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di Carlo Antoni
Termine usato per lo più in senso polemico e perciò di
significato poco preciso. I Tedeschi negano che la loro parola
Alldeutschtum corrisponda a "pangermanismo". In effetti una tendenza
a raccogliere in unità tutte le nazioni di origine germanica
non è mai esistita, mentre è esistito e in parte
esiste un movimento per la riunione di tutte le stirpi tedesche.
Nelle sue forme estreme esso vagheggiò d'incorporare anche
gli Olandesi e i Fiamminghi.
Tale movimento pantedesco è conseguenza del modo come nel
secolo scorso fu risolto il problema dell'unità nazionale
tedesca. Dei due partiti, che fin dal 1848 si erano combattuti sulla
questione dell'unità, prevalse, col trionfo della Prussia, il
piccolo-tedesco (kleindeutsch), che implicava però un
più saldo vincolo federale e l'egemonia prussiana. Il partito
grande-tedesco (grossdeutsch), che voleva si comprendessero nella
confederazione anche i paesi austriaci, rimase soccombente.
Il vecchio programma grande-tedesco fu ripreso verso la fine del
secolo, quando il predominio tedesco in Austria parve seriamente
minacciato. Risorse però non ad opera dei vecchi federalisti
antiprussiani, ma dei fautori d'una grande politica d'espansione. Il
trattato di Zanzibar con l'Inghilterra, considerato uno scacco,
provocò nel 1891 la fondazione dell'Alldeutscher Verband,
associazione che ebbe a primo presidente l'esploratore Karl Peters.
Essa propugnava lo sviluppo e la tutela dei grandi interessi
economici tedeschi nel mondo mercé una risoluta politica
coloniale e navale; voleva alimentare il sentimento nazionale dei
Tedeschi emigrati e di quelli rimasti fuori dei confini dell'Impero;
chiedeva nell'interno maggiore energia verso le minoranze nazionali
della Slesia, dello Schleswig-Holstein, dell'Alsazia e della Lorena;
Patrocinava infine una più stretta intesa politica con
l'Austria e un'unione doganale medioeuropea con l'inclusione della
Svizzera, del Belgio e dell'Olanda.
Parallelamente si costituiva in Austria l'Alldeutsche Vereinigung,
partito capeggiato dal deputato G. v. Schönerer, che nel
decennio 1896-1907 battagliò nel parlamento di Vienna contro
gli Slavi e nel 1897 cercò d'impedire con l'ostruzionismo
l'approvazione delle "Ordinanze sulle lingue" concedenti
parità di diritti alle popolazioni non tedesche dell'Austria.
Esso rappresentava la reazione dell'elemento tedesco alla politica
della conciliazione e dell'equilibrio delle nazionalità
promossa da E. v. Taaffe e da K. Badeni. Il partito, che era anche
aspramente antisemita, non ebbe fortuna, perché fu inviso
alla corte in quanto vagheggiava l'annessione dell'Austria
all'Impero tedesco e non nascondeva le sue simpatie per i
Hohenzollern, e perché, non essendo estraneo alla propaganda
protestante del moto Los von Rom (distacco da Roma), si
attirò le ostilità dei cattolici.
A questi movimenti politici si accompagnò un pangermanismo
dottrinale, cioè una teoria scientifica o pseudoscientifica
del germanesimo, le cui origini sono molto remote: l'esaltazione
delle prische virtù germaniche risale a Tacito e l'idea d'una
vocazione universale della forte e pia nazione tedesca si deve a
Lutero; più tardi i romantici contrapposero lo spirito
nazionale germanico, tutto raccolta interiorità e
sincerità, allo spirito latino, tutto forma esteriore. La
coscienza nazionale tedesca si era manifestata nel corso della sua
formazione come senso della sua missione spirituale e come gelosa
difesa delle tradizioni e del carattere nazionali: durante l'era
guglielmina invece vaste zone dell'opinione pubblica vollero trovare
la giustificazione della volontà di potenza del nuovo impero
in una teoria della razza. Tuttavia i più celebrati campioni
di questo pangermanismo, che riduceva la nazione a fatto biologico,
non sono tedeschi. Del concetto di razza si sono serviti lo storico
inglese E. Gibbon e Ippolito Taine. Verso la metà del secolo
scorso il "normanno" conte J.-A. de Gobineau proclamò
l'ineguaglianza delle razze, considerò la mescolanza dei
sangui come causa di degenerazione e riconobbe alla razza nordica
(che i suoi seguaci finirono con identificare con la germanica) il
diritto naturale al comando. Penetrate in Germania, le idee del
Gobineau divennero la cosiddetta "antropologia politica", che
parlò di dolicocefali e brachicefali, di biondi e di bruni, e
in base a statistiche antropometriche distinse le razze pure e le
miste, le superiori e le inferiori. Tutta la civiltà del
Medioevo, del Rinascimento e dell'età moderna fu considerata
opera del dolicocefalo biondo, diretto discendente dell'ario
primitivo. La teoria fu elemento di calcolo politico, in quanto
garantiva prossimo lo sfacelo delle esauste nazioni latine.
L'apostolo più acceso di tale pangermanismo fu l'inglese H.S.
Chamberlain, le cui vedute sono state adottate ed accentrate dal
nazionalsocialismo (v.; cfr., anche Germania, App., p. 91).
Bibl.: 20 Jahre alldeutscher Arbeit und Kämpfe, Lipsia 1910; O.
Bonhard, Geschichte des alldeutschen Verbandes, ivi 1920; G.
Schönerer, Fünf Reden, Vienna 1891; J. A. de Gobineau,
Essai sur l'inégalité des races humaines, 3ª ed.,
Parigi 1912; F. Lange, Reines Deutschtum. Grundzüge einer
nationalen Weltanschauung, Berlino 1893; L. Woltmann, Politische
Antrhropologie, Eisenach 1903; W. Hentschel, Varuna. Eine Welt- und
Geschichtsbetrachtung vom Standpunkte der Arier, Lipsia 1901; H. S.
Chamberlain, Die Grundlagen des XIX. Jahrhunderts, Dresda 1899; J.
L. Reimer, Ein pangermanistisches Deutschland, Lipsia 1904; A.
Farinelli, L'umanità di Herder e il concetto della razza
nella storia dello spirito, in Studi di filologia moderna, I,
Catania 1908; ripubblicato in Franche parole alla mia nazione,
Torino 1919.