IL PENSIERO ANARCHICO

 

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A cura di Silvia Ferbri
 
 
“Vuoi rendere impossibile per chiunque opprimere un suo simile? Allora, assicurati che nessuno possa possedere il potere” (M. Bakunin)
 
 
È possibile accostare il pensiero anarchico alla filosofia? Se “filosofia” significa amore per il “sapere”, ricerca mai conclusa del “sapere”, del “conoscere”, del “comprendere”, forse non sono molte le correnti filosofiche dall'età moderna in poi, pur così nominate, a poter rivendicare per sé questa qualifica in senso pieno. La maggior parte di esse si limita infatti ad offrire una specifica visione del mondo o dell'uomo, spesso dettagliata e argomentata, il più delle volte considerata un punto di arrivo. Non è anche l'anarchia una particolare dottrina politica, legata a un determinato momento storico? Se approfondiamo un poco la conoscenza di questo pensiero, ci renderemo conto che una definizione più corretta può essere invece “dottrina etico-politica” (molti pensatori anarchici si sono occupati di problemi etici, basti l'esempio di Kropotkin), e se andiamo ancora avanti nella nostra esplorazione, alla fine arriveremo a concludere che può essere ancora più opportuno riconoscerla come “filosofia etico-politica”, e attribuirle quindi lo spazio a cui ha pieno diritto all'interno del pensiero filosofico in senso lato. Potremmo anche dire, rifacendoci ad Aristotele, che si tratta di una “filosofia pratica”, in quanto caratterizzata dall'azione, sia come scopo che come oggetto.
Ma per rispondere con maggiore certezza a simili domande e affrontare con la massima apertura e disponibilità questa ricerca, occorre innanzitutto abbandonare i vari pregiudizi, chiarirci il più possibile le idee, e cioè partire dall'inizio. Il termine “anarchia” è infatti ancora un po' troppo avvolto nella confusione. Muoviamo allora dalle origini, dal significato della parola “anarchia”.

Il termine “an-archia” deriva dal greco “αναρχία”, parola composta dalla radice α-(a-), senza, e dalla radice αρχ- (arch), governo, dominio, e viene solitamente tradotto con le espressioni “senza-comando”, “senza-potere”, “senza-autorità”. “Archi” (archi), primo termine di numerosi composti, deriva dal verbo “archein”, archein, comandare. Così “archia”, archia, da “archos”, archos, “arca”, nelle parole composte dotte significa “governo”, “dominio” (mon-archia, olig-archia) e “an-archos”, an-archos, può essere pertanto tradotto “senza un superiore”. Ma si considera anche, come secondo termine, “arch ”, arché, che unito alla radice α- diviene “an-arch”, an-arché.  “Arché” però, prima ancora di “comando”, “potere”, “autorità”, significa “principio”, “origine e fine di tutte le cose”, perciò “anarchia” può anche voler dire “senza principio”, “senza divinità”, “senza dogmi”.

Una delle definizioni del pensiero anarchico (in forma sintetica) è infatti “né Dio né padrone”. Sébastien Faure disse: “Chiunque neghi l'autorità e combatta contro di essa è un anarchico”. Definizione molto semplice, e per questo incompleta e alla fine fuorviante. I

l pensiero anarchico è in realtà un pensiero complesso, policromo, talvolta contraddittorio. Semplificarlo non aiuta a conoscerlo e a liberarsi dalla confusione cui accennavamo prima. E' un pensiero che ha una sua storia peculiare e un proprio originale nucleo teorico-concettuale, che lo distingue da altre dottrine politiche, come il socialismo o il liberalismo, e che lo rende in un certo senso più ampio di queste, in quanto tende ad occuparsi dell'intera vita umana e non soltanto della gestione politica o di quella economica. Ma ciò che soprattutto lo distingue dalle altre dottrine politiche, è che per l'anarchismo non esiste una “umanità astratta” (di cui invece trattano tanto il liberalismo quanto il socialismo di stato e il comunismo autoritario), ma singoli uomini concreti. Il pensiero anarchico pertanto, diversamente dalle altre dottrine politiche, non ritiene di aver compreso per via filosofica la “natura” dell'uomo, e non si considera legittimato a prescrivere un codice morale e un'etica di comportamento che implichino diritti e doveri uguali per tutti gli uomini.

Nell'anarchia è di fondamentale importanza l'autodeterminazione dell'individuo, di ogni singolo individuo, che è unico e diverso da tutti gli altri, e il suo totale e pieno diritto di scelta, di consenso o di rifiuto. Potremmo provare a definirla quindi una filosofia della libertà. Ma anche così otteniamo una definizione in un certo senso riduttiva e vaga al tempo stesso. Quello anarchico non è un pensiero che rimane tale: è un pensiero legato strettamente all'azione, dando immediata origine all'”anarchismo”. Precisando meglio, l'anarchismo non deriva da riflessioni astratte di qualche intellettuale o filosofo, ma dalla lotta diretta dei lavoratori contro il capitalismo, dalla ribellione degli oppressi contro i loro oppressori, dai bisogni e dalle necessità di questi uomini e dalle loro aspirazioni di libertà ed eguaglianza. I

 pensatori anarchici, quindi, come Bakunin o Kropotkin, non inventarono l'idea dell'anarchismo, semplicemente la scoprirono nelle masse oppresse e sfruttate e la rafforzarono, la chiarirono e la divulgarono. E' l'azione pertanto che dà origine al pensiero. Il fine ultimo dell'anarchismo è infatti quello di un cambiamento sociale. L'anarchia critica la società esistente, di conseguenza non respinge il potere terreno in base a considerazioni prettamente filosofiche o religiose (come i mistici o gli stoici, ad esempio).

