Il
resoconto del primo congresso sionista, che si aprì il 29
agosto 1897 a Basilea1,
fu molto esiguo e si focalizzò prevalentemente su alcune
informazioni di carattere organizzativo, come la nomina del
presidente,
Theodor Herzl, redattore della «Neue Freie Presse»,
e
l’approvazione di un ringraziamento al Sultano per
l’ospitalità che accordava agli Israeliti nel suo
Impero2. Gli oratori principali furono lo stesso
Herzl e Max Nordau3,
anch’egli scrittore, che all’inizio della sua
attività non si era interessato a questioni ebraiche.
Dopo
molte
discussioni, il congresso fissò gli scopi e gli intenti
del
movimento, in quella formula passata alla storia come
«Programma
di Basilea»: il sionismo aspirava alla creazione di una
sede
nazionale garantita dal diritto pubblico, per il popolo ebraico
in
Palestina. I mezzi per raggiungere quella méta erano
così
fissati:
1) il
ripopolamento della
Palestina da parte di contadini, operai ed artigiani ebrei, in
modo
corrispondente allo scopo;
2)
l’organizzazione e il
collegamento di tutti gli Ebrei per mezzo di istituzioni adatte,
locali
e generali, in armonia con le leggi di ciascun Paese;
3) il
rafforzamento del sentimento e della coscienza nazionale;
4) passi
preliminari onde ottenere l’assenso del governo ottomano.
Al di là del programma di
Basilea, fu
stabilito di convocare di quando in quando altri congressi,
affinché il popolo ebraico potesse avere un costante
punto
di
riferimento nel difficile cammino verso la fondazione del nuovo
Stato.
In occasione del secondo congresso avvenuto il 30 agosto 1898,
il
giornale si rifece ad una nota dell’agenzia Stefani. Il breve
articolo focalizzava la sua attenzione prevalentemente sulla
volontà dei sionisti di acquistare il territorio della
Palestina
dal Sultano, che non era alieno dal concedere la vendita, ma i
capitali
necessari non erano ancora raccolti4.
Il giornale non seguì
attentamente il terzo e
quarto congresso, tuttavia pubblicò delle note
d’agenzia
per tenere informato il lettore5.
Nel 1901 il quotidiano rese nota la
risposta
negativa della Camera alla domanda del governo ottomano a
diversi Paesi
europei, fra cui l’Italia, per impedire
l’emigrazione
ebraica6.
È da mettere in risalto che
per la prima
volta nel 1903 il «Corriere della Sera»
inviò un
corrispondente, che si firmava J, a seguire i lavori del
congresso. Il
giornalista dimostrava di avere una discreta conoscenza della
storia
ebraica recente, esprimendo simpatia e comprensione per le
aspirazioni
degli Israeliti aderenti al movimento.
In quell’anno le proposte di
Herzl si fecero
più pressanti e si indirizzarono soprattutto verso zone
come
l’Uganda, il Mozambico, il Congo, coinvolgendo quindi le
autorità inglesi, portoghesi e belghe. Il giornale
informò in una nota di agenzia dell’abbandono del
progetto
di colonizzazione di El Arish a causa delle difficoltà di
irrigazione7.
Theodor Herzl affermava che i negoziati
con
l’Inghilterra non avevano dato degli effetti positivi, per
cui il
progetto del Sinai doveva essere abbandonato; tuttavia
l’Inghilterra avrebbe messo a disposizione l’Africa
Occidentale, a patto che, sia pure amministrata dagli Israeliti,
tale
porzione di territorio rimanesse comunque sotto la
sovranità
inglese. Negli articoli inerenti le proposte
dell’Inghilterra,
sia i dispacci dell’agenzia Stefani che il corrispondente
alternano Africa Occidentale e Orientale, nonostante la proposta
inglese riguardasse l’Uganda.
Nella stessa seduta Herzl notava come
sia il Sultano
sia l’Imperatore tedesco Guglielmo avessero espresso la loro
simpatia per il movimento sionista. È interessante notare
che i
progetti e le iniziative sioniste continuavano a trovare
dissenziente
la maggioranza della comunità ebraica berlinese; infatti
un
membro del congresso, Davis Triesch8, mosse
vivaci critiche
ai dirigenti del congresso stesso. Una parte dei lavori fu
dedicata
alla discussione del rapporto sulla gestione del comitato
d’azione, organo deputato alle iniziative diplomatiche ed
economiche per la realizzazione del progetto9.
