G. Stedman Jones
Ritratto di Engels
in Storia del marxismo (volume primo)
Einaudi, Torino 1978
Traduzione di Enrico Basaglia.
Sin dalla sua morte, avvenuta a Londra nel 1895, è sempre stato
particolarmente difficile, sia nell'ambito della tradizione
marxista, sia al di fuori di essa, valutare in modo giusto e
storicamente equilibrato la posizione di Engels nella storia del
marxismo. Engels fu insieme il cofondatore riconosciuto del
materialismo storico, e il primo - e il più influente - tra gli
interpreti e i filosofi del marxismo. Tuttavia, a partire almeno
dalla crisi della Seconda Internazionale, è stato sempre
considerato o come il fedele braccio destro di Marx, oppure come il
fuorviato falsificatore dell'autentica dottrina marxista. La
persistenza di questa sterile alternativa, non va certo attribuita
alla mancanza di un'approfondita ricerca su cui basare un giudizio
meno sclerotizzato; anzi, Engels è stato oggetto di una delle
migliori biografie erudite del secolo XX, quella di Gustav Mayer,
risultato di una ricerca perseguita per oltre trent'anni e di una
conoscenza della storia operaia e socialista tedesca nell'Ottocento
che non conobbe, o quasi, rivali. L'opera di Mayer fu però ben poco
studiata, e anzi rimase praticamente sconosciuta fino alla sua
riedizione, una decina d'anni or sono. Trascurata dagli studiosi
comunisti, perché Mayer non era marxista, anche se egli si era
proposto semplicemente una minuziosa ricostruzione analitica, in cui
azzardava ben pochi giudizi personali, questo lavoro dovette la sua
sfortuna anche agli anni della pubblicazione; il primo volume usci
nel 1918, quando l'attenzione dei socialisti tedeschi era assorbita
dalla fine della guerra e dalle vicende che ne erano derivate; il
secondo apparve alla fine del 1932, e fu quasi immediatamente
soppresso dai nazisti giunti al potere. Persino nel mondo di lingua
tedesca il libro divenne quasi immediatamente una rarità
bibliografica, né mai fu tradotto, se non in una versione assai
ridotta. Ancora nel periodo postbellico esso rimase in possesso di
un numero limitato di studiosi specializzati.
1. La fortuna del «collaboratore» di Marx.
Tuttavia l'unilateralità di gran parte dei giudizi moderni su Engels
non fu dovuta solo, e nemmeno soprattutto alle disavventure di
questa biografia di Mayer. A partire infatti dalla fine della prima
guerra mondiale, se non prima, la valutazione del contributo
personale di Engels allo sviluppo del marxismo divenne una questione
politica estremamente scottante. Dopo un periodo di indiscusso
prestigio, dalla morte di Marx al 1914, la reputazione di Engels
risenti dapprima degli attacchi critici della sinistra
rivoluzionaria alla Seconda Internazionale, e successivamente delle
critiche non comuniste o anticomuniste, alla Terza.
Nel periodo rivoluzionario che segui la rivoluzione russa Lukács e,
in misura minore, Korsch introdussero la prima vera e propria
spaccatura fra le idee di Marx e quelle di Engels. In una critica
deferente ma velenosa all'Anti-Duhring, Lukács rimproverò a Engels —
da un punto di vista radicalmente hegeliano - la sua ricerca di una
dialettica uniforme che collegasse la storia umana e la storia
naturale, e in particolare la distinzione tra scienza «metafisica» e
scienza «dialettica», sostenendo che in tal modo si obnubilava la
dialettica autenticamente rivoluzionaria di Marx: quella tra
soggetto e oggetto nell'ambito della storia dell'uomo. Questa
critica non muoveva da un terreno puramente epistemologico. Agli
occhi di Lukács, infatti, il prestigio di cui avevano goduto Darwin
e la scienza evoluzionistica presso la Seconda Internazionale era
strettamente collegato a una distinzione adialettica fra teoria e
pratica, e da qui erano derivati l'immobilismo e il riformismo della
sua politica. Sebbene la critica di Lukács non abbia avuto effetto
immediato - egli stesso più tardi la ritrattò - si trattava di una
prefigurazione della forma che avrebbero assunto molte altre
critiche successive.
Il materialismo dialettico - secondo il termine adottato da
Plechanov per definire una filosofia marxista e una visione generale
del mondo - fu in gran parte costruito sulla base degli ultimi
scritti di Engels, e una volta che tale filosofia ebbe ricevuto
l'imprimatur ufficiale dell'Unione Sovietica divenne assai arduo
differenziare una certa presa di posizione rispetto a Engels da una
certa presa di posizione rispetto al comunismo del periodo
staliniano. Da un lato la pubblicazione, nel 1929, del manoscritto
incompiuto di Engels sulla Dialettica
della natura si ricollegò al tentativo di Stalin di imporre
l'ortodossia del materialismo dialettico agli studiosi di scienze
naturali; dall'altro i socialdemocratici Landshut e Meyer
pubblicarono Manoscritti
economico-filosofici del 1844 di Marx, fino allora inediti,
nel tentativo di contrapporre un Marx dall'etica umanistica
all'interpretazione leninista del marxismo. La presunta divergenza
tra la teoria di Marx e quella di Engels, ipotizzata per la prima
volta da Lukàcs, fu ulteriormente estesa, non più per attaccare la
socialdemocrazia, ma per difenderla.
Nel periodo postbellico, se i commentatori della guerra fredda erano
più che disposti a mettere alla stessa stregua Marx ed Engels,
architetti gemelli di un sistema accusato di determinismo e
totalitarismo, i portavoce ufficiali dei partiti comunisti
insistettero non meno sulla perfetta unitarietà dell'opera dei due
uomini e considerarono con sospetto ogni tentativo di distinguerne i
contributi individuali. Le interpretazioni alternative dell'eredità
marxista furono in gran parte elaborate da chi non si riconosceva in
nessuno di questi due poli, un insieme assai vario di teorici
comunisti dissidenti, socialdemocratici della Seconda
Internazionale, teologi cristiani radicali e filosofi
esistenzialisti o neohegeliani. Il loro sforzo di costruire un Marx
che sfidasse la versione autorizzata o alternativamente di
apparentarlo a una tradizione filosofica precedente si esplicò in
genere rovesciando sulle spalle di Engels tutte le componenti
indesiderabili del marxismo sovietico, dal quale tanto ansiosamente
volevano prendere le distanze.
L'unilateralità e le distorsioni che caratterizzano il modo in cui
Engels fu giudicato non sono in realtà che la misura dell'immensa e
duratura influenza da lui esercitata sulla definizione del
socialismo marxista nel momento in cui il movimento socialista
europeo cominciò ad adottarlo in termini rigorosi. Ciò non avvenne
in misura degna di nota né negli anni '40, né negli anni '60, bensì
dopo il 1880, e l'immenso fardello di lavoro e di responsabilità
che ne derivava ricadde in pratica unicamente sulle spalle di
Engels. Già negli ultimi anni della Prima Internazionale il peso
maggiore della battaglia contro il proudhonismo e il bakunismo era
ricaduto su Engels, e negli ultimi dieci anni della sua vita Marx
produsse ben poco che avesse immediato riflesso sul pubblico. Le
sue risposte ai rivoluzionari russi sulla pertinenza del Capitale
rispetto al carattere di una futura rivoluzione in Russia furono
esitanti né abbastanza definite perché i socialdemocratici russi
potessero farne uso nella lotta contro i narodniki; rimasero quindi
inedite sino al 1920. Cosi, anche la sua Critica del programma di Gotha fu un contributo
indesiderato alle trattative per l'unificazione della
socialdemocrazia tedesca, fra l'ala eisenachiana e quella
lassalliana nel 1875. Ne tennero ben poco conto persino quei membri
della direzione socialdemocratica che si professavano amici e
seguaci di Marx, ed Engels la rese pubblica solo quindici anni dopo,
durante il dibattito sul nuovo programma (di Erfurt) del partito.
L'ultimo tentativo compiuto congiuntamente da Marx e da Engels nei
confronti del Partito socialdemocratico tedesco nel 1879 - un'aspra
critica alla tolleranza dimostrata dalla direzione verso l'articolo
di Hòchberg, Bernstein e Schramm, apparso sulla rivista zurighese
«Jahrbùcher fiir Sozialwissenschaft und Sozialpolitik», accusato di
voler edulcorare il carattere proletario della Spd - si concluse
con un colpo non meno amaro per il loro orgoglio : la minaccia di
dissociarsi pubblicamente dal partito provocò scarse reazioni, e da
quel momento fu chiaro che qualunque tentativo di intervento
politico diretto e aperto sarebbe stato sconfitto in partenza, e
che gli esuli londinesi avrebbero dovuto accettare il ruolo,
onorato ma remoto, di fondatori teorici, a rischio, altrimenti di
rivelare pubblicamente la loro impotenza politica.
Ma se la fine degli anni '70 segnò il punto pili basso
dell'influenza personale di Marx ed Engels sulla politica del
partito in Germania, segnò anche l'effettivo momento d'origine del
marxismo della Seconda Internazionale. La diffusione su scala
mondiale del marxismo in veste di socialismo sistematico e
scientifico non iniziò infatti né con il Manifesto del Partito comunista, né con Il capitale, bensì con la
pubblicazione dell''Anti-Duhring
di Engels.
Se devo giudicare
dall'influenza che l'Anti-Duhring ha esercitato su di me -
scrisse Kautsky - nessun altro libro ha tanto contribuito alla
comprensione del marxismo. Il capitale di Marx è certo
un'opera più poderosa, ma solo attraverso l'Anti-Duhring
abbiamo imparato a capire II capitale e a leggerlo
correttamente.
Su questo libro si formarono i più autorevoli esponenti della
Seconda Internazionale: Bebel, Bernstein, Kautsky, Plechanov,
Aksel'rod e Labriola. Né la sua influenza si limitò ai dirigenti e
ai teorici di partito: L'evoluzione del socialismo dall'utopia alla
scienza, un estratto espurgato da ogni riferimento a Duhring,
pubblicato nel 1882, divenne dopo il Manifesto la più popolare
introduzione al marxismo. Non solo conobbe vasta diffusione nei
partiti socialdemocratici del mondo di lingua tedesca, ma spianò la
strada alla comprensione del marxismo anche in regioni
tradizionalmente refrattarie alle posizioni di Marx e di Engels, e
in particolare la Francia. La differente atmosfera degli ultimi anni
'80 rispetto al decennio precedente è palese nel Ludwig Feuerbach di Engels,
del 1888. In origine l'Anti-Dühring
età stato un riluttante intervento locale nel confuso socialismo
della giovane socialdemocrazia tedesca: «C'è voluto un anno per
potermi decidere, trascurando altri lavori, a prendere questa gatta
da pelare, scriveva Engels a proposito della sua polemica, che il
«Vorwärts» pubblicò a puntate tra il 1877 e il 1878. (In effetti
Liebknecht lo aveva incitato a combattere l'influenza di Dühring sin
dal 1874). Il Feuerbach, invece, fu scritto in uno spirito del tutto
diverso: «La concezione marxista del mondo ha trovato dei
rappresentanti ben al di là delle frontiere della Germania e
dell'Europa, in tutte le lingue colte del mondo», scriveva Engels
nella prefazione. Le concezioni popolari del marxismo ortodosso
risalgono ancora oggi al lavoro di sistematizzazione e divulgazione
compiuto da Engels in quel decennio cruciale.
È questo il dato predominante in tutte le successive valutazioni
dell'opera di Engels. Engels come profeta del materialismo
dialettico ha completamente sopraffatto la figura del cofondatore ed
elaboratore del materialismo storico. Alla sua vita e alla sua opera
giovanile si prestò scarsa attenzione; le critiche o gli elogi di
Engels erano rivolti in misura schiacciante alle sue opere
posteriori. I fautori della tradizione marxista ortodossa, specie se
filtrata attraverso la prospettiva bolscevica, hanno attribuito la
medesima autorità al materialismo storico e alle generalizzazioni di
Engels sulla dialettica, come se entrambi facessero parte di un
solo insieme inscindibile. Agli occhi dei suoi critici occidentali,
invece, Engels è stato superficialmente ricollegato al positivismo
e all'evoluzionismo, nonché alla passività politica della Seconda
Internazionale, come se le divergenze tra il suo modo di vedere e
quello di Kautsky e Plechanov non fossero che di misura, e come se
le prese di posizione di Marx fossero state radicalmente diverse
dalle sue. Alla luce dei successivi sviluppi del marxismo, il fatto
che il dibattito privilegiasse il materialismo dialettico e le
insufficienze della Seconda Internazionale non è certo
sorprendente. Ciò ha portato però a un notevole squilibrio nella
trattazione storica della figura di Engels.
