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Indice
* 1 Il termine
* 2 Medioevo e Rinascimento
* 3 Ritorno all’antico e nascita di una cultura
nuova
* 4 La nuova biblioteca filosofica
* 5 R. e impegno civile
* 6 Filosofia e scienza
* 7 Il R. nell’arte e nell’architettura
Rinascimento Periodo di storia della civiltà che ebbe inizio
in Italia con caratteristiche già abbastanza precise intorno
alla metà del 14° sec. e affermatosi nel secolo
successivo, caratterizzato da una fruizione consapevolmente
filologica dei classici greci e latini, dal rifiorire delle lettere
e delle arti, della scienza e in genere della cultura e della vita
civile e da una concezione filosofica ed etica più immanente.
Destinato a estendersi successivamente e a differenziarsi nei
diversi campi della cultura e dell’arte, ma con vaste risonanze in
ogni settore della vita e dell’attività dell’uomo, il moto
rinascimentale oltrepassò presto i confini dell’Italia per
diffondersi negli altri paesi europei.
I suoi limiti cronologici possono fissarsi con buona approssimazione
tra la metà circa del Trecento e la fine del Cinquecento,
anche se alcuni studiosi tendono a circoscrivere l’arco cronologico
tra il 1400 e il 1550, altri tra il 1492 e il 1600.
1. Il termine
Nella forma attuale e con funzione periodizzante, il termine R.
è entrato nell’uso italiano piuttosto tardi (nel 16° sec.
si incontra, se mai, Rinascita ) e sul modello del francese
Renaissance. Il suo significato, a indicare il rinnovamento
culturale avvenuto in Italia, può considerarsi consacrato nel
celebre Discours préliminaire de l’Encyclopédie, in
cui d’Alembert, sintetizzando e sistematizzando concetti elaborati
da molto tempo, e ampiamente diffusi nel Settecento, lo imponeva al
mondo della cultura, accompagnandolo con una serie di connotazioni
destinate a conservarsi a lungo: l’origine della Renaissance
collocata nello studio degli antichi, soprattutto dei Greci, e in
connessione con la caduta di Bisanzio; la scansione interna alla
Renaissance dall’erudizione alle lettere, alle arti, alla filosofia,
alle scienze, alle tecniche; la proclamazione che la Renaissance
è stata una ‘rivoluzione’ che ha aperto la via alla
civiltà moderna quale epoca di illuminazione progressiva in
antitesi con le tenebre medievali.
Il Discours si chiudeva con una contrapposizione polemica al
Discours sur les sciences et les arts di J.-J. Rousseau (quasi
contemporaneo), in cui il r. (rétablissement) delle scienze e
delle arti veniva duramente condannato dal punto di vista morale. Si
fissava così, intorno al 1751, un’antitesi che in Italia,
attraverso F. De Sanctis, troverà un’eco ancora in A.
Gramsci: l’antinomia fra splendore culturale e decadenza morale del
Rinascimento. La contrapposizione può collegarsi con il
giudizio negativo diffuso, nell’Europa cinquecentesca, sulla
profonda crisi di valori, oltre che di strutture, che avrebbe
accompagnato la decadenza anche economica degli Stati italiani e la
perdita dell’autonomia politica.
Taluni storici hanno contrapposto allo splendore culturale la crisi
economica e la decadenza etico-politica dell’Italia
quattro-cinquecentesca per cercare il ‘vero’R. nel 13° secolo.
Altri hanno ravvisato nel contrasto fra ‘depressione economica’ ed
espansione culturale le radici delle tensioni interne e del
‘pessimismo’ di fondo di tanta parte della civiltà
rinascimentale.
In Italia il termine R. non si diffuse tanto per l’influenza del
titolo del notissimo 9° vol. della Histoire de France di J.
Michelet, La Renaissance (1855), quanto con la traduzione dell’opera
di J. Burckhardt, Die Kultur der Renaissance in Italien (1860; trad.
it. di D. Valbusa rivista dall’autore, 1876). Prima d’allora non
mancano esempi dell’uso del termine con significato specifico,
particolarmente nel Settecento e nei primi decenni dell’Ottocento, e
proprio in polemiche sul Medioevo. Tuttavia il termine che ha
maggior fortuna è Risorgimento, e di Risorgimento parlano in
genere i dotti del Settecento che studiarono quel periodo. Peraltro,
se non il termine preciso, espressioni e immagini analoghe
(renovatio, restitutio, resurrectio), attestanti proprio la presenza
del concetto di un ritorno alla vita, di un rinascere (rinasci), si
trovano usate fin dalle origini del periodo in questione.
