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David Ricardo (Londra, 19 aprile 1772 – Gatcombe Park, 11 settembre
1823) è stato un economista britannico, considerato uno dei
massimi esponenti della scuola classica.
Quadro storico
Ricardo visse nel periodo delle guerre napoleoniche, che videro
l’Inghilterra tenace avversaria della Francia, alla conclusione
delle quali segue la fase della Restaurazione. È un'epoca di
profondi cambiamenti economici e sociali, contraddistinta dalla
rivoluzione industriale in Inghilterra e in generale dal processo di
trasformazione delle economie europee in senso capitalistico. In
questa fase storica viene quindi a prodursi un contrasto, con
conseguenti conflitti sociali e politici, tra il ritorno all’assetto
istituzionale e politico precedente alla Rivoluzione Francese,
dominato dall’aristocrazia assolutista, e lo sviluppo di un sistema
di produzione in cui il potere economico tende a concentrarsi nelle
mani della borghesia, mentre una crescente massa di proletari offre
manodopera a buon mercato funzionale alla trasformazione economica
in atto.
Mentre la progressiva introduzione delle macchine nel processo
produttivo causava la disoccupazione di una massa crescente di
lavoratori, le Corn Laws imponevano l’applicazione di dazi sulle
importazioni di cereali.
I prezzi interni di questi prodotti rimanevano quindi elevati come
al tempo del blocco commerciale cui l’Inghilterra era stata
sottoposta durante le guerre contro la Francia di Napoleone. L’alto
prezzo del grano e degli altri cereali andava a vantaggio delle
rendite dei proprietari terrieri e riduceva, invece, i profitti sul
capitale: i salari reali, già molto bassi, non potevano
diminuire ulteriormente e gli alti prezzi degli alimenti implicavano
la necessità di pagare salari monetari adeguati a quei
prezzi. La borghesia capitalista spingeva perciò, sul piano
istituzionale, per una riforma elettorale che ridimensionasse la
rappresentanza dei proprietari terrieri in Parlamento e, sul piano
economico, per l’abolizione delle barriere protezionistiche.
Risultati questi che saranno però ottenuti solo,
rispettivamente, nel 1832 e nel 1846.
Comincia a manifestarsi in questo periodo anche il conflitto tra
capitale e lavoro, alimentato dalla miseria delle condizioni di vita
degli operai stretti tra la morsa dei bassi salari e della
disoccupazione. In Inghilterra le lotte operaie presero inizialmente
la forma del luddismo, il movimento, forte e ben organizzato, che
vedeva l’impiego dei macchinari come causa della disoccupazione e ne
osteggiava quindi l’introduzione nelle fabbriche. Proprio la forza
del movimento determinò una repressione durissima e
sanguinosa da parte del governo inglese.
La teoria della distribuzione e del valore (teoria dei vantaggi
comparati)
Ricardo diede due versioni della teoria del saggio del profitto: la
prima nel “Saggio sui profitti” del 1815 (il titolo originale
completo è “Essay on the influence of a Low Price of Corn on
the Profits of Stock”) e la seconda nei “Principi di Economia
Politica” (uscita in tre successive edizioni: 1817-19-21).
Il Saggio sui profitti
In questa opera Ricardo afferma il principio che il saggio del
profitto nell’intera economia è determinato dal saggio del
profitto che si stabilisce in agricoltura. La giustificazione logica
di questo principio sta in due ipotesi:
* che il capitale, in accordo con quanto Smith aveva
affermato, consista soltanto dei mezzi di sussistenza anticipati
annualmente ai lavoratori come salario;
* che quei mezzi di sussistenza consistano interamente
di grano.