Molti oratori
si mostrarono insoddisfatti della linea di condotta del comitato
d’azione, soprattutto per ciò che riguardava le
trattative
diplomatiche condotte nel completo silenzio. Il corrispondente
descriveva l’inizio dei lavori con tono pieno di favore e di
fiducia, e sottolineava l’impressione ricevuta che i
partecipanti
mostrassero aperta solidarietà per gli Ebrei oppressi10.
Il numero dei congressisti era particolarmente elevato, circa
settecento delegati di associazioni ebraiche e un numero molto
maggiore
di semplici partecipanti, appartenenti alle più disparate
nazionalità.
Le discussioni più accese
riguardavano
l’attuazione del progetto sionista; erano particolarmente
importanti i contrasti sulla sede del futuro Stato ebraico; ma
–
come notava il corrispondente – l’asprezza delle
discussioni rivelava la vitalità delle idee e
l’immenso
interesse con cui gli Ebrei seguivano la questione sionista11.
Prima di riuscire a parlare con Herzl e Nordau, il giornalista
si
soffermò sulla nascita del movimento, definendolo come il
più antico e il più nuovo ideale del disperso
popolo di
Israele dal momento in cui gli Israeliti avevano lasciato la
loro terra
d’origine. Nell’articolo si parla anche di sionismo
sentimentale, inteso come aspirazione istintiva del popolo di
Israele
ad una tradizione di «razza» e di religione, che,
per i
suoi caratteri non prettamente pratici, poteva avere una
parvenza di
sogno e di desiderio inappagabile. Tuttavia, si era anche
verificata
una spinta all’azione pratica, grazie all’appoggio
economico e politico fornito agli Ebrei dell’Europa
Orientale, in
condizioni assai disagiate e costretti all’esilio. La
costituzione della patria ebraica non necessariamente doveva
comportare
l’emigrazione di tutti gli Ebrei Europei e
d’oltreoceano,
poiché in alcune nazioni il popolo ebreo viveva
abbastanza
liberamente e costituiva parte integrante della società.
Le
rivendicazioni del movimento sionista riguardavano
essenzialmente gli
Ebrei Orientali, cioè, diceva esagerando, i nove decimi
del
popolo ebraico; Israeliti sottoposti a maggiori vessazioni
politiche ed
economiche e per i quali la nuova patria avrebbe rappresentato
la
possibilità di una nuova vita.
Per gli Ebrei Italiani, ad esempio,
«la nuova
Sion» avrebbe rappresentato una patria puramente
religiosa.
Il
giornalista esprimeva un’opinione molto comune, secondo la
quale
il sionismo era rivolto soprattutto agli Israeliti di Paesi come
la
Russia, in cui erano sottoposti alle peggiori persecuzioni,
frutto di
arretratezza culturale, dispotismo politico, scarsa
modernizzazione.
Prima della nascita del movimento
sionista vi furono
vari tentativi di fondare moderne colonie ebraiche in Palestina
ad
opera di ricchi ebrei, fra i quali il barone Rothschild,
Goldschmith,
Hirsch. Così nel Paese nacquero alcune comunità
agricole
ebraiche. Dal 1897, nei congressi sionisti fu sempre discusso il
progetto di una fondazione di una colonia ebraica con
amministrazione
di tipo europeo ma sotto sovranità turca. A partire da
quella
data, Herzl si era incontrato con il Sultano turco – che
peraltro
non assecondò le richieste ebraiche – e
successivamente
con il governo russo, che si dichiarò favorevole
all’impresa, dato che il progetto avrebbe favorito
l’emigrazione degli Ebrei Russi. Infine – data la
difficoltà di ottenere il territorio dal Sultano –
Herzl
si rivolse all’Inghilterra, che accolse favorevolmente la
proposta, per vagliare altre possibili soluzioni12.