2. Medioevo e Rinascimento
Il R. si pone consapevolmente come rottura, costruendo la propria
immagine nei termini di un programma di rinnovamento contro una
civiltà esaurita: una cultura luminosa che si oppone a un
mondo tenebroso di barbarie. Le nozioni di Medioevo come età
buia e di R. come nuova luce e nuova vita nacquero in contemporanea;
la nozione di un’epoca di barbarie, intermedia fra civiltà
classica e ‘rinascita’, trasse origine proprio dalla polemica contro
i contenuti culturali dell’età di mezzo. Inoltre, via via che
il moto rinascimentale venne sviluppandosi, e variamente
definendosi, si precisò simmetricamente l’immagine del
Medioevo.
È forse lecito affermare che il R. è stato un ritorno
alle origini e una scoperta del mondo classico in quanto ha avuto
consapevolezza del significato e dei limiti del mondo medievale, ed
è stato una forma nuova e originale di classicismo e di
umanesimo in quanto ha compreso – e ha respinto – l’uso che il
Medioevo aveva fatto dell’antichità. Dalla lingua alle arti e
alle scienze, la cultura del R. ha cercato sempre di operare su due
fronti: il restauro filologico e la coscienza storico-critica, in
modo da evitare sia l’imitazione passiva sia l’assimilazione
falsificante. Anche nel Medioevo è costante la presenza
dell’antico e di valori e contenuti universalmente umani, poi
caratteristici anche del R.; la differenza consiste, da un lato
nella misura, e dall’altro nei modi e nelle forme di tale presenza,
che nel R. è, a un tempo, corale e sempre più
criticamente storicizzata, e perciò né passivamente
subita né deformata in utilizzazioni arbitrarie. L’immagine
ricorrente, si pensi solo a L.B. Alberti o a N. Machiavelli, dei
colloqui con gli antichi, non è un luogo retorico: è
carica di senso, così come il vanto di P. Bracciolini dei
classici prima incatenati e sfigurati nel carcere dei monasteri
medievali e ora finalmente restituiti alla loro fedele
integrità. Ciò che la civiltà medievale si
è lasciata sfuggire del mondo antico – questo è il
rimprovero ricorrente – è la reale dimensione della sua
cultura: o l’ha mutilata isolandone alcuni tratti, o l’ha deformata
assimilandola arbitrariamente, o l’ha condannata e respinta senza
coglierne il valore esemplare. Questa consapevole storicizzazione
dell’antichità classica, nonché delle ‘tenebre’
medievali, non avvenne d’un tratto; essa si svolse e si
approfondì con il precisarsi delle ragioni della polemica e
del rifiuto, con il chiarirsi della consapevolezza e con il
definirsi dei programmi.
La storiografia recente tende per lo più a interpretare il
rapporto tra Medioevo e R. nei termini di una dialettica di
continuità e discontinuità, che, da un lato, enfatizza
la presenza già dal 12° sec. di fermenti manifestatisi
compiutamente solo nel periodo umanistico-rinascimentale,
dall’altro, rivendica al R. una consapevolezza dell’effettiva
portata storica di quel rinnovamento che è un dato di reale
novità e che gioca nella direzione di una continuità
con l’età della rivoluzione scientifica e l’Illuminismo.
3. Ritorno all’antico e nascita di una cultura nuova
Come si è detto, almeno inizialmente, nella sua prima fase,
l’aspetto più vistoso dell’età del R. è il
ritorno dell’antico, del mondo classico, della lingua e della
civiltà della Grecia e di Roma. A prima vista un paradosso:
il rinnovamento radicale della cultura viene avviato come
riesumazione di un passato lontano. La realtà è molto
più complessa. Per le città italiane, dove la nuova
cultura nasce, si tratta subito anche di un moto di riscossa
‘nazionale’, un risorgimento, in nome di una grandezza politica non
dimenticata. Il ritorno all’antichità classica sembra
approfondirsi nel richiamo all’originario, al naturale, diventando
reintegrazione o reformatio contro ogni corruzione politica, morale,
religiosa. Come gli istituti umani vanno riportati ai principi
(secondo la celebre teorizzazione di N. Machiavelli) in modo da
invertire il processo degenerativo, così sul piano della
cultura è necessario ritornare alla purezza della sorgente e
all’integrità degli originali. Pregio infatti dei classici
è la fedeltà al reale e all’umano; gli antichi hanno
saputo tradurre in modo esemplare la ‘natura’, nel senso che hanno
saputo individuare l’essenziale ed esprimerlo.
