopta due suoi collaboratori. A tarda notte si decide che il caso di necessità sussiste e viene richiesto l'intervento delle truppe sovietiche. Questo aggrava rapidamente gli scontri e le manifestazioni prendono un carattere insurrezionale: le auto della polizia vengono rovesciate e date alle fiamme, dalle fabbriche d'armi e dai lavoratori degli arsenali vengono distribuite armi ai civili. Le sedi dell'ÁVH vengono assediate dalla folla. Quando le autorità cercano di rifornire la polizia di sicurezza, nascondendo le armi in un'ambulanza con sirene e lampeggianti accesi, la folla la intercetta e si impossessa delle armi.

Quello stesso 23 ottobre l'Unione Sovietica attivò i piani d'emergenza che erano stati predisposti fin dai primi di ottobre, per un'azione di polizia che intervenisse nella situazione interna dell'Ungheria. Il Praesidium del Comitato centrale dell'URSS era preoccupato dalla situazione interna ungherese già da aprile, quando i rapporti di Andropov lo avevano portato a conoscenza del piano di Rákosi per eliminare un gran numero di intellettuali. La preoccupazione era cresciuta in autunno, quando Gerő aveva mostrato di avere perso il controllo del partito. L'intervento sovietico, iniziato di fatto il 24 ottobre, cominciò impiegando forze già presenti in Ungheria. Questi soldati sovietici erano diventati adusi allo stile di vita ungherese. La loro missione tradizionale era quella di difendere l'Unione Sovietica da un'invasione della NATO. Questo primo intervento fu politicamente confuso: ad esempio, quando una colonna di carri armati incontrò una marcia di protesta verso Parlamento, i carri accompagnarono i dimostranti.

Dal 23 ottobre al 4 novembre

Nelle fabbriche si formano consigli operai, perlopiù di orientamento anarco-sindacalista, che proclamano lo sciopero generale. Mosca rispedisce Mikojan e Suslov a Budapest. In seguito alla comparsa dei blindati sovietici, si estende l'insurrezione. Il grosso dei combattimenti avviene a Budapest. I comandanti sovietici spesso negoziano cessate il fuoco a livello locale con i rivoluzionari. In alcune regioni le forze sovietiche riescono a fermare l'attività rivoluzionaria.

Il 25 ottobre s'insedia il governo Nagy, in cui compare il filosofo marxista Lukács assieme ad altri moderati. Kádár diventa segretario del partito al posto di Gerő. Dinanzi agli assalti alle sedi della radio e del partito, l'ÁVH spara sui rivoltosi. Intanto in varie parti del Paese sorgono i Consigli operai che richiedono il ritiro dei sovietici e libere elezioni, mentre si susseguono i combattimenti. In alcune province (Borsod e Gyõr-Sopron) il potere passa in mano ai consigli e l'ÁVH viene sciolta.

Il 28 ottobre le truppe sovietiche assieme ad elementi dell'esercito ungherese fedeli al vecchio regime concepiscono un piano di contrattacco. Ma non è affatto sicuro che riescano ad avere la meglio (forti dubbi serpeggiavano in proposito anche fra i comandanti ungheresi). Altri ufficiali dell'esercito si rifiutano di partecipare all'iniziativa e di sparare sui rivoltosi. Una parte della polizia, capeggiata dal questore di Budapest Sandor Kopácsi, sta con questi ultimi. Così unità dell'esercito, come quelle della caserma Kilián, dove è di stanza il colonnello Pál Maléter, spedito a reprimere l'insurrezione il 25 ottobre e, pur con qualche esitazione, passato dalla parte degli insorti. Come risultato, l'esercito ungherese resta sostanzialmente passivo. Nagy interviene per scongiurare una carneficina e inizia trattative febbrili prima con Andropov, poi con Mikojan e infine con lo stesso Chruščёv. In quel momento l'attitudine del Cremlino continuava ad essere quella di considerare Nagy un elemento prezioso per trovare una via d'uscita pacifica, "alla polacca", concedendo maggiore autonomia e ritirando anche le truppe, se necessario. Mentre le trattative procedono, i sovietici fanno maldestre mosse militari e vengono sostanzialmente battuti dagli uomini di Maléter. Nagy negozia con i sovietici un cessate il fuoco, e lo annuncia alle 13 e 20 assieme al riconoscimento del carattere nazionale e democratico dell'insurrezione e all'avvio di negoziati con gli insorti. Annuncia anche l'imminente ritiro delle truppe sovietiche e lo scioglimento dell'ÁVH. Il partito socialista si "autoscioglie", Gerő raggiunge Rákosi nel suo esilio in URSS. La tregua tiene.

