Azione, Partito d'

 

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Partito politico d'ispirazione democratica e repubblicana che aveva come obiettivo l'unificazione dell'Italia. Creato da Mazzini nel 1853, entrato in crisi alla fine dello stesso anno, risorse verso il 1859, sotto l'influenza di Garibaldi, e promosse l'impresa dei Mille. Molti dei suoi membri passarono poi nella Sinistra, altri nel Partito repubblicano.

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Il primo Partito d'Azione italiano fu fondato da Giuseppe Mazzini nel 1853 e nutrì le radici politiche, culturali ed ideali del Risorgimento, in particolare del filone democratico, repubblicano, radicale e rivoluzionario, i cui massimi rappresentanti sono stati, oltre a Mazzini, Giuseppe Garibaldi, Carlo Cattaneo, Carlo Pisacane e Aurelio Saffi. Tra i suoi obiettivi politici c'erano le elezioni a suffragio universale, la libertà di stampa e di pensiero, la responsabilizzazione dei governi davanti al popolo.

Storia

L'annuncio della fondazione del partito fu dato da Mazzini nel marzo del 1853, con la pubblicazione dell'opuscolo "Agli italiani", ove si sosteneva che, nonostante il fallimento del moto milanese del 6 febbraio dello stesso anno, ormai "il fremito d'emancipazione (era) sceso alle moltitudini"; Mazzini esortava pertanto i connazionali a impegnarsi in un'azione ripetuta e continua, per suscitare quella scintilla che avrebbe provocato l'incendio di tutta la penisola e, tramite l'azione delle bande, l'insurrezione popolare.

Diversamente alle previsioni del suo fondatore, le prime azioni poste in essere dal movimento democratico ebbero esito fallimentare, quali la spedizione di Sapri (1857), ove perì Carlo Pisacane, e il moto di Genova dello stesso anno.

In seguito il partito appoggiò le imprese di Garibaldi (1859-1860) ma, in contrapposizione con i moderati raccolti attorno alla monarchia di Casa Savoia e di Camillo Benso di Cavour, era contrario alla guerra regia, ai plebisciti, alle annessioni e alla piemontesizzazione dell'Italia, sostenendo invece la necessità di una sollevazione del popolo per conseguire l'Unità, le assemblee sindacali, e il suffragio universale in luogo di quello ristretto e censitario. I mazziniani diedero inoltre vita alle prime organizzazioni del movimento dei lavoratori (associazioni operaie, casse mutue, cooperative, scuole popolari).

Nel 1861 si dette inizio alle pubblicazioni dell'organo di stampa ufficiale dei repubblicani italiani: L'Unità Italiana.

Nell'aprile 1866, a Parma, si tenne il primo congresso della Federazione dei Movimenti Democratici Italiani, che fu il nucleo e la base del futuro Partito Repubblicano Italiano. In tale consesso, si delinearono tre correnti ideologiche fondamentali, che avrebbero caratterizzato la democrazia italiana negli anni successivi: la destra parlamentaristica e radicale, impersonata da Agostino Bertani; il centro azionista di Giuseppe Mazzini, disposto anche a stringere accordi e ad accettare soluzioni pur di completare l'Unità d'Italia; la sinistra di Maurizio Quadrio, Giuseppe Marcora e Vincenzo Brusco Onnis, contraria a qualsiasi compromesso con la dinastia sabauda e sdegnata verso la politica economica e sociale del nuovo Stato unitario.

Sarà la corrente massimalista e irriducibile a prevalere, determinando l'estraneazione dalla vita politica e l'astensionismo elettorale di gran parte del movimento repubblicano, sino alla costituzione ufficiale del P.R.I. nel 1895.

Mazzini, peraltro, aveva già trattato con i rappresentanti del governo per la collaborazione dei volontari alla terza guerra di indipendenza e avrebbe successivamente appoggiato l'organizzazione della spedizione garibaldina del 1867 per la conquista di Roma ma, in seguito alla sconfitta di Mentana (1867), deluso per il fallimento delle sue iniziative, preferì sciogliere il Partito d'Azione e si adeguò alle istanze degli intransigenti.

La "destra" di Bertani, costituì in Parlamento il gruppo dell'estrema sinistra radicale (1877).

Il Partito d'Azione mazziniano sarà fonte d'ispirazione del pensiero politico di Piero Gobetti e Carlo Rosselli, del Partito d'Azione del 1942 e del Partito Repubblicano Italiano.

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Il Partito d'Azione venne fondato da Mazzini nei primi mesi del 1853, dopo il fallimento del moto milanese del 6 febbraio di quell'anno e come risposta alle critiche alla sua strategia che si andavano diffondendo nel campo democratico. Lo si accusava soprattutto di mandare allo sbaraglio tanti patrioti, come appunto era avvenuto nel caso milanese, in imprese che non avevano alcuna possibilità di successo.