L’agricoltura allora si trova in una posizione del tutto
particolare, in quanto si ha in essa omogeneità tra prodotto
e capitale. Il saggio del profitto ivi può essere determinato
come rapporto tra quantità fisiche: come rapporto cioè
tra il sovrappiù P – N, ed il capitale N relativi alla
produzione agricola, entrambi misurati in grano, ossia:
i = (Pa – Na) / Na
da cui, considerando il valore dei fattori in lavoro comandato L,
avremo:
i = (Pa / Na) - 1
i = (La*ya / La*wa) - 1
i = (ya / wa) - 1
con ya = prodotto per lavoratore in agricoltura.
Perciò il saggio del profitto può cambiare solo se
varia il saggio del salario o il prodotto per lavoratore in
agricoltura. Ne segue che il saggio del profitto agricolo
sarà del tutto indipendente dai valori di scambio. Inoltre,
poiché la concorrenza tra capitalisti tenderà a
realizzare un saggio uniforme di profitto in tutta l’economia,
sarà il valore dei prodotti diversi dal grano a modificarsi
relativamente al grano (che costituisce il capitale in tutti i rami
produttivi) così da fornire per la loro produzione il saggio
del profitto realizzatosi in agricoltura.
Esempio: si supponga che un operaio produca in un anno 100 m di
tela; che il salario annuo anticipato all’inizio del ciclo
produttivo sia 100 kg di grano; il saggio del profitto in
agricoltura sia del 20 %: 1 m di tela si dovrà scambiare con
1.2 kg di grano. Se, infatti, il prezzo della tela fosse ad esempio
1.3 kg di grano, il saggio del profitto nel produrre la tela sarebbe
del 30 % ed i capitali impiegati nel produrre grano verrebbero
trasferiti alla produzione di tela, finché la concorrenza
abbia riportato ridotto il valore della tela a 1.2 kg di grano e
viceversa, nel caso in cui la tela fosse inizialmente inferiore a
1.2 kg di grano.
Rimane ora da vedere che cosa determini il saggio del profitto
nell’agricoltura e quindi in tutta l’economia. Ricardo fu spinto a
riflettere sul problema dei profitti dalla questione, allora
dibattuta in Inghilterra, circa l’opportunità di stabilire
dei dazi sulla importazione del grano, allo scopo di contrastare il
ribasso dei prezzi del grano verificatosi al termine delle guerre
napoleoniche. Sia Malthus che Ricardo ritenevano che i dazi sul
grano sarebbero stati utili o dannosi secondo che ne fosse seguito
un aumento o una diminuzione del saggio del profitto. Seguendo Smith
essi consideravano i profitti come la fonte principale di
accumulazione di capitale e quindi di ricchezza della nazione.
Malthus riteneva che i dazi sul grano, aumentando le rendite
fondiarie, avrebbero creato “un più ampio mercato” per i
prodotti e favorito alti prezzi e alti profitti in tutti i rami
produttivi. Ricardo riteneva, invece, che il saggio del profitto non
potesse aumentare (diminuire) che per l’una o per l’altra di queste
due circostanze:
* la diminuzione (aumento) della quantità di
beni data al lavoratore come salario (Ricardo riteneva che l’azione
di questo fattore potesse essere soltanto temporanea poiché
vi sarebbe stata una tendenza del saggio del salario a gravitare
verso il livello abituale di sussistenza dei lavoratori);
* la produttività del lavoro in agricoltura.
Ora l’imposizione di dazi sul grano, contraendo l’importazione e
costringendo quindi a coltivare terre meno fertili, avrebbe ridotto
la produttività del lavoro agricolo e quindi il saggio del
profitto. Per dimostrare questa sua teoria dei profitti Ricardo si
serve anche di una teoria della rendita della terra, che era stata
formulata da Malthus: come vedremo la funzione di questa teoria di
Ricardo è di permettergli di isolare la rendita così
da poter concentrare l’attenzione sulla divisione del prodotto tra
salari e profitti. Il ragionamento con cui Ricardo giunge alla sua
teoria dei profitti può essere meglio seguito con un esempio
ripreso, con alcune modifiche, dal “Saggio sui profitti”.