Rinascono sindacati, giornali e associazioni culturali abolite da Rákosi. A Roma 101 intellettuali comunisti firmano un appello di solidarietà con gli insorti. Vari agenti dell'ÁVH e dirigenti del partito (compreso il segretario di Budapest, di orientamento riformatore) vengono trucidati, mentre si inizia a formare una Guardia Nazionale composta dagli insorti. Il 30 ottobre Mikojan e Suslov ritornano a Budapest, latori di una risoluzione del Praesidium che stabilisce rapporti paritari tra l'URSS e gli altri paesi socialisti. Si decide, quindi, di non intervenire militarmente. Si forma un nuovo governo Nagy quadripartito composto da comunisti, socialdemocratici, nazional-contadini e piccoli proprietari. Il cardinale Mindszenty viene liberato e ricondotto a Budapest. Capo di quella pattuglia di liberatori è il maggiore di origini italiane Antal Palinkas-Pallavicini (che finirà impiccato il 10 dicembre 1957).

Nel frattempo inizia la crisi di Suez: l'aviazione anglo-franco-israeliana attacca in forze l'Egitto, che aveva nazionalizzato il canale. Il 31 ottobre a Mosca il Praesidium del Comitato centrale dell'URSS, assenti Mikojan e Suslov che si trovano in Ungheria, si risolve per l'intervento, soprattutto in considerazione della situazione internazionale e per non dare 'un segno di debolezza a favore degli imperialisti'.Nikita Chruščёv, una volta deciso l'intervento, sprona Ivan Serov, il comandante del KGB con il quale ha un lungo sodalizio e una ricambiata stima dai tempi dell'Ucraina, a intervenire invadendo in forze l'Ungheria. Viene chiesto un parere al maresciallo Ivan Stiepanovic Koniev, maresciallo dell'URSS, comandante in capo del Patto di Varsavia sul tempo necessario per schiacciare la rivolta e la risposta è di tre giorni. Viene così decisa l'invasione col nome in codice 'Whirlwind', 'Turbine'.

Il 1º novembre i movimenti di truppe corazzate dell'Armata alle frontiere e all'interno dell'Ungheria diventano evidenti. Nagy chiede spiegazioni ad Andropov che lo rassicura: si stanno ritirando, sono solo movimenti "tecnici". Le spiegazioni non sono credibili, e il governo proclama la neutralità, chiedendo per telex all'ONU di mettere all'ordine del giorno la questione ungherese, con la previsione di una garanzia internazionale dei quattro grandi (inclusa quindi l'URSS) della neutralità ungherese. Ciò non avverrà mai in tempo utile.

Il 2 novembre il Consiglio di Sicurezza dell'ONU mette all'ordine del giorno la questione ungherese. In Ungheria Maléter è nominato ministro della difesa. Mentre Chruščëv vola prima a Bucarest (Romania) e poi a Brioni (Jugoslavia), per ottenere dai rispettivi Partiti comunisti al potere l'assenso all'invasione, nel paese inizia a tornare la calma, e la Guardia Nazionale inizia a mettere ordine. Già il 1º novembre sera Kádár è sparito dalla circolazione e volato a Mosca, contraddicendo sue dichiarazioni di difesa della "nostra gloriosa rivoluzione" diffuse quello stesso giorno, assieme a Ferenc Münnich. È Andropov che ha fatto pressioni in tal senso su Münnich, un filo-sovietico stalinista, il quale a sua volta convince Kádár. Nella confusione di quei momenti, la loro sparizione passa quasi inosservata. A Mosca, Kádár parla davanti al Praesidium e afferma che "un intervento armato ridurrebbe a zero la credibilità morale dei comunisti".

Il 3 novembre Maléter e la delegazione ungherese, che stava affrontando una seconda tappa di negoziati con i sovietici per il loro ritiro, in un acquartieramento dell'Armata Rossa comandato dal generale Malinin, vengono arrestati da Ivan Serov e dai suoi uomini. Malinin protesta vigorosamente, ma deve fare buon viso a cattivo gioco. Nel frattempo, i consigli approvano una mozione in cui si stabilisce la ripresa del lavoro in tutta l'Ungheria il 5 novembre. Kádár a Mosca è impegnato nelle discussioni sulla formazione di un nuovo governo.