Una
prima dislocazione del nuovo Stato ebraico fu ipotizzata nella
penisola
del Sinai, ma successivamente questa offerta fu respinta per la
mancanza d’acqua nella zona; l’Inghilterra aveva
poi
suggerito l’Africa Orientale nell’area dei laghi
equatoriali. In ogni caso, l’iniziativa coloniale aveva
bisogno
di una solida base economica, realizzata attraverso tre
istituzioni. Il
giornalista si mostrava stupito del fatto che, nonostante la
presenza
di Ebrei benestanti, il capitale in possesso del movimento
sionista
fosse abbastanza esiguo, e osservava come la maggior parte degli
Israeliti ricchi considerasse negativamente il sionismo,
perché
esso avrebbe portato ad un aumento dell’antisemitismo e ad
ulteriori difficoltà nell’assimilazione con altre
razze13.
La proposta inglese dell’Africa Orientale provocò
vari
dissensi ed un’ala del congresso insisté per il
rifiuto
dell’offerta, poiché si giudicava con
più favore la
soluzione della Palestina, anche se realizzabile solo a lungo
termine;
i vantaggi della proposta furono invece esaltati da Herzl e
Nordau.
Herzl era favorevole alla costituzione
del
«Regno di Gerusalemme» nell’Africa
Occidentale, come
si deduce da una sua lettera che il barone Montefiore,
presidente della
fondazione sionista inglese, pubblicò alla fine del
dicembre
del
1903. Il giornale che ne diede notizia tuttavia non rese nota la
lettera del capo dei sionisti14. Ma i dissensi
non
mancavano, il giornale segnalò la lettera al
«Times»
di un importante personaggio pubblico inglese, il quale, come
Ebreo,
biasimava energicamente le decisioni del congresso sionista di
Basilea
riguardo al progetto di una colonia nell’Africa Australe15.
Nello stesso mese si tenne a Londra
un’assemblea di sionisti, reduci dal congresso di Basilea. I
delegati riferirono del progetto di colonizzazione
dell’Africa
Orientale, affermando l’importanza del progetto come primo
passo
verso la ricostituzione del regno di Sion16.
L’assemblea espresse il suo ringraziamento
all’Inghilterra per l’appoggio concesso al
movimento.
La proposta e il progetto di una
fondazione di una
colonia ebraica nell’Africa Orientale trovavano dissenzienti
proprio coloro che avrebbero dovuto in teoria trarne il maggior
giovamento, ovvero gli Ebrei Polacchi e Russi, costretti nelle
loro
patrie a subire periodiche violenze a carattere antisemita.
Il «Times», che
aveva seguito i lavori
dell’assemblea, giudicava il progetto irrealizzabile, ed
esprimeva l’opinione che il ritiro degli Ebrei in massa in
una
colonia, sia in Uganda che in Palestina, dovesse nuocere alla
loro
«razza», perché la parte più
eletta di essi
avrebbe perso i vantaggi di cui godeva fra le nazioni civili17.
Al giornale inglese giunsero molte
lettere di
persone che abitavano in quei territori oggetto della proposta,
nelle
quali si invitava il governo inglese a ritirare l’offerta,
giudicando impossibile il successo di una colonia ebraica.
Il «Corriere della
Sera» pubblicò
un altro articolo sulla possibile concessione di un territorio
agli
Israeliti da parte dell’Inghilterra18.
Il servizio, non firmato, faceva riferimento al romanzo della
scrittrice George Eliot19, Daniel Deronda, che
aveva dato come méta al suo protagonista la fondazione
del
nuovo regno d’Israele20.
Le aspettative della scrittrice, in quel periodo duramente
criticate,
avrebbero potuto essere confermate dal fatto che il governo
inglese, se
non aveva ancora accettato la proposta, stava comunque vagliando
il
progetto.
La fondazione di una colonia prettamente
ebraica
avrebbe aperto, in caso di successo, la strada verso la
realizzazione
di un sogno secolare della «razza» dispersa21,
mentre in caso di insuccesso, una simile iniziativa avrebbe
comportato
la condanna definitiva di ogni altro progetto analogo e
più
ampio.
