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di Imanuel Geiss
Sommario: 1. Definizione ed etimologia del termine. 2. Mito e
realtà. 3. Elementi distintivi del razzismo. 4. L'idea razziale
nell'antichità. 5. Le teorie razziali nell'età moderna. 6. I primi
teorici. 7. L'affermarsi del razzismo moderno. 8. La fondazione
'scientifica' delle moderne teorie razziali. 9. Il razzismo in
Germania. 10. Il razzismo dopo il 1945.
DEFINIZIONE ED ETIMOLOGIA DEL TERMINE
Nel presente articolo indicheremo con 'razzismo' l'insieme delle
teorie razziali in quanto distinte sia dalla discriminazione
razziale intesa come razzismo messo in pratica, sia
dall'antisemitismo, sebbene spesso tali concetti siano usati come
equivalenti.'Razzismo' è uno di quei concetti del nostro tempo che
sfuggono a una definizione precisa e unanimemente accettata. Come
spesso accade, anche in questo caso può essere d'aiuto richiamarsi
alla storia del termine, poiché le parole non sono frutto di un
arbitrio intellettuale, ma rispecchiano in forma astratta la realtà
stessa dei fenomeni.
Il termine 'razzismo' venne coniato tra le due guerre mondiali
nell'Occidente democratico come protesta verso teoria e prassi del
nazionalsocialismo tedesco, che nel Terzo Reich si appellava alla
propria 'dottrina razziale' intesa in un'accezione positiva,
rifiutando le connotazioni polemiche insite nel termine razzismo.
Nel 1945, dopo il crollo del nazismo, 'razzismo' assunse i caratteri
di una categoria oggettiva, ma nello stesso tempo divenne un termine
spregiativo usato in senso politico-ideologico per diffamare gli
avversari.Il razzismo può essere considerato l'edificio teorico che
fa da complemento alla discriminazione razziale moderna, il
complesso di dottrine che guida e fonda la prassi razzista. Suo
assioma fondamentale è la distinzione tra presunte 'razze superiori'
e 'razze inferiori', in quanto postula la superiorità innata,
fondata biologicamente, di una determinata razza - nella
fattispecie, della razza cui appartengono coloro che lo propugnano.
Il razzismo in senso proprio nasce solo nell'età moderna, e più
precisamente a partire dall'illuminismo, allorché viene fissato in
forma scritta in trattati, saggi, articoli e norme legislative. Già
in precedenza, peraltro, esistevano pratiche e orientamenti analoghi
che possiamo definire 'protorazzismi'.
Se il razzismo moderno era l'ideologia con cui i bianchi cercavano
di legittimare le loro pretese di dominio sul resto del mondo, forme
di protorazzismo si ritrovano in tutti i luoghi e in tutte le epoche
storiche in cui è esistita una situazione analoga di preminenza di
determinati gruppi su altri subordinati. Le ideologie protorazziste
non ebbero un'esplicita formulazione o sistematizzazione teorica;
ciò si deve anche al fatto che di solito erano sancite sul piano
religioso.Sulla definizione del concetto di 'razza', com'è noto, non
esiste unanimità di vedute tra gli studiosi; il numero stesso delle
razze è oggetto di controversie, come già rilevava ironicamente
Darwin nell'Origine dell'uomo allorché elencava le ipotesi avanzate
dai vari autori: 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 11, 15, 16, 22, 60, 63. La
definizione delle 'razze' è assolutamente arbitraria. In questo caso
l'etimologia del termine può essere d'aiuto. 'Razza' deriva senza
dubbio dalle lingue romanze (spagnolo 'raza', portoghese 'raça',
francese 'race'), e da queste è stato mutuato in seguito dal tedesco
e dall'inglese. Tutte le altre etimologie restano ipotesi dubbie. La
più plausibile rimanda all'arabo 'ras', che significa 'capo, testa',
ma anche 'stirpe', 'discendenza' (nobile o aristocratica): chi
'aveva razza' aveva la sua stirpe ('ras') 'nella testa' ('ras'),
ossia la conosceva a memoria, e poteva elencare un numero pressoché
sterminato di illustri antenati (di sesso maschile).L'orgoglio per
la stirpe aristocratica era particolarmente spiccato tra le tribù
nomadi dei Berberi d'Arabia, che a partire dal 711, a seguito della
Conquista, si insediarono nella penisola iberica.
All'incontro/scontro con gli Spagnoli e i Portoghesi si deve forse
la comparsa del termine 'razza' nelle lingue iberiche. Il vocabolo
originariamente veniva impiegato sia per gli uomini che per gli
animali - in particolare per i nobili cavalli 'purosangue' arabi.
Perlomeno dopo Auschwitz, però, non è più lecito parlare di 'razze'
in riferimento all'uomo, e per questo motivo il termine in tali
occorrenze comparirà qui sempre tra virgolette. Spesso al concetto
di razza era associata l'idea di appartenenza a una stirpe superiore
alle altre per valore e nobiltà. Chi era di 'razza' nel senso
originario del termine, costituiva una presunta razza 'superiore'.
MITO E REALTÀ
Il concetto di razza denota anche fatti oggettivi, ossia la
divisione dell'umanità nelle tre principali 'razze' (bianca, gialla,
nera), che oggi sarebbe peraltro preferibile chiamare 'grandi
gruppi' in contrapposizione a gruppi di minori dimensioni
difficilmente classificabili. Sarebbe irragionevole chiudere gli
occhi di fronte a tali differenze, reali quanto basilari, tra gli
esseri umani. A scanso di equivoci, occorre però precisare che alle
'razze' non sono associati particolari valori individuali o
collettivi tali da determinare una superiorità o inferiorità
'innata', 'razziale' in senso biologico e quindi permanente dell'uno
o dell'altro gruppo. I concetti di 'superiore' e 'inferiore'
rinviano piuttosto alla posizione assunta da alcuni grandi gruppi
umani ('razze') nel corso della storia, al ruolo che essi hanno
svolto nel processo di civilizzazione. La 'superiorità' in questo
caso non ha nulla a che vedere con fatti biologici, ma è legata
invece all'accesso diversificato delle varie società o gruppi umani
ai principali centri dell'evoluzione, ai contatti e alle possibilità
di contatto, poiché lo sviluppo di una società complessa è
impossibile o seriamente ostacolato nell'isolamento.
Le differenze di fatto esistenti tra i grandi gruppi umani, e che
vanno al di là dei semplici caratteri fisici (colore della pelle,
tipo di capelli, forma degli occhi, ecc.), si possono pertanto
spiegare in termini di differenze nel livello di sviluppo, che
determinano un vero e proprio ordinamento gerarchico di rango e di
'beccata' tra i popoli: i gruppi e le società che di volta in volta
si trovano in condizioni di superiorità disprezzano quelli
subordinati, soprattutto quando questi sono costretti a lavorare per
i 'superiori' in qualità di schiavi, servi della gleba, iloti, ecc.