Per inciso, si può, senza eccedere in fantasia, tanto per quanto riguarda il pensiero anarchico come per altri pensieri “moderni”, fare accostamenti in alcuni punti con correnti filosofiche più antiche, e in questo caso quindi rilevare alcune somiglianze tra il pensiero anarchico e lo stesso stoicismo, ad esempio, per la sua visione cosmopolita,  o ancora meglio lo scetticismo, per il suo rifiuto di ogni dogma, o l'epicureismo, per la sua concezione materialistica e atomistica, per il suo contatto con la realtà concreta, per la scelta della situazione, delle persone e dei fatti che meglio si armonizzano con la costituzione intellettuale dell'individuo, per l'esclusione delle sterili dispute sulle questioni “supreme”, per la pluralità delle ipotesi, per la vita piacevole accompagnata però dalla rinuncia “al più”, quindi la semplicità e non lo spreco, per il suo rifiuto dell’attività politica fine a se stessa, o, ancora, si può accostare il pensiero e il sentire anarchico ad alcuni aspetti del libertinismo, per il suo richiamo alla dignità e all'autonomia della ragione dell'uomo, per il suo volersi emancipare da ogni forma di servitù intellettuale e per la sua ribellione morale alla legge e alla tradizione invecchiata, a tutto ciò che non permette all'uomo di liberare la sua creatività, quindi per quel suo spirito innovativo, scanzonato e ribelle. Portiamo dentro di noi in vari modi l'intera storia del pensiero che ci ha preceduti, che spesso riemerge in forme nuove.

Riprendendo il filo del discorso, l'anarchia, come abbiamo osservato, non sogna un mondo ultraterreno. Si occupa di questo, dove ora ci troviamo a vivere. Non si esaurisce in desideri o fughe individuali. Né si è mai considerata un pensiero elitario. E’ un pensiero concreto e radicato nel mondo che lo circonda, aperto a tutti quanti gli uomini. Esistono infatti sia il pensiero anarchico che il movimento anarchico, nelle sue varie fasi, forme ed espressioni. E sono qualcosa di inscindibile. Uno non può esistere senza l'altro. L'anarchia in senso astratto non ha senso per gli anarchici, ciò che essi desiderano è realizzarla concretamente, qui e ora. Le idee da sole non significano nulla: vanno messe in pratica nella vita di tutti i giorni, in quella pubblica come in quella privata (per gli anarchici non esiste questa distinzione, così come non esiste distinzione tra i mezzi e il fine che si vuole raggiungere; non si può voler ottenere la libertà, ad esempio, restringendola o negandola), tentando di realizzare in ogni gesto, singolarmente e in comunione con gli altri, quel mondo più umano, più libero, più giusto, che è al centro dell'ideale anarchico.

A questo punto è necessario osservare come invece nell'immaginario della maggioranza degli individui il termine “anarchia” venga associato al caos, al disordine, alla violenza. O all'individualismo e all'egoismo. Oppure, anche riconoscendola come dottrina socio-politica, si tende ad accostarla al “nichilismo” o al “terrorismo”. Tutto questo avviene perché tanto la storia del pensiero anarchico quanto quella del suo movimento sono ben poco conosciute e sono sempre state tenute in ombra. Non è facile così riuscire a capire che anarchia non significa affatto disordine: caso mai il suo contrario, nel senso che gli anarchici tentano di ritrovare, di ricostituire quello che per loro è l'”ordine naturale” delle cose e della vita, deformato e stravolto nel tempo dalle varie forme di sopraffazione, di dominio, di sfruttamento e di potere. Come pensare che uomini come Tolstoj e Godwin, Thoreau e Kropotkin, le cui teorie sociali sono state definite anarchiche, volessero portare nient'altro che il caos, il disordine, la violenza nella società? Altrettanto difficile è in genere comprendere come il rispetto per la libertà dell'individuo, del singolo, visto spesso, in modo errato, unicamente come esaltazione del singolo, come puro egoismo, possa unirsi alla solidarietà nei confronti degli altri, in particolare nei confronti degli ultimi, degli emarginati, degli oppressi.

L'immagine distorta dell'idea anarchica ha diverse cause. Una può forse essere imputata agli stessi anarchici o a una parte di loro, e cioè a quella propaganda che poneva principalmente l'accento sugli aspetti distruttivi della dottrina. Ma non è mancata in realtà neppure la propaganda contraria, quella propositiva e costruttiva, sostenuta costantemente, tra l'altro, da concreti esempi di vita. La ragione principale, invece, parrebbe essere la versione spesso faziosa, in ogni caso superficiale, fornita da sempre dalla storiografia, tanto di destra quanto di sinistra (con grosse responsabilità da parte dei marxisti, a cominciare da Marx in persona, che qualificò l'anarchismo come una ideologia piccolo borghese, espressione immatura, disorganica e unicamente individualistica di ceti sociali in crisi per la disgregazione del mondo contadino e artigiano, e non ancora inseriti nel processo di produzione capitalistico, senza considerare lo scontro di potere all'interno della Prima Internazionale dei Lavoratori). Non di certo ultima, un'altra ragione è il fatto in sé evidente che il pensiero anarchico non piace a chi è al potere (o a chi il potere lo ama o lo condivide): anarchia e potere sono nemici da sempre. (Così come anarchia e gerarchia, anarchia e autoritarismo, anarchia e verticismo).