La reazione politica sovietica

Anche se si ritiene comunemente che la dichiarazione ungherese di voler uscire dal Patto di Varsavia, abbia provocato la soppressione della rivoluzione da parte dell'esercito sovietico, le minute degli incontri al Praesidium del Comitato Centrale del PCUS indicano che le richieste di ritiro delle truppe sovietiche furono solo uno fra tanti diversi fattori e soprattutto la dichiarazione di neutralità fu posteriore alla decisione dell'invasione e susseguente alle informazioni sull'afflusso di nuove truppe sovietiche.

Mentre il Praesidium aveva discusso e deciso di non intervenire, una fazione favorevole alla linea dura e che si radunava attorno a Molotov, spingeva per l'intervento. Mentre Chruščёv e il Generale Žukov non erano per l'intervento la paura di uno sgretolamento del sistema a causa delle tendenze centrifughe nei paesi satelliti cementò la posizione rigida del Praesidium del PCUS.

Le tendenze chiave che allarmarono il Praesidium del CC del PCUS furono lo spostamento verso la democrazia parlamentare multipartitica e il Consiglio Nazionale Democratico dei Lavoratori. Entrambi sfidavano la predominanza del Partito Comunista Sovietico nell'Europa Orientale e forse nella stessa Unione Sovietica. Mentre Regno Unito e Francia erano impegnate militarmente e politicamente in Egitto nella crisi di Suez, gli Stati Uniti espressero il 27 ottobre la loro posizione per bocca del Segretario di Stato dell'amministrazione Eisenhower, John Foster Dulles: "Non guardiamo a queste nazioni [Ungheria e altre del Patto di Varsavia] come a potenziali alleati militari". Mai, in modo concreto, al di là della retorica politica, gli USA considerarono la possibilità non solo di intervento militare, ma nemmeno di più forti pressioni politiche sull'URSS.

Fu sostanzialmente Radio Free Europe da Monaco di Baviera ad esasperare la possibilità di un intervento occidentale, americano in particolare, fornendo acqua al mulino della tesi sovietica e poi kadariana della "controrivoluzione". Con questa combinazione di considerazioni di politica interna e di politica estera, il Praesidium dell'URSS, il 31 ottobre, decise di rompere il cessate il fuoco e di spazzare via la rivoluzione ungherese. Chruščёv titubò a lungo, ma quando prese la decisione, fece pressioni sul KGB perché intervenisse in fretta.

La rivoluzione schiacciata (4-10 novembre)

Il 4 novembre l'Armata rossa arriva alle porte di Budapest con circa 200.000 uomini e 4000 carri armati, più di quanti Hitler ne avesse scagliati nel giugno del 1941 contro l'Unione Sovietica nell'Operazione Barbarossa, ed inizia l'attacco, trovando un'accanita resistenza nei centri operai; la sproporzione abissale delle forze in campo è tale che le resistenze hanno comunque vita brevissima. In serata Kádár raggiunge l'Ungheria e fa annunciare dalla città di Szolnok, con un messaggio radio, la formazione di un "governo rivoluzionario operaio e contadino".

Anche Nagy fa trasmettere tramite Radio Kossuth Libera (radio di Stato) alle ore 5,20 il seguente messaggio, che viene ripetuto anche in inglese, russo, e francese:

« Qui parla il Primo Ministro Imre Nagy. Oggi all'alba le truppe sovietiche hanno aggredito la nostra capitale con l'evidente intento di rovesciare il governo legale e democratico di Ungheria. Le nostre truppe sono impegnate nel combattimento. Il governo è al suo posto. Comunico questo fatto al popolo del nostro Paese ed al mondo intero. »
(Tratto da: La rivoluzione Ungherese, una documentata cronologia degli avvenimenti attraverso le trasmissioni delle stazioni radio ungheresi, Arnoldo Mondadori Editore, Roma, 1957.)