Il razzismo moderno appare dunque come un'ideologia intesa a
legittimare l'effettiva supremazia mondiale degli europei
('bianchi') o dei loro ceti superiori in quanto posti al vertice
della piramide dello sviluppo nell'età moderna. La spiegazione
razionale del razzismo rimanda dunque a fenomeni socioeconomici, la
cui copertura ideologica ha subito un processo di autonomizzazione
nelle teorie razziali.
ELEMENTI DISTINTIVI DEL RAZZISMO
Auschwitz come simbolo del genocidio perpetrato dal Terzo Reich
nella seconda guerra mondiale ('Olocausto', 'soluzione finale' della
questione ebraica) e l'apartheid in Sudafrica possono essere
considerati, nonostante il diverso grado di impiego della violenza
che li caratterizza, gli esempi estremi delle due principali forme
del razzismo, i cui presupposti storici si sono sviluppati in larga
misura in modo indipendente. In Germania l'antisemitismo e il
razzismo contro i negri finirono per confluire, nel movimento di
agitazione politica dei gruppi populisti sin dal 1900, e
nell'opinione pubblica più ampia verso la fine della prima guerra
mondiale; tuttavia mentre il razzismo tedesco contro i negri rimase
in larga misura un fenomeno propagandistico, che esplose nel 1923
con l'occupazione francese dell'area della Ruhr, attuata anche con
soldati di colore, l'antisemitismo assurse tra il 1944 e il 1945 a
dottrina ufficiale di Stato del nazismo nel Terzo
Reich.Nell'antisemitismo nazista e nell'apartheid sudafricano si
possono cogliere nel modo più chiaro gli elementi centrali del
razzismo: la xenofobia e l'odio per gli stranieri; l'endogamia come
rifiuto della commistione con 'razze inferiori'; l'orgoglio
aristocratico per la presunta 'purezza di sangue'; la creazione di
un sistema gerarchico di caste superiori e caste inferiori;
l'etnocentrismo; lo schiavismo; l'atteggiamento di superbia di tutte
le culture evolute nei confronti dei 'barbari' e dei 'selvaggi', e
dei 'barbari' nei confronti dei 'selvaggi'; il rifiuto dei diritti
umani attraverso la negazione della dignità umana; il disprezzo per
i seguaci di altre religioni. L'idea fissa della 'purezza di sangue'
fa nascere inevitabilmente il problema dei 'mezzosangue', frutto
della mescolanza di gruppi diversi. La posizione intermedia che essi
hanno tra dominanti e dominati concretizza e acuisce la tensione tra
la pressione per il riconoscimento dell'eguaglianza e la sua
negazione che arriva sino alla discriminazione e persino alla
discriminazione razziale. Nel complesso
dell'antisemitismo/antigiudaismo, un ruolo analogo è assunto dai
cosiddetti conversos, gli ebrei convertiti al cristianesimo e i loro
discendenti, nonché quelli più o meno assimilati. Tutti questi
elementi - con diverso grado di intensità, isolatamente o in
combinazioni di volta in volta diverse - si ritrovano anche nei
protorazzismi di ogni tempo e di ogni luogo.
Solo il razzismo moderno tuttavia unificò tutti i singoli elementi
dei protorazzismi sistematizzandoli in costrutti teorici. Un
presupposto basilare del razzismo, perlopiù occultato
ideologicamente, è costituito dalle differenze oggettive di sviluppo
e di ricchezza, che a livello soggettivo si trasformano in
meccanismi di disprezzo e di odio, in pretese di superiorità e in
una compensazione aggressiva di complessi di inferiorità.
L'antisemitismo/antigiudaismo riguardava fondamentalmente i rapporti
interni dei 'bianchi', poiché sia gli ebrei in quanto semiti che i
'caucasici' appartengono alla 'razza bianca'. L'antico antigiudaismo
nell'Impero romano era stato fomentato da una effettiva situazione
di competizione socioeconomica e culturale nelle città dell'Impero
d'Oriente tra due gruppi urbanizzati e altamente civilizzati, i
Greci e gli Ebrei, ma si espresse fondamentalmente sul piano
religioso. Le Chiese cristiane, sia quella cattolico-latina che
quella greco-ortodossa, tramandarono i pregiudizi contro gli Ebrei
estremizzandoli e dando loro una sanzione religiosa. Nel corso dei
secoli, se non dei millenni, tali pregiudizi subirono un processo di
autonomizzazione, cosicché in seguito gli esponenti
dell'antigiudaismo persero memoria della situazione storica
originaria da cui erano scaturiti. Per contro
l'antigiudaismo/antisemitismo cristiano dei secoli successivi fu
alimentato soprattutto dai complessi di inferiorità in campo
economico, sociale e culturale delle società prima contadine e poi
industrializzate nei confronti degli Ebrei. In quanto più antico
popolo letterato e urbanizzato nella storia mondiale, dopo il
declino del mondo antico, gli Ebrei rappresentarono sempre anche un
modello di continuità culturale rispetto ai 'popoli ospiti', rimasti
per lungo tempo analfabeti. Agli occhi degli abitanti delle
campagne, di conseguenza, gli Ebrei urbanizzati che svolgevano
professioni intellettuali non erano altro che 'parassiti'.
Il razzismo contro i negri tipico dei 'bianchi' - ma anche dei
'gialli' (cinesi e giapponesi) - si fonda sulla superiorità
tecnico-materiale degli europei rispetto a 'razze' di colore
diverso, e a differenza dell'antisemitismo riguarda i rapporti dei
'bianchi' con l'esterno. Suo presupposto storico essenziale è lo
schiavismo; sin dall'antichità infatti l'Africa Nera aveva
rappresentato una importante riserva di schiavi per il mondo
occidentale, cosicché in genere al di fuori dell'Africa gli africani
erano conosciuti solo come schiavi. La tratta dei neri nel Nuovo
Mondo non fece che riattivare, rafforzare e diffondere nell'età
moderna tali meccanismi più antichi.
Ad alimentare l'orgoglio razziale dei bianchi contribuì anche il
'mito ariano' - gli indoeuropei sarebbero stati gli unici o i più
antichi creatori e portatori di cultura, e ciò solo perché tra
alcuni popoli indoeuropei, come gli Indoari, i Germani e i Celti,
predominava probabilmente il tipo biondo di pelle chiara. D'altro
canto il sistema castale indiano che si andò affermando nel
millennio successivo alla conquista indoaria dell'India
settentrionale (1500 a.C. circa) è il primo esempio di apartheid
istituzionalizzato praticato in modo continuato. Il sistema delle
caste poté fare a meno di una fondazione teorica fissata in testi
scritti poiché era ed è tuttora sancito sul piano religioso
attraverso la credenza nella metempsicosi.