Gli anarchici non vogliono conquistare il potere (neppure in “nome del popolo”), vogliono eliminarlo. In altre parole si può dire che vogliono frantumarlo  e ridistribuirlo in migliaia e migliaia di piccole unità, tante quanti sono gli esseri umani. I governi perciò, di qualsiasi colore, hanno sempre dato la caccia agli anarchici, hanno cercato di metterli a tacere, hanno sempre tentato di accusarli di ogni atto di terrorismo o violenza e di ogni azione nei confronti della ricchezza e della proprietà privata, così come nei confronti del capitalismo di stato e della sua burocrazia tirannica, tutte cose che gli anarchici desiderano abolire e che i governi e le loro polizie intendono invece difendere ad ogni costo. L'ineguale distribuzione della ricchezza e la proprietà privata, così come il potere di pochi sulla vita dei molti, sono alla base stessa dell'esistenza dei governi e della polizia, secondo l'analisi anarchica ma non solo. Nei nostri tribunali si dovrebbe amministrare la giustizia. Ma come si può considerare giusto, equo, il mondo in cui viviamo? Questo è quanto gli anarchici si chiedono e mettono da sempre in discussione.

Quali sono dunque i caratteri fondamentali del pensiero anarchico? Quali i suoi valori di riferimento? Prima di tutto: quando hanno cominciato ad essere effettivamente utilizzate le parole “anarchia”, “anarchismo”, “anarchico”?

Durante la Rivoluzione francese il girondino Brissot definiva anarchici il movimento degli Enragés, e nel 1793 dava questa definizione dell'”anarchia”: “Leggi non tradotte in effetto, autorità prive di forza e disprezzate, il delitto impunito, la proprietà minacciata, la sicurezza dell'individuo violata, la moralità del popolo corrotta, nessuna costituzione, nessun governo, nessuna giustizia: queste  le caratteristiche dell'anarchia.” Definizione quindi del tutto negativa, rafforzata in seguito dal Direttorio, che sarebbe sceso addirittura alle ingiurie: “Per «anarchici» il Direttorio intende quegli uomini carichi di delitti, macchiati di sangue, impinguati dalle ruberie, nemici di tutte le leggi che non sono state fatte da loro, di tutti i governi in cui loro non governano...”

Possiamo invece attribuire una prima riconoscibile e coerente formulazione del pensiero anarchico all'illuminista inglese William Godwin (1756-1836), quando venne data alle stampe nel 1793 la sua opera Enquiry Concerning Political Justice (che si basa su di un assunto di matrice liberal-libertaria, già sviluppato tra gli altri da Thomas Paine, John Locke e Thomas Jefferson, e cioè la contrapposizione tra la società, considerata naturale e buona, e il governo, lo stato, ritenuto artificioso e malvagio, nato in un'epoca di immaturità della ragione e che si basa unicamente sulla forza, al di là delle varie giustificazioni mitiche sulle quali pretende di reggersi) mentre il primo ad adottare orgogliosamente per sé il termine “anarchico” fu il pensatore francese socialista Pierre Joseph Proudhon, nel suo Che cos'è la proprietà? che uscì nel 1840. “Quale dev'essere la forma del governo nel futuro? Sento alcuni dei miei lettori rispondere: «Ma via, come puoi fare una domanda simile? Tu sei un repubblicano.» Un repubblicano! Si, ma questa parola non dice ancora nulla di preciso. Res publica significa la cosa pubblica; chiunque si interessi alla condotta della cosa pubblica, sotto qualsiasi forma di governo, può dunque chiamarsi repubblicano. Persino i re sono repubblicani. «Ma tu sei un democratico.» Neanche per sogno....«Che cosa sei allora?» Sono un anarchico!”. Proudhon, convinto che nella società operi una legge naturale d'equilibrio, ritenne l'autorità nemica  e non amica dell'ordine, e ribaltò così le accuse rivolte agli anarchici, rivolgendole a sua volta ai fautori del principio autoritario.

Possiamo citare come valori di riferimento quelli emersi dalla Rivoluzione francese: libertà, eguaglianza, solidarietà. (Valori che non hanno poi trovato, a seguito di quella lunga e sanguinosa vicenda, la loro vera e piena applicazione e realizzazione, essendo si in questo caso espressione dell'emergente borghesia, o almeno essa se ne impadronì e li adoperò per i propri interessi).

Anche il liberalismo e il socialismo fecero propri questi valori, ma l'interpretazione anarchica è profondamente diversa: se per il socialismo il valore principale di riferimento è l'uguaglianza e per il liberalismo la libertà, per l'anarchismo tali valori sono del tutto inscindibili e non possono che darsi contemporaneamente. Non vi può essere libertà senza uguaglianza né uguaglianza senza libertà. E la solidarietà verso gli oppressi è sempre presente. L'anarchismo quindi fa riferimento a questi valori, ma in un modo ben preciso, rigoroso e totale. Ciò che è importante rilevare è che l'affermazione anarchica della libertà, individuale e sociale, è radicale e completa, e si unisce all'altrettanto radicale critica nei confronti del principio di autorità, nei confronti del potere e del dominio in quanto tale.