Così, mentre dal punto di vista degli ortodossi, l'individualità di
Engels in quanto pensatore scompare quasi del tutto, in base
all'opinione convenzionale dell'Occidente le sue credenziali di
marxista vengono seriamente contestate.
Al semplice livello dei fatti storici, questa seconda opinione è più
facile da confutare della prima. È un grossolano errore
d'interpretazione storica non operare alcuna distinzione tra gli
elementi costitutivi della prospettiva di Engels e il modo in cui
egli fu letto da una generazione di intellettuali, nutritisi di
Buckle e di Comte. Per citare di nuovo Kautsky, Marx ed Engels «sono
partiti da Hegel, io sono partito da Darwin»6. È estremamente
improbabile che Engels avesse concepito la sua Dialettica della natura come
una teoria genetica onnicomprensiva dello sviluppo, la cui parte
socio-storica dovesse essere costituita dal Capitale: si preoccupava
piuttosto di ridefinire il materialismo in termini che tenessero
conto degli sviluppi scientifici del secolo XIX. Per controbattere
il rozzo materialismo, fondato sulla fisiologia, di Vogt e di
Büchner, tanto popolare nelle Arbeiterbildungsvereine
degli anni '50, dominate dai liberali, Engels cominciò a nutrire un
certo interesse per gli sviluppi delle scienze naturali. Dopo la
pubblicazione dell'Origine delle specie, non ebbe più dubbi sul fatto
che la concezione storica materialistica di un modo di produzione
distingueva nettamente la storia dell'uomo dalla lotta darwiniana
per l'esistenza, e commentava amaramente il fatto che la borghesia
avesse dapprima proiettato la propria teoria sociale (da Hobbes a
Malthus) nel mondo della natura, per poi riassumerla, attraverso le
ricerche di Darwin, come adeguata descrizione della società umana.
All'accentuazione tardo-positivistico-evoluzionista delle leggi
naturali di sviluppo, concepite nei termini di una semplice
causalità transitiva procedente secondo una direttiva unilineare dal
naturale, attraverso l'economico-tecnologico, sino al politico e
all'ideologico, Engels - fondandosi sul materialismo storico - era
portato piuttosto a mostrare l'effetto della pratica umana sulla
natura mediante la scienza e la produzione e, soprattutto negli
ultimi anni, la relativa autonomia della politica e dell'ideologia
da ogni semplicistica causalità economica.
A proposito della diffusione del positivismo e del determinismo
economico, egli scrisse infatti a Conrad Schmidt nel 1890:
Quel che manca a tutti questi
signori è la dialettica. Essi vedono sempre e solamente qui la
causa, là l'effetto. Non arrivano a vedere che questa è una vuota
astrazione, che nel mondo reale simili contrapposizioni
metafisiche polari esistono soltanto nei momenti di crisi, ma che
l'intero grande corso delle cose si svolge nella forma dell'azione
e reazione reciproca, anche se di forze molto ineguali, tra cui il
movimento economico è di gran lunga il più forte, il più
originario, il più decisivo; essi non arrivano a vedere che in
questo campo niente è assoluto e tutto è relativo. Per loro Hegel
non è esistito.
Se mai, nei tentativi di Engels di teorizzare le scienze della
natura e la storia non erano tanto discutibili le poche formulazioni
incertamente positivistiche che vi si possono riscontrare, quanto il
fiducioso ricorso a Hegel, che egli stesso e Marx avevano
«capovolto». Occorre però guardarsi da ogni semplice
giustapposizione del pensiero di Marx a quello di Engels. Negli anni
successivi alla morte di Marx, Engels non ebbe né il desiderio, né
la fiducia in sé, né il tempo per sviluppare nuove posizioni
particolari. Le ipotesi esposte nel Feuerbach sul rapporto fra
materialismo storico e scienze della natura e sulla natura
dialettica della realtà — fosse essa naturale o storica — erano già
in via di sviluppo almeno dalla fine degli anni 'so, ed erano spesso
comparse nella sua corrispondenza con Marx. Come è noto, Marx
contribuì ad alcuni dei capitoli economici dell'Anti-Dühring, e prese visione dell'opera
nel suo complesso. Va anche ricordato che alcune parti del
manoscritto incompiuto sulla Dialettica
della natura recano a margine commenti scritti da Marx.
Inoltre, sebbene sia stato esaurientemente dimostrato che il
materialismo storico non è un capovolgimento della dialettica
hegeliana e che tale capovolgimento non risulta nemmeno dalla
struttura teorica del Capitale, non va trascurato che proprio in
questi termini Marx ed Engels cercarono di teorizzare l'opera
compiuta. In questo senso le spiegazioni fornite da Engels nel
Feuerbach non si discostano molto dalla breve osservazione di Marx
nella prefazione al Capitale,
o dalla recensione incompiuta dello stesso Engels a Per la critica dell'economia politica
di Marx, pubblicata in «Das Volk» nel 1859. Se dunque la successiva
spiegazione di Engels del rapporto tra marxismo e dialettica
hegeliana fu inadeguata, tale inadeguatezza è pienamente sanzionata
dallo stesso Marx.
Non sarà però sufficiente nemmeno limitarsi a sottolineare la
corrispondenza di prospettive fra Marx ed Engels. È stata proprio
questa corrispondenza che ha oscurato i numerosi contributi autonomi
di Engels allo sviluppo della teoria marxista, sminuendone
l'individualità di pensatore. Il maggiore ostacolo in questo caso è
rappresentato dalla modestissima considerazione che Engels aveva del
proprio contributo, e i commentatori successivi si sono generalmente
limitati ad attenersi al suo giudizio. In una nota del Feuerbach
Engels scriveva:
Si è accennato più volte,
recentemente, alla parte che io ho preso alla elaborazione di
questa teoria, e perciò non posso dispensarmi dal dire qui le
poche parole necessarie a mettere a posto le cose. Non posso
negare che prima e durante la mia collaborazione di quarantanni
con Marx io ebbi pure una certa qual parte indipendente tanto
colla fondazione quanto alla elaborazione della teoria. Ma la
maggior parte delle idee direttrici fondamentali, particolarmente
nel campo economico e storico, e specialmente la loro netta
formulazione definitiva, appartengono a Marx. Il contributo che
io ho dato - eccezion fatta per un paio di scienze speciali -
avrebbe potuto essere apportato da Marx anche senza di me. Ciò che
Marx ha fatto, invece, io non sarei stato in grado di farlo. Marx
stava più in alto, vedeva più lontano, aveva una visione più larga
e più rapida di tutti noi. Marx era un genio, noi tutt'al più
avevamo del talento. Senza di lui la teoria sarebbe ben lungi
dall'essere ciò che è. A ragione, perciò, essa porta il suo nome.
Sarebbe certo senza senso contestare la superiorità teorica di Marx,
né può esservi dubbio sul fatto che Engels non avrebbe mai potuto
dare al materialismo storico la coerenza logica e la profondità
interpretativa di cui Marx seppe dotarlo; forse anzi, da solo non
sarebbe arrivato a concepire la teoria del materialismo storico. La
divisione del lavoro tra i due collaboratori venne fissata
praticamente sin dall'inizio: in una delle sue prime lettere a Marx
(17 marzo 1843), a proposito dei rispettivi progetti su una critica
al libro di Friedrich List, Das
nationale System der politischen Okonomie, Engels si
assumeva il compito di affrontare le conseguenze pratiche della
teoria di List, mentre «suppongo - scriveva - ...a giudicare... dal
tuo carattere, che tu insisterai di più sulle premesse che sulle
conseguenze».
La maggior parte dei commentatori si è fermata a questo, assegnando
a Engels un non meglio definito ruolo ausiliario nell'elaborazione
teorica, e perdendo di vista l'importanza fondamentale del
contributo di Engels, cercata nel posto sbagliato. In effetti
l'abilità teorica, persino se posseduta in misura eccezionale come
Marx, è condizione necessaria ma non sufficiente per una rivoluzione
teorica, soprattutto se concerne la sfera sociale. Per tali
rivoluzioni sono necessari anche fenomeni di disturbo, i quali non
solo indicano l'inadeguatezza delle problematiche teoriche
esistenti, ma suggeriscono anche i materiali di fondo per una nuova
struttura teorica. Proprio gli scritti di Engels del 1844-45
fornirono queste nuove componenti decisive - sia pure a un livello
pratico rudimentale e non sufficientemente elaborato dal punto di
vista teorico. Prima però di spiegare quali fossero queste
componenti, sarà prima necessario dire qualcosa sulla figura di
Engels, in modo da facilitare la comprensione dell'importanza, e dei
limiti, del suo contributo.
2. Gli anni di formazione.
Engels, nato a Barmen nel 1820, aveva due anni meno di Marx, ed era
il figlio maggiore di uno dei più importanti industriali cittadini'.
Nella situazione arretrata e non industrializzata della Germania
nell'età della Restaurazione Barmen e la sua città gemella,
Elberfeld - città manifatturiere legate al mercato mondiale -
costituivano un'eccezione. I viaggiatori, giornalisti e letterati
degli anni '30 e '40 definivano spesso quella regione la Manchester
tedesca, anche se forse sarebbe stato meglio definirla la Coventry
tedesca, poiché la sua attività principale consisteva nella
fabbricazione di nastri, e gli operai vi lavoravano in genere a
domicilio, insieme con le famiglie, per conto di mercanti-mediatori
che controllavano l'acquisto delle materie prime e la vendita dei
prodotti finiti. Elberfeld e Barmen erano eccezionali anche da un
altro punto di vista: sebbene, come il resto della Renania,
avessero subito la conquista napoleonica, e avessero goduto i
benefici del Codice Napoleone, la loro popolazione in grande
maggioranza calvinista o luterana, ' anziché cattolica, era assai
più disposta, dopo il 1815, ad accettare il governo prussiano che
non la Renania nel suo complesso.
Questi due fattori differenziavano nettamente la famiglia e
l'ambiente culturale di Engels da quelli di Marx. Vivendo nella
zona francofila, figlio di un avvocato ebreo solo formalmente
protestante, di opinioni liberal-illuministiche, Marx non sembra
abbia avuto molti conflitti giovanili con la posizione politica o
culturale di suo padre. Almeno sino alla fine degli anni '30, la
classe media di Treviri continuò a mal sopportare l'occupazione
prussiana, mentre sussisteva una forte nostalgia per il governo di
Napoleone, e la popolazione colta si dimostrava ricettiva alle idee
francesi, sia quelle liberali, e sia a partire dagli anni '30,
quelle saintsimoniane. Nell'adolescenza Marx non fu toccato dai
fermenti politici e culturali del nazionalismo tedesco, e senti
invece un'affinità assai più profonda con le posizioni
dell'Aufklärung tedesca con la sua propensione umanistica per la
civiltà classica. Non sorprende, dunque, se, giungendo a Berlino
dopo i primi studi universitari a Bonn, egli fosse incline a una
versione liberaleggiante dell'idea hegeliana di Stato, come
principio guida delle sue riflessioni, anziché al principio emotivo
di nazione. Fino a quando il suo amico e mentore, Bruno Bauer, non
fu cacciato dall'università di Bonn, Marx sembrò destinato alla
carriera accademica, e la sua conversione politica alla sinistra e
infine al comunismo fu assai più graduale e misurata di quella del
giovane Engels.
La formazione di Engels fu del tutto diversa. Il pietismo
protestante dei mercanti di Barmen si opponeva ferocemente alle
associazioni pagane dell'Aufklärung, a qualunque colorazione
razionalistica dell'interpretazione biblica e alla filosofia
ambiguamente protestante di Hegel. Il valore attribuito
all'educazione era strettamente pratico. Il ginnasio frequentato da
Engels a Eberfeld aveva un'ottima reputazione, specie per quanto
riguarda l'insegnamento delle lingue, tanto importante per la
professione dei commercianti di Barmen, ma l'istruzione si fermava
alla fine degli studi secondari, e ad essa seguiva un periodo di
apprendistato commerciale nell'azienda di un collega d'affari. Cosi
il giovane Engels fu inviato a Brema nel 1838, presso la ditta di
importazioni-esportazioni di Heinrich Leopold. Nell'angusto ambiente
sociale dei commercianti di Barmen la letteratura creativa era
guardata con sospetto, Goethe veniva in genere definito un «senza
Dio» e il teatro era considerato immorale. Sebbene si fosse grati a
Napoleone per alcune sue riforme giuridiche, nei confronti delle
idee francesi prevaleva un atteggiamento di ostilità. Le preghiere
in famiglia e la lettura della Bibbia, la meditazione sulla
letteratura devozionale, un'etica fatta di religiosità e di lavoro
indefesso, e una teologia settaria comunicata attraverso la
terrificante retorica da pulpito di predicatori come Krummacher
erano le principali componenti culturali delle famiglie di mercanti
durante la giovinezza di Engels (anche se in parte illuminate
dall'amore per la musica, sia corale che strumentale).