Nagy e diversi suoi compagni trovano rifugio nell'ambasciata jugoslava, dopo aver ricevuto assicurazioni sulla possibilità della concessione dell'asilo politico. István Bibó, unico ministro a non lasciare il Parlamento, denuncia per il governo l'illegalità dell'occupazione. Il 14 novembre si forma il consiglio operaio centrale di Budapest e dintorni, che proclama lo sciopero generale, chiede il ritiro delle truppe sovietiche e il ritorno del governo Nagy. Kádár dovrà negoziare a lungo con i Consigli operai prima di riguadagnare il controllo della situazione. Il 22 novembre i rifugiati dell'ambasciata jugoslava escono con un salvacondotto di Kádár per "fare ritorno a casa", ma in realtà vengono immediatamente rapiti dai sovietici. Si rifiutano di riconoscere il nuovo governo, e vengono deportati a Snagov, in Romania.

Il 4 novembre tutti i piani che erano stati predisposti per diversi giorni diedero i loro frutti. Le truppe sovietiche usate erano diverse da quelle di stanza in Ungheria e che erano state utilizzate nelle operazioni precedenti. Queste non avevano simpatie per gli Ungheresi, ed era stato detto loro che ci si poteva aspettare un attacco da nord delle truppe americane (rendendo possibile una terza guerra mondiale), allo scopo di evitare tentennamenti. L'Unione Sovietica giustificherà poi il suo intervento sulla base della responsabilità nei confronti di un alleato del Patto di Varsavia, nella forma del governo Kádár che dissero essersi formato il 4 novembre. Le truppe sovietiche assegnate al compito provenivano dalla riserva nazionale, e le altre nazioni del Patto di Varsavia non fornirono truppe.

Questo intervento, contrariamente a quello del 23 ottobre, non si affidava a colonne di carri armati senza sostegno che penetravano in aree urbane densamente popolate. L'intervento del 4 novembre venne costruito attorno ad una strategia combinata di incursioni aeree, bombardamenti di artiglieria, e azioni coordinate tra carri e fanteria (i sovietici impiegarono circa 4000 carri armati) per penetrare nelle aree urbane nevralgiche. Mentre l'esercito ungherese metteva in piedi una resistenza scoordinata, fu la classe operaia ungherese, organizzata dai propri Consigli, che giocò un ruolo chiave nel combattere le truppe sovietiche. A causa della forza della resistenza della classe operaia, furono le zone industriali e proletarie di Budapest ad essere bersagliate di preferenza dall'artiglieria sovietica e dai raid aerei. Queste azioni continuarono in modo improvvisato fino a quando i Consigli di lavoratori, studenti e intellettuali chiesero il cessate il fuoco il 10 novembre.

Nello spiegare l'intervento sovietico, si devono esaminare diversi fattori. Il Praesidium del Comitato Centrale del PCUS cercò di sostenere un governo ungherese che era controllato da un partito amico. Alla fine di ottobre il governo Nagy si era spinto ben oltre i limiti accettabili dal PCUS. Per la maggioranza del Praesidium, le istanze del controllo dei lavoratori in Ungheria erano incompatibili con la propria idea di socialismo e dovevano essere eliminate. Le relazioni internazionali sovietiche nell'Europa Centrale non erano dettate solo dal desiderio di un impero, ma anche dalla paura di un'invasione da ovest. Queste paure erano radicate profondamente nella politica estera sovietica: risalivano alla guerra civile e a quella con la Polonia negli anni 1920. Fu comunque l'invasione tedesca dell'URSS nel 1941, aiutata dallo Stato ungherese, che cementò il concetto sovietico di un necessario cuscinetto difensivo di Stati alleati in Europa Centrale.

Dal punto di vista del gruppo dirigente sovietico di quel tempo, va citata la causa probabilmente determinante di effettuare un'invasione - idea osteggiata fino all'ultimo da Mikojan -, e cioè la paura di Chruščёv di essere rovesciato dagli stalinisti (Molotov, ad esempio) che già mordevano il freno e che difficilmente gli avrebbero perdonato di avere "perso l'Ungheria". Questa paura era assai più giustificata delle vecchie e tradizionali visioni staliniste dell'"accerchiamento", e che non erano così presenti in un Chruščёv convinto della coesistenza pacifica. Non c'è dubbio che Molotov avrebbe tentato di rovesciarlo in tale evenienza, facendo appello certamente alle "antiche paure" per raccogliere attorno a sé l'Armata rossa, che pullulava ancora di ufficiali che dovevano la loro carriera a Stalin.