L'anarchismo ne ha combattuto perciò ogni manifestazione storica, in particolare la forma politica assunta dal dominio nella società moderna: lo stato. La critica anarchica non nasce isolata: pensiamo alle svariate espressioni di lotta al potere, tanto religioso che politico, tanto culturale che economico- sociale che percorrono l'era moderna, fino a giungere alla decapitazione di un re sulla piazza della Rivoluzione a Parigi. Ma la critica anarchica appare l'approdo ultimo e quello più radicale e completo, che non accetterà mai compromessi e continuerà a negare ogni tipo di società scissa in governanti e governati. Continuerà a criticare e combattere l'autoritarismo in ogni sua forma, le gerarchie, le istituzioni oppressive nemiche dell'autodeterminazione e della libertà, le disuguaglianze e le ingiustizie sociali, quindi la proprietà privata, l'appropriazione della ricchezza, lo sfruttamento del lavoro altrui, e in tempi più recenti lo sfruttamento delle risorse naturali e ambientali, lo sfruttamento animale, l'inquinamento e lo spreco. Gli anarchici allora, ci si può chiedere, sono contro o a favore del progresso?

La risposta è semplice: l'anarchico non concepisce il progresso come continuo e sfrenato aumento della ricchezza materiale e del consumo, dello sfruttamento tanto del lavoro quanto delle risorse, come distruzione dell'ambiente, come incremento della complessità della vita, ma piuttosto come moralizzazione della società attraverso l'abolizione dell'autorità, dell'ineguaglianza, dello sfruttamento economico e ambientale, e, insieme, come offerta ad ogni singolo essere umano, e a tutti quanti gli uomini, delle stesse possibilità di sviluppo individuale in termini di benessere, cultura, qualità della vita, senza privilegi o discriminazioni di sorta (economiche, etniche, razziali, di genere...). L'anarchismo critica inoltre le barriere nazionali e le disuguaglianze tra i popoli, e il concetto di patria, in nome della quale troppi uomini hanno perduto inutilmente la vita. Non le guerre tra i popoli, tra gli oppressi, quindi, ma un'unica guerra agli oppressori, ai potenti, che per i loro interessi hanno sempre sacrificato la vita dei giovani, dei lavoratori, dei proletari.
A fianco della critica e della lotta, il sogno e il progetto di una società di liberi ed uguali. Una società armonica, che ritrovi il suo proprio equilibrio e quello con la natura intorno a sé.

Come deve essere composta, organizzata la società secondo il pensiero anarchico?

Innanzitutto, nessuna divisione tra governanti e governati, come abbiamo visto.

L'amministrazione degli affari sociali ed economici sarà affidata a piccoli gruppi locali, libere associazioni tra individui, senza regie dall'alto, senza padroni o capi di alcun genere. Quindi federazioni di comuni e di lavoratori, coordinate tra loro in modo circolare e orizzontale, fondate sull'autogestione e la cooperazione, una rete organica di interessi che si equilibrano a vicenda, basata sulla naturale tendenza degli uomini ad aiutarsi reciprocamente, senza necessità alcuna di schemi artificiali di coercizione (mutualismo ed associazionismo, ad esempio, fanno parte della storia del movimento anarchico). La produzione sarà il più possibile locale e differenziata a seconda del terreno, l'industrializzazione non sarà sfrenata e massiccia, avrà grande importanza l'artigianato, il lavoro concreto, bello, creativo, gli oggetti fatti per durare e non “usa e getta” come è nella logica del consumismo. L'impatto ambientale dovrà essere il più basso possibile. L'anarchia non è una forma estrema di democrazia: se nella democrazia sovrano è (teoricamente) il popolo, per gli anarchici “sovrano” deve essere l'individuo, che non ha alcun bisogno di delegare ad altri la gestione dei suoi interessi né di essere “rappresentato”, e che ha pieno diritto di scelta. Inoltre, il pensiero anarchico nega il diritto di qualsiasi maggioranza di imporre la sua volontà a una minoranza. Nega quindi valore in sé alle leggi degli uomini. “Qualsiasi legge deve comparire prima di tutto davanti al tribunale della nostra coscienza.” disse Elisée Reclus, geografo anarchico francese protagonista della Comune di Parigi. “V'è un solo potere”, scrisse Godwin, “al quale posso prestare un'obbedienza convinta: la decisione della mia intelligenza, il comando della mia coscienza.”. L'anarchismo rifiuta poi, oltre a qualsiasi forma di monopolio dei mezzi di produzione e dei prodotti, così come del sapere, la divisione gerarchica del lavoro (intellettuale e manuale) e qualsiasi dicotomia e antagonismo tra città e campagna, tra mente e corpo. Né può l'anarchismo essere qualificato come “ideologia”, perché sempre aperto, mai dogmatico, contrario da sempre a qualsiasi astratta norma morale e a qualsiasi servitù del pensiero.
 