L'atteggiamento dei mercanti manifatturieri verso le loro famiglie,
i loro operai e la loro religione era di stampo nettamente
patriarcale: il loro mondo era strettamente collegato a quello dei
predicatori, tanto più che, appartenendo allo stesso strato sociale,
era comune che i figli dei mercanti sposassero le figlie dei preti,
e viceversa. La madre di Engels, figlia di un pastore protestante di
Hamm, rientrava perfettamente in questo schema.
Già durante l'adolescenza, Engels cominciò ben presto a cercare di
sfuggire agli angusti orizzonti imposti alla fantasia dalla sua
famiglia e dalla società del Wuppertal. Suo padre si scandalizzò
quando scopri il figlio tredicenne intento a leggere «ein
schmutziges Buch», un sudicio libro: un romanzo medievale francese.
È importante però non attribuire atteggiamenti troppo individuali e
psicologici alla rivolta di Engels contro il padre. Non fu un
bambino poco amato, né fu trattato con crudeltà o trascurato. Anzi,
in quanto erede designato dell'attività familiare, fu soggetto alla
costante e preoccupata sollecitudine dei genitori. Per quanto
perenne possa essere il conflitto tra le generazioni, solo in
particolari circostanze storiche esso acquisisce rilievo sociale e
politico. Nel Wuppertal, verso la fine degli anni '30 e all'inizio
dei '40 la spaccatura generazionale in campo sociale e religioso non
era una caratteristica di casa Engels, ma era presente invece, sia
pure in varia misura, in altre famiglie del tempo. Per comprendere
per quale motivo si trattasse di un fenomeno più sociale che
individuale, è necessario tener conto del fatto che negli ultimi
anni '30 il mondo sociale e religioso delle vecchie famiglie
mercantili si andava disgregando: l'austero calvb nismo della
generazione precedente era stato sentito profondamente in quanto
forniva un adeguato ordinamento dell'esperienza sociale. L'elite
mercantile non faceva alcuna distinzione tra la chiesa e il governo
municipale della città; e l'aspetto patriarcale della religione
aveva fornito la migliore articolazione al controllo diretto e
personale della forza-lavoro, le cui stamberghe si raccoglievano
intorno alle loro cappelle e ai loro magazzini.
Dal periodo napoleonico in poi, però, il commercio di Barmen entrò
in un prolungato periodo di crisi, in conseguenza della sua
dipendenza da un mercato mondiale controllato dagli inglesi. Dal
punto di vista sociale, la popolazione fu minacciata dalla
carestia, da un peggioramento del tenore di vita e
dall'intensificazione dei ritmi di lavoro; il tutto punteggiato da
frequenti periodi di disoccupazione. Dal punto di vista religioso,
ciò comportò lo sfaldamento dello stabile governo ecclesiastico. I
piccoli artigiani a domicilio e i loro apprendisti, sempre più
soffocati dal «pauperismo», si sentirono attratti da sette
millenaristiche, mentre molti caddero in uno stato di
semidisperazione esacerbato da un drammatico aumento del consumo di
Schnapps (acquavite) a poco prezzo. Mentre la predicazione si faceva
più apocalittica e emotiva, la tradizionale élite dei mercanti
cominciò a ritirarsi dal governo attivo della Chiesa. Fu su questo
sfondo che il diciannovenne Engels sferrò il suo primo attacco,
sotto uno pseudonimo, contro il filisteismo dei pietisti del
Wuppertal.
Il dissenso del giovane Engels e del suo circolo di Barmen assunse
dapprima la forma di una rivolta estetica contro la meschinità del
mondo dei mercanti, e fu accompagnato da tentativi giovanili di
emulare l'avanguardia letteraria contemporanea. Le accuse mosse da
Engels al Wuppertal non furono quelle di un socialista in embrione,
bensì di un aspirante poeta che si faceva portavoce delle più
moderne correnti letterarie. Engels si identificava soprattutto con
il poeta Ferdinand Freili-grath, giunto nel Wuppertal per lavorare
come contabile. L'idea di una doppia vita - mercante di professione
e scrittore per vocazione - lo attirò sino a quando non riusci a
sfuggire all'azienda familiare, nel 1845, ma ricomparve con aspetti
diversi per tutto il resto della sua vita.
Tuttavia, alla fine degli anni '30, i temi del dibattito letterario,
politico e religioso erano legati troppo strettamente per
consentire una distinzione di qualche rilievo: il pietismo, il
conservatorismo romantico e l'assolutismo cristiano dello Stato
prussiano si contrapponevano rigidamente alle diverse correnti del
liberalismo, del razionalismo e della critica biblica posthegeliana.
Poiché il dibattito era cosi polarizzato, essere poeta o scrittore
richiedeva una scelta cosciente tra progresso e reazione, ed era
abbastanza chiaro quale direzione Engels avrebbe seguito. A
differenza di Marx, le prime prese di posizione politiche di Engels
furono fortemente influenzate dal movimento letterario
liberal-nazionale degli anni '30; aveva attinto i suoi primissimi
eroi dalla mitologia germanica, e finché fu a Brema, la leggenda di
Sigfrido conservò ai suoi occhi grande importanza in quanto simbolo
delle coraggiose virtù della giovane virilità tedesca in lotta con
la Germania meschina e servile dei principi. Poco dopo l'inizio
della sua attività a Brema divenne un entusiastico adepto della
Giovane Germania, un effimero circolo letterario nato sulla scia
della rivoluzione del 1830, che si ispirava, quanto a stile e prese
di posizione, ai due esuli ebrei, Heine e Bòrne. Engels fu dapprima
un ammiratore di Karl Gutzkow, direttore del « Telegraph fùr
Deutschland», su cui furono pubblicate le sue Lettere dal
Wuppertal. Alla fine del 1839, però, l'entusiasmo di Engels fu
rivolto sempre più all'antico mentore di Gutzkow, Bòrne, le cui
denunce radicalmente repubblicane contro i principi tedeschi,
insieme con la polemica contro le tendenze francofobe del
nazionalismo tedesco, ben si adattavano al combattivo entusiasmo di
Engels per le «idee del secolo».
Tuttavia per Engels, in questo periodo, il problema della fede
religiosa fu predominante: nonostante l'insofferenza per il modo di
vedere della sua famiglia, non era facile scuotersi di dosso il peso
dell'educazione religiosa ricevuta. L'intensità del suo sentimento
religioso è testimoniata da una poesia scritta in occasione della
cerimonia della «conferma». Le fasi attraverso le quali dovette
passare per allontanarsi dal cristianesimo ortodosso — dal
cristianesimo liberale, attraverso la lettura di Schleiermacher, a
quella di Strauss - si possono seguire nei particolari nelle
lettere scritte da Brema ai fratelli Graeber, suoi compagni di
scuola. Una cosa è certa: non poteva semplicemente abbandonare la
fede; poteva rinunciare a una fede solo dopo averne trovata
un'altra. Le sue prime critiche al pietismo del Wuppertal erano
state scritte dal punto di vista del cristianesimo liberale.
Attraverso la lettura dei saggi di Gutzkow ebbe però l'occasione di
conoscere Strauss, e nell'ottobre 1839 poteva ormai scrivere: «Ora
sono straussiano entusiasta». Strauss gli aprì la porta di Hegel, e
il suo primo rapporto con Hegel fu simile a una conversione
religiosa. In un viaggio, reale o immaginario, attraverso il Mare
del Nord, nel luglio 1840, si appoggiò al bompresso della nave,
guardando «la superficie lontana, verde, dove le teste delle onde
schiumanti emergono in eterna agitazione», riflettendo:
Ho avuto solo una volta
un'impressione che potrei paragonare a questa; quando per la prima
volta mi si apri l'idea di Dio dell'ultimo filosofo, questo
pensiero il più colossale del secolo XIX; allora mi afferrarono i
medesimi brividi beati, allora mi alitò contro come una fresca
aria di mare che spira dal cielo più terso; le profondità della
speculazione stavano davanti a me come l'insondabile flutto del
mare, dal quale non può distogliersi l'occhio che cerca la terra;
in Dio vive tutto il nostro essere! Di ciò prendiamo coscienza sul
mare; sentiamo che tutto ciò che ci circonda e noi stessi siamo
penetrati dallo spirare di Dio; tutta la natura ci è cosi affine,
le onde ci fanno cenni familiari, il cielo si allarga
amorevolmente intorno alla terra e la luce del sole ha un tale
splendore che si pensa di poterla afferrare con le mani.
È proprio questa diversa intensità del sentimento emotivo uno degli
aspetti che distingue il rapporto di Engels con Hegel da quello di
Marx. Engels non aveva ricevuto un'educazione filosofica accademica,
aveva trovato Hegel nella sua ricerca di un sicuro rifugio che
sostituisse gli aspetti terrificanti della fede del Wuppertal, tanto
profondamente impressi nella sua immaginazione quando era ancora
bambino. Non sottopose mai Hegel alla rigorosa analisi intrapresa
da Marx nella sua Critica della
filosofia hegeliana del diritto o nella Critica della dialettica e della
filosofia hegeliana in generale, del 1843 e del 1844, e
quando, molti anni dopo, reagì al materialismo e al positivismo
volgari ricorrendo ancora una volta a Hegel, riprodusse spesso
elementi del suo rapporto premarxista con la tradizione idealistica
tedesca.
Nel 1841, quando lasciò Brema per un anno di servizio militare a
Berlino, era già un giovane hegeliano entusiasta; ben presto
sostituì allo Hegel panteista lo Hegel «segretamente ateo»,
divenendo uno dei membri più apocalittici dei «liberi». Poche
settimane dopo essere giunto a Berlino già sferrava una serie di
attacchi contro Schelling, cui era stata affidata la cattedra di
filosofia per arginare le pericolose tendenze dell'hegelismo. Non
afferrava l'incompatibilità fra il concetto di «autocoscienza»
formulato dalla sinistra hegeliana e in particolare da Bruno Bauer,
e l'«uomo» di Feuerbach, che attraverso il metodo del
capovolgimento riusciva insieme ad annullare completamente la
dialettica hegeliana. In tutti i riferimenti al radicalismo
filosofico tedesco, fino alla Sacra famiglia, accomunò sempre Bauer
e Feuerbach come fossero componenti di un'unica linea di pensiero.
Anni dopo, nel suo Ludwig Feuerbach, scriveva a proposito dell'Essenza del cristianesimo:
«Bisogna aver provato direttamente l'azione liberatrice di questo
libro, per farsi un'idea di essa. L'entusiasmo fu generale: in un
momento diventammo tutti feuerbachiani». L'affermazione valeva molto
più per lui stesso che per altri membri del gruppo. Ciò che infatti
attirò la sua attenzione e il suo entusiasmo, sia nell'Essenza del
cristianesimo, sia nelle successive Vorläufige Thesen zur Reformation der Philosophie
(Tesi provvisorie per la riforma della filosofia), non fu la critica
di Feuerbach a Hegel, ma la trasformazione della teologia in
antropologia, la sua religione umanista.
In tutti i suoi scritti fino all'incontro con Marx a Parigi nella
tarda estate del 1844, mantenne sempre una metodologia hegeliana; i
suoi saggi più ambiziosi assumevano la forma di giustapposizioni
dialettiche dello sviluppo di principi unilaterali, la cui
contraddizione veniva trascesa in una superiore unità rappresentata
dall'umanismo comunista.
Forse un'altra ragione per cui Engels non avverti mai la necessità
di sottoporre Hegel a una critica minuziosa fu che, diversamente da
altri giovani hegeliani, non sembra avere mai preso troppo sul serio
la teoria hegeliana dello Stato. Essa gli appariva più come un
elemento del «sistema» conservatore di Hegel che non del suo
«metodo» rivoluzionario, ed Engels, diversamente dagli altri del
suo circolo, era già divenuto un democratico repubblicano
rivoluzionario prima di convertirsi all'hegelismo. A Berlino,
quindi, riteneva ancora di poter fondare la filosofia hegeliana
della storia con la posizione politica repubblicana di Borne. In un
poema epico satirico scritto con Edgar Bauer nell'estate 1842,
definiva se stesso:
Oswald il montagnardo,
il più radicale in assoluto.