A, B, C = tipi di terra in ordine di fertilità decrescente;
L = numero lavoratori;
Capitale = salari anticipati;
300 q di grano = prodotto lordo che, per ipotesi, si vuole ottenere
da ogni tipo di terra;
10 q di grano = salario annuale di un lavoratore.
In un primo tempo, per produrre grano, è sufficiente
coltivare la terra più fertile, del tipo A, su cui per
ottenere 300 quintali di grano si devono impiegare 20 lavoratori.
Poniamo che il salario di un lavoratore sia 10 q; il capitale,
anticipazione dei salari sarà quindi 200 q. Resta un prodotto
netto, cioè un sovrappiù, di 100 q di grano. Non ci
sono rendite poiché, essendovi sovrabbondanza di terre, la
concorrenza tra proprietari fondiari impedisce che si formi una
rendita. Tutto il sovrappiù costituisce perciò
profitti ed il saggio del profitto sarà:
100 / 200 = 50%
Quando però le terre A non siano più sufficienti,
diviene necessario estendere la coltivazione alle terre di tipo B,
meno fertili, dove 21 lavoratori sono necessari per ottenere lo
stesso prodotto di 300 q di grano. Il saggio del profitto delle
terre B (che essendo sovrabbondanti non danno rendita) sarà
inferiore:
90 / 210 = 43%
Poiché 210 è il capitale necessario per ottenere 300 q
di grano. A quello stesso saggio del profitto si giungerà
anche sulle terre A, dove la concorrenza indurrà i
capitalisti ad offrire una rendita, che arriverà ad essere
pari alla differenza tra il prodotto netto ed il profitto
ottenibile, per quel capitale, sulle terre meno fertili. Quando, in
un terzo tempo, anche le terre del tipo C entreranno nella
coltivazione, il saggio del profitto diminuirà ancora:
80 / 220 = 36%
E per le stesse ragioni dette sopra, si avrà una rendita
anche per le terre di tipo B mentre la rendita della terra A
aumenterà. Quindi il saggio del profitto diminuisce (e le
rendite fondiarie aumentano) quando, per l’aumento della popolazione
o per l’imposizione di dazi sul grano, la produttività del
lavoro agricolo diminuisca con l’estensione della coltivazione alle
terre meno fertili. È evidente, d’altro lato, che il saggio
del profitto, in ciascuna delle tre situazioni considerate, sarebbe
stato inferiore se il saggio del salario fosse stato superiore e
viceversa.
È chiaro come il ragionamento con cui Ricardo giunge a queste
conclusioni poggi sull’ipotesi indicata all’inizio, che i salari
consistano soltanto di grano. Se si ammette, infatti, che il saggio
del salario comprenda altre merci oltre al grano, la linea di
argomentazione seguita nel “saggio sui profitti” non permette
più di affermare che il saggio del profitto diminuirà
al diminuire della produttività del lavoro agricolo e
all’aumentare di una o più tra le quantità di beni che
costituiscono il salario: bisognerà allora tenere conto degli
effetti che queste circostanze possono avere sui valori relativi
delle merci; in altre parole viene meno, con l’omogeneità tra
prodotto e capitale agricoli, la possibilità di individuare
nell’agricoltura un settore dove il saggio del profitto è
indipendente dai valori relativi delle merci.
Esempio: Supponiamo che il salario annuale di sussistenza sia 5 q di
grano e 50 m di stoffa. Supponiamo inoltre che, quando soltanto la
terre A sono coltivate 1 q di grano si scambi con 10 m di stoffa. Il
saggio annuale di salario valutato in grano sarà allora 10 q
e il saggio del profitto sarà il 50%. Supponiamo ancora che,
in conseguenza dell’imposizione di dazi sul grano, vengano poste in
coltivazione anche le terre di tipo B. Se, per effetto di
ciò, il prezzo del grano in termini di stoffa aumentasse da
10 m a 12.5 m, il saggio annuale del salario valutato in grano
diminuirebbe da 10 q a 9 q. Il capitale necessario per ottenere 300
q di grano sulle terre B (dove non si paga la rendita) avrebbe
allora un valore di 21 x 9 = 189 q di grano; i profitti sarebbero
allora di 111 q e il saggio del profitto sarebbe aumentato a:
111 / 189 = 58%
E non diminuito al 43%. Non sarà perciò possibile dire
nulla circa gli effetti sul saggio del profitto della coltivazione
delle terre B finché non si sia in grado di determinare gli
effetti di quella circostanza sul rapporto di scambio tra grano e
stoffa.