Questo sogno e questo progetto sono stati descritti e rincorsi in modi diversi: l'anarchismo non possiede una sola anima, al suo interno hanno sempre convissuto approcci differenti, tra cui quello rivoluzionario tout court, che considera legittimo il ricorso alla violenza per distruggere gli istituti del dominio, quello gradualista, basato principalmente sulla costruzione graduale e pacifica, quello educazionista o “pedagogico”, che mette al primo posto l'educazione del popolo, la diffusione di una cultura libertaria e il risveglio delle coscienze, anche se queste distinzioni sono in qualche modo arbitrarie e discutibili, un po' perché i confini non sono così netti e poi perché l'anima più profonda è in realtà una sola, ed è l'amore per la libertà nella sua espressione più alta. Solo una autentica libertà in questa vita e in questo mondo può rendere felici gli uomini e in grado di sviluppare al meglio le loro qualità di esseri umani. A questo ideale di libertà (tutt'altro che egoistico) molti anarchici hanno dedicato o sacrificato la propria vita. Tutti questi modi, o correnti, rappresentano in ogni caso un progetto che in sé è sempre rivoluzionario. L'utopia anarchica, lungi dal rifugiarsi in un mondo fantastico, perduto in un remoto passato o in un ipotetico e improbabile futuro, è essenzialmente concreta, perché si fonda e muove da una approfondita critica dell'esistente, ed è l’esistente a dover essere capovolto e trasformato.

La rivoluzione, per gli anarchici, è da intendersi prima di tutto rivoluzione sociale, non meramente politica. E’ la rivoluzione del popolo. Ed è proprio per questo che ad ogni rivoluzione del popolo (che ne fosse promotore o partecipe con altre classi sociali) è sempre stato impedito di andare avanti oltre un certo punto, è per questo che ogni rivoluzione che voleva essere rivoluzione sociale oltre che politica è stata soffocata e tradita. Il potere e i privilegi (contro cui il popolo lottava) non dovevano scomparire, infatti, ma solo passare di mano. E la lotta del popolo è servita a questo, è stata strumentalizzata a questo scopo da chi di volta in volta ha assunto la regia della rivoluzione. La rabbia e la volontà di lotta e di cambiamento sociale espresse dal popolo sono state usate finché potevano essere utili, poi messe da parte, tradite o punite duramente quando non ve ne era più bisogno. Questa vicenda si è ripetuta più di una volta nella storia, con le varie differenze dovute al contesto, al luogo e al periodo, che si tratti della rivoluzione inglese, francese, messicana, russa, spagnola. E’ una storia poco conosciuta e compresa, e che solo gli anarchici hanno raccontato fino in fondo.

Per quanto riguarda l'uso della violenza, bisogna innanzitutto osservare che anarchia significa non-violenza, dal momento che significa non-imposizione dell'uomo sull'uomo, come sottolineava l'anarchico Errico Malatesta (1853-1932). La società alla quale tende l'anarchismo è infatti una società pacifica. Le differenze sono emerse nel momento di scegliere (a seconda anche delle circostanze e del momento storico contingente, ad esempio sotto una dittatura, o appunto nel corso di una rivoluzione) quali mezzi adoperare per raggiungere o avvicinarsi alla società desiderata, quindi ci sono stati coloro che hanno adottato l'uso individuale della violenza, altri invece un suo uso di massa, ma sempre come unica scelta possibile all'interno della realtà concreta e determinata in cui si sono trovati a dover agire. E la violenza da usare è sempre soltanto quella necessaria, niente di peggio o di più.
 
Per quanto riguarda invece l'educazione libertaria, si tratta di un approccio che mette al primo posto un rapporto paritario e non gerarchico tra l'adulto e il bambino e tra ogni educatore e i suoi allievi, e la possibilità offerta al bambino e ad ogni essere umano di realizzare completamente se stesso, di svilupparsi liberamente, senza imposizioni, costrizioni, premi, castighi. Quindi rifiuto dell'autorità, rispetto della libertà e delle propensioni individuali, progettualità autogestionaria, libertà di pensiero e di giudizio, “educazione integrale”, inserendo così l'educazione libertaria in una più ampia visione politica.

Uno dei primi sostenitori dell'autonomia e dell'indipendenza del bambino fu proprio William Godwin, respingendo ogni tipo di coercizione nel processo educativo ed evidenziando la necessità di svincolare l'istruzione dal controllo dello stato, affinché l'istruzione non sia uno strumento del controllo sociale e un mezzo per rafforzare la visione e l'impostazione gerarchica e anti-libertaria della società.

Temi analoghi li ritroviamo in Charles Fourier (1772-1837), secondo il quale nell'azione educativa occorre ridurre al minimo l'esercizio dell'autorità e permettere lo sviluppo di tutte le potenzialità della persona e in Max Stirner (1806-1865). Il concetto fourieriano di “educazione integrale” (un'educazione che comprenda in egual misura attività manuali ed intellettuali) verrà ripreso da molti pensatori anarchici, tra cui Pëtr Kropotkin (1842-1921) Altri anarchici che si sono interessati all'importanza dell'educazione libertaria sono stati gli italiani Errico Malatesta (1853-1932) e Camillo Berneri (1897-1937), vittima quest'ultimo come tanti altri della persecuzione da parte dello stalinismo nei confronti degli anarchici, in questo caso durante la rivoluzione spagnola del 1936.