Suona un solo strumento, la ghigliottina,
su di essa accompagna una sola cavatina;
sempre risuona il canto infernale, ruggisce forte il ritornello:
Formez vos battaillons! aux armes, citoyens!.
La sua posizione politica rimase giacobina sino a quando, poco
prima di partire per l'Inghilterra, incontrò Moses Hess nella
redazione della «Rheinische Zeitung» a Colonia, e si converti al
comunismo filosofico di Hess. Probabilmente, proprio per avere
partecipato con tanto entusiasmo agli eccessi anticristiani e
bohémiens dei «liberi» e per essersi sempre associato alle
frequenti denunzie mosse da Edgar Bauer alla politica del «giusto
mezzo», il suo incontro con Marx, avvenuto a Colonia più o meno in
quel periodo, fu tanto freddo.
Ma le debolezze di Engels erano anche i suoi punti di forza. Se non
possedeva la tenacia intellettuale e la forza di deduzione
necessarie per essere un rigoroso e originale teorico, se i suoi
tentativi di teorizzazione si facevano notare più per la loro
audacia che per gli obiettivi, le sue grandi virtù consistevano
nella relativa apertura alle novità, nel tenace radicalismo del suo
temperamento, in una capacità di percezione straordinariamente
rapida, in un'audace intuizione e nell'onnivora curiosità per tutto
ciò che scorgeva intorno. Era e rimase segnato dalla sua educazione
e dal suo tirocinio nel campo mercantile. Lo si riscontrava nel modo
metodico di curare la sua corrispondenza, nell'ordine scrupoloso dei
suoi affari, nella capacità di sfruttare appieno ogni ora del
giorno, nell'insofferenza per la sciatteria bohémienne di un
Liebknecht e nell'assoluta intolleranza per i generosi impeti di un
aristocratico disordinato come Bakunin. Sotto ogni punto di vista
era un bravo uomo d'affari, e l'abilità con cui rappresentò
l'azienda familiare a Manchester all'inizio degli anni '50
contribuì notevolmente ad allentare la tensione provocata dalla
grave lite col padre, esplosa nel 1848. Fu il desiderio di sfuggire
e di andare oltre questo ambiente che fece di lui un personaggio
più avventuroso di Marx, più pronto a sfidare le convenzioni e al
tempo stesso più aggressivo nei confronti di chi non faceva parte
del suo circolo di amici.
Sarebbe difficile immaginare Marx che convive con un'operaia
irlandese, che esplora di propria iniziativa i bassifondi di
Manchester, scarabocchia disegnini comici sul manoscritto
dell'Ideologia tedesca, vaga per la campagna francese nel tardo
1848 esaltando le grazie delle giovani contadine, partecipa a una
campagna militare nel 1849 e poi, ritornato in Inghilterra, va a
caccia con i cani, tiene in casa un pappagallo e si vanta della
propria cantina. «Spiessburger», piccolo borghese, era uno degli
insulti preferiti da Engels, e nel suo modo di vita non c'era
proprio nulla di gretto e meschino. Non nascose mai la sua
provenienza e non fu mai un diplomatico. Gli operai avevano forse
ragione lamentarsi spesso per la sua arroganza , sebbene non si
debba dimenticare che ad essa si accompagnavano un'autentica
modestia personale, il candido riconoscimento dei propri limiti e
l'affettuosa lealtà per i vecchi amici. Se, come scrisse lui stesso,
non fu un genio, fu senza dubbio un uomo dotato di talento
eccezionale. La sua prosa era fluida e chiara, e scriveva con
insolita rapidità. Non solo fu un magninco campione
dell'applicazione del materialismo storico, ma fu senza dubbio uno
dei più dotati giornalisti del secolo XIX, e uno dei suoi storici
migliori. Proprio questa insolita fusione di doti gli permise di
dare un particolare contributo all'elaborazione del materialismo
storico.
3. L'esperienza inglese.
Engels parti per l'Inghilterra alla fine del novembre 1842,
ufficialmente per continuare il suo tirocinio commerciale presso la
ditta Ermen e Engels di Manchester, e vi rimase per ventun mesi.
Ripensando qua-rant'anni dopo alla sua prima permanenza in
Inghilterra, Engels scriveva:
Vivendo a Manchester io avevo per
cosi dire toccato con mano che i fatti economici, che sino allora
la storiografia aveva disdegnato o tenuto in nessun conto, sono,
per lo meno nel mondo moderno, una forza storica decisiva; che
essi formano la base delle origini degli attuali contrasti di
classe; che questi contrasti di classe a loro volta, nei paesi
dove, grazie alla grande industria, si sono pienamente sviluppati,
e quindi specialmente in Inghilterra, formano la base della
formazione dei partiti politici, delle lotte dei partiti e quindi
di tutta la storia politica.
A quel che risulta dagli scritti di quel periodo, il processo
attraverso il quale Engels giunse a tali conclusioni non fu certo
semplice e ben definito quanto lo vorrebbero queste riflessioni
retrospettive. Per aprirsi alle nuove impressioni, infatti, non
solo dovette usare gli occhi e le orecchie, ma fu inizialmente
costretto a mettere in discussione alcuni presupposti fondamentali
del comunismo filosofico tedesco, che aveva portato con sé in
Inghilterra. I prodromi di una rottura con tali presupposti si
manifestarono prima del secondo anno di permanenza, e si espressero
solo nella Situazione della classe operaia in Inghilterra, scritta
a Barmen fra il settembre 1844 e il marzo 1845, dopo il suo
ritorno, ma la rottura non fu completa se non al tempo in cui,
insieme con Marx, defini la propria posizione in contrasto con
L'ideologia tedesca, a Bruxelles nel 1845-46.
I primi segni del suo crescente interesse per i «fatti economici» si
riscontrano alla fine del 1843, in un'ambiziosa serie di saggi
sull'economia politica, su Fast and Present di Carlyle e sulla
Situazione dell'Inghilterra, pubblicati nei «Deutsch-franzòsische
Jahrbùcher» e poi nel « Vorwàrts». La lettura di Fourier, ma in
particolare di Carlyle, lo portò a considerare la «situazione
dell'Inghilterra»: «la "ricchezza nazionale" degli inglesi è molto
grande, eppure essi sono il più povero dei popoli sotto il sole»2.
Ovvero, come affermava Carlyle, «al centro della doviziosa
abbondanza, il popolo muore di fame; fra mura d'oro e granai colmi,
nessuno si sente sicuro e soddisfatto». La lettura di Qu'est-ce que
la proprietà di Proudhon e di alcune opere di Owen lo spinse a
imputare questa situazione agli effetti della proprietà privata.
Nel tardo 1843 scriveva di Proudhon:
Il diritto alla proprietà privata,
le conseguenze di questa istituzione, concorrenza, immoralità e
miseria, sono qui discussi con un vigore intellettuale e una reale
indagine scientifica che mai avevo trovato riuniti in una sola
opera.
Tuttavia, nei Lineamenti di una
critica dell'economia politica, pubblicati nei
«Deutsch-französische Jahrbùcher», Engels procedette assai oltre
Proudhon: non si limitò a contrapporre alla miserevole realtà
economica le affermazioni degli economisti, ma cercò di dimostrare
che le contraddizioni dell'economia politica erano necessaria
conseguenza delle contraddizioni generate dalla proprietà privata.
Fu il primo nella sinistra filosofica tedesca a spostare il
dibattito sull'economia politica, mettendo in luce le connessioni
tra la proprietà privata, l'economia politica e le moderne
condizioni sociali nel processo di transizione verso il comunismo.
L'economia politica era «una scienza dell'arricchimento», «un
sistema raffinato di frode autorizzata», conseguenza
dell'espansione commerciale e «nata dall'invidia reciproca e
dall'avidità dei mercanti». Il commercio era infatti basato sulla
concorrenza, generata dalla proprietà privata che contrappone l'uno
all'altro gli interessi individuali, producendo la divisione fra
terra, lavoro e capitale, il confronto tra manodopera e prodotto
sotto forma di salario, la conversione dell'uomo in merce,
l'invenzione della macchina e della fabbrica, la dissoluzione della
famiglia, della nazionalità e di ogni altro legame in semplice
rapporto monetario, la polarizzazione della società in milionari e
indigenti e l'universalizzazione della «guerra di tutti contro
tutti». La «scienza dell'arricchire», che si accompagnava a tale
processo, era intrappolata da insolubili antinomie, e chi la
praticava era colpevole di ipocrisie e immoralità anche più gravi.
Da Adam Smith in poi, infatti, i fautori del libero scambio e
dell'economia liberale, nonostante i loro attacchi contro il
monopolio e i voti di un pacifico progresso portato dal libero
scambio, si erano rifiutati di mettere in discussione il più grande
dei monopoli, la proprietà privata che, sotto le spoglie della
concorrenza, produce la più sanguinaria guerra totale di tutti
contro tutti.
È noto che questo saggio influì sulle prime riflessioni di Marx
sull'economia politica, esposte nei Manoscritti del 1844, tanto che ancora nel 1859
egli lo considerava un «geniale schizzo di critica delle categorie
economiche». Sarebbe comunque sbagliato considerare i Lineamenti
come prova della rottura di Engels con il comunismo filosofico sotto
l'influsso della situazione inglese o come un'anticipazione del
materialismo storico quale sarebbe stato elaborato nel 1845. Non
solo l'accento veniva posto sulla proprietà privata e la
concorrenza, piuttosto che sul modo di produzione e la lotta di
classe, ma la stessa proprietà privata veniva considerata causa
della «immoralità della presente condizione dell'umanità». La
posizione da cui Engels muoveva la sua critica era «umana», cioè
antropologica, piuttosto che teologica, e Carlyle veniva elogiato
per il fatto che il suo libro recava una « traccia di condizione
umana». Engels accettava appieno la definizione data da Carlyle
della situazione inglese, ma attribuiva il disprezzo del suo autore
per la democrazia e la sua ignoranza del socialismo non alla
posizione di classe, ma al suo «panteismo», che ancora poneva sopra
l'uomo un potere sovrannaturale. La soluzione proposta da Carlyle
consisteva in una nuova religione basata sul vangelo del lavoro. Per
Engels invece la religione, ben lontana dall'essere la risposta
all'immoralità e all'ipocrisia del presente, era di fatto alla
radice di ogni male. La sua soluzione consisteva nel restituire
all'uomo il contenuto che gli era
stato sottratto dalla religione; e non lo vogliamo come contenuto
divino, bensì come contenuto umano, e tutta l'operazione di
restituzione si limiterà semplicemente a risvegliare
l'autocoscienza... infatti la pretesa dell'elemento umano e
naturale di voler essere sovrumano e sovrannaturale è la radice di
ogni falsità e menzogna. Ma cosi facendo abbiamo dichiarato una
guerra senza quartiere alla religione e alle idee religiose.
Per questo stesso motivo poteva definire le crisi commerciali «una
legge di natura che si fonda sulla mancanza di coscienza di quanti
sono coinvolti nel processo», poteva chiamare Adam Smith il «Lutero
dell'economia» che aveva sostituito l'«ipocrito farisaismo
protestante» alla «franchezza cattolica», e la teoria malthusiana
della popolazione poteva essere considerata «il culmine
dell'economia cristiana». Per motivi analoghi, evidentemente
corroborati dalla lettura del saggio di Marx sulla Questione ebraica, Engels
tentò, pochi mesi dopo, l'elaborazione di una teoria della
monarchia costituzionale inglese come espressione del «timore che
l'uomo ha di se stesso».
Per di più, se pure il punto di partenza della critica di Engels era
umanista, il metodo critico adottato rimaneva ancora hegeliano.
Pochi giorni dopo il suo arrivo in Inghilterra, nel novembre 1842,
Engels scriveva costernato:
È una cosa che in Germania si
capisce da sé, ma che non è possibile far intendere al britannico
ostinato, che i cosiddetti interessi materiali non possono mai
operare nella storia come fini autonomi, dominanti, ma che servono
sempre, consapevolmente o inconsapevolmente, un principio che
tiene le fila del progresso storico.
Un anno dopo, scrivendo il suo saggio sull'economia politica,
Engels nutriva eguale fiducia nel fatto che «una volta che un
principio sia stato messo in movimento esso continua poi a operare
da sé in tutte le sue conseguenze, piaccia o meno agli economisti».
Perciò, scriveva esponendo il proprio metodo di analisi
dell'economia politica, attraverso l'indagine delle «categorie
fondamentali, sveleremo la contraddizione introdotta dal sistema
della libertà di commercio e trarremo le conseguenze di entrambi i
lati della contraddizione».