Il giornalista notava come sia la stampa
sia il
governo inglesi si accingessero ad esaminare la questione con
molta
serenità e senza pregiudizi, anche se si doveva porre
attenzione
ai commenti dei più alti esponenti inglesi
dell’ebraismo,
che giudicavano il progetto troppo ardito. Anche ammettendo che
vi
fosse un’emigrazione dai centri orientali, non comprendevano
infatti come fosse pensabile la fondazione di una colonia in un
Paese
selvaggio. Gli Israeliti Inglesi prendevano anche in
considerazione la
pericolosità di immettere colonie estere nei territori
dell’Impero Britannico.
Per quanto concerneva
l’aspetto economico,
venivano indicate altre difficoltà: un’emigrazione
di
massa avrebbe comportato spese ingenti per il mantenimento
almeno nei
primi anni e per la dotazione di attrezzatura adatta.
Gli Ebrei Inglesi avevano assecondato
per un certo
periodo le idee del movimento sionista; anche Beniamin Disraeli
sembra
che avesse pensato alla possibilità di insediare i suoi
correligionari22 in Palestina, ma era proprio la
sua vicenda
a rendere gli Israeliti Inglesi scettici di fronte a tale
progetto.
Disraeli fece cadere le barriere che si ergevano tra le
libertà
britanniche e i ghetti, e la cittadinanza inglese era
considerata dagli
Ebrei Inglesi più preziosa di una autonomia politica, si
erano
aperte loro molteplici carriere prima interdette. Il progetto
aveva
avuto una viva accoglienza a Londra, dove vi era un quartiere
ebraico
povero, formato prevalentemente da Russi e Polacchi.
Il governo inglese ritenne opportuno
ritirare la sua
proposta di concedere un territorio nell’Africa Occidentale
ai
sionisti; nel riportare la notizia non vengono menzionati i
motivi
della ritrattazione, probabilmente ciò fu dovuto alle
polemiche
che causò l’offerta ed alle difficoltà
da
affrontare per l’eventuale colonia sionista in un ambiente
così diverso da quello europeo23.
Poiché in
ambito sionista si continuò a discutere
dell’offerta
inglese, è molto probabile che la notizia non
corrispondesse
al
vero.
Il corrispondente, che seguiva i lavori
del
congresso, sottolineava l’enorme importanza di questo
dibattito,
notando come un popolo che voleva accrescere e formare dalle
fondamenta
la dignità della sua vita collettiva era degno di
richiamare
l’attenzione universale24.
Successivamente il
giornalista ebbe la possibilità di intervistare Herzl, il
quale
precisò che la presa in considerazione della proposta del
Ministro delle Colonie Inglesi Chamberlain non implicava
necessariamente l’abbandono del progetto iniziale; anzi, il
comitato continuava a lavorare per condurlo a buon termine, ma
sarebbe
stato un grave errore opporre un netto e deciso rifiuto alla
proposta
inglese, negando così ad un cospicuo gruppo di Ebrei la
possibilità di fuggire da nuove sofferenze e privazioni.
Herzl
continuava parlando dell’emigrazione ebraica, diretta
soprattutto
verso l’Inghilterra e gli Stati Uniti, con la consapevolezza
che
questo fenomeno non sarebbe durato a lungo, poiché
entrambi
i
Paesi erano sul punto di approvare leggi limitative
dell’immigrazione. Herzl pensava che, dopo il rifiuto del
Sultano, l’appoggio russo alle richieste del congresso fosse
da
prendere in considerazione, auspicando la creazione di uno Stato
autonomo entro l’Impero Ottomano.
Si complimentò per
l’interesse mostrato
dal «Corriere della Sera» ai lavori del congresso,
che
avrebbe certamente contribuito a procacciare al sionismo nuove
simpatie25.
A poche ore dal colloquio con il dottor Herzl, il corrispondente
assistette alla votazione per l’affidamento a una commissione
tecnica del compito di valutare il territorio offerto
dall’Inghilterra, e notò che gli Ebrei Occidentali
si
erano espressi favorevolmente, mentre quelli Orientali avevano
votato
contro. Successivamente il corrispondente ebbe un colloquio con
Nordau,
che lavorava instancabilmente al congresso presiedendo le
sedute,
intervenendo come oratore e come consigliere. Egli,
nell’intervista, si soffermò particolarmente sulle
sofferenze che per duemila anni il popolo ebraico aveva dovuto
subire,
privato sia dei diritti civili che di quelli umani ed esposto al
disprezzo generale. Nordau spiegò che
l’opposizione degli
Ebrei Orientali alla proposta inglese derivava dal fatto che la
loro
spiritualità era molto forte – erano
più mistici
che pratici – ed in loro prevaleva il sentimento religioso,
mentre gli altri desideravano migliorare le loro condizioni
sociali26.