Gli esempi di scuole libertarie e antiautoritarie sono stati numerosi. La prima esperienza del genere è da attribuirsi a Lev Tolstoj (1828-1910), a Jasnaja Poljana tra il 1859 e il 1862, anno in cui la sua scuola verrà chiusa dalle autorità. Poi l'orfanotrofio francese di Cempuis diretto tra il 1880 e il 1894 da Paul Robin, esempio seguito da Sébastian Faure (1857-1942) con la sua scuola libertaria La Ruche (L'alveare), istituita fuori Parigi nel 1904, attiva fino al 1914, e poi ancora l'esperienza del libertario spagnolo Francisco Ferrer y Guardia (1859-1909) che fondò nel 1901 la sua Escuela Moderna a Barcellona, scuola laica e mista, con lo scopo di permettere ai ragazzi di diventare persone indipendenti, capaci di creare e vivere in una società libertaria (Ferrer verrà fatto fucilare dal governo spagnolo nel 1909), l'Université Nouvelle di Bruxelles fondata nel 1894 insieme ad altri dal geografo anarchico francese Elisée Reclus (1830-1905), che si terrà  a lungo in contatto con Ferrer, con il quale collaborerà per i suoi programmi educativi in particolare riguardo l'insegnamento della geografia (nel 1896 uscì un Manifesto europeo anarchico per la fondazione di scuole libertarie, tra i primi firmatari troviamo Reclus e Kropotkin), la scuola libera di Summerhill fondata nel 1921 da Alexander S.Neill (1883-1973) nel Suffolk, fino ad arrivare al movimento delle Free Schools negli anni successivi al 1960 negli Stati Uniti e in Europa, che si richiamavano ai principi di Tolstoj, Neill e Paul Goodman (basate su principi libertari quali la cooperazione, l'autogestione del progetto da parte di tutti i soggetti coinvolti, il rifiuto di un'organizzazione burocratica e gerarchica, l'assenza di un'autorità formale), poi alle Freie Schulen in Germania a partire dagli anni Settanta, e ai vari esperimenti di licei autogestiti in particolare in Francia fino al caso più recente di Bonaventure, sorta sempre in Francia nel 1993 nell'Ile d'Oleron, scuola per bambini dai tre ai dieci anni.
 
Per quanto riguarda l'”individualismo anarchico”, occorre dire che rispetto all'anarchismo che si è espresso in Europa nell'età contemporanea è una acquisizione abbastanza recente. Se fino agli anni Ottanta dell'Ottocento il termine “individualista” era adoperato in chiave polemica nei confronti di ideologie di derivazione liberale, in seguito tale significato si modifica, in particolare a causa delle trasformazioni della società, che diviene poco a poco una società di massa. All'uniformità che si va imponendo, si contrappone per contrasto l'individualità, che non intende sottomettersi alle norme e alle convenzioni “borghesi”, termine, quest'ultimo, che non aveva all'epoca un vero e proprio significato classista. Certe forme di individualismo infatti si ricollegavano a una lunga tradizione di ribellismo letterario, piuttosto che appartenere all'associazionismo operaio o essere in continuità con l'Internazionale anarchica. Si tratta inoltre di un fenomeno tutt'altro che unitario, presentando tendenze ed espressioni alquanto disomogenee. All'interno del movimento anarchico comincia così a manifestarsi la propensione all'atto isolato o ad opera di piccoli gruppi, frutto di una scelta individuale o espressione orgogliosa di una totale autonomia, rispetto anche all'organizzazione anarchica, intorno alla quale si dibatteva significativamente in quegli anni, anche se il passaggio dall'individualismo antiorganizzatore tradizionale a quello che venne definito individualismo d'azione non è così automatico. Quest'ultimo infatti costituiva una tendenza minoritaria all'interno del movimento anarchico, tendenza che ebbe il suo culmine in tutta una serie di azioni dimostrative fino ai tragici attentati della fine dell'Ottocento. Veniva intanto precisata una teorizzazione dell'individualismo d'azione, tramite la parola d'ordine “propaganda mediante il fatto”. In seguito questi filoni anarcoindividualisti andarono perdendo vitalità. Alla vigilia della prima guerra mondiale ci fu tra di essi chi scelse l'interventismo, chi invece si oppose (come il movimento anarchico nel suo complesso) alla costrizione alla violenza da parte degli stati.
 
Esistono altre anime o sfumature dell'anarchismo. Tra queste ricordiamo l'anarcosindacalismo, i cui maggiori ispiratori furono Émile Pouget (1860-1931), Fernand Pelloutier (1867-1901), Paul Delasalle (1870-1848) e il danese Cristian Cornelissen (1864-1943). Molti anarchici italiani militarono nell'Unione Sindacale Italiana, U.S.I., sindacato di ispirazione anarco sindacalista il cui segretario fu Armando Borghi (1882-1968) nel corso del primo ventennio del Novecento e furono protagonisti di importanti lotte operaie. Stessa cosa avvenne in altri paesi europei e non solo.

Molti anarchici e libertari militano tutt'oggi in diverse organizzazioni sindacali, tra cui la stessa USI, ricostituita alcuni anni dopo la seconda guerra mondiale, e altre organizzazioni all’estero, alla ricerca di un sindacalismo realmente autogestionario, un sindacato dei lavoratori, non compromesso politicamente, che sia anche in appoggio ad ogni altra categoria di persone in difficoltà, lavoratori precari, disoccupati, extracomunitari, senza tetto, non ponendo al primo posto quindi la difesa di interessi di tipo corporativo, ma lavorando sempre nell'ambito di una più ampia visione di trasformazione sociale.

