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La Restaurazione, sul piano strettamente storico-politico, è
il processo di ristabilimento del potere dei sovrani assoluti in
Europa, ossia dell'Ancien Régime, in seguito alla sconfitta
di Napoleone. Essa ha inizio nel 1814 con il Congresso di Vienna,
convocato dalle grandi potenze per ridisegnare i confini europei
(gli Imperi di Austria e Russia e i Regni di Prussia e Gran
Bretagna).
In senso più ampio, per Restaurazione si intende il movimento
reazionario teso a contrastare le idee della Rivoluzione francese,
diffuse in tutta Europa dagli eserciti napoleonici. Da questo punto
di vista, essa si presenta come un fenomeno che trascende il piano
puramente politico per estendersi a quello culturale. L'età
della Restaurazione si fa infatti coincidere in letteratura con il
Romanticismo e in filosofia con l'Idealismo. Essa può
considerarsi conclusa con i moti del 1830-1831.
La nuova concezione romantica della Storia
«S'identificò la storia della civiltà con la
storia della religione, e si scorse una forza provvidenziale non
solo nelle monarchie, ma sin nel carnefice, che non potrebbe sorgere
e operare nella sua sinistra funzione se non lo suscitasse, a tutela
della giustizia, Iddio: tanto è lungi dall'essere operatore e
costruttore di storia l'arbitrio individuale e il raziocinio logico.»
(Adolfo Omodeo, L'età del Risorgimento italiano, Napoli,1955)
Nel Congresso di Vienna si confrontarono due linee politiche
contrapposte: coloro che volevano un puro e semplice ritorno al
passato e quelli che sostenevano la necessità di un
compromesso con la storia trascorsa: «Conservare
progredendo» era la loro parola d'ordine. Questo contrapposto
modo di pensare l'azione politica nasceva paradossalmente da un
unico punto di origine ideale.
Nell'età della Restaurazione si avanzava infatti una nuova
concezione della storia che smentiva quella degli illuministi basata
sulla capacità degli uomini di costruire e guidare la storia
con la ragione. Le vicende della Rivoluzione francese e il periodo
napoleonico avevano dimostrato che gli uomini si propongono di
perseguire alti e nobili fini che s'infrangono dinanzi alla
realtà storica. Il secolo dei lumi era infatti tramontato
nelle stragi del Terrore e il sogno di libertà nella
tirannide napoleonica che mirando alla realizzazione di un'Europa al
di sopra delle singole nazioni aveva determinato invece la
ribellione dei singoli popoli proprio in nome del loro sentimento di
nazionalità.
Dunque la storia non è guidata dagli uomini ma è Dio
che agisce nella storia. Esiste una Provvidenza divina che
s'incarica di perseguire fini al di là di quelli che gli
uomini ingenuamente si propongono di conseguire con la loro meschina
ragione.
La concezione reazionaria
Da questa nuova concezione romantica della storia opera della
volontà divina si promanano due visioni contrapposte: la
prima è una prospettiva reazionaria che vede nell'intervento
di Dio nella storia una sorta di avvento di un'apocalisse che metta
fine alla sciagurata storia degli uomini. Napoleone è stato
con le sue continue guerre l'Anticristo di questa apocalisse. Dio
segnerà la fine della storia malvagia e falsamente
progressiva ed allora agli uomini non rimarrà che volgersi al
passato per preservare e conservare quanto di buono era stato
realizzato. Si cercherà in ogni modo di cancellare tutto
ciò che è accaduto dalla Rivoluzione a Napoleone
restaurando il passato. I sovrani restaurati dal Congresso di Vienna
tenteranno di ripristinare le vecchie strutture politiche e sociali
spazzate via dalla Rivoluzione francese e da Napoleone ma il loro
sarà un compito impossibile. "L'aratro della Rivoluzione"
scrive lo storico tedesco Franz Mehring Absolutisme et
Révolution en Allemagne (1525–1848) "aveva sconvolto troppo
in profondità il suo terreno, fino ai campi di neve della
Russia; un ritorno alle condizioni che avevano dominato in Europa
fino al 1789 era impossibile".