Nel 1956 c'era inoltre il timore diffuso, e reale, di un dilagare a macchia d'olio del "fenomeno Ungheria", un effetto domino, com'è stato scritto. C'erano state manifestazioni di massa a Varsavia (Polonia) in appoggio della rivoluzione ungherese, e anche in Romania in diversi luoghi ebbero luogo manifestazioni di protesta. Sempre in Romania, in Transilvania (Università Bolyai di Cluj) si era costituito un "movimento studentesco" al quale aderivano molti docenti iscritti al partito. Il tutto somigliava molto ai prodromi della rivoluzione ungherese. Il KGB riferiva che in Cecoslovacchia, a Bratislava ed altri centri di provincia, dove avevano luogo manifestazioni studentesche, c'era una "crescente ostilità e sfiducia nell'Unione Sovietica".

Nella stessa Unione Sovietica c'era stata un'ondata di disordini come contraccolpo della destalinizzazione. Nella primavera del '56 si erano verificati disordini in Georgia - Paese tradizionalmente insofferente al dominio sovietico fin dai tempi dell'ottobre 1917 (era saldamente in mano, allora, ai menscevichi) - a Tblisi e in altre città, e il Cremlino aveva dichiarato la legge marziale in tutto il Paese, inviando truppe e carri armati. Durante il primo intervento in Ungheria, nell'università di Mosca studenti e docenti avevano manifestato contro l'intervento, ed erano stati repressi. Anche a Jaroslavl' c'erano state manifestazioni di protesta ed il KGB era intervenuto con mano pesante. Dal fronte degli scrittori sovietici si temeva - a torto o ragione - una loro emulazione del circolo Petőfi.

Il gruppo dirigente dell'URSS dell'epoca era composto da uomini che erano sopravvissuti allo stalinismo. Questo vale anche per gli stessi stalinisti come Molotov, che si era salvato da una purga (una delle ultime due) grazie alla provvidenziale morte di Stalin. Abituati a fronteggiare avversità e pericoli di ogni genere, non erano certo nel panico di fronte ad una situazione difficile, ma appariva loro chiaro che c'era un rischio reale di sgretolamento dell'URSS e del suo sistema, una specie di "anticipazione" di quanto avverrà assai più tardi, dopo la caduta di Gorbačëv e del regime.

Bisogna inoltre tenere anche presente che, come già detto, Mikojan, che era stato inviato in Ungheria assieme a Suslov in quanto "specialista" di quel Paese, è stato fino all'ultimo fautore di una soluzione negoziata, cercando di scongiurare l'invasione anche dopo che questa era già stata decisa (in sua assenza, essendo lui in Ungheria), appena rientrato al Cremlino. La sua idea continuava ad essere quella di una soluzione "alla Gomułka", che impedisse di "perdere l'Ungheria", e insieme di non perdere credibilità internazionale anche e soprattutto all'interno dei "Paesi satelliti". Inseguendo Nikita Chruščёv nel cortile del Cremlino, mentre questi stava partendo per il suo giro dei Paesi dell'Est per ottenere quanto meno una "neutralità" se non l'approvazione dell'invasione, Mikojan arriverà a minacciare le dimissioni, anche se in modo un po' oscuro. Chruščёv equivocherà il suo discorso, interpretandolo come una minaccia di suicidio, e lo inviterà a non fare sciocchezze. Quando Chruščёv rientrerà dal suo giro, sarà ormai troppo tardi, e Mikojan si adatterà agli eventi.

Anche un oscuro quadro, funzionario alla Pianificazione, Maksim Suburov, si pronunciò contro la soluzione militare, perché "avrebbe giustificato l'esistenza della NATO", una motivazione non molto lontana da quella di Mikojan. A quanto risulta, furono le uniche due voci contrarie all'intervento dell'Armata rossa. Lo stesso Kádár, che aveva partecipato in modo convinto al movimento rivoluzionario, all'inizio si dichiarò a Mosca per una soluzione negoziata. I sovietici, dietro suggerimento di Tito, preferirono lui a Ferenc Münnich - un uomo a quanto si dice dal carattere piuttosto servile - perché più credibile, a causa del suo passato non solo nei brevi giorni della rivoluzione: era stato lui stesso una vittima di Rákosi.