Ogni società antica, qualunque fosse il suo livello di sviluppo,
considerava solo i propri membri (di sesso maschile) come esseri
umani a pieno titolo, escludendo dal genere umano le donne, i servi,
gli schiavi e i gruppi culturalmente inferiori. La negazione della
dignità umana e quindi dei diritti dell'uomo era generalizzata nella
prassi irriflessa di tutte le società: l'estraneo era identificato
senz'altro con il nemico, e in quanto isolato e privo di tutela
facilmente riducibile in schiavitù. Quale forma estrema di lavoro
coatto lo schiavismo perpetuava la negazione dello status di esseri
umani. Dopo l'emancipazione, il disprezzo per gli schiavi,
considerati esseri subumani, si estese anche ai loro discendenti
quando questi, come accadeva in America, erano fisicamente e quindi
'razzialmente' diversi dal resto della popolazione bianca. Il
moderno razzismo contro i negri si sviluppò dalla problematica degli
ex schiavi, che prima della emancipazione universale del 1863-1865
erano perlopiù meticci. La discriminazione razziale, soprattutto
negli Stati Uniti, fu una conseguenza immediata dell'emancipazione;
analogamente, l'emancipazione degli Ebrei portò all'antisemitismo,
sebbene perlopiù solo dopo secoli di tentata assimilazione.
Per delineare un quadro storico del razzismo è necessario istituire
un collegamento tra il piano delle teorie e delle idee e quello dei
fatti storici concreti, perché solo così si può evitare che
l'esposizione delle dottrine dei vari autori nella loro successione
cronologica si trasformi in un mero esercizio accademico-scolastico
fine a se stesso. Le teorie infatti avevano una duplice funzione: da
un lato sistematizzavano ed esplicitavano il sapere dell'epoca,
inquadrandolo in edifici concettuali preesistenti o creandone di
nuovi; dall'altro contenevano indicazioni per un'azione politica
concreta da attuarsi in un futuro imprecisato, influenzando il
pensiero delle élites e prima o poi anche l'opinione pubblica più
ampia. Nel fornire direttive politiche alla loro società, i teorici
del razzismo influenzarono, seppure indirettamente, anche il corso
della storia; nello stesso tempo le teorie gettano luce sulla realtà
storica stessa. Esiste dunque una stretta interdipendenza tra
sviluppi teorici ed eventi storici, cosicché non si possono
comprendere appieno gli uni senza gli altri.
L'IDEA RAZZIALE NELL'ANTICHITÀ
Solo nell'età moderna emergono singoli autori cui ricondurre le
teorie razziali. I primi tentativi di spiegare le divisioni
dell'umanità si mossero dapprima sul terreno dei miti collettivi o
delle rappresentazioni religiose, e si collocavano quindi nel
contesto delle concezioni generali relative alle origini del mondo
(cosmogenesi) e alla sua fine, nonché al posto dell'uomo
nell'accadere cosmico.Le distinzioni tra 'razze' erano estranee alla
visione del mondo egizio, poiché dopo la conquista della Nubia la
popolazione di pelle nera venne integrata saldamente nella civiltà
dell'antico Egitto. I negri dunque non erano conosciuti unicamente
come schiavi. Di conseguenza i confini tra il gruppo di appartenenza
e il mondo esterno - come avviene del resto in tutte le grandi
civiltà, dalla Cina all'antica Grecia - erano concepiti come confini
tra civiltà e 'caos' della 'barbarie', a prescindere dal colore
della pelle di quelli che di volta in volta assumevano i ruoli di
popoli 'civilizzati' e di 'barbari'. Successivamente la concezione
non razzistica propria dell'antico Egitto venne ripresa dai Greci,
anche se l'orgoglio di questo popolo per la propria civiltà poteva
assumere connotazioni quasi o protorazzistiche.
La concezione egizio-greca fu soppiantata dal racconto
mitico-religioso del libro della Genesi dell'Antico Testamento, in
cui la divisione dell'umanità viene ricondotta alla maledizione di
Noè: "Maledetto sia Canaan il figlio di Cam! Sarà l'infimo servo dei
suoi fratelli!" (Genesi, 9, 24-27). La tripartizione dell'umanità
nei discendenti dei figli di Noè: Jafet, Sem e Cam rispecchiava i
tre grandi gruppi conosciuti all'epoca in Occidente - i bianchi
(figli di Jafet), i semiti e i figli di Cam, che (in seguito)
vennero identificati con i neri e già da allora associati
perpetuamente, ossia in modo intrinseco-strutturale, alla schiavitù.
Successivamente, il cristianesimo e l'islamismo ripresero e
accentuarono questa interpretazione, che diverrà l'argomentazione
standard di tutti gli esponenti del razzismo moderno che si
richiamano alla Bibbia. Alle latenti implicazioni razzistiche della
maledizione di Noè si contrapponeva però il superiore principio
dell'uguaglianza di tutti gli uomini davanti a Dio enunciato
all'inizio della Genesi: "E Iddio creò l'uomo a sua immagine" (1,
27). Sarà questo il principio fondamentale cui si richiameranno in
seguito tutte le argomentazioni non razzistiche o antirazzistiche
che l'Europa oppose al razzismo da cui fu dominata per lungo tempo.
LE TEORIE RAZZIALI NELL'ETÀ MODERNA
Solo l'espansione europea oltreoceano, a partire dalla scoperta di
Cristoforo Colombo nel 1492 e dal viaggio di Vasco da Gama nelle
Indie nel 1498, mandò in frantumi la visione eurocentrica del mondo
e dell'umanità che aveva dominato sino a quel momento, portando a
conoscenza l'esistenza di gruppi umani che non rientravano nella
classificazione biblica. Si cercò allora di concettualizzare la
nuova situazione creando nuove categorie in grado di fissare la
posizione degli occidentali rispetto a un'umanità diversa e sino ad
allora sconosciuta. Si trattava ancora di invenzioni collettive e
anonime, ma la loro comparsa è databile con certezza e in sé assai
istruttiva: di 'negri' si comincia a parlare intorno al 1516, ossia
quando comincia la tratta degli schiavi nelle terre d'oltreoceano;
'mulatto' compare verso il 1604; 'casta' e 'meticcio' risalgono al
1615; 'bianchi' diventa d'uso corrente nelle colonie inglesi del
Nordamerica verso il 1689 circa, ossia all'inizio dell'espansione
coloniale britannica.Nello sviluppo delle dottrine razziali moderne
emerge in modo particolarmente evidente l'interazione tra la sfera
delle idee e quella della realtà storica. Allo spostamento dei
centri di gravità nazionali in Europa nel corso dell'espansione
oltreoceano fa riscontro un analogo processo sul terreno delle
dottrine razzistiche. All'inizio l'egemonia in questo campo fu
detenuta dagli Spagnoli, che dibattevano sul posto da assegnare
nell'umanità agli Indios trovati in America e ai negri importati
come schiavi dall'Africa.