È stato detto che mentre Napoleone veniva sconfitto sui campi
di battaglia gli ideali di cui si era fatto portatore ispiravano,
sia pure forzatamente, quei sovrani reazionari che lo combattevano.
Si erano visti sovrani conservatori pressati dai tempi nuovi come
Ferdinando IV di Borbone re di Napoli e Ferdinando VII di Spagna che
fin dal 1812 avevano concesso ai loro sudditi addirittura la
Costituzione. Vero è che questi stessi sovrani, dopo la
caduta di Napoleone, cancellarono con un tratto di penna quanto
avevano concesso ma dovettero poi affrontare moti insurrezionali
interni che riuscirono a fatica a controllare solo con l'intervento
della Santa Alleanza.
La concezione progressista
Un'altra prospettiva, che nasce dalla stessa concezione della storia
guidata dalla Provvidenza, è quella che potremo definire
liberale che vede nell'azione divina una volontà diretta,
nonostante tutto, al bene degli uomini escludendo che nei tempi
nuovi ci sia una sorta di vendetta di Dio che voglia far espiare
agli uomini la loro presunzione di creatori di storia. È
questa una visione dinamica della storia che troviamo in Saint Simon
con la concezione di un nuovo cristianesimo per una nuova
società o in Lamennais che vede nel cattolicesimo una forza
rigeneratrice della vita sociale. Una concezione progressiva quindi
che è presente in Italia nell'opera letteraria di Alessandro
Manzoni e nel pensiero politico di Gioberti con il progetto
neoguelfo e nell'ideologia mazziniana.
Gli antesignani e i teorici della Restaurazione
Questa nuova visione della storia intesa come espressione della
volontà divina e quindi come base teorica dell'unione di
politica e religione e della legittimità del potere politico
per "grazia di Dio", aveva avuto, già prima della
Restaurazione, i suoi principali teorici nell'anglo-irlandese Edmund
Burke, nei francesi François-René de Chateaubriand e
Louis de Bonald, nell'italiano Joseph de Maistre.
Nelle Riflessioni sulla Rivoluzione in Francia, pubblicate nel 1790,
Burke mettendo a confronto la rivoluzione inglese del 1688 con
quella francese vede nella prima una linea evolutiva che si era
sviluppata per gradi nel rispetto delle tradizioni e questo
«lascia libera la possibilità di nuovi acquisti, ma
fornisce la garanzia assicurata di ogni acquisto» mentre la
seconda gli appare come un evento caotico in cui si mescolano
«leggerezza e ferocia, confusione di delitti e di follie
travolti insieme». Nella stessa opera contesta il principio
della sovranità popolare e della democrazia a cui contrappone
la supremazia dell'aristocrazia e dell'ordine sociale legittimati
dalla loro natura divina. Per lui le masse, che esprimono una
maggioranza che scioccamente pretende di prevalere sulla minoranza
mentre non sa distinguere il suo vero interesse, sono il sostegno
del dispotismo e la Rivoluzione francese era perciò destinata
a fallire poiché si era allontanata dalla grande e diritta
via della natura.
François-René de Chateaubriand fin dal 1802 aveva
attaccato con il suo "Génie du Christianisme" (Genio del
Cristianesimo) le dottrine illuministiche accusandole di estremo
razionalismo e difendendo la religione e il Cristianesimo. Louis de
Bonald, fervente monarchico e cattolico, fu la voce più
importante degli ultra-legittimisti. Aveva aderito all'inizio alle
idealità rivoluzionarie che ripudiò dopo i
provvedimenti anticlericali sanciti con la Costituzione civile del
clero.