Dirà M. Ficino che interna alla natura c’è un’arte,
ossia una potenza dinamica che la informa: ed è questa forza
vivificante che conviene imitare. Il problema dell’imitazione non a
caso è ricorrente nella letteratura del R. e sembra
costituire un passaggio obbligato. Rifiuto polemico di una cultura
disumana; ricerca e riscoperta degli antichi nella loro
autenticità; confronto con il mondo antico e comprensione del
suo significato; elaborazione di una cultura nuova e originale al di
là di una imitazione servile: in questo complesso programma
l’humanitas, l’esaltazione degli studia humanitatis, l’humanista e
insomma tutto l’Umanesimo, vengono sfumando variamente il loro
significato: da studio degli auctores, da ripresa delle artes
sermocinales, da riforma linguistica e retorica, a processo di
liberazione umana, a nuovi metodi di educazione, a riscoperta del
valore dell’uomo, o, meglio, a una nuova fondazione del significato
dell’uomo.
Per gradi, il risorgimento dell’antichità classica diventa
rivoluzione, una grande ‘rivoluzione culturale’ che investe tutto il
pensiero filosofico e scientifico, le arti e l’architettura, la
politica e il diritto, la vita religiosa, mentre il mito dell’antico
si estende e si trasforma. Prima di Aristotele c’è Platone,
ci sono Socrate e Pitagora e i filosofi antichissimi. Alle soglie
del Cinquecento G.F. Pico della Mirandola sosterrà che
«l’esplorazione dell’Universo intero fu il compito assegnato
alla ricerca dei filosofi, non il commento del solo
Aristotele», ossia di un uomo, ancorché grande; e
nell’Examen vanitatis doctrinae gentium aggiungerà che, al di
là dai libri, al di là da Platone e da Socrate,
bisogna ricorrere alle cose stesse, a quella che dovrebbe dirsi la
biblioteca della natura (quasi bibliotheca naturae).
Il ritorno agli antichi verrà così, oltre il mito,
generando il senso della pluralità delle visioni del mondo,
della loro parzialità, e quindi della necessità di
stabilire dei rapporti: le comparationes (fra Cicerone e
Quintiliano, fra Platone e Aristotele). Ne nasceranno,
faticosamente, diverse linee interpretative: la concordia universale
nell’unica verità di fondo (G. Pico della Mirandola); la
irriducibile discordia, per l’incapacità della ragione di
giungere per sé alla verità (G.F. Pico della Mirandola
e le correnti scettiche); lo sviluppo storico di una verità
che si conquista nel tempo (Machiavelli).
4. La nuova biblioteca filosofica
Con i frutti delle varie esplorazioni (di P. Bracciolini e degli
amici, a San Gallo, Reichenau, Einsiedeln, Weingarten, di A.
Traversari nei monasteri italiani del Centro e del Nord, fra il 1432
e il 1434; e poi di Nicola Cusano al tempo del Concilio di Basilea;
e ancora, di altri, a Montecassino, Nonantola, Bobbio, Verona, per
dire solo di alcuni), si riunisce, fino alla fine del 15° sec.,
una messe preziosa, che viene elaborata ed edita, suscitando un
fitto lavoro esegetico e un complesso di discipline e opere
sussidiarie. Fioriscono studi filologici, storici, linguistici,
giuridici; si compilano grammatiche, lessici, repertori ed
enciclopedie. Hanno nuovo impulso le scienze e la filosofia. Entrano
anche in circolazione in un breve giro di anni grandi opere di
scienza prima ignote, o mal note e mutile. Si formano biblioteche
presso signori e conventi, a Roma presso il pontefice, quando
Niccolò V sogna di rifare la biblioteca d’Alessandria;
né mancano cospicue raccolte di privati. Si interessa un
pubblico sempre più vasto e si cerca di liberalizzare
l’accesso ai libri. Botteghe di dotti librai copiano eleganti
volumi. La stampa imprime un ritmo sempre più veloce al moto
delle idee. Si afferma l’insegnamento pubblico del greco.