Non può perciò stupire che Ricardo nel preparare una
nuova edizione del “Saggio sui profitti” si sia trovato ad
affrontare il problema del valore e ne sia nato un libro del tutto
diverso: i “Principi di Economia Politica”.
I Principi di Economia Politica
Ritroviamo nei “Principi” le stesse conclusioni del “Saggio” circa
le due circostanze da cui dipende il saggio del profitto (le
quantità di merci che costituiscono il saggio del salario; e
la produttività del lavoro nella produzione delle
merci-salario) ma l’argomentazione è mutata. Essa è
ora fondata su una teoria generale del valore: la teoria secondo cui
il rapporto in cui le merci si scambiano è determinato dalla
quantità di lavoro occorso a produrle. Ricardo può
evitare di supporre che i salari consistano soltanto di grano.
Inizieremo l’esposizione con la teoria del valore e vedremo poi come
essa sia posta a base della teoria della distribuzione.
Esempio: supponiamo che per ottenere alla fine di un ciclo
produttivo annuale una misura di grano, ad esempio 100 q, occorrano
5 lavoratori e che, per ottenere invece una misura di tela, ad
esempio 100 m, basti un lavoratore. Supponiamo inoltre che il
salario annuo di un lavoratore sia 10 sterline, e che per la
produzione, sia del grano sia della tela, il solo capitale impiegato
sia quello necessario per pagare i salari all’inizio del ciclo
produttivo. Se il saggio del profitto è del 50% il valore di
una misura di grano sarà:
(10 x 5) (1 + 0.5) = 75 sterline
e quello di una misura di tela:
(10 x 1) (1 + 0.5) = 15 sterline
Per ottenere una misura di grano saranno perciò necessarie 5
misure di tela. Rapporto che è pari a quello tra le
quantità di lavoro necessarie per produrre le due merci.
Essendo determinato dalle quantità di lavoro incorporate, il
valore del grano relativamente alla tela dipende da circostanze
tecniche e non può quindi mutare al mutare del saggio di
salario e/o profitto. Se, infatti, il saggio del salario fosse di 12
sterline e quello del profitto del 25%, il valore di una misura di
grano sarebbe:
(12 x 5) (1 + 0.25) = 75 sterline
e quello della misura di tela:
(12 x 1) (1 + 0.25) = 15 sterline
Una misura di grano si scambierebbe ancora con 5 misure di tela.
Nel ragionamento precedente abbiamo supposto che la durata del ciclo
produttivo (e quindi il periodo di anticipazione dei salari) fosse
la stessa sia per il grano sia per la tela. Abbiamo supposto inoltre
che le produzioni di grano e di tela non richiedessero attrezzi o
macchinari. Le conclusioni sarebbero state diverse se si fosse
supposto che la durata del ciclo produttivo fosse diversa o che ogni
lavoratore utilizzasse attrezzi di valore diverso nei due processi.
Esempio: Si supponga che il ciclo produttivo della tela sia di due
anni, anziché di un anno come quello del grano. Il valore
della tela sarà, quando il saggio del salario sia di 10
sterline e quello del profitto il 50%:
10(1 + 0.5) 2 = 22.5
Una misura di grano si scambierà perciò con:
75 / 22.5 = 3.3 misure di tela e non 5,
come richiesto dalla regola del lavoro incorporato. Come è
facile verificare, inoltre, il valore del grano varierà al
variare del saggio del profitto: aumenterà al diminuire di
quest’ultimo. Ricardo ammise questa possibilità come
“eccezione” e continuò a basare la sua teoria della
distribuzione su questo principio.