« Credo possibile dimostrare che l'uomo non può dare
una costituzione alla società religiosa o politica,
così come non può dare la pesantezza ai corpi o
l'estensione alla materia. »
(Louis de Bonald, Teoria del potere politico e religioso nella
società civile, 1796)
Nelle sue numerose opere, attaccò la Dichiarazione dei
diritti dell'uomo e del cittadino, il Contratto sociale di
Jean-Jacques Rousseau e le innovazioni sociali e politiche portate
dalla Rivoluzione sostenendo il ritorno all'autorità della
monarchia e della religione. La rivoluzione stessa, egli sosteneva,
è una specie di prova dell’esistenza di Dio, poiché
mette in luce come l’eliminazione della religione conduca alla
distruzione della società. L’ambito religioso e quello
politico sono, agli occhi di Bonald, inseparabili.
Ma il vero teorico della Restaurazione fu il savoiardo Joseph de
Maistre. Sulla linea del tradizionalismo di Burke nell'opera Du Pape
(1819) egli sostiene la concezione della storia come depositaria di
valori etici trascendenti. Nel Medioevo la Chiesa è stata il
sostegno dell'ordine sociale e questo la rende superiore al potere
civile che solo essa può rendere legittimo in quanto
depositaria e interprete della volontà divina.
Le teorie illuministiche sulla libertà naturale dell'uomo
sono semplici follie e diaboliche stranezze. L'uomo è troppo
malvagio per poter essere libero, egli è invece nato
naturalmente servo e tale è stato sino a quando il
Cristianesimo lo ha liberato. Il Cristianesimo autentico è
quello cattolico, rappresentato dal pontefice romano che ha
proclamato la libertà universale ed è l'unico nella
generale debolezza di tutte le sovranità europee ad aver
conservato la sua forza e il suo prestigio.
De Maistre condivide poi l'analisi di Burke sulla falsa pretesa
della maggioranza di prevalere sulla minoranza, mentre invece
«dovunque il piccolissimo numero ha sempre condotto il
grande» e per questo è diritto legittimo
dell'aristocrazia l'assumere la guida del Paese.
Il congresso di Vienna e la restaurazione
Il Congresso di Vienna (1814-1815) fu la conferenza dei maggiori
ambasciatori europei nella quale si ridisegnò la mappa del
continente secondo i voleri degli stati vincitori. I princìpi
fondamentali che informarono il congresso furono definiti come
restaurazione, legittimità e equilibrio. Il primo prevedeva
il ritorno alla situazione politica e ai confini del 1792. Il
ritorno alla legittimità ripristinò le prerogative
della nobiltà europea e delle famiglie regnanti.
L'equilibrio, diceva che tutte le potenze dovevano avere uguale
forza politica. Nel Congresso di Vienna vennero prese le principali
decisioni dai delegati delle più grandi nazioni europee del
XIX secolo (Austria, Prussia, Russia ed Inghilterra) che avevano
reso possibile la definitiva sconfitta nella battaglia di Waterloo
(in Belgio) di Napoleone Bonaparte, ossia: Handemberg (prussiano),
Robert Stewart, Visconte Castlereagh (inglese), lo stesso zar
Alessandro I e Metternich, grande diplomatico e politico austriaco
che influì notevolmente nella configurazione geo-politica
dell'Europa post Napoleonica.
In principio frenato dalle pretese di Prussia e Russia che esigevano
venissero loro annessi nuovi territori, fu decisivo l'intervento del
francese Charles Maurice de Talleyrand-Périgord
(ecclesiastico e diplomatico che passò la fase della
rivoluzione e il dominio napoleonico, prima sostenendolo poi
avversandolo, prodigandosi per l'ascesa al potere di Luigi XVIII),
il quale, schierandosi a favore di Inghilterra e Austria,
riuscì a far tornare sui propri passi le altre due potenze,
che ritrattarono.
Il Congresso si basò su tre principi cardine:
* il principio di equilibrio: in base al quale
nessuna potenza dovesse rafforzarsi eccessivamente a danno delle
altre.
* il principio di legittimità per il quale
assiduamente combatté Talleyrand e che prevedeva il ritorno
al potere di tutte quelle dinastie precedenti al dominio
Napoleonico;
* la cintura di Stati "cuscinetto" intorno alla
Francia, per impedire la sua egemonia su tutta l'Europa.
