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Per riforma Gentile s'intende la riforma scolastica varata in Italia
nel 1923 con una serie di atti normativi (i regi decreti legislativi
31 dicembre 1922, n. 1679, 16 luglio 1923, n. 1753, 6 maggio 1923,
n. 1054, 30 settembre 1923, n. 2102 e 1 ottobre 1923, n. 2185), ad
opera del ministro dell'Istruzione del governo Mussolini, il
filosofo neoidealista Giovanni Gentile.
La riforma Gentile è stata alla base del sistema scolastico
italiano, mantenuta dopo la caduta del fascismo stesso, fino al
1962.
Gentile avviò una rifondazione in senso idealistico della
pedagogia, negandone i nessi con la psicologia e con l'etica: nel
suo pensiero l'educazione doveva essere intesa come un divenire
dello spirito stesso, il quale realizzava così la propria
autonomia.
Caratteristiche della riforma
Punti salienti della riforma furono:
* innalzamento dell'obbligo scolastico sino al
quattordicesimo anno di età. Dopo i primi cinque anni di
scuola elementare uguali per tutti, l'alunno deve scegliere tra
liceo scientifico, ginnasio e scuola complementare per l'avviamento
al lavoro. Solo la scuola media consente l'accesso ai licei e a sua
volta solo il liceo classico permette l'iscrizione a tutte le
facoltà universitarie;
* disciplina dei vari tipi di istituzioni scolastiche,
statali, private e parificate;
* insegnamento obbligatorio della religione cattolica
nelle scuole elementari, considerata "fondamento e coronamento"
dell'istruzione primaria mentre nei licei era previsto lo studio
della filosofia come forma di acculturamento superiore riservato
alla futura classe dirigente nazionale. Tuttavia dopo la firma dei
Patti Lateranensi l'insegnamento della religione cattolica venne
esteso anche ai licei.
* creazione dell'istituto magistrale per la formazione
dei futuri insegnanti elementari;
* istituzione di scuole speciali per gli alunni
portatori di handicap;
* la messa al bando dello studio della pedagogia, della
didattica e di ogni attività di tirocinio;
* graduale messa al bando dagli istituti scolastici di
ogni ordine e grado delle lingue delle comunità nazionali
appena annesse all'Italia (tedesco, sloveno e croato).
La scuola di Gentile è severa ed elitaria. Gli studi
superiori, nella concezione del filosofo, sono "aristocratici,
nell'ottimo senso della parola: studi di pochi, dei migliori".
La riforma, definita da Mussolini "la più fascista delle
riforme", rimase sostanzialmente in vigore inalterata anche dopo
l'avvento della Repubblica, fino a quando il Parlamento italiano,
con la legge del 31 dicembre 1962, n 1859, abolendo la scuola di
avviamento, diede vita alla scuola media unificata. Gentile fu
ministro della Pubblica Istruzione e nel 1923 mise in atto la sua
riforma scolastica, elaborata assieme a Giuseppe Lombardo Radice.
Dal punto di vista strutturale Gentile individua l'organizzazione
della scuola secondo un ordinamento gerarchico e centralistico. Una
scuola di tipo aristocratico, cioè pensata e dedicata "ai
migliori" e non a tutti e rigidamente suddivisa a livello secondario
in un ramo classico-umanistico per i dirigenti e in un ramo
professionale per il popolo e la classe lavoratrice. Le scienze
naturali e la matematica furono quindi messe in secondo piano,
mentre le discipline tecniche ad esse correlate avevano la loro
importanza solo a livello professionale.
L'obbligo scolastico fu innalzato a 14 anni e fu istituita la scuola
elementare da sei ai dieci anni. L'allievo che terminava la scuola
elementare aveva la possibilità di scegliere tra quattro
possibilità:
* il ginnasio, quinquennale, che dava l'accesso al
liceo (quello che sarebbe stato in seguito denominato liceo
classico), al liceo scientifico o al liceo femminile;
* l'istituto tecnico, articolato in un corso inferiore,
triennale, seguito da corso superiore, quadriennale; il corso
inferiore dava accesso anche al liceo scientifico;
* l'istituto magistrale, articolato in un corso
inferiore, quadriennale, e in un corso superiore, triennale,
destinato alla preparazione dei maestri di scuola elementare; il
corso inferiore dava accesso anche al liceo femminile;
* la scuola complementare di avviamento professionale,
triennale, al termine della quale non era possibile iscriversi ad
alcun'altra scuola.