Engels era giunto in Inghilterra pienamente convinto della profezia
di Hess, secondo la quale l'Inghilterra sarebbe stata la portatrice
di una rivoluzione sociale che avrebbe consumato e trasceso la
rivoluzione religioso-filosofica della Germania e quella politica
della Francia. Sin dall'inizio, però, fu costretto ad ammettere che
«tra i partiti che si contendono ora il dominio, tra whigs e
tories, non si conoscono lotte di principi: si conoscono solo
conflitti di interessi materiali». Si trattava dunque di scoprire in
quale modo in Inghilterra il principio si fosse realizzato
attraverso l'apparente predominio degli interessi materiali e della
pura pratica. La sua soluzione a questo problema comparve un anno
dopo in una serie incompiuta di articoli sulla Situazione
dell'Inghilterra, scritti nei primi mesi del 1844. «La grande
opposizione che occupò la storia fin dai suoi inizi», scriveva, era
«l'opposizione di sostanza e soggetto, di natura e spirito, di
necessità e libertà».
Sino alla fine del secolo XVIII la storia mondiale non aveva fatto
che contrapporre in modo sempre più acuto tali opposizioni:
I tedeschi, il popolo
spiritualista e cristiano, vissero una rivoluzione filosofica; i
francesi, il popolo del materialismo classico, e dunque il popolo
politico, dovettero compiere la rivoluzione per vie politiche.
Ma
gli inglesi, la cui nazionalità è
una mescolanza dell'elemento tedesco con quello francese e che
pertanto portano in sé ambo i lati dell'opposizione e sono dunque
più universali di ciascuno dei due fattori per sé, furono
coinvolti in una rivoluzione più universale, in una rivoluzione
sociale.
Gli inglesi rappresentavano queste opposizioni nella loro
forma più acuta, e proprio la loro incapacità a risolverle spiegava
«l'eterna inquietudine interiore degli inglesi».
La filosofia inglese... dopo il
fallimento di tutti i tentativi di comporre la contraddizione, la
dichiara insolubile proclamando contemporaneamente
l'inadeguatezza della ragione e cercando scampo nella fede
religiosa o nell'empiria.
Con ciò si spiegava la bigotteria religiosa della classe media
inglese e insieme il suo empirismo. Allo stesso tempo però «questo
sentimento della contraddizione fu l'origine della colonizzazione,
della navigazione, dell'industria e, in generale, dell'immensa
attività pratica degli inglesi». Solo l'Inghilterra dunque
possedeva una storia sociale:
Solo in Inghilterra gli individui come tali, senza propugnare
consapevolmente dei principi universali, hanno promosso lo sviluppo
nazionale fino a portarlo quasi a compimento. Solo qui ha operato la
massa in quanto massa, mossa dal proprio interesse particolare; solo
qui i principi sono stati tramutati in interessi, prima ancora che
essi potessero esercitare il loro influsso sulla storia.
Si è finora rilevata la problematica filosofica con cui Engels si
misurò in Inghilterra tra il 1842 e il 1844, non per contraddire la
sua affermazione sulla crescente consapevolezza dell'importanza dei
«fatti economici», ma per mostrare di quale portata fu lo sforzo
intellettuale e di immaginazione che egli dovette compiere prima di
poter scrivere La situazione della classe operaia in Inghilterra, un
libro che non è certo il semplice risultato di un'inchiesta
intelligente, ma che rappresenta anche un profondo cambiamento
nella sua posizione politica e teorica. La strada che dovette
percorrere, e la mole di ciò che dovette dimenticare - non solo i
presupposti dell'idealismo radicale tedesco, ma anche, in pratica,
tutte le varianti di socialismo conosciute a quel tempo - potranno
essere messe in giusto rilievo da un esame dei mutamenti
intervenuti nella sua concezione della rivoluzione della classe
operaia e dell'industria moderna.
Engels era giunto in Inghilterra subito dopo lo sciopero generale
cartista, fiducioso nella profezia di Hess su un'imminente
rivoluzione sociale che avrebbe portato alla realizzazione del
comunismo. Occorrerà ricordare che, nella prospettiva di Hess,
comunismo significava trionfo dei principi di comunità e «unità»
sull'egoismo e la frammentazione. Non era il risultato di una guerra
tra le classi, né la sua realizzazione rientrava nei destini di una
classe particolare. Più volte Hess aveva confutato
l'identificazione - proposta da Lorenz von Stein - del comunismo
con un proletariato spronato da un desiderio avido e egoistico di
eguaglianza che gli veniva dallo stomaco. Engels perciò agi con
perfetta coerenza, nel gennaio 1843, quando rifiutò l'invito di
Bauer, Schapper e Moli di aderire alla Lega dei giusti. Non poteva
accettare il comunismo degli artigiani tedeschi poiché, come più
tardi confessò «al loro angusto comunismo egualitario io
contrapponevo allora una buona dose di altrettanto angusta
altezzosità filosofica». Come scrisse più avanti in quello stesso
anno a proposito dei comunisti filosofici tedeschi, fra cui contava
anche se stesso, «una rivoluzione sociale fondata sulla comunità
dei beni» era «la sola condizione umana compatibile con i principi
da loro in astratto professati». I tedeschi dunque tendevano
inevitabilmente al comunismo in quanto
i tedeschi sono un popolo
filosofico e non abbandoneranno, non potranno abbandonare, il
comunismo, quando sia fondato su retti principi filosofici, e
tanto più se è derivato, come conclusione inevitabile, dalla loro
stessa filosofia. È questo ora il compito che ci spetta.
Poiché il socialismo interessava tutta l'umanità, e non solo gli
interessi di una classe particolare, non è sorprendente che per
gran parte della sua permanenza in Inghilterra Engels attribuisse
importanza assai maggiore agli owenisti che non ai cartisti. «Quanto
alle dottrine particolari del nostro partito - scriveva nel 1843 -
più che a ogni altro partito siamo vicini ai socialisti inglesi»25.
Fu assai colpito dai grandi passi avanti compiuti in Inghilterra
dalla pratica socialista, e l'unico punto di disaccordo consisteva
nel fatto che
i socialisti sono appunto ancora
inglesi quando dovrebbero essere solamente uomini, dello sviluppo
filosofico avvenuto sul continente essi conoscono solo il
materialismo, ma non anche la filosofia tedesca; e qui sta la loro
deficienza.
Il suo distacco dalla posizione dei cartisti fu ulteriormente
allargato dal loro concentrarsi sul superamento di una forma dello
Stato piuttosto che dello Stato stesso. Scriveva infatti:
La democrazia è, come ritengo sia
ogni forma di governo, una contraddizione intrinseca, un falso,
una semplice ipocrisia (teologia, come diciamo noi tedeschi) nella
sostanza.
Sin dall'inizio provò evidentemente ammirazione per lo spirito
combattivo dei cartisti, e ne considerò inevitabile la vittoria; ma
i suoi occhi guardavano sempre oltre l'effimero trionfo della
democrazia. I socialisti, scriveva nel gennaio 1844,
sono l'unico partito inglese che
abbia un avvenire, quale che sia la loro relativa debolezza
attuale. La democrazia, il cartismo dovranno presto affermarsi,
dopo di che la massa dei lavoratori inglesi non avrà altra
alternativa che fra la morte per fame e il socialismo.
Ferme restando tali prese di posizione, tuttavia, le sue prime
impressioni dell'Inghilterra furono abbastanza sconcertanti. Al suo
arrivo fu sorpreso dal fatto che, «quando qui si parla di cartisti e
radicali, si intende quasi generalmente la feccia del popolo, la
massa dei proletari, ed è vero che i pochi portavoce colti del
partito scompaiono tra la massa». Rimase ancora piti esterefatto
scoprendo che il socialismo raccoglieva consensi solo nello strato
inferiore della società, e che le opere di Strauss, Rousseau,
Holbach, Byron e Shelley, anche se lette dagli operai, erano
praticamente innominabili tra le classi medie e gli ambienti
«colti». Carlyle lo aiutò a capire per quale motivo la classe media
fosse immersa nel «mammonismo» e nella bigotteria, ma non riusci a
trovare migliore spiegazione al fatto che l'illuminismo fosse
limitato alle classi inferiori, se non che si trattava di una
situazione analoga a quella dei primi cristiani.
A partire però dagli inizi del 1844 si comincia a individuare un
cambiamento. L'umanismo filosofico e il metodo hegeliano avevano
ancora il sopravvento, ma l'importanza attribuita ai diversi
elementi di questa struttura era cambiata. Particolarmente degna di
nota è l'importanza nuova e primordiale attribuita alla rivoluzione
industriale. Dopo una particolareggiata descrizione dei cambiamenti
avvenuti nel campo dell'industria, Engels affermava:
Questo rivoluzionamento
dell'industria inglese è la base di tutti i moderni rapporti
inglesi, la forza motrice dell'intero movimento sociale. La sua
prima conseguenza fu l'innalzamento dell'interesse alla sovranità
sull'uomo. L'interesse si impadronì delle forze dell'industria
appena sorte e le sfruttò per i propri scopi; queste forze, che
di diritto appartengono all'umanità, divennero, a opera della
proprietà privata, monopolio di pochi ricchi capitalisti e
strumento per l'asservimento delle masse. Il commercio assorbì
l'industria e divenne così onnipotente, divenne il legame
dell'umanità.
Dall'interpretazione della concorrenza come prodotto dell'avidità
dei mercanti e della «scienza dell'arricchimento» degli economisti,
la sua attenzione si era spostata, in altre parole, sulle forze
reali che avevano resa universale la concorrenza. Aveva inoltre
cominciato a capire in quale modo l'industrializzazione avesse
trasformato il sistema delle classi.
L'avvenimento più importante dell'Inghilterra settecentesca era
stata la creazione del proletariato, una classe assolutamente nuova;
nel corso di quello stesso processo, inoltre, la classe media si era
fatta aristocratica. A sua volta però questa cristallizzazione
dell'Inghilterra in tre classi distinte - aristocrazia terriera,
aristocrazia del denaro e democrazia operaia - aveva minato lo
Stato. In un'analisi della costituzione e del sistema giuridico
inglesi, redatta nel marzo 1844, Engels giungeva alla conclusione
che il tanto decantato equilibrio di potere sancito dalla
costituzione era «un grande inganno». Sottolineando il contrasto tra
la teoria e la prassi della costituzione, scriveva: «Qui una trinità
della legislatura, li una tirannia della classe media». Né la
regina, né i lords, né i comuni governavano l'Inghilterra:
«Chi governa effettivamente l'Inghilterra? Governa il possesso». La
potenza dell'aristocrazia non derivava dalla sua posizione
costituzionale, ma dall'estensione delle sue proprietà terriere.
Nella misura in cui, dunque, il potere dell'aristocrazia, cosi come
quello della classe media, derivava dalle loro proprietà, e nella
misura in cui « il possesso e l'influenza ottenuta in virtù di esso
formano l'essenza della classe media... è la classe media che
certamente ha il predominio».
Ma se la costituzione si rivelava un semplice involucro sotto il
quale si celava il dominio della proprietà privata, e se gli altri
«diritti di nascita» inglesi (libertà di stampa, libertà di
riunione, «habeas corpus», sistema delle giurie) si rivelavano
anch'essi privilegi dei ricchi negati ai poveri, allora ciò che a
prima vista era sembrato a Engels tanto misterioso -
l'irragionevole opposizione della classe media alla democrazia e al
socialismo - diveniva d'un tratto assai facile da capire. Il
socialismo rimaneva l'obiettivo da raggiungere, e l'«eguaglianza
democratica» rimaneva una «chimera». Ma se la battaglia contro lo
Stato non democratico non era in realtà una battaglia politica,
bensì sociale, contro il dominio della proprietà, allora anche il
cartismo assumeva un significato ben diverso. Quale tipo di
democrazia avrebbe infatti prodotto una vittoria dei cartisti?
Non quella della rivoluzione
francese, il cui opposto era costituito dalla monarchia e dal
feudalesimo, ma la democrazia, il cui opposto è rappresentato
dalla classe media e dal possesso... La classe media e il possesso
detengono il dominio, il povero è privo di diritti, viene oppresso
e sfruttato, la costituzione lo ignora e la legge gli è sempre
sfavorevole; la lotta della democrazia contro l'aristocrazia, in
Inghilterra, è la lotta dei poveri contro i ricchi. La democrazia
verso la quale l'Inghilterra è avviata è una democrazia sociale.