In seguito nella suddetta assemblea, si sancirono due alleanze: la
Santa alleanza tra Russia, Austria e Prussia e la Quadruplice
alleanza formata dalle precedenti nazioni più l'Inghilterra.
Questa alleanza si basava sul principio di intervento: nel caso uno
Stato avesse avuto dei problemi causati da disordini rivoluzionari
che potevano contagiare gli altri stati questi si ritenevano in
obbligo d'intervenire per sedare le rivolte. Al principio di non
ingerenza negli affari interni di uno stato si sostituiva l'ideale
della solidarietà internazionale da attuarsi con la periodica
consultazione dei governi europei nei Congressi e tramite quello
strumento di polizia internazionale che era la Santa Alleanza.
Comprendere il Congresso di Vienna è molto importante per
capire in seguito gli scopi della Restaurazione, in quanto fu
proprio questa assemblea il simbolo dell'iniziativa intrapresa dalle
superpotenze del continente.
Conseguenze della Restaurazione
Alla caduta di Napoleone e del suo Impero, in Europa serpeggiava
l’idea che si era chiusa una parentesi: ora c’era l’Europa di prima
da ricostruire. Teoricamente si cercò di ritornare
integralmente all’Ancien Régime, ma in pratica si
trovò un compromesso fra il vecchio e il nuovo sistema di
governo culminante nel Congresso di Vienna. Molte delle istituzioni
francesi, in campo amministrativo, giuridico ed economico, vennero
mantenute là dove i francesi le avevano instaurate. Era poi
difficile sradicare dalle coscienze le idee di libertà e
uguaglianza introdotte con la rivoluzione. Infine, questo tentativo
di ritorno all’Ancien Régime era un compromesso antistorico,
per l’irreversibilità del processo di secolarizzazione
iniziato, o meglio, affrettato dalla rivoluzione francese.
Conseguenze dal punto di vista politico
Dal punto di vista politico furono ripristinate o abolite molte
istituzioni introdotte dalla rivoluzione francese: per es. il
divorzio introdotto in Francia nel 1792 e abolito nel 1816 (per
essere nuovamente ripristinato nel 1884). Si cercò, come
nell'Ancien Régime, una più stretta unione fra trono e
altare, fra Stato e Chiesa (ne è un esempio clamoroso la
consacrazione regia di Carlo X nel 1824).
Cambiamenti della geografia politica
Dopo il congresso, la geografia politica del continente subì
molte modifiche: le potenze vincitrici cambiarono a loro vantaggio i
loro confini, talvolta annettendosi piccoli stati: la Prussia
ottenne la Renania; nacque il Regno dei Paesi Bassi; l'Impero russo
acquistò posizione nel centro Europa annettendo la
Bessarabia, la Finlandia e parte della Polonia; la Gran Bretagna
acquisì il controllo di alcune isole ioniche: (Corfù,
Zante, Cefalonia).
Il Sacro Romano Impero non fu ricostituito e al suo posto venne
creata la Confederazione germanica, presieduta dagli Asburgo;
quest'ultimi imposero il loro dominio sulle annesse Repubblica di
Venezia e Repubblica di Ragusa.
La Repubblica di Genova fu unita al Regno di Sardegna allo scopo di
costituire un più efficace stato cuscinetto nei confronti
della Francia.
La regione veneta fu unita col vecchio Ducato di Milano a formare il
Regno Lombardo-Veneto diretto subalterno dell'Austria.
Nel resto della penisola italiana furono ripristinati i precedenti
stati, ossia il Ducato di Parma, il Ducato di Modena, il Granducato
di Toscana, lo Stato della Chiesa (privato delle sue storiche
enclave francesi ).
Il Regno di Napoli venne ricondotto sotto la monarchia di Ferdinando
IV di Borbone che già governava il Regno di Sicilia che venne
abolito nel 1816 con la creazione del Regno delle Due Sicilie con
capitale Napoli. Il re assunse il nuovo titolo di Ferdinando I delle
Due Sicilie.
