La millenaria monarchia francese fu sconvolta, sul finire del
XVIII secolo, dapprima dalla rivoluzione del 1789, che
abolì la monarchia nel 1792, alla quale seguì la
proclamazione dell'Impero nel 1804.
Nel 1815 venne restaurata la monarchia legittima dei Borbone, ma
nel 1830 una nuova rivoluzione portò sul trono la linea
collaterale degli Orléans.
Nel 1848 venne proclamata la seconda repubblica, che diede vita al
secondo Impero nel 1852. Quest'ultimo cadde nel 1870 con la
sconfitta di Sedan e gli fece seguito un periodo di incertezza
istituzionale, nel quale i larghi consensi alla restaurazione
monarchica vennero però vanificati dal comportamento del
pretendente legittimo Enrico, conte di Chambord, oltre che dalle
macchinazioni del cancelliere tedesco Bismarck, preoccupato a non
rafforzare la Francia e a non alimentarne il revanscismo.
La monarchia di luglio e i successivi sviluppi
All'atto dell'abdicazione, nel 1830, Carlo X aveva designato suo
erede il nipote Enrico, duca di Bordeaux e in seguito noto come
conte di Chambord. Tuttavia, in applicazione della legge salica e
in ossequio al principio di primogenitura, il trono passò
al figlio maggiore del re, Luigi XIX, zio di Enrico. Luigi XIX,
sotto le pressioni del padre, abdicò a sua volta pochi
minuti dopo, aprendo la successione in favore del duca di
Bordeaux. Contestualmente Carlo X inviò una lettera al
cugino Luigi Filippo d'Orléans, primo principe del sangue e
luogotenente del Regno, nel quale lo metteva a conoscenza delle
avvenute abdicazioni e gli richiedeva di proclamare pubblicamente
l'avvenuta accessione al trono del duca di Bordeaux col nome di
Enrico V. Ciononostante, il parlamento ignorò gli atti di
Carlo X e nominò Luigi Filippo d'Orléans re dei
Francesi (non più di Francia) per volontà della
nazione (non più per grazia di Dio), sostenuto non solo
dalla «dalla maggioranza parlamentare ma anche dall'astuzia
di Adolphe Thiers, dalla diplomazia di Talleyrand e dalla
ricchezza del banchiere Lafitte». I Borbone del ramo
principale furono costretti all'esilio.
Nel 1871, a seguito alla sconfitta francese nella guerra
franco-prussiana e al crollo dell'impero di Napoleone III, il
parlamento, in maggioranza monarchico, era intenzionato a
ripristinare la monarchia. Tuttavia esso era diviso fra
"legittimisti", che appoggiavano Enrico, conte di Chambord, e
"orleanisti", che al contrario sostenevano l'erede di Luigi
Filippo, il conte di Parigi Filippo d'Orléans.
Alla fine l'assemblea si accordò sulla nomina di Enrico,
conte di Chambord, come Enrico V di Francia. Questi, tuttavia,
arroccato su intransigenti posizioni conservatrici e rifiutandosi
di adottare la bandiera tricolore in sostituzione della
tradizionale bandiera bianca, perse diversi sostenitori
orleanisti. Il parlamento decise allora di nominare un presidente
della Repubblica favorevole ai monarchici, Patrice de Mac-Mahon, e
di attendere la morte di Enrico per nominare re Filippo
d'Orléans, che sarebbe salito al trono come Filippo VII.
Quando però Enrico V morì, nel 1883, fu riconfermata
la repubblica, in quanto, con le successive elezioni, il
parlamento era ormai diventato di maggioranza repubblicana.
Alla morte di Enrico V, ultimo Borbone del ramo diretto, il
movimento legittimista si divise: la maggioranza riconobbe i
diritti del Conte di Parigi, Filippo (VII) d'Orléans, che
del resto era stato indicato espressamente come più
prossimo successore da Enrico V; ma una minoranza non trascurabile
rifiutò di sostenere gli Orléans.
Il motivo principale di questo rifiuto fu l'ostilità nei
confronti della Casa d'Orléans, che aveva votato per il
regicidio nel 1793 e aveva scavalcato i diritti del ramo
primogenito durante il periodo della monarchia borghese
(1830-1848). Altri inoltre avanzavano delle riserve dinastiche:
alcuni di questi arrivarono a riconoscere come re titolari i
pretendenti carlisti al trono di Spagna. Comunque Giovanni Pio di
Borbone-Spagna, conte di Montizón, Giovanni III per i suoi
sostenitori, che nel 1883 era il rappresentante primogenito della
Casa Capetingia, non sembrava troppo interessato né alle
pretese carliste, né a quelle "legittimiste" francesi. I
partigiani di Giovanni di Borbone divennero presto noti come
Bianchi di Spagna, mentre i legittimisti pro-Orléans furono
chiamati Bianchi d'Eu dal nome del castello d'Eu, allora residenza
del Conte di Parigi. Non tutti gli anti-orleanisti si
identificarono nei Bianchi di Spagna: molti infatti aderirono al
survivantismo, una credenza o speranza in una linea nascosta
discendente da Luigi XVII di Francia.
D'altra parte i Bianchi di Spagna non ebbero un grande seguito e
subirono la crisi determinata dalla estinzione, nel 1936, della
linea carlista dei Borbone. Infatti, il ricongiungimento ad
Alfonso XIII, re di Spagna in esilio, che incarnava una sorta di
orleanismo spagnolo, si rivelava alquanto problematico o
addirittura impossibile per i più radicali: la questione
non era dinastica, ma ideologica. Costoro riversarono il loro
appoggio su Saverio di Borbone-Parma, nipote, per via femminile,
dell'ultimo carlista e bisnipote di Enrico V.
Nel frattempo i Bianchi d'Eu erano divenuti i principali portavoci
del movimento monarchico francese: essi sostenevano i diritti
dinastici degli Orléans, ma non per questo avevano sposato
l'orleanismo ideologico, basato sul liberalismo politico. Essi
rimasero fedeli al "legittimismo" ideologico, che univa
tradizionalismo e cattolicesimo sociale. Tra costoro si annovera
René de La Tour du Pin. Del resto gli "orleanisti
ideologici" erano passati al repubblicanesimo moderato di Thiers.
Inoltre Filippo VII, pur senza rinnegare il nonno, intendeva porsi
sulla scia tracciata da Enrico V, al contrario degli zii, il duca
d'Aumale e il principe di Joinville, ultimi rappresentanti
dell'orleanismo politico.
Con la brillante stagione maurrassiana dell'Action
Française, la maggior parte dei monarchici francesi
riconobbe i diritti del ramo degli Orléans, ma, con la
crisi postbellica e gli azzardi politici del Conte di Parigi, il
"neo-legittismo" dei Bianchi di Spagna conobbe una nuova fase di
attenzione, pur restando minoritaria.
Le dispute sulla legittimità dinastica, che sono continuate
anche nel XX e nel XXI secolo, non fanno altro che rafforzare
l'ormai consolidato regime repubblicano francese.