Tanta parte del patrimonio greco per la prima volta torna a vivere
in Italia in alcune delle sue manifestazioni più alte: da
Omero a Platone, dai tragici a taluni dei massimi scienziati. I 238
volumi che G. Aurispa nel suo viaggio in Grecia del 1421 mette
insieme per farne commercio contengono fra i più grandi
tesori dello spirito umano, in ogni campo. Nello stesso tempo
l’avanzata turca spinge sempre più numerosi i Bizantini verso
l’Italia. Il Concilio per l’unione, svoltosi fra il 1437 e il 1439
fra Ferrara e Firenze, riannoda contatti e recupera conoscenze.
Uomini come il neoplatonico G. Gemisto Pletone e il cardinale
Bessarione lasciano una traccia profonda. Senza Pletone, e il sogno
di culti solari e di restaurazione pagana, rimarrebbero
incomprensibili non pochi aspetti misteriosofici del platonismo
fiorentino. Non a caso si scatena intorno a lui la rabbiosa polemica
su Platone e Aristotele, così carica di contrasti politici e
di scontri ideologici, quando Giorgio da Trebisonda presenta come
nuove incarnazioni di Platone Epicuro e Maometto, l’Anticristo che
aprirà la strada alla sconfitta della civiltà
occidentale.
La lettera di Bessarione al doge, del 31 maggio 1468, con cui dona a
Venezia la propria biblioteca di 482 codici greci e 264 latini,
sembra sigillare il passaggio della cultura greca classica alle
città italiane. Dopo la fine dell’Impero d’Oriente (1453),
è un testamento che assurge a valore di simbolo. Se Firenze,
fra l’arte di F. Brunelleschi e di Masaccio, la matematica di P.
Toscanelli e le conturbanti visioni di L.B. Alberti,
realizzerà con G. Pico della Mirandola, Ficino e A. Poliziano
le più alte esperienze speculative e pratiche del secolo,
Venezia nell’opera dello stampatore A. Manuzio attuerà il
desiderio estremo di Bessarione: consegnare intatto
all’umanità il messaggio della sapienza ellenica.
Alcuni autori rimessi in circolazione operarono per secoli
sull’andamento del sapere: Platone, Plotino e Proclo, Porfirio,
Giamblico, i testi ermetici e Psello (il tutto grazie, anche se non
solo, alla ponderosa traduzione ficiniana), ma anche Diogene
Laerzio, Epicuro, Lucrezio e un Aristotele ‘nuovo’, quello medievale
e quello recuperato dagli umanisti, consegnato al Cinquecento maturo
dall’edizione giuntina, fino agli scienziati e i matematici
dell’antichità: Archimede, Apollonio di Perge e Pappo.
L’ellenismo, inseritosi sempre più largamente con il Concilio
di Firenze e, poi, dopo il 1453, con gli esuli bizantini,
creò una nuova atmosfera, attraversata da forti spinte verso
il mondo della tarda antichità, quando si infittirono gli
incontri con un Oriente ‘mistico e magico’. Ermetismo, occultismo,
magia, teurgia, astrologia divinatrice, culti astrali, misteri
egizi, non erano stati senza eco nei secoli di mezzo; ma fu
soprattutto dagli anni 1440 in poi che se ne vide una diffusione
eccezionale. I libri ermetici, e poi Giamblico e Proclo, gli
‘Oracoli caldaici’, l’imperatore Giuliano, si mescolano a manuali di
magia e di astrologia, e godono di una fortuna larghissima, per
incontrarsi, sulla fine del secolo, con il gusto – alimentato da G.
Pico della Mirandola – della cabala e del misticismo ebraico.
Mentre l’assimilazione della cultura greca e l’approfondimento del
senso della ‘rinascita’ antica danno frutti sempre più
cospicui sul piano della cultura, mutano il tono e il clima. Quello
che inizialmente era stato un moto di riscatto nazionale, alimentato
da una forte carica di passione civile e di impegno mondano, elabora
una concezione del mondo e della storia che per collocarsi in
un’epoca di tensioni e trasformazioni decisive non può non
rispecchiarne i conflitti e i drammi. Il secolo finisce sui poeti
dell’età ellenistica, su Ermete, Giamblico e Proclo. M.
Ficino si muoverà fra il mondo di Lucrezio, deserto di Dio, e
la torbida teurgia di Proclo, mentre G. Pico della Mirandola al
fasto del Magnifico preferisce l’ascesi e gli annunci apocalittici
di G. Savonarola. Tra raffinatezze decadenti e profezie tragiche il
mito che all’inizio del secolo era stato di riscossa italiana in una
rinnovata giovinezza del mondo, nella pace universale, nell’impegno
civile, in una vita più libera e umana, ricca di bellezza e
razionalità, assume i colori cupi del dramma. Una grande
vittoria sul piano della cultura si accompagna a una crisi nazionale
profonda, economica e politica. Erede della civiltà della
Grecia, l’Italia sembrava destinata a ereditarne anche le sventure.