Nei primi giorni del settembre 1844 Engels si trattenne a Parigi con
Marx, sulla strada del ritorno a Barmen. Proseguendo l'esame
retrospettivo della sua scoperta, a Manchester, dell'importanza
decisiva dei «fatti economici» come «base delle origini degli
attuali contrasti di classe», Engels scriveva nel 1885:
Marx non soltanto era giunto alla
stessa concezione, ma l'aveva già generalizzata nei
«Deutsch-Franzosische Jahrbucher» (1844), nel senso che non lo
Stato condiziona e regola la società civile, ma la società civile
condiziona e regola lo Stato; che dunque la politica e la sua
storia devono essere spiegate sulla base dei rapporti economici e
del loro sviluppo, e non viceversa.
Tale affermazione è vera solo in parte. In base agli scritti di Marx
che precedettero il suo incontro con Engels si può dedurre che egli
non era giunto «alla stessa concezione» su almeno due questioni di
grande importanza. In primo luogo, mentre Marx aveva affermato la
subordinazione dello Stato alla società civile, Engels aveva
elaborato - sia pure non in forma teoricamente generalizzata - una
proposizione altrettanto importante: il carattere di classe dello
Stato. Nelle sue Glosse critiche in margine all'articolo «Il re di
Prussia e la riforma sociale. Di un prussiano», scritte poche
settimane prima dell'arrivo di Engels, la definizione data da Marx
allo Stato era fondamentalmente questa:
Lo Stato... poggia sulla
contraddizione tra vita privata e pubblica, sulla contraddizione
tra gli interessi generali e gli interessi particolari.
In questo articolo non si riscontra alcuna concezione di classe
dominante, intesa nella successiva accezione marxista. Il tema
trattato era invece l'impotenza dell'amministrazione politica di
fronte al predominio della società civile, impotenza il cui
carattere contraddittorio poteva spiegare l'illusione stessa della
sfera politica. Engels aveva invece definito lo Stato inglese come
strumento adoperato dalla classe possidente che deteneva il potere
nella sua lotta contro la classe operaia.
In secondo luogo, a Engels spettava l'indicazione del tipo di lotta
di classe generato dall'industria moderna. Sino al saggio incompiuto
su List, scritto all'inizio del 1845, i riferimenti di Marx
all'industria moderna erano stati superficiali e descrittivi. Il
concetto decisivo, attorno al quale - tra il 1845 e il 1847 - si
sarebbe cristallizzata la nuova teoria del materialismo storico, era
quello del modo di produzione, e il punto essenziale di quel
concetto era l'importanza attribuita ai mezzi di produzione. Sul
piano teorico, ciò avrebbe permesso a Marx e a Engels di capire la
lotta di classe in quanto rivolta delle forze produttive contro i
rapporti di produzione; su quello politico, avrebbe permesso loro di
dichiarare guerra al capitale, pur sottolineando la tendenza
progressiva dell'industria moderna. Il grande cambiamento provocato
dalla rivoluzione industriale era stata la trasformazione del
rapporto tra operaio e mezzi di produzione. Proprio questa
trasformazione aveva prodotto la forma inedita assunta dalla moderna
lotta di classe.
Sebbene già nel 1844 Engels avesse iniziato ad avvertire con
sicurezza sempre maggiore il significato rivoluzionario assunto
dall'industria moderna attraverso la creazione di una nuova forma
di lotta di classe, era ben lontano dall'elaborare la teoria del
materialismo storico. Lo interessava semplicemente la particolare
strada che l'Inghilterra sembrava avere imboccato, dirigendosi verso
la rivoluzione sociale, e per potersi spiegare tale fenomeno si
aggrappava in modo assai poco coerente a una mistura di Hegel e di
Feuerbach. D'altra parte Marx, nei Manoscritti del 1844, proprio per il suo rigore
teorico, rimaneva essenzialmente nell'ambito di una struttura
artigianale. Perseguendo con maggiore coerenza la tecnica del
capovolgimento feuerbachiano, il rapporto fondamentale che vi veniva
posto in rilievo non era quello tra operaio e mezzi di produzione,
ma tra l'operaio e il suo prodotto. La sua prospettiva era quella
della pauperizzazione, materiale e antropologica, dell'uomo: un
mondo di alienazione e proprietà privata, non mediate dalle
possibilità progressive e rivoluzionarie offerte dal nuovo modo di
produzione. L'impressione che Marx fece su Engels nell'estate 1844
fu quella di un brillante teorico umanista, più audace e originale
nella sua applicazione ed estensione allo Stato e all'economia
politica della logica del capovolgimento, dotato di una netta
percezione dell'incompatibilità tra Feuerbach e Hegel.
La situazione della classe operaia
in Inghilterra rappresenta l'ultima fase del pensiero di
Engels prima della collaborazione con Marx a Bruxelles. La
focalizzazione della sua analisi sull'industria moderna, la classe
operaia e lo sviluppo della lotta di classe è di per sé indicativa
del cambiamento nell'attribuzione delle sue priorità. Come Marx, che
in seguito progettò un libro sulla dialettica, nemmeno Engels trovò
-il tempo di scrivere la sua storia sociale dell'Inghilterra, di cui
La situazione della classe operaia avrebbe dovuto costituire una
parte. La cate-gorizzazione hegeliana della preistoria inglese, che
aveva avuto tanto rilievo nei saggi precedenti, manca del tutto in
questo libro, senza dubbio come conseguenza delle sue discussioni
con Marx. Ma vi manca anche, sebbene Engels credesse ancora che il
comunismo stesse al di sopra della lotta di classe, l'interesse per
la teologia e per Feuerbach. Engels aveva scritto alcuni dei più
ammirativi passi su Feuerbach nella Sacra famiglia, ma già nel
novembre 1844 la lettura dell'Unico e la sua proprietà di Stirner
lo aveva convinto che
l'«uomo» feuerbachiano è derivato
da Dio... e cosi l'«uomo» è veramente ancora circonfuso da
un'aureola teologica di astrazione. La vera via per arrivare
aH'«uomo» è quella opposta... Dobbiamo partire dall'empirismo e
dal materialismo, se i nostri pensieri e specialmente il nostro
«uomo» debbono essere qualcosa di vero; dobbiamo derivare
l'universale dal singolo, non da se stesso o dall'aria, alla
Hegel.
Evidentemente Marx non approvò questo programma, e in particolare
le sue concessioni a Stirner, e nella lettera successiva Engels
accettò il suo giudizio. Nonostante ciò l'influsso negativo di
Stirner rimase. Nel suo libro infatti sono chiaramente riscontrabili
le conseguenze dell'irritazione di Engels per le «chiacchiere
teologiche» sull'«uomo» e il suo nuovo interesse per le cose «reali,
viventi», nei loro svolgimenti storici.
Il punto di partenza della Situazione
della classe operaia non furono la concorrenza o la
proprietà privata, bensì i cambiamenti storici specifici avvenuti
nell'industria durante il secolo XVIII. La sua spiegazione in
proposito non fu esauriente , ma la logica che vi è sottesa può
essere dedotta dalla strutturazione generale dell'argomento. Di per
se stessa la concorrenza non poteva descrivere se non un processo
negativo di dissoluzione, una lotta ancora più brutale tra gli
individui, la cui unica possibilità di salvezza sarebbe venuta dalla
rinnovata coscienza della loro umanità, risvegliata dall'esterno
dalla filosofia. L'«industria», invece, poteva costituire il punto
di partenza di un processo più complesso e contraddittorio, un
processo che conteneva in sé la potenzialità di liberazione:
La piccola industria ha creato la
classe media, la grande industria ha creato la classe operaia e
posto sul trono i pochi eletti della classe media, ma soltanto per
potere un giorno tanto più sicuramente farli precipitare.
L'«industria» in condizioni di libera concorrenza non spiegava solo
la «guerra di tutti contro tutti», ma anche la crescita di un
movimento operaio unito nello sforzo di rovesciare il sistema
concorrenziale. I socialisti inglesi non venivano più elogiati per
la loro coerenza verso un «principio filosofico», ma criticati
perché «astratti» e perché «non riconoscono lo sviluppo storico», e
quindi
si lamentano continuamente della
degradazione morale delle classi inferiori, sono ciechi dinanzi a
tutti gli elementi di progresso insiti in questa degradazione
dell'ordine sociale... Nella sua configurazione attuale il
socialismo non potrà mai diventare patrimonio comune della classe
operaia; sarà anzi costretto all'umiliazione di ritornare per un
istante alla piattaforma del cartismo.
La concorrenza non implicava che l'alternativa astratta delle
comunità, mentre l'«industria» era un processo storico che,
concentrando la popolazione in grandi unità produttive e vaste
città, aveva di per sé creato la possibilità materiale dell'unione
degli operai:
La concentrazione della
popolazione, se da un lato è un elemento di stimolo e sviluppo
per le classi abbienti, dall'altro rende ancor più rapido lo
sviluppo degli operai. Questi cominciano a sentirsi una classe
nella loro totalità, scoprono che, pur essendo deboli come
individui, uniti costituiscono una forza; il terreno è favorevole
per il loro distacco dalla borghesia, per la formazione di idee
peculiari agli operai e corrispondenti alla loro posizione nella
vita, si rendono conto di essere degli oppressi e acquistano
importanza politica e sociale. Le grandi città sono la culla del
movimento operaio, in esse per la prima volta gli operai hanno
cominciato a riflettere sulle loro condizioni e a combatterle, in
esse per la prima volta si è manifestato il contrasto tra
proletariato e borghesia, da esse sono uscite le associazioni
operaie, il cartismo e il socialismo. Le grandi città hanno reso
acuta la malattia dell'organismo sociale, che nelle campagne si
presentava in forma cronica, e con ciò stesso ne hanno messo in
luce la vera essenza e il modo giusto per guarirla.
Nei Lineamenti di una critica
dell'economia politica, Engels aveva definita la
concorrenza un'afflizione dell'umanità,
In questo processo, in cui eguali
interessi divengono reciprocamente ostili proprio a causa della
loro identità, giunge a perfezione l'immoralità della presente
condizione dell'umanità. Questa perfezione è la concorrenza.
Ora, viceversa, la concorrenza era il punto nodale della lotta di
classe tra la borghesia e la classe operaia. La concorrenza tra gli
stessi operai sviluppa al massimo il rendimento di ciascuno,
attraverso la divisione del lavoro e le macchine ha generato «una
riserva di operai disoccupati», togliendo «il pane a una gran
quantità di operai». La concorrenza tra gli operai è «l'arma più
affilata contro il proletariato nelle mani della borghesia»*. Per di
più la concorrenza non costituisce solo la prassi, ma anche tutta la
teoria della borghesia: «Domanda e offerta, supply and demand, sono
le formule in base alle quali la logica dell'inglese giudica tutta
la vita umana». Persino lo Stato era stato ridotto al minimo
necessario «per tenere a freno il proletariato, ad essa altrettanto
necessario».
Il costante filo conduttore della crescita del movimento operaio,
dal luddismo al tradeunionismo, fino al cartismo, era quindi stata
la battaglia per abolire la concorrenza tra gli operai. La rottura
tra democratici «politici» borghesi e democratici «sociali» operai,
dopo il 1842, era stata provocata dalla questione del libero
scambio:
Gli operai hanno dovuto sopportare
troppe sofferenze a causa della libera concorrenza, per non
odiarla profondamente; i suoi sostenitori, i borghesi, sono i
loro nemici dichiarati. L'operaio non può aspettarsi che danni dal
pieno scatenamento della concorrenza. Tutte le sue rivendicazioni,
come la legge delle dieci ore, la difesa dell'operaio contro il
capitalista, un buon salario, la sicurezza del posto,
l'abolizione della nuova legge sui poveri, tutte cose che
appartengono al cartismo almeno altrettanto sostanzialmente
quanto i «sei punti», sono in diretto contrasto con la libera
concorrenza e il libero scambio.
«È appunto su questa questione - scriveva Engels - che il
proletariato si distacca dalla borghesia, il cartismo dal
radicalismo». Il cartismo «è essenzialmente di natura sociale». Ma
proprio perché il cartismo era un movimento sociale, e perché il
socialismo rappresentava l'unica alternativa finale alla
concorrenza, il passo successivo sarebbe stato la fusione dei
cartisti e dei socialisti in un socialismo veramente proletario,
che in questa forma avrebbe svolto un ruolo di grande rilievo nello
sviluppo del popolo inglese.
4. Il contributo di Engels alla formazione del materialismo storico.
Come caratterizzare dunque il contributo di Engels al marxismo? In
quale misura la sua presenza fu essenziale alla nascita del
materialismo storico?