Con il declino politico-coloniale della penisola iberica, a partire
dalla metà del XVII secolo, furono la Francia e la Gran Bretagna ad
assumere un ruolo di primo piano sia nel campo dell'espansione
coloniale, sia in quello delle teorie razziali. Da allora in poi
Francesi e Inglesi fornirono significativi contributi alla
sistematizzazione teorica delle nuove conoscenze, e ciò fu nello
stesso tempo un riflesso della loro crescente partecipazione alla
tratta degli schiavi e alla produzione di zucchero basata sul lavoro
schiavile nei Caraibi. Solo verso la fine del XVIII secolo nel
dibattito cominciarono a inserirsi anche autori tedeschi -
preannunzio, dapprima solo teorico-accademico, della futura
espansione del nuovo Impero tedesco al principio del Novecento, e
del ruolo preminente che la Germania avrebbe avuto da allora nella
teorizzazione, nella prassi e nella propaganda del razzismo sino al
1945.
Egualmente degna di nota è la 'divisione del lavoro' tra Vecchio e
Nuovo Mondo per quanto concerne il razzismo contro i negri. Con la
scoperta dell'America vennero creati i presupposti storici per la
nascita di questa forma di razzismo: acquisizione da parte dei
'bianchi' europei dello status di padroni degli schiavi nelle
piantagioni del Nuovo Mondo e del dominio mondiale da un lato,
riduzione del resto del mondo a riserve di schiavi, colonie, fonti
di materie prime e mercati di sbocco per gli europei dall'altro. La
sistematizzazione teorica delle notizie sui paesi e sui popoli dei
lontani territori d'oltremare che affluivano nelle metropoli degli
imperi coloniali continuò in Europa sino alle soglie del razzismo
moderno. Fu comunque nelle colonie del Nuovo Mondo che il razzismo
esplose per la prima volta e nella sua forma più massiccia. Dalla
Giamaica, uno dei centri di produzione dello zucchero basata sul
lavoro schiavile, esso si diffuse a partire dal 1788, ossia
all'inizio del movimento abolizionista e dell'emancipazione degli
schiavi, anche negli Stati Uniti di recente formazione.Nel frattempo
nel Vecchio Mondo continuava la tendenza razzistica presente già da
lunga data, e venne rafforzata dal razzismo del Nuovo Mondo, dove
prassi (schiavismo, discriminazione razziale) e teoria procedevano
di pari passo. Se nel Vecchio Mondo il razzismo contro i negri era
conosciuto in via essenzialmente teorica e per sentito dire, nella
seconda metà del XIX secolo, con il pieno affermarsi
dell'industrializzazione e del nazionalismo, ebbe uno sviluppo
impetuoso la seconda forma di razzismo, storicamente più antica,
ossia l'antisemitismo.
Sotto un altro aspetto ancora la storia delle dottrine razziali può
rivestire un interesse particolare che va ben oltre il tema
specifico. Secondo una interpretazione piuttosto formalistica del
progresso, quella che di volta in volta si presenta come la teoria o
la concezione più nuova, e dunque più moderna, costituirebbe lo
'stadio più avanzato della ricerca' e in quanto tale è considerata
automaticamente migliore di quelle precedenti. La storia delle
teorie razziali dimostra peraltro che può essere vero anche il
contrario: dacché, a partire dal 1774-1785, cominciarono ad
argomentare in senso razzistico, gli esponenti di tale 'scienza'
apparentemente moderna per due secoli hanno prodotto conseguenze
sempre più catastrofiche.Nel quadro dello sviluppo generale del
razzismo si può citare un esempio che illustra assai bene questo
punto. Alla fine del XVIII secolo si affermò la teoria poligenetica,
secondo la quale l'umanità avrebbe avuto un'origine molteplice,
sarebbe derivata da una varietà di ceppi. Tale teoria forniva una
risposta apparentemente plausibile alla antiquata divisione biblica
dell'umanità seguita alla maledizione di Noè, e offriva una
sistematizzazione 'scientifica' delle nuove informazioni
sull'esistenza di gruppi umani che non rientravano nello schema
della Genesi. Il primo illustre esponente della teoria poligenetica,
l'inglese lord Monboddo, salutò addirittura l'Orang-Utan, allora
recentemente scoperto, come "fratello dell'uomo". Si trattava
probabilmente di eccesso di entusiasmo per la riscoperta della
'grande catena dell'essere' - teorizzata da Aristotele e poi caduta
nell'oblio nel mondo occidentale - che va dalla materia inerte,
inorganica, sino all'uomo dotato di piena coscienza (cfr. A.
Lovejoy, The great chain of being, Cambridge, Mass., 1936). Ma già
un anno dopo, in Giamaica, Edward Long associò le due idee -
l'ipotesi poligenetica e l'attribuzione dell'Orang-Utan alla specie
umana - e attribuì loro una chiara impronta razzistica, in quanto
interrompeva la 'catena dell'essere' al di sotto degli europei e
collocava i negri al livello degli Orang-Utan: le teorie più nuove
non sono sempre automaticamente le migliori, o anche solo valide.
I PRIMI TEORICI
L'urgenza di sistematizzare il flusso caotico di nuove conoscenze
nelle metropoli dell'Europa coloniale segnò l'inizio di una serie di
teorie razziali formulate individualmente. Nel 1684 il medico e
viaggiatore francese François Bernier usò per la prima volta il
concetto chiave di 'razza' in senso moderno per indicare le
divisioni tra gruppi umani. Il suo trattato, intitolato appunto
Nouvelle division de la Terre par les différentes éspèces ou races
d'homme qui l'habitent, rappresenta il primo tentativo autonomo e
individuale di ordinare le nuove conoscenze sulle terre d'oltremare
e sui loro abitanti in un sistema razionale, non più legato allo
schema biblico. La nuova categoria della 'razza' non implicava
ancora alcun giudizio di valore morale, non era 'razzistica' nel
senso ristretto, ma aveva un carattere quasi scientifico. Per quasi
un secolo dominò un concetto di 'razza' non razzistico, usato
prevalentemente ai fini di una classificazione scientifica
dell'umanità che le scoperte più recenti rendevano una necessità
pragmatica. Ma a partire dal 1775, allorché l'Europa e il
Nordamerica andarono consolidando il loro status di potenze
mondiali, la categoria introdotta da Bernier assunse gradatamente
connotazioni prettamente razzistiche. Passo dopo passo i vari autori
apportarono i singoli elementi che successivamente avrebbero formato
il razzismo.
Con Bernier hanno inizio le moderne teorie razziali in senso più
ampio: nello stesso tempo, egli aprì la strada alle controversie sul
numero (arbitrario) delle 'razze' e sui criteri per distinguerle. Lo
stesso Bernier non era ben sicuro se le razze fossero quattro o
cinque: europei (più egiziani e indiani); africani; cinesi;
giapponesi e lapponi; amerindiani - che egli tuttavia assimilava
agli europei. Fu ancora un medico, lo svedese Carl von Linné
(Linneo), a elaborare nel suo Systema naturae (1735) il successivo,
grande progetto di classificazione. Per la prima volta dopo
Aristotele, Linneo inseriva nuovamente l'uomo nel sistema della
natura, considerandolo parte del regno animale. Egli fu il primo a
utilizzare come criterio distintivo il colore della pelle, dividendo
i gruppi umani in bianchi, rossi, gialli e neri. Così facendo, però,
diede inizio anche all'associazione di valori morali alle 'razze' -
positivi nel caso dei bianchi, negativi per i neri.Gli illuministi
europei ebbero una posizione ambivalente su quello che un secolo più
tardi diventerà noto come 'problema delle razze'. Ancora in piena
sintonia con l'antica concezione cristiana non razzistica, il
francese G. L. L. Buffon asserì la fondamentale unità del genere
umano, che solo in un secondo tempo si sarebbe differenziato in
molteplici 'variétés'.