Prima di procedere alla teoria del saggio di profitto occorre
considerare la rendita della terra. Essa trova però facile
collocazione nella teoria della distribuzione dei “Principi” quando
si rifletta che il rapporto di scambio tra il grano e le altre merci
dovrà essere regolato dalla quantità di lavoro occorso
per produrlo sulle terre meno fertili in coltivazione; in caso
diverso, chi impieghi il suo capitale sulle terre meno fertili non
potrebbe ottenere il saggio di profitto ottenibile negli altri rami
produttivi. D’altro lato, se il valore del grano è
determinato dalla quantità di lavoro necessaria per produrlo
sulle terre meno fertili, il valore del prodotto delle terre
più fertili renderà più di quanto necessario
per remunerare ai saggi vigenti il lavoro e il capitale ivi
impiegato: la concorrenza tra capitalisti farà sì che
questa eccedenza vada ai proprietari fondiari come rendita.
Esempio: Consideriamo il valore relativo della tela e del grano,
entrambi prodotti con ciclo produttivo annuale, quando siano in
coltivazione due tipi di terre: B dove una misura di grano richiede
il lavoro di 5 uomini per un anno e A dove lo stesso prodotto
richiede 4 uomini. Una misura di tela richiede, invece, il lavoro di
un uomo. Posto pari a 10 sterline il saggio annuale di salario e al
50% il saggio di profitto, 1 misura di grano dovrà valere 75
sterline e una di tela 15 sterline. Se il grano dovesse valere solo
60 sterline, e scambiarsi quindi con la tela secondo la
quantità di lavoro che occorre per produrlo sulle terre A, il
capitale impiegato sulle terre B renderebbe il 20% e non il 50% e le
terre verrebbero abbandonate. Poiché si è invece
supposto che le terre B siano coltivate, il prezzo del grano deve
essere 75 sterline. Sulle terre A saranno sufficienti 60 sterline a
pagare i salari dei 4 lavoratori nonché il profitto del 50%
sul capitale di 40 sterline: 15 sterline andranno perciò al
proprietario come rendita.
Ora nei “Principi” ritroviamo la teoria dei profitti del “Saggio”.
La differenza nell’argomentazione sta solo nel fatto che mentre
nell’opera precedente il prodotto P e il “consumo necessario” N
erano misurati in termini di grano, nei “Principi” quelle
quantità sono misurate in termini di lavoro incorporato.
Questa differenza è importante. Essa permette a Ricardo di
considerare la determinazione del profitto nell’economia come un
tutto risolvendo, nei limiti che vedremo, il problema del valore e
di abbandonare l’ipotesi che i salari consistano interamente di
grano. Ricardo, inoltre, offre una prima soluzione al problema,
visto in Smith, che si pone quando la nozione di sovrappiù
venga usata per l’analisi del processo produttivo sociale: come
esprimere il valore di aggregati dati di merci in termini che non
presuppongono la conoscenza di come il prodotto sociale sia diviso
tra salari, profitti e rendite. La quantità di lavoro
necessaria per produrre le merci soddisfa quel requisito, essa
dipende soltanto dalle condizioni tecniche della produzione.
Rimangono ora da considerare le questioni che Ricardo lasciò
insolute. Esse sono essenzialmente le due che già abbiamo
avuto modo di rilevare. La prima, relativa alla teoria quale essa
è enunciata nei “Principi”, sta nel fatto che le merci si
scambiano secondo il lavoro incorporato soltanto nell’ipotesi di
eguaglianza, in tutti i rami produttivi, del periodo di
anticipazione dei salari e del valore dei mezzi di produzione
impiegati da ogni lavoratore. Quando le merci non si scambiano
secondo il lavoro incorporato non è più possibile
affermare che il saggio del profitto sia dato dal rapporto tra il
lavoro incorporato nel sovrappiù S = P – N e quello
incorporato nel “consumo necessario” N. Ricardo si rende conto di
questa deficienza della sua teoria e, come un manoscritto venuto
recentemente alla luce mostra, ancora negli ultimi giorni della sua
vita egli stava tentando di risolverla.