5. R. e impegno civile
Fin dalle origini il recupero dell’antico e il lavoro critico che
l’accompagnò furono considerati non fini a sé stessi,
ma in stretto legame con una funzione educatrice e politica. La
‘rinascita’ suscitata in vista di una riscossa nazionale si
configurò ben presto come un’ideologia politica, legandosi
all’attività delle cancellerie e delle corti, piuttosto che
degli studi universitari. Per questo si sviluppò di
preferenza nelle ‘repubbliche’ (Firenze e Venezia), esaltando la
vita attiva nei confronti della contemplazione, anteponendo il
matrimonio al celibato, condannando l’ascesi e schernendo la
condizione monastica, celebrando le leggi di fronte alla scienza
della natura. Tipici esponenti i cancellieri fiorentini, da C.
Salutati a L. Bruni, ma anche i politici in genere. I loro primi
auctores sono Cicerone e i grandi retori, gli scrittori di morale,
gli storici; i loro testi la Repubblica di Platone, l’Etica
nicomachea e le altre opere morali di Aristotele, ma anche le Vite
di Plutarco; compongono epistole, orazioni, trattati morali e
politici, opere storiche, ma anche trattazioni retorico-dialettiche,
scritture di propaganda politica, laudationes di città,
invettive. La nuova filologia offre loro dei modelli, commentati,
tradotti, illustrati; essa stessa è uno strumento per
scritture polemiche, per precise documentazioni a scopo politico. Si
è potuto parlare perciò di «umanesimo
civile» (H. Baron) per sottolineare le origini e i caratteri
di un movimento in cui predomina l’impegno nella vita civile delle
città-Stato.
All’impegno civile dei primi decenni del Quattrocento, legato alle
vicende delle città italiane, fa seguito un’elaborazione
sempre più complessa di teorie e d’istituti. La filologia si
fa strumento raffinato di critica anche sul terreno della teologia
(L. Valla, Erasmo da Rotterdam); la retorica e la dialettica vengono
prendendo coscienza del loro valore nell’ambito di tutta
l’esperienza umana (Valla, Rodolfo Agricola, J.L. Vives, P. Ramo).
L’attività di L. Valla parte sì dallo studio del
latino classico, dai problemi imposti dalla lettura dei testi da
poco recuperati, dall’analisi della retorica di Quintiliano, ma per
porsi il problema generale della lingua, e poi dei criteri che
guidano le azioni umane, dei metodi della giurisprudenza, della
tradizione dei testi sacri, dei fondamenti dei concetti di
libertà e grazia, del significato del cristianesimo, delle
basi giuridiche del potere temporale dei papi. Non c’è campo
che Valla non investa con i metodi della filologia, della retorica e
della dialettica. Dalla difesa della vita terrena e del piacere (De
vero bono) alla critica neotestamentaria, dalla (del resto diffusa)
polemica antimonastica all’attacco della donazione costantiniana,
dalla nuova dialettica alla discussione sul libero arbitrio. Da
Erasmo da Rotterdam fino a Leibniz, la sua eco resta dovunque
presente. Un teologo e filosofo come Nicola Cusano vede in lui un
difensore della propria tesi della riunificazione
dell’umanità: la concordantia catholica. Valla, Nicola
Cusano, E.S. Piccolomini (Pio II) esprimono bene una delle
aspirazioni caratteristiche di questa fase della ‘rinascita’; una
critica radicale che, partendo dagli strumenti della comunicazione
umana, investa tutte le forme in cui si è strutturata la
società per giungere a una pacificazione universale.
Nella civiltà rinascimentale la metà del 15° sec.
segna un momento decisivo. Quasi nei medesimi anni L.B. Alberti
esprimeva in modo esemplare l’esigenza di una compiutezza umana, ma
anche l’impossibilità di superare le contraddizioni della
vita. Mentre va disegnando nel De re aedificatoria la città
razionale, e nell’architetto urbanista indica il sommo regolatore
delle convivenze degli uomini, dà a un tempo voce a tutti i
contrasti, i dubbi e le crisi che agitano il profondo della
società contemporanea. Fato e libertà, ragione e
follia, virtù e fortuna, vita e morte: i conflitti rimangono
insanabili al di là delle armonie in cui le arti dell’uomo
cercano invano di comporli. In Alberti si esprime uno dei caratteri
dell’età rinascimentale: la tensione interna di un’epoca che,
mentre costruisce sul piano della cultura e dell’arte espressioni di
impareggiabile armonia, non è inconsapevole delle lacerazioni
di fondo. Non per caso si rifà all’esperienza di Alberti
Leonardo da Vinci, e ne riprendono i motivi Erasmo, Machiavelli e L.