Contro la nuova teoria poligenetica, Buffon si attenne all'antiquata
ma più umana monogenesi, alla teoria dell'origine unitaria dell'uomo
che in seguito la scienza moderna ha confermato. Coerentemente con
questa posizione Buffon, al pari di alcuni illuministi tedeschi (tra
cui Herder), rifiutò il concetto di razza, dando così avvio a quella
corrente minoritaria fermamente antirazzistica che si affermò
soprattutto in Francia e in Inghilterra.
Sul versante opposto si colloca invece il filosofo razionalista
scozzese David Hume, che in una nota per l'edizione del 1754 dei
suoi Essays (1741) presentò in forma già condensata gli argomenti
tipici del razzismo moderno: i 'negri' sarebbero per natura
inferiori, privi di civiltà, e perlomeno in Giamaica privi di un
ingegno superiore (ingenuity).Fu Immanuel Kant a introdurre in
Germania il concetto di 'razze' distinguendone quattro: bianca,
negra, mongolica o calmucca, indù o indostanica (Von der
verschiedenen Racen der Menschen, 1775), ma senza conferirgli ancora
alcuna connotazione razzistica.Già in bilico verso l'incipiente
razzismo fu invece l'antropologo tedesco Johann Friedrich
Blumenbach, che nel trattato in latino De generis humani varietate
nativa (1775) riprese la precedente suddivisione pragmatica dei
gruppi umani - caucasici, mongoli, etiopi, americani (Indiani
d'America), malesi - introducendo però un ordinamento gerarchico
delle razze basato su criteri estetici, in cui naturalmente il primo
posto era assegnato al proprio gruppo di appartenenza. Indubbiamente
contro la sua volontà - poiché va detto che Blumenbach fu uno dei
principali sostenitori in Germania dell'abolizione dello schiavismo,
la forma più brutale di razzismo dell'epoca -, le sue teorie
slittarono fatalmente verso posizioni razzistiche: fu Blumenbach a
introdurre il concetto della 'razza caucasica', partendo
dall'ipotesi che il Caucaso fosse la terra d'origine degli europei,
e fu sempre lui a inventare la categoria della 'razza ebraica'.
In Blumenbach confluiscono quindi sul piano teorico le due
principali forme del razzismo moderno: l'antigiudaismo/antisemitismo
e il razzismo contro i negri. Sebbene le sue categorie non fossero
intese come strumenti di lotta contro determinati gruppi
identificati come nemici, tuttavia i futuri razzisti poterono
abusarne utilizzandole come slogan e armi contro le razze
considerate 'inferiori'.
Al pari di Hume, anche Rousseau e Voltaire sostennero l'intrinseca
inferiorità dei 'negri' rispetto agli europei. Voltaire espresse
giudizi improntati prevalentemente al rifiuto e al disprezzo degli
ebrei, considerati incalliti seguaci di superstizioni medievali. La
posizione di Voltaire esemplifica nel modo più chiaro la dialettica
o l'ambivalenza dell'illuminismo, che da un lato propugnava
l'eguaglianza tra gli europei, dall'altro ne rivendicava la
superiorità manifestando un disprezzo razzistico nei confronti dei
negri e carico di implicazioni antisemite nei confronti degli ebrei.
L'emancipazione degli schiavi di cui si fecero sostenitori gli
illuministi contribuì direttamente all'affermarsi del razzismo
contro i negri, indirettamente e in modo più sottile
all'antisemitismo: l'emancipazione degli ebrei infatti era vista con
favore solo a condizione che essi si adeguassero agli altri popoli
europei illuminati, il che significava l'annullamento attraverso
l'assimilazione. Il rifiuto dell'assimilazione da parte degli ebrei,
o la sua negazione da parte dei 'popoli ospiti', ad esempio
attraverso una nuova discriminazione, ebbe come inevitabile
conseguenza l'antisemitismo.
L'AFFERMARSI DEL RAZZISMO MOD
erno
Negli stessi anni il razzismo moderno si era già manifestato in
tutta la sua pienezza nel Nuovo Mondo, per così dire al primo posto
del 'fronte razziale', come verrà chiamato in seguito. In Giamaica -
il centro della produzione dello zucchero e dello schiavismo
britannici nei Caraibi - Edward Long, in un capitolo del secondo dei
tre volumi della sua History of Jamaica (1774) intitolato Negroes,
ripropose tutti i vecchi pregiudizi contro i negri dando loro una
veste pseudoscientifica. Nell'opera di Long, che in Giamaica aveva
potuto conoscere solo negri ridotti in schiavitù, riemerge la
secolare equiparazione tra neri e schiavi. In base alla sua
classificazione delle 'razze', che raggiunge livelli di grossolanità
sino allora sconosciuti, esisterebbero solo tre specie del genere
umano: gli europei e i loro affini, i negri e gli Orang-Utan (la cui
esistenza era nota solo di recente in Europa) sino a tutte le
scimmie senza coda. L'integrazione dell'uomo nel regno animale
inaugurata da Linneo veniva spinta dunque sino all'assurda
conseguenza di collocare i neri tra i bianchi e le scimmie
antropomorfe. Le idee di Long rimasero in auge nelle dottrine dei
razzisti per circa un secolo, e continuarono a essere riproposte
dalla propaganda razzistica di minimo livello morale e intellettuale
sino al XX secolo.
Long era un sostenitore della nuova teoria poligenetica, che da
allora in poi riemergerà solo come argomento razzistico. Fu Long ad
asserire che i mulatti sono sterili (al pari dei muli, da cui
probabilmente il termine deriva), sebbene egli avesse
quotidianamente sotto gli occhi la dimostrazione concreta della
falsità di questa ipotesi. Hitler in Mein Kampf avrebbe ripreso e
divulgato la favola della infecondità delle razze miste, che nel
quadro della sua politica razziale e demografica era destinata ad
avere le più funeste conseguenze. Nel 1788, con la ristampa sulla
rivista newyorkese "Columbia magazine" del capitolo dedicato ai
negroes, Long divenne il principale punto di riferimento del
razzismo nordamericano dopo l'emancipazione degli schiavi.A soli
undici anni di distanza dall'importante contributo di Long, le nuove
idee, dopo una lunga preparazione, penetrarono anche nel Vecchio
Mondo, investendo ora anche la Germania. Sebbene all'epoca questa
non fosse ancora direttamente coinvolta nella politica coloniale,
tuttavia beneficiava indirettamente della generale ripresa economica
che il processo di espansione europea nelle terre d'oltreoceano da
ormai quasi tre secoli aveva contribuito a determinare. I Tedeschi
non potevano e non volevano restare estranei alle nuove conoscenze e
alle nuove dottrine. Gli intellettuali che per primi se ne fecero
interpreti erano attivi in quegli anni in due università,
direttamente o indirettamente collegate alle nuove correnti: quella
di Königsberg e quella di Gottinga, fondata come università
riformata nel 1734 nell'elettorato di Hannover, legato
all'Inghilterra da un'unione personale. A Gottinga venivano
coltivate soprattutto le scienze naturali, il cui spirito pervadeva
peraltro anche le altre facoltà. Fu qui che gli storici illuministi
istituirono la storia come disciplina accademica. Blumenbach vi
deteneva la cattedra di antropologia.