Ricordiamo ancora l'anticlericalismo, l'antimilitarismo, il femminismo, l’antipsichiatria, l'utopia, l'ecologia sociale, la lotta contro l'istituzione carceraria e contro il razzismo (attualmente contro i centri di permanenza per gli extracomunitari ad esempio, e in generale contro tutte le gravi discriminazioni e persecuzioni a cui sono soggetti gli uomini che nascono nelle zone meno fortunate del mondo), la lotta contro le discriminazioni sessuali (la difesa della piena libertà di scelta, tra cui la scelta omosessuale), gli esperimenti di comuni autogestite, laboratori dove mettere in pratica l'utopia e la libertà (esempio tipico la Colonia Cecilia, fondata da Giovanni Rossi con un gruppo di circa centocinquanta lavoratori italiani in Brasile, nel Paranà, nel 1890, ma tanti altri esperimenti hanno continuato ad avere luogo e tutt'ora continuano).
 
 
I PRINCIPALI PENSATORI ANARCHICI
 
Non è facile un’esposizione dei pensatori anarchici o una scelta tra di essi. Occorre anche tenere presente che la maggior parte di loro non visse soltanto di pensiero ma soprattutto di azione, inserendosi a vari livelli nel movimento anarchico e nelle lotte sociali, le cui opere scritte vanno quindi in qualche modo a completare una testimonianza offerta innanzitutto con la propria vita. Quello che segue qui non è che un elenco del tutto ridotto e incompleto, che esclude forzatamente alcune grandi figure che si sono distinte in numerosi e drammatici eventi rivoluzionari, tra cui l'Ucraina machnovista (da Nestor Machno, leader del movimento ucraino) nel contesto della rivoluzione russa,  la rivoluzione messicana (un nome dobbiamo farlo, ed è quello di Ricardo Flores Magón), la Catalogna libertaria durante la guerra civile spagnola, senza contare la partecipazione del movimento anarchico alla lotta contro il fascismo e alla Resistenza.

Dopo William Godwin (1756-1836) e Pierre-Joseph Proudhon (1809-1865), cui abbiamo già accennato, e Max Stirner (pseudonimo di Johann Caspar Schmidt, 1806-1865), l'autore di Der Einzige und sein Eigentum (L'Unico e la sua proprietà) che uscì nel 1843, ricordiamo Michail Bakunin (1814-1876), grande rivoluzionario e pensatore russo, promotore dell'Internazionale Antiautoritaria dopo la rottura con Marx, autore di numerose opere tra cui Stato e Anarchia (1873), Pëtr Kropotkin (1842-1921), di cui sono da menzionare in particolare Il Mutuo Appoggio e L'Etica, (Kropotkin in maniera approfondita si è occupato tra il resto di problemi etici, muovendo da una rivisitazione critica del darwinismo ed elaborando il suo concetto del mutuo appoggio come fondamentale fattore evolutivo per tutte le specie viventi compreso l’uomo), quindi i francesi Elisée Reclus (1830-1905) e Jean Grave (1854-1939), vicini a Kropotkin insieme all’italiano Riccardo Mella (1861-1925).

E ancora, per l’anarchismo italiano: Carlo Cafiero (1846-1892), Andrea Costa (1851-1910), Errico Malatesta (1853-1932), fondatore del quotidiano anarchico Umanità Nova e promotore dell'Unione Anarchica Italiana, Francesco Saverio Merlino (1856-1930), Pietro Gori (1865-1911), Luigi Fabbri (1877-1935), Camillo Berneri (1897-1937), uomini che insieme a tanti altri hanno dedicato la propria vita, in anni estremamente difficili, alla causa dell'emancipazione e della libertà, nel nostro paese e nel mondo intero. (E non ne abbiamo citato che alcuni).

Purtroppo ancora oggi non sono in molti a sapere che cosa furono davvero quegli anni, a conoscere la portata del contributo anarchico e ad attribuire agli anarchici il posto che spetta loro nella storia politica e sociale della società italiana, per i motivi che abbiamo esposto in precedenza. Occorre quindi ricordare che la Prima Internazionale italiana fu principalmente anarchica, così come il primo socialismo italiano, e che solo in seguito esso diventò un socialismo riformista e parlamentarista. La storia del movimento anarchico italiano si sviluppa dalla nascita della Prima Internazionale allo scontro con i mazziniani prima (il nemico non appare più lo straniero, il nemico ora è il nemico di classe) e con i seguaci di Marx poi (contro l'autoritarismo e la gestione centralista), attraverso l'emergere delle correnti individualiste, nell'ambito dell'associazionismo operaio e del nascente sindacalismo di classe fino all'opposizione alla prima guerra mondiale, un movimento di grande ricchezza culturale e politica, che ha sempre lottato per la libertà e l'uguaglianza, per un grande ideale che doveva essere il “sol dell'avvenire” per l'intera società, soggetto pertanto costantemente alle persecuzioni più dure. Dopo le drammatiche vicende del periodo fascista, la seconda guerra mondiale e la partecipazione alla Resistenza, il movimento anarchico si ricostituisce in forme sempre nuove, dovute alle trasformazioni che si susseguono incessanti nel corso degli anni e al panorama sociale, politico ed economico che muta enormemente, continuando a portare avanti la sua ricerca della libertà e a tenere in vita il suo ideale di un mondo che sia davvero a misura d'uomo.