L’altra deficienza della teoria dei profitti di Ricardo è la
riduzione del capitale ai salari annui. Su questo punto esistono in
Ricardo numerose contraddizioni. Da un lato egli, soprattutto quando
si riferisce ai singoli produttori, riconosce l’esistenza di un
capitale costituito da mezzi di produzione, accanto a quello
costituito dai mezzi di sussistenza anticipati ai lavoratori per la
durata del ciclo produttivo annuo, e ne tiene conto nel calcolare il
saggio del profitto. Dall’altro quando enuncia i fattori che
determinano il saggio del profitto nell’intera economia, non sembra
avvedersi che i mezzi di produzione impiegati costituiscano una
circostanza che può influire sul saggio del profitto in modo
del tutto indipendente dal rapporto S/N.
La teoria del salario
La teoria del salario di Ricardo è per certi aspetti simile a
quella di Adam Smith e per altri, invece, se ne discosta. Essa
può essere rappresentata con riferimento a quattro punti
essenziali:
* come in Smith, c’è in Ricardo l’idea di un
saggio del salario minimo, che per Ricardo corrisponde a ciò
che è necessario per la sussistenza del lavoratore e della
sua famiglia;
* come in Smith, se il saggio del salario si mantiene
al suo livello minimo la popolazione lavoratrice tende a rimanere
stazionaria, tende invece ad aumentare se il salario sale al di
sopra della sussistenza;
* diversamente da Smith, non c’è in Ricardo un
esplicito riferimento alla forza contrattuale dei lavoratori
rispetto ai datori di salario quale circostanza che influisce sul
livello dei salari;
* diversamente da Smith, il livello naturale del
salario è identificato con la sussistenza.
La teoria di Ricardo appare dunque più “meccanica” di quella
di Smith, per il quale il salario naturale dipendeva, in ogni fase
storica, dalla forza contrattuale delle parti: i lavoratori da un
lato e i “masters” dall’altro. Pur ritenendo che i lavoratori
fossero più spesso in una posizione di debolezza rispetto ai
datori di retribuzione, e quindi nell’incapacità di ottenere
un salario superiore alla sussistenza, Smith ammetteva che le
condizioni economico-sociali potessero modificarsi, in particolare
per effetto dell’accumulazione del capitale, in modo da far
permanere anche a lungo il salario naturale a livelli superiori al
minimo. La visione di Ricardo è meno articolata e, anche per
l’influenza che su questi temi era al tempo esercitata da Malthus,
egli è portato a far coincidere il salario naturale con la
mera sussistenza. In analogia con la tendenza del prezzo di mercato
di una merce verso il prezzo naturale, Ricardo considera il saggio
del salario superiore alla sussistenza come un livello di “mercato”
del salario, perciò soltanto temporaneo, destinato a
ritornare verso il valore naturale per effetto dell’aumento
dell’“offerta” di lavoro relativamente alla “domanda”.
A questo riguardo è utile precisare che in Ricardo, come in
Smith, la domanda di lavoro è intesa come il numero di
lavoratori produttivi impiegati nell’economia, mentre l’offerta di
lavoro rappresenta la popolazione in grado di lavorare: il rapporto
tra domanda e offerta di lavoro esprime perciò la quota della
popolazione lavoratrice impiegata nel processo produttivo. Ricardo
ritiene che se il rapporto aumenta, fino al limite ad avvicinarsi
all’unità, il salario di mercato potrà aumentare al di
sopra del salario naturale ma l’aumento di popolazione, indotto da
salari maggiori della sussistenza, tenderà a riportare il
salario verso il suo livello naturale, corrispondente alla
sussistenza.