Per Nordau vi era l’emergere di ambizioni personali sul
popolo
che avrebbe potuto vivere una vita politica indipendente. Egli
era
persuaso che l’ora del «Risorgimento» era
arrivata
anche per il suo popolo, e il termine italiano lo induceva a
paragonare
la nostra storia con quella degli Ebrei, poiché anche il
popolo
italiano aveva sofferto per secoli la dominazione straniera,
nonostante
le sue illustri origini. La differenza tra i due popoli era
individuata
da Nordau nel fatto che il popolo ebraico aveva sopportato
sofferenze
maggiori e per una superiore causa. Con la fondazione dello
Stato
ebraico, certamente i problemi non sarebbero finiti, ma
probabilmente
aumentati. A questo proposito, il corrispondente notava che di
certo il
popolo ebraico non avrebbe fatto risorgere il Tempio di
Salomone,
«Re dei rovi ardenti, e dalle vette nebulose dei monti non
avrebbe più parlato Dio ai duci del popolo
eletto», ma
avrebbe necessariamente conseguito una vita migliore, più
sicura
e, per quanto possibile, più serena27.
Il congresso sionista si chiuse il 30
agosto 1903
con un discorso di Herzl, ascoltato in religioso silenzio da
tutto il
congresso; il giornalista notò l’entusiasmo dei
partecipanti alla fine dei lavori: consapevoli di aver trovato,
dopo
lunghe sofferenze, una nuova ragione di vita28.
La proposta di insediamento in Uganda
degli
Israeliti provocò reazioni di protesta in questo Paese e,
secondo il «Times», sarebbe stato opportuno invece
per gli
Ebrei assimilarsi completamente nelle nazioni in cui già
si
trovavano29. L’ex-governatore
dell’Uganda
affermò che il progetto di insediamento era pericoloso,
attuabile solamente in territori molto estesi – come ad
esempio
il Brasile – e con un clima meno ostile di quello equatoriale
africano; ricordò tentativi analoghi con esiti
decisamente
negativi quando i coloni ebrei si erano trasformati in predoni30.
Sempre nello stesso anno il giornale
dedicò
particolare attenzione ad un attentato nei confronti di Max
Nordau31.
Un giovane studente israelita, Chaim Selik Louran, si era
introdotto ad
un festa organizzata dai sionisti a Parigi e aveva tentato di
ferire lo
scrittore con svariati colpi di pistola. Gli altri invitati,
accortisi
subito delle intenzioni del giovane, lo avevano immobilizzato in
attesa
dell’arrivo delle forze dell’ordine. Alla polizia
il
giovane aveva spiegato i motivi del folle gesto; non conosceva
personalmente il leader sionista, ma era rimasto negativamente
colpito
dall’indifferenza da lui mostrata durante il primo congresso
verso la futura sede dello Stato ebraico32.
Dopo qualche giorno lo scrittore ebbe
modo di parlare con i giornalisti accorsi nella sua casa a
Parigi33.
A suo parere, molti Ebrei Russi erano fermamente convinti che la
fondazione di uno Stato in Africa significasse la rinuncia
definitiva
all’insediamento in Palestina, da costoro i sionisti erano
trattati come traditori. Egli personalmente non aveva
direttamente
proposto il progetto della colonia africana, ma aveva espresso
il
parere che fosse studiato con attenzione.
Prima dell’attentato, durante
la festa, Nordau
aveva espresso le sue opinioni su coloro che più avevano
in
odio
i progetti discussi nei congressi sionisti, gli Ebrei
rivoluzionari34.