Storie in parte diverse hanno avuto gli anarchici negli altri paesi europei ed extraeuropei. Ricordiamo ad esempio il maggio francese del 1968, ma ovunque si lotti per la libertà, contro le oppressioni e le ingiustizie, contro le guerre e le occupazioni militari dei territori, gli anarchici non possono fare a meno di essere presenti. L'anarchismo continua a vivere oggi, sempre nel mirino della repressione, in una situazione e in un contesto che mutano e si trasformano ma soltanto in apparenza, perché il nodo centrale del dominio non è ancora stato sciolto. Il mondo odierno è gestito dalla pubblicità e dalla menzogna, dalle multinazionali, dal potere finanziario e militare, è un mondo molto più difficile da decifrare e comprendere rispetto a quello di un tempo, dotato di un controllo totale e onnipervasivo nei confronti degli esseri umani come mai prima, un mondo solo apparentemente democratico e libero, che propaganda in ogni modo la sua missione di difendere la “sicurezza” dei “cittadini”, ma che è invece ormai del tutto privo di libertà.
 
Molti intellettuali e artisti che si sono espressi in campi diversi da quello della riflessione politico-sociale in senso stretto possono essere compresi a buon diritto in questo sommario elenco, avendo mostrato una sensibilità affine in vari modi a quella anarchica. Nel campo della letteratura ricordiamo i poeti inglesi Samuel Coleridge (1772-1834), William Blake (1757-1827), Percey Bysshe Shelley, discepoli di Godwin, William Morris (1834-1896), autore del romanzo utopico News from Nowhere (Notizie da nessun luogo, 1891), Oscar Wilde (1854-1900), autore tra le altre sue opere di un breve saggio dove è evidente l'influenza di Kropotkin, L'anima dell'uomo sotto il socialismo, Lev Tolstoj (1828-1910), già ricordato, lo scrittore statunitense David Thoreau, autore di un trattato sulla disobbedienza civile, Franz Kafka, che espresse con forza un odio assoluto per il potere e la burocrazia, Henri Miller (1891-1980), libertino e libertario, in contatto con Emma Goldman (1869-1940), grande figura di donna anarchica e rivoluzionaria, le opere di George Orwell (1903-1950), Ignazio Silone (1900-1978), Albert Camus (1913-1960), e trascureremo qui gli autori della controcultura degli anni Sessanta, in particolare la beat generation e il Living Theatre. Anche nelle arti figurative c'è stato un fecondo incontro con l'anarchismo: Camille Pissarro, Carlo Carrà, André Breton, Enrico Baj ne sono un esempio. Nel cinema due nomi soprattutto sono significativi: Jean Vigo e Luis Buñuel. E ancora (dopo la pedagogia, già trattata): Lewis Mumford, Carlo Doglio, Giancarlo De Carlo per l'urbanistica, Pierre Clastres e Marc Augé per l'antropologia, Paul Feyerabend per la filosofia della scienza, Henri Laborit per la biologia, Thomas Szasz e Giorgio Antonucci per l'antipsichiatria.
Infine, in ordine sparso: Rudolf Rocker (1873-1958), intellettuale anarchico, i chansonniers francesi Brassens e Ferré, Paul Goodman (1911-1972) e Noam Chomsky (1928), Michel Foucault (1926-1984), Murray Bookchin (1921-2006), grande teorico dell'ecologia sociale, così definita in quanto afferma e dimostra che una vera trasformazione ecologica non può che basarsi su profonde trasformazioni sociali.
 
Ci si può davvero perdere nel tentativo di riconoscere temi e sentimenti anarchici: l'anarchia è infatti un modo di sentire e di essere, e alcuni suoi tratti o aspetti potrebbero essere scoperti un po' ovunque e teoricamente in chiunque.

Ma torniamo all’ambito più strettamente filosofico, rispetto al quale, a questo punto, un interrogativo forse un po’ azzardato sembra presentarsi da sé e portarci a concludere questa breve esposizione.
Proviamo a considerare le principali caratteristiche della filosofia contemporanea. Come prima cosa rileviamo il carattere antimetafisico di gran parte di essa, essendo ormai venuto meno l'atteggiamento della tradizione filosofica che intendeva la conoscenza della “verità” come guida dell'azione umana e innanzitutto dell'azione morale e politica.

Oggi si nega che l'esistenza dell'uomo possa avere un qualsiasi “fine” stabilito necessariamente dal posto assegnatogli “di diritto” nell'ordine dell'universo, e si riconosce invece che i fini dell'uomo sono soltanto quelli che egli sceglie liberamente: non ci troviamo più di fronte alla richiesta della contemplazione della verità del mondo, ma alla necessità della sua trasformazione pratica in base a progetti liberamente scelti e costruiti dall'uomo, nonché alla necessità di un'etica, ovvero di una responsabilità che occorre assumersi in questo mondo lacerato dai dolori e dalle ingiustizie.

Se consideriamo poi che la filosofia ha un’altra fondamentale caratteristica, e cioè quella di mettere ogni cosa in dubbio e non prendere mai niente “per buono” (secondo Aristotele, come “scienza fine a se stessa” e non asservita ad altro, è l’unica a poter essere davvero libera), e che l'autentico filosofo è colui che è sempre alla ricerca, che pensa liberamente e autonomamente, che non si sottomette ad alcuna autorità di pensiero, non si arresta, non si accontenta e non si piega a una sola verità, che continua a porre in discussione qualsiasi presunta certezza, non ci viene spontaneo allora dedurne che non si può essere davvero filosofi, senza essere al tempo stesso anche un po' anarchici?