Ariosto. In Alberti convergono, in un’atmosfera drammatica, problemi
di educazione e di scienza, concezioni filosofiche e politiche,
attività artistiche e fedeltà a una prospettiva
terrena da cui sembra del tutto assente la religione tradizionale.
Gli stessi nuovi ideali educativi, caratteristici del primo secolo
della ‘rinascita’ (‘liberazione’ dell’uomo nella cultura, formazione
del cittadino attraverso il rapporto diretto con le esperienze
esemplari dell’umanità, conquista della propria dimensione
storica) avevano dato i loro frutti migliori con la trattatistica di
L. Bruni, di F. Barbaro, di P.P. Vergerio, di Maffeo Vegio, e con le
scuole di Vittorino da Feltre a Mantova e di Guarino Veronese a
Ferrara. Poi ci fu l’istituzionalizzazione di scuole preparatorie
all’università, di collegi per la formazione di gentiluomini,
di uomini di corte, di Stato e di Chiesa, dei nuovi gruppi
dirigenti; al posto dei grandi maestri che sognavano una scuola
capace di trasformare la società cominciarono ad affacciarsi
grammatici e pedanti, mentre gli studia humanitatis finivano in
retorica. Di contro si idealizzava (con B. Castiglione), in una
sorta di platonico iperuranio, il «cortegiano» tutto
teso a inseguire sul piano dell’ideale una perfezione vagheggiata e
sognata.
Contemporaneamente si viene progressivamente componendo il fecondo
dissidio iniziale fra libera cultura innovatrice e
università, fra accademie e studi; il programma delle humanae
litterae si esaurisce in una parziale riforma dell’insegnamento.
6. Filosofia e scienza
Mentre sorgono nuovi studi e si rinnovano i vecchi, cambiano, in
parte, i metodi (e talora anche i testi) delle varie discipline. Se
ne introducono di nuove. Nel Cinquecento si fondano perfino cattedre
di filosofia platonica. Emergono fra la fine del 15° sec. e il
principio del 16° formulazioni teoriche articolate,
sistematiche; nascono altre teologie (la Theologia platonica di
Ficino) e addirittura commenti alle Sententiae ad mentem Platonis
(del cardinale Egidio da Viterbo). Non ultimo motivo di questo
richiamo al platonismo è la perdurante rivolta contro la
scolastica che si era posta sotto il segno di Aristotele; ma vi sono
anche, nella tradizione neoplatonica, temi più agevoli a
incontrarsi con esperienze artistiche, maggiori aperture al mistero,
ai simboli, alle operazioni occulte, all’idea di una natura viva e
animata, e quindi di segrete corrispondenze fra macrocosmo e
microcosmo, fra uomo e natura. Fu questa l’atmosfera dei platonici
Fiorentini, che accentuatasi negli ultimi decenni del Quattrocento,
non senza il favore dei Medici, in particolare di Lorenzo, pervase
le arti, ed esercitò un fascino profondo per tutta l’Europa,
almeno fino alla fine del Seicento.
Dai tempi di Cosimo il Vecchio alla fine del secolo M. Ficino
riuscì, fra l’altro, a riassorbire nel cerchio incantato del
suo ‘platonismo’ tanta parte della tradizione, dagli stilnovisti a
Dante e a Petrarca. La lussureggiante vivacità delle
immagini, la teoria dell’amore e della bellezza, la
centralità dell’uomo «copula del mondo», e
insieme la centralità del Sole tabernacolo di Dio, la
connessione di tutte le cose, l’unità profonda delle
religioni e delle filosofie: tutto questo costituì un
affascinante nodo dottrinale, carico di seduzioni artistiche, che
conquistò non piccola parte dell’Europa. Ne rimasero
condizionati anche quanti poi se ne staccarono, magari vivacemente,
ma sempre costretti a commisurarsi. Così G. Pico della
Mirandola, che portò al limite i due temi della assoluta
libertà umana e della pace universale delle dottrine; che, in
nome della razionalità, combatté contro l’astrologia
divinatrice, ma che fu pieno di temi ermetici e diffuse largamente
l’interesse per l’occulta sapienza orientale.