Dal 10 novembre in poi

Tra il 10 novembre e il 19 dicembre i consigli dei lavoratori negoziarono direttamente con le forze di occupazione sovietiche. Mentre riuscirono ad ottenere alcuni rilasci di prigionieri politici, non ottennero il loro scopo, il ritiro dei sovietici. János Kádár, capo del Partito Socialista Ungherese dei Lavoratori formò un nuovo governo, col supporto dell'URSS, che dopo il dicembre 1956 aumentò costantemente il suo controllo sull'Ungheria. Sporadici attacchi della resistenza armata continuarono fino alla metà del 1957.

Imre Nagy, Pál Maléter e il giornalista Miklós Gimes vennero processati e giustiziati in gran segreto dal governo di Kádár il 16 giugno 1958, dopo un processo a porte chiuse durato cinque giorni. Il Primate cattolico d'Ungheria, il cardinale József Mindszenty trovò rifugio nella sede della rappresentanza diplomatica statunitense a Budapest, dove sarebbe rimasto per ben quindici anni. Altre esecuzioni avvennero a più riprese. Le stime della CIA, pubblicate negli anni 1960 parlano approssimativamente di 1.200 esecuzioni.

Nel 1963 la gran parte dei prigionieri politici sopravvissuti della rivoluzione ungherese del 1956 erano stati rilasciati dal governo di János Kádár. Pochi mesi dopo la caduta del regime "comunista" nel trentatreesimo anniversario della rivoluzione, il 23 ottobre 1989 venne ufficialmente proclamata la Repubblica d'Ungheria, perdendo così la vecchia denominazione di Repubblica Popolare. Da allora tale giorno è festa nazionale.

Imre Nagy e tutte le vittime della rivolta del '56 sono stati riabilitati. Il funerale di Nagy, come già accadde per Rajk, è stato "ripetuto", o forse è più corretto dire ha avuto luogo per la prima volta, il 16 giugno 1989. Per il Partito comunista italiano, un paio di anni prima di cambiare nome in PDS, ai funerali partecipa Achille Occhetto, l'allora segretario. Gorbačëv ammetterà come errore quello del '68 a Praga ma non quello del '56 a Budapest. L'11 e il 12 novembre 1992 il presidente russo Boris Eltsin, succeduto a Michail Gorbačëv, in visita a Budapest, porge omaggio ai caduti della rivoluzione e al Parlamento ungherese chiederà scusa per l'invasione. Consegnerà inoltre al governo ungherese i documenti sovietici sulle vicende del '56.

Cause

Il collasso economico e i bassi standard di vita provocarono un profondo malcontento nella classe lavoratrice, reso manifesto ad esempio dai violenti scontri che spesso accompagnavano le partite di calcio. I contadini erano scontenti delle politiche terriere promosse dal Partito Socialista, il quale non fu neppure in grado di unire le sue ali riformista e stalinista. Oltre a questo si aggiungevano le proteste di giornalisti e scrittori non soddisfatti delle loro condizioni di lavoro e dell'impossibilità di un controllo diretto dei loro sindacati. Il malcontento degli studenti ruotava intorno alle condizioni accademiche ed ai criteri di accesso all'università, con proteste che sfociarono nella creazione di sindacati studenteschi indipendenti. Il discorso di Nikita Chruščёv sul governo sovietico sotto Stalin causò un acceso dibattito all'interno dell'élite del Partito Socialista Ungherese, e proprio mentre quest'ultimo era impegnato nei dibattiti della leadership, la popolazione entrò in azione.

Dibattito storico

L'importanza storica e politica della rivoluzione ungherese del 1956 è ancora ampiamente dibattuto.

Le principali visioni sulla natura della rivoluzione sono:

Esiste dunque una grande varietà di posizioni storiografiche, in conflitto e spesso inconciliabili. Per giunta, poiché la rivoluzione ebbe breve vita, è molto difficile speculare su quali sarebbero stati i suoi effetti se avesse avuto successo.

Il PCI ed i "fatti d'Ungheria"

La linea ufficiale del PCI fu dettata dal suo segretario generale Palmiro Togliatti, secondo cui non bisognava perdere di vista la globalità del processo storico di affermazione del comunismo. A partire dalla sollecitazione lanciata nell'ottobre 1986 dallo storico magiaro-francese François Fejto, sono stati trovati i documenti inediti che comprovano al di là di ogni ragionevole dubbio l'accusa che egli abbia sollecitato l'intervento armato sovietico contro la rivoluzione ungherese. Inoltre nel 1957, alla Prima Conferenza mondiale dei partiti comunisti tenuta a Mosca, egli votò, insieme agli altri leader comunisti, a favore della condanna a morte dell'ex presidente del Consiglio ungherese Imre Nagy e del generale Pál Maléter, ministro della Difesa, arrestati l'anno prima dalle truppe sovietiche d'occupazione, rispettivamente il 3-11 nel quartier generale sovietico di Tokol e il 22-11 appena uscito dall'ambasciata jugoslava con il salvacondotto del governo Kádár, con l'accusa di aver aperto «la strada alla controrivoluzione fascista».