Il filosofo di Gottinga Christoph Meiners aprì la strada al razzismo
anche in Europa con il suo Grundriss der Geschichte der Menschheit
(1785), la prima storia universale in una prospettiva razziale. Fu
Meiners il primo a sviluppare in forma generalizzata le conseguenze
razzistiche della tesi poligenetica, postulando l'esistenza di una
pluralità di "razze umane originariamente diverse" con "caratteri
ereditari e indelebili", ordinate gerarchicamente in base a giudizi
di valore: gli Europei (eccettuati gli Slavi) sarebbero superiori a
tutti gli altri popoli. La concezione di Meiners è improntata a un
dualismo razzistico fondato su criteri estetici (vi sarebbero
sostanzialmente solo due 'razze', una "chiara e bella", l'altra
"scura e brutta"), che arriva al punto di paventare una mescolanza
tra razze nobili e razze vili che porterebbe alla degenerazione
delle prime. Nelle tesi di Meiners si ritrovano già alcuni elementi
chiave delle teorie razziali di Gobineau. Poiché questi fu
fortemente influenzato dalla cultura tedesca ed ebbe in Germania la
massima risonanza, si può affermare che Meiners pose i fondamenti
teorici del razzismo europeo in senso proprio, inaugurando la serie
cumulativa degli apporti tedeschi che ebbero Auschwitz come punto
terminale.
Per onestà e correttezza intellettuale va detto peraltro che Meiners
impiegò anche un altro schema categoriale il quale, epurato da ogni
connotazione peggiorativa o autoglorificante, si rivela utile per
una analisi razionale dell'evoluzione storica dell'umanità.
Secondo tale schema, ai 'selvaggi' (i cacciatori e raccoglitori)
sarebbero succeduti i 'barbari' (che Meiners identificava solo con i
pastori nomadi, escludendo il primo stadio di un'agricoltura
intensiva), e infine la 'civiltà'. Con l'imparzialità derivatagli da
una formazione classica, Marx usò tali categorie in senso oggettivo,
come formule abbreviative per designare complesse strutture
socioeconomiche. Epurato da ogni giudizio di valore e inteso come
schema categoriale definito con precisione e quindi oggettivo, la
triade stato selvaggio-barbarie-civiltà può risultare (nuovamente)
valida, poiché coglie effettivamente alcuni aspetti essenziali
dell'evoluzione dell'umanità. D'altro canto tale oggettivazione di
concetti altrimenti sospetti aiuta a isolare, perlomeno sul piano
teorico, il nucleo essenziale del razzismo - poiché questo si
alimenta sostanzialmente della superbia culturale dei popoli
'civilizzati' nei confronti di quelli non civilizzati, o che lo sono
in misura minore.
Da Meiners in poi continueranno a essere sviluppate senza sosta le
reali implicazioni del dogma razzistico: gerarchizzazione
dell'umanità e degradazione delle 'razze' non bianche. L'anatomista
olandese Peter Camper inventò la craniometria per quantificare la
bellezza fisica del volto umano, istituendo una correlazione tra la
maggiore o minore inclinazione dell'angolo che misura l'aggetto del
bordo alveolare verso l'innanzi (il cosiddetto 'angolo facciale di
Camper') e un ordinamento gerarchico di 'razze' superiori e
inferiori - dagli europei ai calmucchi sino ai negri e alle
scimmie.Julien-Joseph Virey nella sua Histoire naturelle du genre
humain (1801) sviluppò coerentemente le argomentazioni di Meiners,
contrapponendo le 'razze' 'bianche e belle' a quelle 'nere e
brutte'. Lorenz Oken nobilitò la propria teoria razziale
combinandola con la dottrina classica degli elementi: la razza nera
sarebbe 'terrestre' o 'scimmiesca'; quella bianca 'umana' e
caratterizzata dall'elemento igneo; i mongoli sarebbero associati
all'aria, gli indiani all'acqua.
Nella sua Anthropologie (1822) in due volumi, Henrik Steffens
sostituì il termine razza con il neologismo 'lei'. Per il resto
riprese con poche modifiche le tesi di Oken, sicché ogni lei
risultava associato a uno dei quattro elementi, in una progressione
gerarchica crescente articolata nel modo seguente: terra (negri),
acqua (indiani), aria (asiatici mongolici), luce (europei).
Analogamente Carl Gustav Carus, nella sua opera Über die ungleiche
Befähigung der verschiedenen Menschenstämme für höhere geistige
Entwicklung (1848), distinse quattro 'razze' - aurorale (gialla),
diurna (bianca), crepuscolare (rossa) e notturna (nera).
Nel corso del XIX secolo anche il razzismo risentì in vario modo
dell'influsso di diverse scoperte scientifiche che davano il colpo
di grazia alla spiegazione del mondo propria del cristianesimo
ortodosso, già scossa dall'illuminismo. In primo luogo la scoperta
delle lingue indoeuropee - cui a partire dal 1816 il linguista
tedesco Franz Bopp diede con le sue ricerche un ampio fondamento
scientifico- fornì il materiale per il 'mito ariano', la falsa
credenza che tutte le culture evolute siano derivate dagli
indoeuropei, identificati con gli ariani (v. Poliakov, 1971).
Dapprima l'interesse si concentrò in forma ancora nebulosamente
romantica sull'India, che dalla fine del XVII secolo aveva
soppiantato la Cina nelle predilezioni esotiche degli europei. Nello
stesso tempo all'indoeuropeo venne attribuito lo status di lingua
originaria dell'umanità, detenuto in passato dall'ebraico. In
seguito la rosa dei popoli che potevano fregiarsi del titolo di
unici creatori e portatori della civiltà si restrinse agli
indoeuropei del Nord (gli 'indogermani'), ai Germani, ai Celti e
agli Slavi (così sosteneva ancora H. S. Chamberlain), per ridursi
poi in Germania ai soli Germani e ai loro discendenti, i Tedeschi:
nobiltà e bellezza vennero considerati prerogativa esclusiva della
razza bionda con la pelle chiara e gli occhi azzurri
.A partire dalla Vita di Gesù (1835) di David Strauss lo studio
scientifico della Bibbia demolì definitivamente l'autorità delle
Scritture come rivelazione diretta di Dio e indebolì la posizione di
tutti coloro che, seguendo il racconto della Genesi, sostenevano la
teoria monogenetica con le sue implicazioni antirazzistiche (davanti
a Dio tutti gli uomini sono eguali). La geologia moderna tolse ogni
fondamento alla cronologia biblica, estendendo gli spazi temporali
entro cui situare l'origine della Terra e delle specie animali e
vegetali; l'astronomia e l'astrofisica moderne fecero lo stesso per
quanto riguarda la nascita dell'universo. Con la scoperta dell'Uomo
di Neanderthal a Düsseldorf (1856) furono poste le basi dello studio
scientifico della preistoria e dell'origine dell'uomo, proiettata
sempre più indietro nel tempo quanto più 'progrediva' la scienza.