Lo scrittore intendeva le correnti socialiste più
estreme. I
progetti rivoluzionari di questi Ebrei non erano riconosciuti
dal
sionismo, che non presupponeva delle rivendicazioni di carattere
sociale. Oltre a queste «frange» contrarie, da cui
bisognava guardarsi, altri «nemici» della causa
erano
indicati dallo scrittore in uomini come Reinach e Rothschild,
che
predicavano un tipo d’assimilazione che in realtà
era una
fusione, cioè la scomparsa della comunità ebraica.
Il «Corriere della
Sera» seguì
con attenzione anche lo svolgimento del congresso del 1905,
pubblicando
una serie di articoli che davano indicazioni sullo svolgimento
dei
lavori nelle diverse giornate. Nel primo, apparso sul numero del
26
luglio, si comunicava l’apertura del congresso per il giorno
seguente e il tema principale discusso: l’accettazione o il
rifiuto dell’offerta di un vastissimo territorio
nell’Uganda, per un esperimento di colonizzazione ebraica,
fatta
dal governo britannico35. Il giorno seguente
venne data
notizia dell’inaugurazione del congresso e della costituzione
ufficiale dell’ufficio di presidenza36.
Sullo stesso numero si legge un
interessante
articolo riguardante i dissensi all’interno
dell’ebraismo
sul sionismo37. L’articolo era ripreso
da una
corrispondenza del «Journal des Debats». Nella
prima parte
si delineava l’influenza che il sionismo aveva nei Paesi
europei
e negli Stati Uniti, dove aveva ottenuto parecchie adesioni. Il
giornalista lo definiva come un rinnovamento del nazionalismo
israelita
tradizionale, intendendo la consapevolezza da parte degli Ebrei
di
costituire una nazione. Il sionismo era combattuto
dall’internazionale operaia al pari degli altri nazionalismi.
L’associazione rivoluzionaria israelita più
importante in
Russia e in Polonia, il Bund38, ritenendo che
gli Ebrei
dovessero conquistare in ogni Paese la loro autonomia locale,
combatteva il sionismo perché lo considerava come un moto
borghese, reazionario e clericale, tendente a trattare coi
governi e a
favorire l’esodo degli Israeliti in Palestina. Il giornalista
notava che il Bund aveva perso una parte dei suoi aderenti
passati al
sionismo. Un’altra opposizione al movimento veniva
dall’alta classe israelita: questa, assimilatasi
completamente
nei Paesi dove risiedeva, trovava imbarazzante che una parte
dell’ebraismo proclamasse che le masse ebree, anche se
emancipate
dalle leggi civili, fossero assolutamente refrattarie ad ogni
assimilazione.
Le più potenti famiglie
ebraiche avevano
potuto, grazie alla loro influenza e alle loro
possibilità
economiche, imparentarsi con le maggiori casate aristocratiche
cattoliche39. Secondo il giornale francese, il
sionismo era
quindi destinato prettamente alle masse operaie ebree, come
possibilità di avere un’educazione, un orgoglio,
una
speranza che le sollevasse dalla loro degradazione,
persuadendole di
far parte di una «razza» e di una
comunità
invincibile, chiamandole a ricostituire la loro autorità
e a
riconquistare l’indipendenza sul suolo nativo.
L’argomento principale
continuava ad essere la
proposta inglese dell’Uganda, di cui si presentava un
rapporto
sulle condizioni del territorio, che non apparivano
particolarmente
favorevoli. Si apriva allora un’accesa discussione tra quelli
che
volevano accettare un’altra proposta inglese,
poiché il
territorio proposto era riconosciuto inadatto alla
colonizzazione40,
e quelli favorevoli solo alla scelta della Palestina.
Nel numero del 31 luglio un articolo
trattava la
risoluzione stabilita sulla questione Uganda: il congresso
manteneva
fermamente i principi del suo programma, tendenti a stabilire
una
patria per tutti gli Israeliti in Palestina e respingeva
qualsiasi
colonizzazione fuori della Palestina o dei Paesi vicini.
Ringraziava il
governo inglese per la sua offerta di un territorio
nell’Africa
Orientale e dopo aver preso visione dei rapporti dichiarava
l’affare chiuso e costatava con gran soddisfazione
l’approvazione data dall’Inghilterra alla soluzione
della
questione sionista, sperando che il governo inglese accordasse i
suoi
buoni uffici ovunque l’applicazione del programma di Basilea
fosse stata possibile41. La risoluzione fu
approvata a gran maggioranza, anche se il gruppo socialista
abbandonava
l’assemblea per protesta.