In misura diversa troviamo la componente platonico-ermetica
d’ispirazione ficiniana in Leonardo da Vinci come in Michelangelo.
Il giovane Ariosto legge Ficino. Perfino il naturalismo tutto
terreno di P. Pomponazzi, con la sua polemica contro
l’immortalità dell’anima, ne porta le tracce. È nella
scia di quel platonismo che le opere speculative di Nicola Cusano si
combinano con le più estrose visioni dei Fiorentini, e ne
esce una metafisica dell’uomo che concentra in sé il tutto e
si dilata nel tutto. Il mondo aristotelico-tolemaico esplode; la
centralità della Terra diventa un assurdo; alla
dignità dell’uomo ritrovata nella centralità della
mente corrisponde la centralità del Sole come fonte della
luce e della vita. Fino a G. Bruno, e oltre, l’alone ermetico
platonizzante è presente come un’eco dei sogni
quattrocenteschi.
Quando la crisi italiana sarà consumata fra invasioni
straniere e disfatte d’ogni sorta, la ‘rinascita’ cominciata come
affermazione nazionale e fallita sul piano politico si
rivelerà vittoriosa come grande movimento di cultura. D’altra
parte la vitalità del R. in tutto l’arco della sua vicenda e
delle sue conseguenze si colloca proprio nella sua profonda tensione
interna: nella sua rivolta contro la realtà presente unita a
un senso fortissimo del concreto. Di qui una grande arte e una nuova
scienza: Machiavelli, che unisce a una fedele analisi dell’uomo e
della storia una eccezionale capacità teorica; Leonardo, per
cui solo la matematica e la ragione aprono le vie della verifica
sperimentale. La cosiddetta rivoluzione scientifica trae origine
dalla netta rottura con l’empirismo aristotelico. Da un lato le
grandi opere teoriche greche rimesse in circolazione, dall’altro le
nuove concezioni generali della realtà stimolano l’evoluzione
del pensiero. Galileo ammira di N. Copernico il coraggio di
rifiutare il dato sensibile per sostenere con i pitagorici e
Aristarco un’ipotesi rigorosamente razionale, anche se assurda per
l’opinione dei più. La scienza moderna nasce su una nuova
visione delle cose, verificando le anticipazioni della mente. Nello
sfondo l’immagine dell’uomo come essere non condizionato né
da essenze né da specie, che si costruisce con un atto libero
e responsabile.
7. Il R. nell’arte e nell’architettura
Per arte e architettura del R. si intende comunemente quella
particolare produzione artistica e architettonica che prende avvio
dall’ambiente fiorentino della prima metà del 15° sec.,
contrassegnato sensibilmente dall’attività di figure quali
Donatello, Masaccio, F. Brunelleschi. Il serrato scambio di idee e
soluzioni operative tra questi protagonisti della rinascita di forme
‘all’antica’, mutuate sugli esempi forniti dall’età classica,
conduce a elaborazioni originali magistralmente in bilico tra
filologia, coscienza storico-critica e invenzione ex novo. In
progressiva rottura con gli stilemi dell’arte e dell’architettura
del gotico, prende forma un linguaggio che sempre più
direttamente attinge al vocabolario classico desunto dal mondo greco
e, in particolare, da quello romano. Ai ‘moderni’ Goti si
contrappone così una ‘nuova’ modernità ispirata
all’antichità.
La riproposizione di elementi che si rifanno direttamente al mondo
antico e il conseguente ridisegno di pilastri, colonne, paraste,
capitelli, basi, trabeazioni, frontoni, volte e sistemi costruttivi
alla maniera dei Romani creano nuove architetture capaci di
confrontarsi con la grandezza dell’universo figurativo del mondo
classico. Tra emulazione e, addirittura, competizione con quelle
opere di architettura e di ingegneria, nascono soluzioni compositive
e nuove tipologie civili e religiose capaci di rinnovare la
produzione di architettura con forme e lessico costantemente
oscillanti tra rinascita e invenzione dell’antico.