LA FONDAZIONE 'SCIENTIFICA' DELLE MODERNE TEORIE RAZZIALI
Nel giro di pochi anni due autori posero le teorie razziali su nuove
basi 'scientifiche' apparentemente inattaccabili: Gobineau,
soprattutto attraverso la rielaborazione di teorie precedenti, e
Darwin con la nuova teoria della selezione naturale. Sebbene Darwin
non mirasse esplicitamente a costruire una teoria razziale, tuttavia
la sua opera, che in sé si muoveva sul terreno strettamente
biologico, ebbe un impatto rivoluzionario che influenzò anche il
successivo sviluppo delle teorie razziali.Il più importante
esponente delle teorie razziali prima della svolta segnata da
Darwin, il francese Joseph-Arthur de Gobineau, apportò pochi
elementi originali, ma riuscì a sistematizzare e a dare una veste
organica alle idee sino a quel momento disperse e contraddittorie
del razzismo ancora in fase di sviluppo. Già nel titolo della sua
opera principale in due volumi, Essai sur l'inégalité des races
humaines (1854), è preannunciato l'intero suo programma. Sebbene in
quanto cattolico fosse ancora formalmente legato alla narrazione
biblica della creazione, Gobineau destituì di ogni validità la tesi
monogenetica della Genesi postulando l'esistenza di un 'uomo
primitivo' ('adamitico'), da cui in seguito sarebbero derivate le
diverse 'razze'. Pur riproponendo l'idea di un ordinamento
gerarchico tra 'razze' superiori (bianca) e inferiori (nera),
Gobineau attribuì ai negri e agli ebrei considerevoli facoltà; tra i
bianchi, veri creatori di cultura e civiltà sarebbero gli 'ariani',
finché si mantengono 'puri'. Nuove razze potrebbero nascere da una
mescolanza, ma quelle superiori dovrebbero preservare il loro nuovo
status mantenendosi 'pure', per scongiurare il pericolo di una
degenerazione che determinerebbe la loro estinzione, e in ultimo
quella dell'umanità intera. Il pessimismo misantropico di Gobineau
in seguito poté essere interpretato in senso attivistico, come
esortazione alle 'razze superiori' a difendersi da quelle inferiori
attraverso una 'guerra razziale' all'esterno e, all'interno, con la
'selezione', l''eugenetica' e il genocidio.
Come aveva giustamente previsto, con la teoria evoluzionistica
sviluppata in On the origin of species (1859) Charles Darwin risolse
la controversia tra poligenesi e monogenesi in favore di
quest'ultima. Tuttavia anche la teoria monogenetica lasciava ampio
spazio a conclusioni razzistiche. Con il concetto di 'lotta per
l'esistenza' introdotto da Herbert Spencer, il socialdarwinismo
traeva conseguenze razzistiche dal principio dell'evoluzione sociale
attraverso la selezione: le razze più forti e più valide avrebbero
dovuto tenere a freno quelle inferiori ma numericamente
preponderanti. All'epoca dell'imperialismo era chiaro a chi ci si
riferiva, tanto più che Darwin stesso, in The descent of man (1871),
aveva parlato di "razze con diversi caratteri" - espressione che,
avulsa dal contesto, venne ben presto interpretata come un
riferimento alle cosiddette 'qualità razziali'.
Francis Galton, cugino di Darwin, sviluppò ulteriormente il
socialdarwinismo creando con l''eugenetica' una nuova disciplina che
si proponeva il miglioramento della specie umana. Al di là della
preoccupazione moralmente giustificata di migliorare le condizioni
di salute e di vita delle masse nelle città industriali,
l'eugenetica, attribuendo un peso maggiore ai fattori ereditari
rispetto a quelli ambientali, conteneva implicitamente l'idea che
fosse necessario impedire la riproduzione dei membri della società
affetti da malattie ereditarie. Da qui al loro isolamento e al loro
sterminio il passo era breve, come accadde nel Terzo Reich con il
programma di 'eutanasia'. Anche se Galton era inglese, le sue idee,
al pari di quelle di Gobineau, ebbero in Germania la loro massima
risonanza.
Con Spencer, Darwin, Gobineau e Chamberlain il socialdarwinismo
divenne un movimento di massa talmente diffuso sia in Europa che in
America, che risulta difficile isolare altri autori. Numerosi
studiosi con pretese scientifiche - sia biologi (come Ernst Häckel)
che storici e filosofi - applicarono i principî e le idee
dell'evoluzionismo al proprio ambito disciplinare. Anche la
letteratura, sia di alto che di basso livello, contribuì a divulgare
le nuove dottrine, da cui i movimenti di agitazione poterono trarre
i loro slogan politici. Come ideologia di legittimazione fondata su
presunte basi scientifiche dell'imperialismo bianco, il
socialdarwinismo poteva servire a giustificare la lotta contro le
'razze inferiori' all'esterno, e all'interno le rivalità nazionali
nell'ambito del sistema europeo nonché il conflitto tra le classi.
Pertanto anche l'ideologia del nascente socialismo, che si sentiva
autorizzato a "gettare la borghesia nel mondezzaio della storia",
come si espressero in seguito i comunisti, non era altro che un
socialdarwinismo applicato alla lotta di classe. Anche
l'antisemitismo trovò dunque accesso in una corrente del movimento
socialista, soprattutto in Francia e in Russia, mentre un'altra
corrente lo contrastò in via di principio o in generale, soprattutto
in Germania.
IL RAZZISMO IN GERMANIA
Fu comunque in Germania, divenuta intorno al Novecento una delle
maggiori potenze industriali e che aspirava tenacemente al ruolo di
potenza mondiale, che il socialdarwinismo nelle sue estremizzazioni
razzistiche ebbe la massima diffusione. L'esaltazione della razza
tedesca era già cominciata come reazione contro la Rivoluzione
francese e le imprese napoleoniche - una variante tedesca
dell'idealizzazione romantica dei popoli nazionali delle origini (i
Galli per i Francesi, i Britanni per gli Inglesi, i Visigoti per gli
Spagnoli, ecc.). Con il mito della razza ariana cominciò la
restrizione quasi razzistica della rosa dei popoli superiori ai soli
Germani, che escludeva persino altri popoli europei, in particolare
gli Slavi, dalla comunità dei 'bianchi' europei ('indogermani'), per
arrivare infine sotto Hitler alla degradazione degli Slavi a esseri
inferiori che meritavano lo sterminio. Nell'epoca dell'imperialismo
il mito ariano divenne a tutti gli effetti l'ideologia di
legittimazione dell'ascesa fulminea della Germania a massima potenza
del continente europeo, che per due volte fu sul punto di "afferrare
il dominio mondiale" (Fritz Fischer). Ai lampi di genio nel campo
intellettuale - come già aveva predetto con chiaroveggenza Heinrich
Heine nella sua Geschichte der Religion und Philosophie in
Deutschland (1835) - i Tedeschi fecero seguire di fatto lampi e
tuoni, in due guerre mondiali, con tutti i loro misfatti.