Non si può pensare che Engels da solo sarebbe riuscito a elaborare
una nuova teoria generale, tale da rompere decisamente con tutti i
vari precedenti filosofici. Non era possibile costruire una teoria
del materialismo storico partendo dal «materialismo e l'empirismo»
o attraverso il progresso dal «singolo» all'«universale», come
Engels si proponeva di fare nel tardo autunno del 1844. Al suo nuovo
entusiasmo per l'empirismo si devono molti pregi del suo libro
sulla Situazione della classe operaia, ma esso non avrebbe potuto
ingenerare le posizioni delineate nell'Ideologia tedesca a partire
dal 1845. L'Inghilterra era ancora trattata da Engels come un caso
particolare: era ancora possibile per lui pensare che la via
francese al comunismo fosse politica, e quella tedesca filosofica.
Nonostante gli indizi che inducono a pensare che, alla luce
dell'esperienza inglese, le sue attese riguardanti la Germania
sarebbero divenute meno ingenue, la distanza fra la sua posizione
al tempo in cui scriveva La
situazione della classe operaia in Inghilterra e quella cui
sarebbe giusto quando collaborò con Marx all'Ideologia tedesca era ancora
assai notevole.
Possiamo misurarla confrontando due osservazioni sulla Germania,
una del dicembre 1844, l'altra del settembre 1845.
1) Fino a oggi la nostra
roccaforte è stata la classe media, un fatto che forse
sorprenderà il lettore inglese, se non sa che questa classe in
Germania è assai piti disinteressata, imparziale e intelligente di
quella inglese, e per la semplice ragione che è più povera '.
2) È vero, ci sono fra le
nostre classi medie molti repubblicani e perfino comunisti... che,
se ora si verificasse una insurrezione generale, sarebbero
utilissimi nel movimento, ma costoro sono bourgeois, gente che
cerca il profitto, fabbricanti di professione; e chi ci garantisce
che non siano moralmente degradati dal loro mestiere, dalla loro
posizione sociale che li costringe a vivere della fatica di altre
persone, a ingrassarsi da sanguisughe, da exploiteurs delle
classi lavoratrici?... Fortunatamente noi non contiamo affatto
sulle classi medie.
Tuttavia, senza l'opera di Engels sull'Inghilterra, la formulazione
di una teoria marxista sarebbe stata a dir poco molto più lenta di
quanto in effetti non fu: La
situazione della classe operaia in Inghilterra fornì
un'indagine straordinariamente lucida del modo in cui lo sviluppo
dell'industria moderna aveva generato al tempo stesso la lotta di
classe proletaria e la possibilità della liberazione finale. Engels
forni una spiegazione sistematica dello sviluppo di un'economia
politica proletaria e del carattere sociale delle rivendicazioni
politiche operaie. Era stato il processo stesso, più che
l'intervento del filosofo, a suscitare nei lavoratori la coscienza
della propria collocazione di classe, ed Engels sperava che esso
avrebbe condotto anche alla nascita di un «socialismo proletario».
La sua formazione hegeliana, inoltre, pur con tutti i suoi limiti,
lo aiutò a superare due gravi ostacoli teorici che avevano impedito
il progresso dello stesso movimento operaio inglese. Mentre si
rendeva conto, grazie al socialismo inglese, del potenziale
liberatorio dell'industria moderna, attraverso il presupposto di un
nucleo razionale dello sviluppo storico, Engels potè evitare la
valutazione negativa dell'antagonismo tra classe media e classe
operaia. D'altro canto, poteva condividere la fiducia dei cartisti
nella necessità di una politica operaia indipendente senza doverne
basare la legittimità su una teoria del valore basata sul lavoro,
derivata dalla teoria del diritto naturale.
Così, distaccato per la sua stessa nazionalità da alcuni
degli aspetti più settari del movimento operaio, potè giungere a
un'ammirevole valutazione del significato della lotta del moderno
proletariato considerata nella sua totalità.
L'importanza di tale valutazione merita di essere sottolineata. Da
un semplice confronto dei testi rimastici, infatti, risulta evidente
che una serie di proposizioni fondamentali per il marxismo compaiono
nei primi scritti di Engels più che in quelli di Marx: il centro
dell'attenzione spostato dalla concorrenza alla produzione, la
rivoluzionaria novità dell'industria moderna, segnata da crisi di
sovrapproduzione e dalla costante riproduzione di una riserva di
manodopera, la tesi - quanto meno in forma embrionale - che la
borghesia produce da sé i propri affossatori e che il comunismo non
rappresenta un principio filosofico, ma «il movimento reale che
abolisce l'attuale stato di cose», l'abbozzo storico della
formazione del proletariato in quanto classe, il differenziarsi del
«socialismo proletario» dal radicalismo degli artigiani e delle
classi medie inferiori, la caratterizzazione dello Stato come
strumento di oppressione nelle mani della classe proprietaria
dominante.
Sono idee destinate a diventare fondamentali nella teoria di Marx e
di Engels, sebbene sia vero che divennero «marxiste» solo in virtù
della logica del materialismo storico, che le avrebbe collegate e
sostenute. Fu Marx che costruì questa logica e concepì la causalità
storica e le nuove idee di cui queste proposizioni potevano dirsi il
risultato. Come scriveva a Weydemeyer nel 1852, «ciò che io ho
fatto di nuovo è stato... dimostrare che l'esistenza delle classi è
legata puramente a determinate fasi storiche di sviluppo della
produzione».
Si può dunque concordare con Engels sul fatto che la teoria
materialistica della storia, «che rivoluzionava la scienza
storica... è essenzialmente opera di Marx», ma al tempo stesso
possiamo confutare la sua affermazione secondo cui egli stesso
avrebbe avuto una parte insignificante nella sua gestazione5.
Engels infatti aveva fornito le componenti grezze che sottolinearono
drammaticamente l'inadeguatezza della teoria precedente, e che
costituirono larga parte delle proposizioni cui la nuova teoria si
rivolgeva. Che Engels si schermisse, diviene più comprensibile se
si tiene conto che alcune delle più importanti fra queste
proposizioni non erano affatto suoi prodotti originali. Prendiamo
ad esempio la definizione dello Stato moderno, formulata nell'Ideologia tedesca:
A questa proprietà privata moderna
corrisponde lo Stato moderno, che attraverso le imposte è stato a
poco a poco comperato dai detentori della proprietà privata, che
attraverso il sistema del debito pubblico è caduto interamente
nelle loro mani, e la cui esistenza ha finito col dipendere del
tutto, nell'ascesa o nella caduta dei titoli di Stato in borsa,
dal credito commerciale che gli assegnano i detentori della
proprietà privata, i borghesi.
Affermazioni del genere o loro varianti meno raffinate erano state
luoghi comuni della stampa illegale e della politica cartista. Lo
stesso valeva per molte delle tesi contro Malthus, per la condanna
della sovrapproduzione come conseguenza della concentrazione sul
mercato mondiale e per l'idea della manodopera di riserva.
L'importanza del contributo di Engels derivava, più che dai suoi
momenti di originalità teorica, dalla sua capacità di trasmettere
elementi teorici e pratici sviluppati all'interno del movimento
operaio in una forma tale da renderli parte intrinseca della
struttura della nuova teoria. Il significato di questo momento per i
primi passi del marxismo viene generalmente ignorato. Secondo la
versione ufficiale, formulata per la prima volta da Kautsky e poi
investita di grande prestigio per il parziale riconoscimento di
Lenin nel Che fare?, il
processo di collegamento tra socialismo e movimento operaio è del
tutto univoco: la teoria socialista viene elaborata al di fuori
della classe operaia dagli intellettuali borghesi, per essere poi
comunicata agli elementi più lungimiranti della classe operaia, e
infine filtrando sino al movimento operaio. In tale processo il
ruolo della classe operaia è del tutto passivo: il quadro è assai
simile a quello prospettato da Marx nel 1843, in cui il proletariato
concede la forza delle sue braccia al filosofo, e ottiene in cambio
la coscienza di ciò che è e di che cosa significa la sua lotta. È
una prospettiva cui corrisponde l'idea che la rottura teorica del
marxismo sia qualcosa a se stante, un motore il cui carburante era
stato esclusivamente l'introspezione intellettuale. Solo dopo la
formazione della teoria si operò la congiunzione con il movimento
proletario, che poi provvide a propagare le nuove idee.
Per confutare questa interpretazione basterà ricordare che, seppure
i concetti e la struttura della nuova teoria non sono certo
riducibili all'esperienza, e possono essere solo frutto di un
lavoro teorico, i problemi diversi dai quali essa fu provocata
avevano per definizione la propria fonte al di fuori del discorso
teorico preesistente. Nel caso di Engels come in quello di Marx il
modo di porsi i problemi cambiò via via che crescevano la loro
conoscenza e la loro esperienza del movimento operaio. Come è noto,
nel 1844 Marx partecipò a riunioni di artigiani parigini, e tale
esperienza si rifletté in modo evidente nel suo lavoro.
Essa ebbe però un effetto ancora più profondo su Engels: Parigi
infatti non era un punto strategico come Manchester per assimilare
il rapporto tra l'industria moderna e il moderno movimento operaio.
Un tratto che distingueva Engels da molti dei suoi contemporanei era
la radicata insofferenza per il proprio ambiente. Per questo era
disposto non solo a imparare qualcosa sugli, ma anche dagli operai;
non voleva limitarsi a leggere le fonti a lui accessibili, cercava
anche un contatto personale e si considerava parte del loro
movimento. In quale modo avesse passato il suo tempo a Manchester,
ci è indicato nella prefazione del suo libro.
Ho rinunciato alla
compagnia e ai trattenimenti, al vino di Porto e allo champagne
delle classi medie, ho dedicato le mie ore libere quasi
esclusivamente a frequentare semplici operai; sono insieme
contento e fiero di averlo fatto.
Sappiamo che a Manchester conobbe le sorelle Burns, che
discusse sugli owenisti con John Watts, che frequentò le Halls of
Science, assistette agli interventi dei cartisti contro la Lega
contro la legge sul grano, incontrò James Leach, un operaio
industriale che occupava un posto di rilievo nell'Associazione
nazionale cartista, e nell'autunno 1843 si presentò a Harney, nella
redazione del «Northern Star» a Leeds. I risultati di questa
esperienza sono evidenti nel suo libro, ma anche altro apprese, e lo
dice esplicitamente nella sua prefazione:
Avendo ampia occasione di
osservare le classi medie, vostre avversarie, ben presto sono
giunto a concludere che voi avete ragione, perfettamente ragione,
di non aspettarvi alcun appoggio da essa.
Naturalmente, come abbiamo già cercato di mostrare, non vi fu, né da
parte di Marx né di Engels, una semplice capitolazione della teoria
di fronte all'esperienza del 1842-45. Il processo fu necessariamente
più complesso, in quanto è più probabile che una teoria, per quanto
in definitiva inadeguata, venga stiracchiata e costretta ad
adattarsi a fenomeni nuovi, anziché essere abbandonata del tutto,
almeno sino a quando non si riescano a individuare le possibilità o
i prodromi di una nuova teoria. Fu Marx a compiere tale
trasformazione teorica, ma Engels lo aveva preceduto, fornendogli
molti elementi di ciò che sarebbe divenuto l'oggetto della nuova
teoria, sia pure solo a livello pratico e ponendoli in termini
insoddisfacenti nell'ambito di una problematica filosofica
inadeguata. Proprio il fatto che Engels sia stato un pensatore meno
conseguente di Marx rappresentò una virtù fondamentale in quel
periodo formativo che condusse all'apertura di una breccia verso il
materialismo storico, in quanto garanti la congiunzione fra la
teoria materialistica della storia e i presupposti pratici della
lotta operaia, un avvenimento che, secondo la versione ortodossa,
si sarebbe verificato soltanto nel 1847, quando Marx ed Engels
aderirono alla Lega dei comunisti, mentre era già parte della nuova
teoria al momento della sua formazione a Bruxelles nel 1847.