Nonostante la relazione presentata al
congresso
giudicasse non idonea l’Africa Orientale,
nell’agosto
dell’anno successivo il giornale diede notizia che duemila
Israeliti avevano votato una risoluzione in cui si affermava che
lo
stabilimento di una colonia israelita nell’Africa Orientale
britannica era il solo mezzo per procurare la libertà ai
correligionari russi42. Nella stessa seduta fu
letta una
dichiarazione dell’alto commissario inglese del Sud Africa
lord
Selborne, in cui esprimeva la sua indignazione per i fatti
verificatisi
in Russia (pogrom degli anni 1903-1906), ribadendo
altresì
la
convinzione di ammettere la futura colonia israelita fra i Paesi
membri
dell’Impero Britannico.
La sensibilità mostrata verso
le tematiche
ebraiche può considerarsi uno dei segni
dell’ispirazione
liberale, che animava il moderatismo conservatore del
«Corriere
della Sera».
Note
1 Anteriormente il primo congresso, il giornale
pubblicò due articoli sul movimento sionista. Entrambi
dimostrano una scarsa conoscenza della sua storia e delle varie
correnti dell’ebraismo. In ogni modo, assumono molta
importanza
data la loro pubblicazione in prima pagina. Confronta Il sionismo,
«Corriere della Sera», 31 marzo-1° aprile
1896.
Contro il sionismo,
«Corriere della Sera», 9-10 luglio 1897.
2 Gli
Israeliti in cerca di una patria, «Corriere
della Sera», 31 agosto-1° settembre 1897.
3 Pseudonimo di Simon Maximilian Suedfeld nato a
Budapest
nel 1849 da una famiglia ungherese di origine ebraica. Fu un
tipico
rappresentante del positivismo, sottoponendo ad aspra critica la
società e la cultura della fine del XIX secolo. Furono
assai
lette le sue opere in lingua tedesca: Die Konventionellen Lugen der
Kulturmenscheit (1883), Paradoxe (1885).
Come romanzi scrisse Entartung
(1892), Das Recth zu
lieben (1894).
Confronta AA. VV., Encyclopaedia
Judaica, opera citata, pagine 1211-1214.
4 Il
secondo congresso dei sionisti, «Corriere della
Sera», 30 agosto-1° settembre 1898.
5 Il
congresso dei sionisti, «Corriere della
Sera», 16-17 agosto 1899.
6 Gli
Israeliti in Palestina, «Corriere della
Sera», 5-6 maggio 1901.
L’Impero Ottomano si era reso conto dall’inizio del
carattere del movimento sionista, allarmandosi per le possibili
conseguenze sul piano politico, ed era ufficialmente contrario
ai
progetti sionisti. Questo non era dovuto a sentimenti
antisemiti, ma a
calcoli politici. Alla fine dell’Ottocento l’Impero
doveva
affrontare all’interno movimenti nazionalisti e secessionisti
delle popolazioni soggette e all’esterno
l’interferenza
delle grandi potenze europee. Se l’insediamento in Palestina
avesse avuto successo, avrebbe creato una nuova minoranza con
tendenze
autonomiste, come succedeva in Armenia e in Macedonia. Inoltre,
la
maggioranza degli Ebrei aveva la protezione delle potenze
europee e
godeva di privilegi extra-territoriali, quindi probabilmente
l’interferenza degli altri Stati sull’Impero
Ottomano
sarebbe aumentata. Per opporsi all’insediamento sionista, le
autorità agirono in due modi: proibirono
l’immigrazione
ebraica in Palestina e il trasferimento di terre agli Ebrei non
Ottomani. Questi divieti di fatto non sortirono effetti: il
divieto
riguardava solo la residenza permanente in Palestina, e gli
Ebrei
poterono sempre entrarvi liberamente per affari o per
pellegrinaggio.