Dopo la crisi mondiale (il 'grande crollo') del 1873, le idee di
Gobineau raggiunsero la massima influenza nel Reich tedesco, dove
vennero promosse, divulgate e popolarizzate soprattutto da Richard
Wagner e dalla cerchia di Bayreuth, sino ad arrivare al genero di
Wagner, Houston Stewart Chamberlain, che può essere considerato
l'autentico successore di Gobineau. In Germania, sua patria
d'elezione, Chamberlain poté offrire al suo pubblico colto,
aggiornato sulle acquisizioni più recenti della ricerca scientifica
in molti campi, una Weltanschauung affascinante anche sul piano
letterario, che doveva lusingare le aspirazioni di 'politica
mondiale' dei Tedeschi (v. Chamberlain, 1899). Fu Chamberlain ad
associare per la prima volta l'antisemitismo con il razzismo contro
i negri. Tuttavia, se questi sono definiti "una razza inferiore e in
sé incapace di cultura", il vero e proprio nemico è identificato con
'Giuda' (assieme al 'Rom'). È 'Giuda' che contende ai 'Germani'
(ossia ai 'Tedeschi') il dominio mondiale che spetta loro di
diritto, diventando per ciò stesso il nemico mondiale. Il dualismo
razziale di Chamberlain si spinge sino alla prefigurazione di un
conflitto finale a livello mondiale tra 'bene' e 'male', tra
'Germani' e 'Giuda/Rom'. Guglielmo II e Hitler furono tra gli
ammiratori di Chamberlain, che è altresì considerato dal razzismo
nazista suo padre fondatore e precursore ideologico.
Sebbene sino alla prima guerra mondiale il razzismo di impronta
antisemita restasse in Germania una sottocorrente di estremisti,
tuttavia riuscì a farsi strada sino ai vertici dello Stato. La crisi
generale seguita alla prima guerra mondiale e la disfatta tedesca
nel novembre 1918 contro un 'mondo di nemici' contribuirono a
trasformare il razzismo in una sorta di ideologia di resistenza
teutonica per la rinascita della Germania come potenza mondiale.
Data l'assenza di una 'popolazione di colore' in Germania, destò
particolare scandalo l'occupazione del territorio della Ruhr nel
1923 da parte dell'esercito francese, in cui erano arruolati tra gli
altri anche marocchini e africani (l''oltraggio nero').
Progressivamente il razzismo tedesco, che dapprima si era incentrato
soprattutto sugli Ebrei, cominciò a investire anche gli europei
'inferiori' (Slavi e Francesi 'negrizzati'), nonché gli Italiani,
sia pure in misura minore dopo l'avvento del fascismo. La vittoria
del nazionalsocialismo diede una sanzione ufficiale alla 'dottrina
razziale' che propugnava la superiorità dell'uomo ariano, 'nordico'.
Attraverso l'indottrinamento e l'agitazione politica essa divenne
nel corso della seconda guerra mondiale l'ideologia di
legittimazione del programma di eutanasia all'interno, e della
'soluzione finale' della questione ebraica all'esterno, con lo
sterminio di milioni di Ebrei e la riduzione in schiavitù degli
Slavi.
Negli stessi anni il razzismo si affermò anche in Giappone, mentre
l'Italia fascista, l'altro paese alleato della Germania, non
sviluppò un proprio razzismo autonomo.
IL RAZZISMO DOPO IL 1945
Dopo la sconfitta delle potenze dell'Asse nel 1945, il fascismo
sembrò messo al bando in tutto il mondo, e trovò una esplicita
condanna in vari documenti delle Nazioni Unite e dell'UNESCO.
L'opposizione al razzismo in Europa, sino ad allora sostenuta da una
minoranza, divenne sul piano teorico la posizione della maggioranza.
In pratica, tuttavia, il razzismo continuò a sopravvivere in varie
forme per legittimare la discriminazione. Negli Stati Uniti esso
rimase sino al 1965 una tangibile realtà politica - nel Sud
ufficialmente approvata anche dallo Stato - e da allora ha
continuato a sussistere in forma latente con conseguenze esplosive.
Nell'ideologia dell'apartheid in Sudafrica si mescola una credenza
biblico-calvinistica nella predestinazione, che avrebbe attuato la
sua 'selezione' per così dire in forma concreta, sfociando nella
segregazione dei 'neri'. Accanto ai parallelismi con il razzismo
degli Stati del Sud americani, il razzismo dei boeri presenta
innegabili affinità e simpatie con quello di stampo nazista.
D'altro canto, dopo il processo di decolonizzazione in ampie aree
del Terzo Mondo sono emerse in modo tangibile forme autoctone di
protorazzismo che, prive di una controparte teorica sotto forma di
specifiche dottrine razziali, si configurano principalmente come
prassi discriminatoria nel quadro di conflitti interni. Esiste un
contrasto stridente tra la condanna ufficiale del razzismo e la
discriminazione praticata in varie parti del mondo contemporaneo
(dopo la caduta del comunismo anche nell'ex blocco orientale), che
sfocia talvolta in veri e propri pogrom e massacri.Il razzismo
dunque non è una idea astratta propugnata da singoli individui, ma
lo spietato risultato di un antichissimo meccanismo sociale che ha
portato nel corso dei secoli alla costruzione di una 'teoria
razziale' fondata su una corrente della scienza moderna che allora
si proclamava progressista: l'idea germogliata nella mente di un
singolo si diffuse diventando l'idea di molti; l'idea di molti venne
messa poi in pratica da altri. Nel loro aspetto rivolto al futuro,
le teorie sviluppate per fondare e definire il razzismo avevano una
funzione analoga a quella della fantascienza moderna: si trattava di
direttive per l'azione politica coniugate con utopie
pseudoscientifiche che prefiguravano l'avvento di un presunto 'brave
new world' migliore di quello attuale. Nelle epoche segnate da gravi
crisi - la formazione di nuovi Stati nazionali nel XIX e nel XX
secolo, e attualmente la crisi mondiale dell'industrialismo -
riaffiorano antiche angosce esistenziali che trovano nelle teorie
razzistiche una legittimazione pseudoscientifica per una prassi
discriminatoria e per l'odio verso i rivali nella lotta per
l'appropriazione di risorse sempre più scarse in questa nostra Terra
minacciata sul piano ecologico.