A Parigi, nel maggio 1814, era stato insediato il nuovo re Luigi
XVIII fratello minore del decapitato Luigi XVI.
Conseguenze dal punto di vista religioso
Dal punto di vista ecclesiastico, è possibile elencare questi
aspetti:
ci fu un tentativo di ritornare a una società ufficialmente
cristiana. Esempi: il diritto dei vescovi di far ritirare libri
pericolosi; la legge contro il sacrilegio in Francia; una pastorale
cattolica fondata in molti casi ancora sulla coazione (per essere
ammesso per es. a un esame universitario occorreva un certificato di
adempimento dei doveri religiosi, il cosiddetto «biglietto
pasquale»); ma anche un serio sforzo di rinnovamento religioso. Ad esempio:
* la riforma degli antichi ordini religiosi e
restaurazione della Compagnia di Gesù;
la nascita e proliferazione di nuovi istituti
religiosi, maschili e femminili; specialmente nel settore femminile
il fenomeno costituisce una novità quasi assoluta;
* un forte sviluppo delle missioni popolari in
Francia, Italia e nei paesi tedeschi, per riparare alla
scristianizzazione delle masse (possiamo vedervi i primi germi di
una azione cattolica);
* la nascita di società (a volte
semi-segrete) per la difesa della fede, con influssi politici reali
e fortemente reazionari (cfr. i Chevaliers de la Foi di Ferdinand de
Bertier; la «Congregazione mariana» dei gesuiti a
Parigi);
Innegabile fu l’anticlericalismo di molti ambienti della
restaurazione, che è poi all’origine dell’anticlericalismo
liberale.
L'epoca della restaurazione per la Chiesa coincise con l'opera
teorica di Antonio Rosmini e i pontificati di Pio VII (1800-1823),
Leone XII (1823-1829), Pio VIII (1829-1830) e Pio VIII (1831-1846).
In ambiente curiale romano si dibattevano due linee, due modi di
interpretare questo periodo:
* i politicanti (detti anche liberali), che si
affidano ai mezzi politici per realizzare la necessaria
restaurazione cattolica: perciò si mostrano concilianti verso
alcune aspirazioni moderne, e moderati nelle relazioni con i diversi
governi (consci dei vantaggi che la Chiesa può avere dai
favori ufficiali); fanno parte di questo partito i Papi Pio VII e
Pio VIII;
* gli zelanti, decisamente contrari ai precedenti,
fautori dell’assolutismo in politica e del ritorno della religione
di Stato, ma insieme desiderosi di vedere la chiesa libera da ogni
ingerenza statale; in genere sono conservatori, fermi agli antichi
privilegi, motivati, più dei politicanti, da considerazioni
religiose; fanno parte di questo partito i Papi Leone XII e Gregorio
XVI.
Gli obiettivi della restaurazione
La Restaurazione in effetti si identifica con la volontà
unanime del Congresso anche se successivamente vedremo come si
creeranno delle discordie anche all'interno di questo circolo
privato nazionale.
L'errore principale commesso dai monarchi del XIX secolo consiste
nel non aver saputo (o meglio nel non aver voluto) conciliare le
ideologie presenti con quelle passate, imponendosi prepotentemente
sui governi di tutta Europa in modo assolutistico senza aver tenuto
conto delle nuove idee di nazionalità, liberalismo e
democrazia che, la Rivoluzione Francese prima e Napoleone poi,
seppur inconsciamente e involontariamente, avevano insinuato nelle
menti dei popoli.
In sintesi, l'Europa era ideologicamente cambiata dall'avvento di
Napoleone ma i sovrani del tempo sembrarono non voler tener in conto
questo fatto, fingendo che 26 anni di storia (1789-1815) non fossero
mai esistiti.
Le conseguenze di questo atteggiamento intollerante si
manifesteranno sull'Europa cinquant'anni più tardi prima nel
Risorgimento italiano e poi nelle Rivoluzioni che scuoteranno il
secolo successivo.