Poiché si è ritenuto necessario soffermarci sull'importanza dei
primi contributi di Engels al marxismo, non è ora possibile
affrontare i numerosi contributi che egli diede al suo successivo
sviluppo. Andrebbe ancora ricordato il suo lavoro all'interno della
Lega dei comunisti e nella preparazione del Manifesto, bisognerebbe
esaminare la sua opera di corrispondente sugli affari europei e la
sua trattazione dello spinoso problema delle nazionalità sulla «Neue
Rheinische Zeitung» nel 1848, la sua sempre più approfondita
conoscenza della strategia e della teoria militare a partire dai
primi anni '50, la sua magistrale analisi della Germania, elaborata
nella Guerra dei contadini e in Rivoluzione e controrivoluzione in
Germania e continuata poi nei suoi scritti su Bismarck e sul nuovo
Stato unitario tedesco. Né è possibile prendere qui in
considerazione le sue successive opere sulla scienza naturale, e
sulle origini della famiglia e dello Stato, oppure, nella sfera più
strettamente politica, le sue riflessioni sull'Irlanda, le sue
numerose e lucide analisi della situazione e della strategia dei
vari movimenti operai europei e americani, le sue battaglie contro
il proudhonismo e l'anarchismo, i suoi stretti rapporti con i
dirigenti della socialdemocrazia tedesca, o ancora la crescente
preoccupazione per il mantenimento della pace in Europa dopo la
fondazione della Seconda Internazionale. Dovremo limitarci a
concludere ipotizzando una notevole coerenza nei suoi punti di
forza e nei suoi stessi limiti dall'inizio alla fine della sua lunga
carriera di marxista.
A partire dal 1845 il rapporto fra Marx ed Engels fu costante. Ciò
che Engels scrisse nel 1887 vale per tutto il loro rapporto di
lavoro:
In seguito alla divisione del
lavoro esistente fra Marx e me, è toccato a me il compito di
presentare le nostre vedute nella stampa periodica, e quindi
specialmente nella lotta contro le vedute avverse; in modo che a
Marx restasse il tempo per l'elaborazione della sua massima opera.
Una collaborazione di questo genere non sarebbe certo durata a
lungo se si fosse trattato di un rapporto tra maestro e discepolo,
tra creatore e divulgatore. Funzionò perché la teoria di partenza
era in «comproprietà», cosicché entrambi si sentirono altrettanto
impegnati nel suo ampliamento attraverso l'elaborazione di una
teoria specifica del modo di produzione capitalistico. Engels non
ebbe mai dubbi sul fatto che Marx fosse più adatto di lui in questo
compito: sarebbe dunque sbagliato commiserare Engels per i lunghi
anni in cui provvide al mantenimento economico di Marx durante la
preparazione del Capitale. Per parte sua non avrebbe certo accettato
un atteggiamento del genere, e in effetti considerava II capitale
un'espressione di se stesso cosi come di Marx. Non vi sono segni di
reale insofferenza da parte di Engels, se non nel momento della
fredda reazione di Marx alla morte di Mary Burns. Come è facile
immaginare, la tensione fu sentita piuttosto dalla famiglia Marx, e
in particolare la signora Marx mal tollerava la dipendenza economica
della sua famiglia dalla carità dell'amico. Quanto a Engels, per
quanto noiosi fossero stati per lui i lunghi anni di lavoro
d'ufficio a Manchester, il suo rapporto con Marx soddisfaceva una
profonda necessità di certezza intellettuale, e gli forniva una
solida base sulla quale sviluppare i suoi talenti assai più
diversificati. Engels non era abbastanza sicuro di sé per possedere
una grande originalità teorica; questa qualità la cercava dunque
negli altri. Oltre a Marx, l'unico altro pensatore che soddisfece
questo suo desiderio di sicurezza intellettuale fu Hegel.
La concezione iniziale del materialismo storico, sviluppatasi
nell'opera di Marx nel periodo che va dall'Ideologia tedesca al Manifesto del Partito comunista, fu assai
problematica. Essa tendeva a declassare l'ideologia a semplice
riflesso del movimento reale, e lo sviluppo del movimento reale
stesso a riflesso dello sviluppo delle forze di produzione. A ogni
paese venne affidato un ruolo particolare nella rivoluzione futura,
secondo il livello raggiunto in una scala di sviluppo, e la teoria
lasciava ben poco spazio alla distinzione tra il carattere
specifico della crisi del capitalismo negli anni '40 e quello di
un'eventuale crisi definitiva del capitalismo nel suo complesso. Le
rivoluzioni del 1848 non ebbero l'esito previsto. Il cartismo e il
«socialismo proletario» non trionfarono in Inghilterra, la Germania
non portò a termine la sua rivoluzione borghese, la rivoluzione
francese abortì, producendo la «farsa» del Secondo Impero, mentre i
«popoli senza storia» dell'Europa orientale dimostravano nella
pratica l'esistenza di una logica storica più complessa e
discontinua di quanto non avesse previsto la teoria iniziale.
Nonostante ciò, il fallimento del 1848 non portò a una
riformulazione radicale della teoria. Anzi, dopo un'analisi più
particolareggiata del ciclo commerciale e il riconoscimento di uno
spazio più ampio per lo sviluppo delle forze produttive nell'ambito
del capitalismo, Marx ed Engels ritennero che il carattere
delle rivoluzioni non avesse che confermato la correttezza della
loro ipotesi. La teoria del modo di produzione capitalistico fu
enormemente approfondita nel Capitale,
ma la concezione complessiva dei rapporti tra la sfera economica,
quella politica e quella ideologica rimase sostanzialmente
immutata. Fu riconfermata nella prefazione del 1872 al Manifesto, e solo negli anni
'80 - per reazione all'affermarsi di un marxismo volgare contaminato
dal positivismo - Engels cominciò a sottolineare il carattere
complesso e indiretto della determinazione economica e l'importanza
della sfera politica. Si trattava però anche in questo caso di una
specificazione, più che di uno sviluppo della teoria, in quanto
Engels non era disposto a ripensare il carattere della
determinazione nei termini stessi della teoria. È in effetti
improbabile che Engels ammettesse la necessità di una simile
riformulazione sostanziale e la sua visione teorica fondamentale
rimase infatti notevolmente costante. Sempre irriducibilmente legato
all'idea di un processo storico che avrebbe portato al crollo del
capitalismo, a differenza della maggior parte dei teorici del Zusammenbruch della Seconda
Internazionale - che ipotizzavano appunto il crollo generale e
contemporaneo del capitalismo - considerava lo sviluppo della lotta
di classe parte integrante di quel processo. Rimase fedele anche
alla sua convinzione iniziale, derivata dal cartismo, che la lotta
per la democrazia nei paesi capitalisti fosse una lotta sociale, e
quindi inserita nella lotta per il socialismo: di qui, l'entusiasmo
che, insieme con Marx, professò sempre per il suffragio universale
e la fiducia che in alcuni paesi il socialismo potesse essere
conseguito con mezzi pacifici.
Per di più, nonostante la raffinatezza delle analisi di Engels sulla
Germania, nelle quali sviluppò le sue importanti concezioni
dell'assolutismo, del «bonapartismo» della borghesia e della
«rivoluzione dall'alto», e nonostante la sua teoria che ricollegava
il carattere del movimento operaio inglese al predominio inglese
sul mercato mondiale, la linea politica dei suoi interventi rimase
sostanzialmente identica a quella elaborata insieme con Marx negli
anni '40: incoraggiare la formazione di partiti operai indipendenti
basati sulla lotta di classe, contrarre alleanze con le altre forze
progressiste solo sulla base di tale indipendenza, combattere tutti
gli ostacoli settari che si frapponevano a tale sviluppo.
Engels rimase evidentemente segnato dalle sue esperienze giovanili
in Inghilterra. Il suo giudizio poteva essere veramente incisivo, la
sua intuizione veramente sicura solo nell'affrontare il problema dei
movimenti operai nei paesi industrializzati. Come in gioventù, fu
sempre convinto dell'«idiozia della vita rurale», e gli era
difficile pensare ai contadini se non in termini di sopravvivenze
barbariche o nella prospettiva di una loro futura proletarizzazione
". Nell'affrontare i bakunisti in Spagna e in Italia gli accadde di
perdere il senso delle proporzioni; non riuscì mai a perdonare agli
slavi meridionali e ai cechi la loro azione contro la Germania e
l'Ungheria rivoluzionarie del 1848, e rifiutò di considerare degna
di nota la questione nazionale, se non laddove essa contribuiva, in
modo consapevole o inconsapevole, alla causa della rivoluzione. I
punti di forza, e insieme le debolezze, del suo pensiero
consistevano nell'assoluta priorità da lui accordata alle
situazioni che sembravano offrire maggiori possibilità all'avanzata
del socialismo, e ciò a volte gli impedì di cogliere conflitti
paralleli, forse scomodi, ma non meno fondati.
Calcoli di questo tipo dominarono sempre il mutare delle sue
opinioni in merito ai rapporti internazionali. Negli anni '50 e '60
Engels e Marx scrutavano l'orizzonte politico nella speranza che una
guerra europea provocasse un'alleanza progressista contro lo
zarismo, radica-lizzando la borghesia e rovesciando le autocrazie
reazionarie. Tuttavia, dopo che Bismarck ebbe portato a termine
l'unità tedesca e l'annessione dell'Alsazia-Lorena, Engels si
convinse sempre più della necessità della pace: poiché il futuro
del socialismo dipendeva ora dal futuro della Germania e dallo
sviluppo incontrastato del Partito socialdemocratico tedesco, gli
sembrava necessario impedire a tutti i costi un'alleanza
franco-russa, e rimandare a dopo la vittoria del socialismo la
restituzione delle province francesi. È in dubbio peraltro che
questa posizione filotedesca si fondava su criteri socialisti, e non
su una particolare inclinazione nazionale, tanto è vero che Bebel e
Bernstein scoprirono scandalizzati tra le sue carte un piano per la
difesa di Parigi dai prussiani nel 1870, e lo distrussero per paura
della reazione che esso avrebbe potuto suscitare in Germania12.
Tuttavia questa accentuazione unilaterale delle prospettive di
successo del socialismo tedesco causò non poche difficoltà alla
Seconda Internazionale. Nel 1891 i socialisti francesi furono
estremamente offesi da un attacco di Engels allo sciovinismo
francese, in cui affermava la necessità dell'appoggio da parte dei
socialisti tedeschi nel caso di una guerra difensiva, mentre non si
faceva cenno a un'azione analoga dei socialisti francesi nel caso di
un attacco offensivo da parte della Germania. La preoccupazione di
Engels di fronte alla minaccia russa e l'insistenza sulla necessità
della pace per la costruzione del socialismo in Germania gli
impedirono in parte di dare la dovuta considerazione al caso
francese; di conseguenza il Partito socialdemocratico tedesco non
fu del tutto in malafede quando si appellò alla autorità di Engels
per giustificare il proprio voto in favore dei crediti di guerra nel
1914.
La forza e la debolezza del marxismo di Engels derivavano entrambe
dal suo senso intenso e durevole della marcia di una dialettica
storica, dell'avanzata concomitante dell'industria moderna e del
movimento proletario. Con questo si spiega il fascino che Hegel
esercitò sempre su di lui, e il suo ripetuto ricorrere a Hegel di
fronte a problemi per i quali il marxismo non offriva soluzioni. Fu
al concetto hegeliano di «nazione storica» che Engels ricorse di
fronte al nazionalismo del 1848, e nella filosofia naturale di Hegel
cercò indicazioni per la sua ricerca di un'alternativa al
materialismo meccanico dei tardi anni '50 come pure ricorse
all'idea hegeliana di interazione dialettica per contrapporsi alle
concezioni marxiste volgari del determinismo economico o tecnologico
negli anni '80 e '90.
Ma dei suoi anni giovanili non conservò solo la fedeltà a Hegel.
Nonostante l'insistenza sulle basi scientifiche del socialismo,
Engels rimase per molti versi un discepolo fedele dei grandi
utopisti conosciuti in gioventù. Non pensava solo alla strategia
immediata dei diversi partiti socialisti del suo tempo, ma anche
all'abolizione della distinzione fra città e campagna, alla
liberazione della donna, all'affrancamento dei rapporti sessuali e
sociali dalle pastoie della proprietà e dalla schiavitù del
salario, alla scomparsa dello Stato. Rimase sempre un ammiratore di
Owen e più ancora di Fourier.
L'intensità del suo odio per la proprietà, per il governo e per le
miserie della «civiltà» risalta appieno dall'Origine della
famiglia, della proprietà privata e dello Stato. Del resto, solo un
uomo che aveva gustato e non dimenticato il sapore dell'utopia
socialista, avrebbe potuto scrivere questo passo :
L'organizzazione in società
propria degli uomini, che sinora stava loro di fronte come una
legge elargita dalla natura e dalla storia, diventa ora la loro
propria libera azione. Le forze obiettive ed estranee che sinora
hanno dominato la storia passano sotto il controllo degli uomini
stessi. Solo da questo momento gli uomini stessi faranno con piena
coscienza la loro storia, solo da questo momento le cause sociali
da loro poste in azione avranno prevalentemente, e in misura
sempre crescente, anche gli effetti che essi hanno voluto. È
questo il salto dell'umanità dal regno della necessità al regno
della libertà.