Mazzini reagì alle critiche sostenendo di non avere nulla da rimproverarsi: nell'opuscolo Agli italiani, scritto nel marzo 1853, considerò la sconfitta del moto milanese del 6 febbraio come prova ulteriore, dopo quella fornita dalle vicende italiane del 1848-49, del fatto che ormai «il fremito d'emancipazione [era] sceso alle moltitudini».

Si trattava di una lettura della realtà determinata evidentemente da una mitizzazione delle inclinazioni rivoluzionarie degli italiani, che secondo lui sarebbero stati ovunque pronti ad assalire il nemico se solo vi fosse stata la sollecitazione da parte degli uomini delle «classi intellettualmente educate». A questa raffigurazione, largamente idealizzata, di un popolo desideroso di scendere in piazza ma frenato dalla codardia di chi avrebbe dovuto dirigerlo, corrispondeva l'idea che la rivoluzione italiana fosse «una cosa relativamente facile», come Mazzini scrisse a un'amica inglese il 28 febbraio 1853.

Sulla base di una simile diagnosi, continuamente richiamata dopo il fallito moto milanese, Mazzini esortava a «chiudere i libri» e a impegnarsi nell'azione «ripetuta, continua», certo che così facendo si sarebbe presto prodotto un fatto risolutore, una «scintilla» che – essendo l'Italia «ricoperta da un punto all'altro di materie infiammabili» – avrebbe provocato l'incendio di tutta la penisola. In questa prospettiva «la condizione indispensabile della ripresa della lotta – ha scritto Franco Della Peruta – gli appariva la trasformazione del partito nazionale in un "partito d'azione", epurato dagli individui e dai gruppi dissidenti che facevan da velo tra il paese e gli uomini disposti alla lotta, limitato dal punto di vista quantitativo, ma appunto per questo coeso e compatto».

Nella nuova strategia, che doveva ulteriormente accentuare l'isolamento di Mazzini e dei suoi seguaci, perdeva di importanza ogni discussione teorica a favore di una deriva attivistica in cui le condizioni per realizzare o meno un progetto spesso venivano fatte dipendere soltanto dai mezzi finanziari: «Il perno della nostra questione sta veramente tutto nel danaro», scriveva ad esempio in una lettera dell'agosto 1854.

Alla fondazione del Partito d'Azione Mazzini fece seguire l'impegno continuo ad organizzare tentativi insurrezionali. Riteneva fossero ormai impossibili, perché destinati a venire rapidamente scoperti, «i vasti piani, le cospirazioni per sorgere simultanei, le organizzazioni complesse»; che lo fosse altrettanto ogni azione che partisse dai grandi centri urbani. Si trattava perciò, secondo lui, di puntare su piccole bande di armati che, a partire da luoghi periferici, avrebbero facilmente innescato una reazione a catena. In tal modo Mazzini ribaltava le sue idee relative al rapporto tra insurrezione e bande: mentre fino ad allora, infatti, aveva ritenuto che la guerra per bande dovesse seguire l'insurrezione, essendo uno strumento per la sua difesa, ora pensava che la situazione infiammabile del paese consentisse di rovesciare il rapporto. Era l'azione delle bande che avrebbe dovuto dare il via all'insurrezione.

Da una simile idea dei compiti del Partito d'Azione scaturì l'organizzazione di una serie di azioni che ebbero tutte esito fallimentare. Ad esempio, nel maggio 1854, il cosiddetto secondo tentativo di Lunigiana – che nei piani di Mazzini avrebbe dovuto costituire l'avvio di una generale insurrezione italiana – vide presenti all'appuntamento nella capitale ligure, invece dei mille volontari previsti, una dozzina di persone male armate che subito abbandonarono il comandante dell'impresa, Felice Orsini. Questi dovette vagare per otto giorni sui monti della Lunigiana prima di riuscire a tornare, sfinito, a Genova.

Comunque, il fatto che in casi come questo le imprese organizzate da Mazzini avessero un esito quasi ridicolo non deve far dimenticare quanto, tenendo desta l'attenzione dei governi, finissero con l'accrescere la sua notorietà e quanto contribuissero anch'esse a ricordare l'esistenza di un problema italiano alle cancellerie e alle opinioni pubbliche d'Europa.

Un colpo decisivo alle potenzialità espressive del Partito d'Azione fu dato dalla fondazione nel 1856 della Società Nazionale, l'organizzazione voluta da Cavour e fondata da Daniele Manin a Torino, con il compito di radunare tutte le forze e le personalità del paese disposte, pur conservando la propria specifica individualità politica, a collaborare al disegno indipendentistico ormai abbracciato dal Piemonte.

L'affidamento della presidenza della Società Nazionale a Giuseppe Garibaldi sottrasse al Partito d'Azione il personaggio simbolo di quel programma militante e insurrezionale proprio del partito stesso.

Fallito il tentativo di condizionare politicamente l'impresa dei Mille, e poi in seguito ai disastri dell'Aspromonte e di Mentana, il Partito d'Azione finì per disarticolarsi negli anni Sessanta mentre alcuni dei suoi principali esponenti trasmigrarono nella Sinistra di Depretis.