Palmiro Togliatti sostenne anche: «È mia opinione che una protesta contro l'Unione Sovietica avrebbe dovuto farsi se essa non fosse intervenuta, nel nome della solidarietà che deve unire nella difesa della civiltà tutti i popoli». A fine novembre 1957 Togliatti votò con tutti gli altri leader comunisti a Mosca, presente János Kádár, per la condanna a morte di Imre Nagy (tranne Gomulka, che si oppose), ma lo pregò di rinviare l'esecuzione di Nagy a dopo le imminenti elezioni politiche italiane. L'invito fu accolto e Imre Nagy venne impiccato il 16 giugno 1958. A Pietro Ingrao, che era andato a trovarlo subito dopo l'invasione per confidargli il suo turbamento, riferendogli di non avere dormito la notte, Togliatti risponderà: «Io invece ho bevuto un bicchiere di vino in più».

L'Unità definì gli operai insorti "teppisti" e "spregevoli provocatori", nonché "fascisti" e "nostalgici del regime Horthyiano", giustificando l'intervento delle truppe sovietiche, sostenendo che si trattasse di un elemento di "stabilizzazione internazionale" e di un "contributo alla pace nel mondo". Luigi Longo sostenne la tesi della rivolta imperialista: «L'esercito sovietico è intervenuto in Ungheria allo scopo di ristabilire l'ordine turbato dal movimento rivoluzionario che aveva lo scopo di distruggere e annullare le conquiste dei lavoratori».

La base comunista rimase in ogni caso fortemente scossa e negli anni immediatamente successivi si ebbe un calo degli iscritti al PCI. Anche la CGIL prese posizione a favore degli insorti: «La Segreteria della CGIL esprime il suo profondo cordoglio per i conflitti che hanno insanguinato l'Ungheria..., ravvisa in questi luttuosi avvenimenti la condanna storica e definitiva dei metodi antidemocratici e di Governo e di direzione politica ed economica... deplora che sia stato richiesto e si sia verificato in Ungheria l'intervento di truppe straniere...» (L'Unità del 28 ottobre 1956).

Alcuni intellettuali deplorarono l'intervento sovietico nel "Manifesto dei 101", firmato tra gli altri da un gruppo di storici (Renzo De Felice, Luciano Cafagna, Salvatore Francesco Romano, Piero Melograni, Roberto Zapperi, Sergio Bertelli, Francesco Sirugo, Giorgio Candeloro), da alcuni universitari comunisti romani (Alberto Caracciolo, Alberto Asor Rosa, Mario Tronti, Enzo Siciliano), dal filosofo Lucio Colletti, da alcuni critici (Dario Puccini, Mario Socrate, Luciano Lucignani), da artisti e studiosi d'arte (Lorenzo Vespignani e Corrado Maltese), da uomini di cinema (Elio Petri), da giuristi (Vezio Crisafulli), da architetti (Piero Moroni) e da scienziati (Franco Graziosi e Luciano Angelucci).

Molti intellettuali iscritti o simpatizzanti del PCI si dimisero poi dal Partito - tra di essi Antonio Giolitti, Reale, Vezio Crisafulli, Onofri, Natalino Sapegno, Purificato, Gaetano Trombatore, Carlo Aymonino, Carlo Muscetta, Loris Fortuna, Antonio Ghirelli, Italo Calvino, Elio Vittorini, Rachele Farina - ovvero presero le distanze in maniera netta dal Partito dopo l'appoggio dato all'invasione sovietica, in ciò unendosi alla critica nei confronti dell'invasione formulata pubblicamente da chi aveva già abbandonato da tempo il partito (Ignazio Silone). Tale presa di posizione fu favorita da Giuseppe Di Vittorio e dalla corrente autonomista del Partito Socialista Italiano (in particolare Pietro Nenni), che condannò senza riserve la repressione. L'approvarono invece alcuni esponenti della sinistra socialista, che da allora vennero definiti carristi.