Si trattava di un sistema che riprendeva molti aspetti della vecchia
legge Casati, anche per quanto riguarda l'accesso alla
università: solo i diplomati del liceo classico avrebbero
potuto frequentare tutte le facoltà universitarie, mentre ai
diplomati del liceo scientifico sarebbe stato possibile accedere
alle sole facoltà tecnico-scientifiche (erano quindi precluse
le facoltà di giurisprudenza e di lettere e filosofia). Agli
altri diplomati era invece impedita l'iscrizione
all'università.
Alla base di questa impostazione c'era una concezione aristocratica
della cultura e dell'educazione: una scuola superiore riservata a
pochi, considerati i migliori, vista come strumento di selezione
della futura classe dirigente.
Il maggiore spazio dato nella scuola gentiliana alle materie
umanistiche-filosofiche a scapito di quelle scientifiche, non fu
tuttavia esente da critiche anche al tempo della sua approvazione,
sia da parte di oppositori del regime sia da parte di studiosi:
contrari furono per esempio diversi membri dell'Accademia dei
Lincei, che ritenevano un errore allontanare gli allievi,
soprattutto i più giovani, dal rigore e dalla precisione
insita nelle materie scientifiche, per fargli seguire invece una
visione più astratta e non ben definita legata alle varie
correnti del pensiero filosofico.
La religione cattolica è insegnata obbligatoriamente a
livello primario; Gentile riteneva infatti che tutti i cittadini
dovessero possedere una conoscenza religiosa, soprattutto egli
sosteneva che la dottrina religiosa fosse il maggior traguardo
intellettuale per le classi popolari per le quali era
sostanzialmente concepito il ciclo della scuola elementare. Gentile
tuttavia, riteneva che per la formazione dell'elite della nazione,
compito affidato ai licei, non servisse più lo studio della
religione (relegata al rango di cultura popolare) ma fosse
necessario lo studio della filosofia che rappresentava il più
alto traguardo intellettuale nell'educazione di un cittadino della
futura classe dirigente, per questo nei licei venne reso
obbligatorio lo studio della filosofia e non quello della religione.
Tuttavia nel 1929 dopo la firma dei Patti Lateranensi, la Chiesa
ottenne che lo studio della religione cattolica (divenuta con tale
concordato religione di Stato) fosse esteso anche ai licei,
contrariando lo stesso Gentile.
Liceo femminile
Il liceo femminile fu una scuola media superiore nata con la riforma
del ministro Gentile. L'obiettivo di questo liceo era quello di dare
un diploma alle persone di sesso femminile, poiché nei licei
allora esistenti (liceo classico e liceo scientifico) le donne erano
escluse. Il liceo femminile costituì la versione statale
degli educandati femminili, gestiti da autorità religiose (in
genere suore), che sin dal XVIII secolo detenevano il monopolio
dell’educazione delle signorine di agiata famiglia. Alla fine degli
studi in questa scuola si faceva un esame, la cui licenza
però non permetteva l'accesso all'università. Questa
scuola veniva frequentata dopo i cinque anni di ginnasio. [...]
Modifiche alla riforma
La riforma Gentile come approvata nel 1923 non sopravvisse che pochi
anni: dopo i Patti Lateranensi le idee del filosofo vennero
considerate troppo laiche, mentre Mussolini la considerò
successivamente: "un errore dovuto ai tempi e alla forma mentis
dell'allora ministro", in quanto una scuola che trasmetteva ideali
borghesi e sfornava troppi laureati. L'opera di smantellamento dei
vari decreti era già ben avviata nell'autunno del 1928 tanto
che lo stesso ex ministro pubblicò una propria presa di
posizione sul Corriere, ma questo non servì a molto: i
"ritocchi" come definiti dall'Osservatore Romano si protrassero sino
al luglio del '33.
Anche questa sistemazione definita "definitiva" dallo stesso
Mussolini, non sopravvisse al cambiamento di mentalità del
dittatore seguito alla conclusione della campagna d'Etiopia. I
cambiamenti che si volevano apportare furono delineati ne "La carta
della scuola" (1939), una proposta di riforma complessiva del
sistema scolastico dovuta all'allora ministro della Pubblica
Istruzione Giuseppe Bottai che, però, a causa dello scoppio
della seconda guerra mondiale, rimase in gran parte sulla carta.
Si arriverà poi, dopo lunghe trattative tra DC e PSI, alla
legge n.1859 del 31 dicembre 1962, che riprendeva alcune idee della
Carta nei confronti di scuola media ed istruzione professionale.