Da opere fiorentine quali il portico dell’Ospedale degli Innocenti
progettato da Brunelleschi, alla Sacrestia Vecchia in S. Lorenzo e
alla Cappella Pazzi o ai suoi interventi di trasformazione
dell’interno di S. Lorenzo o di S. Spirito, la ricerca
architettonica trova quegli inneschi che connoteranno, anche
attraverso il contributo teorico e operativo di L.B. Alberti, la
complessiva produzione architettonica del 15° e 16° sec.
definita rinascimentale. In opere come la Ss. Trinità di
Masaccio (affresco in S. Maria Novella) si ha un emblematico e
magistrale intreccio tra la ricerca pittorica e quella
architettonica, esplicitamente orientate verso la reinterpretazione
di un lessico e di una figurazione classicheggianti. Nell’edicolacon
la statua di s. Ludovico di Tolosarealizzata da Donatello per
Orsanmichele, nella sua cantoria (Museo dell’Opera di Santa Maria
del Fiore) o nelle opere scultoree (Annunciazione Cavalcanti in S.
Croce ecc.) si completa e si definisce ancora di più quello
che diventerà l’orientamento espressivo delle arti.
Il ritrovamento di alcune statue antiche a Roma (Laocoonte, Apollo e
Torso del Belvedere, fine 15° sec. - inizio 16°), unitamente
all’accentuato riuso ideologico dell’antico da parte dei papi,
concentra nella ‘città eterna’ interessi culturali e
attività artistico-architettoniche basate sulla rinascita e
su una nuova elaborazione di forme classiche. Seppure parallele e
analoghe attività si riscontrino, oltre che a Firenze, pure
nelle città-signorie del resto della penisola (da Urbino a
Rimini o da Mantova a Ferrara ecc.), Roma diviene il laboratorio
privilegiato della rinascita dell’antico: figure come Fra’ Giocondo,
i Sangallo, Bramante, Raffaello, Michelangelo, S. Serlio, B. Peruzzi
ecc., facendo anche tesoro della lezione fornita dal nuovo fenomeno
della trattatistica (da Alberti o F. di Giorgio Martini a C.
Cesariano ecc.) ed elaborando loro stessi taccuini, schizzi, testi
teorici autonomi o di accompagnamento alle opere progettate o
realizzate, contribuiscono sotto vari aspetti alla determinazione e
definizione della produzione artistico-architettonica del
Rinascimento.
A questa originale ed eterogenea attività, estesa a tutto il
primo quarto del 16° sec., faranno seguito – arricchendo il
panorama delle varie arti – l’opera degli allievi diretti e quella
prodotta dagli ideali continuatori dei ‘maestri’ del primo R. (si
pensi a Giulio Romano, M. Sanmicheli o I. Sansovino, fino a
protagonisti singolari come Vignola, A. Palladio, V. Scamozzi ecc.).
Oggetto di un intenso e spesso controverso dibattito critico,
rivolto tanto al suo significato di rottura o di continuità
rispetto all’arte dei secoli precedenti, quanto a una sua
individuazione e definizione nella produzione artistica transalpina,
il concetto di rinascita della cultura classica e quindi di R. sul
suolo italiano si origina nelle fonti e nella trattatistica
contemporanea, da Raffaello – nella sua lettera a Leone X – a G.
Vasari, che ne traccia un percorso eminentemente fiorentino. In
realtà, in una linea che parte da una meditazione ed
elaborazione della lettura dei testi classici per giungere, dalla
fine del 15° sec., a un momento autonomamente creativo, per una
riappropriazione e reinterpretazione del concetto di classico, sono
svariate le manifestazioni e le componenti del R. nelle sue
particolari declinazioni. Lo studio della prospettiva come strumento
e norma di presentazione del reale, sviluppato da Brunelleschi e
teorizzato da Alberti, si intesserà, nelle varie arti, con
soluzioni diverse: dalla visione teorico-razionale di Piero della
Francesca all’importanza del disegno nelle sperimentazioni
fiorentine; dal particolare portato della nuova pittura veneziana,
nelle sue ricerche sulla luce e sul colore, agli interessi
scientifici che informano anche l’attività artistica di
Leonardo. Consistente è l’apporto della pittura fiamminga, da
Firenze all’Italia meridionale. La centralità dell’agire
umano, nell’arbitrio e nell’esperienza individuale come
nell’indagine artistica e scientifica, la contraddizione tra
verità rivelata e ricerca, tra la regola e il dato storico,
confluiranno, nei primi decenni del 16° sec., nel superamento
del concetto di R. in una nuova necessità di confronto e di
scontro tra culture e tradizioni diverse. Tali dinamiche condurranno
le manifestazioni artistico-architettoniche del Cinquecento in una
dimensione europea.