La corruzione e la confusione burocratica, la complicità
di
venditori e intermediari arabi e soprattutto l’interferenza
dei
consoli stranieri a protezione dei diritti dei loro concittadini
invalidarono anche le norme sulla vendita della terra. I consoli
avevano il pieno diritto di intervenire per la protezione dei
propri
connazionali: il calcolo politico delle ingerenze
sollecitò
persino le società più apertamente antisemite,
come
quella Russa, ad adoperarsi in favore dei propri sudditi ebrei,
che
così godettero in Palestina della protezione che non
avevano
ottenuto in patria. Il governo ottomano si spinse fino
all’invito
alle potenze straniere di impedire l’emigrazione ebraica dai
loro
Paesi, ottenendo ovviamente delle risposte negative, come questa
del
governo italiano. Nel 1901 le autorità, per tentare di
regolamentare la futura immigrazione, concessero un’amnistia
che
dava diritti permanenti di residenza agli immigrati illegali che
già vi risiedevano da lungo tempo. Confronta Lewis
Bernard, Semiti e antisemiti:
indagine su
un conflitto e un pregiudizio, Bologna, Il Mulino,
1986,
pagine 185-187.
7 Il
IV congresso dei sionisti, «Corriere della
Sera», 25 agosto 1903.
8 Davis Trietsch (1870-1935). Leader sionista e
scrittore.
Nato a Dresda, studiò a Berlino e a New York,
approfondendo
particolarmente i problemi dell’immigrazione. Si oppose alla
politica di Theodor Herzl, insistendo per trovare praticamente
un
territorio quanto più vicino alla Palestina. Egli
cercò
invano di convincere il movimento ad adottare la sua idea di una
«grande Palestina» che comprendesse la Palestina,
Cipro ed
El Arish.
Confronta AA.VV., Encyclopaedia
Judaica, opera citata, pagine 1394-1395.
9 Il
congresso sionista, «Corriere della
Sera», 25 agosto 1903.
10 Il
congresso di una razza, «Corriere della
Sera», 26 agosto 1903.
11 Il
regno di Sion, «Corriere della Sera»,
27 agosto 1903.
12 Ibidem.
13 Ibidem.
14 Una
lettera del capo dei sionisti, «Corriere della
Sera», 23 dicembre 1903.
15 La
campagna contro il sionismo, «Corriere della
Sera», 5 settembre 1903.
16 Assemblea
di sionisti, «Corriere della Sera», 8
settembre 1903.
17 Ibidem.
18 Intorno
alla colonia anglo-sionista, «Corriere della
Sera», 23 settembre 1903.
19 Mary Ann Evans. Confronta Mayer Hans, I Diversi, Milano,
Garzanti, 1992, pagine 91-97.
20 Il romanzo a cui si riferisce il
corrispondente è Daniel
Deronda,
pubblicato nel 1876; un giovane è educato in Inghilterra
da
un
parente che gli nasconde la sua identità ebraica, alla
fine
ritorna all’ebraismo sposando una giovane ebrea francese.
Presso
gli Ebrei Inglesi il protagonista del romanzo rappresentò
una
possibilità di identificazione, che li avrebbe portati ad
una
maggiore integrazione. Per quanto riguardava i non Ebrei essi
provavano
una sorta di disagio e di inferiorità verso le alte
qualità intellettuali e morali del protagonista.
Confronta
Mayer
H., opera citata, pagine 375-380.
21 Intorno
alla colonia anglo-sionista, «Corriere della
Sera», 23 settembre 1903.
22 Invero, Disraeli si era convertito molto
giovane
all’anglicanesimo e quindi il politico inglese aveva soltanto
delle origini ebraiche.
23 L’Inghilterra
rifiuta il territorio ai sionisti, «Corriere
della Sera», 29 dicembre 1903.
24 Ibidem.
25 Per
la libertà e per la Palestina,
«Corriere della Sera», 18 agosto 1903.
26 Un
colloquio con Max Nordau, «Corriere della
Sera», 29 agosto 1903.
27 Ibidem.
28 La
chiusura del congresso sionista. Cerimonia solenne,
«Corriere della Sera», 30 agosto 1903.
29 In
Uganda non vogliono gli Ebrei, «Corriere della
Sera», 30 agosto 1903.
30 L’Uganda
contro il sionismo, «Corriere della
Sera», 1° settembre 1903.
31 Tentato
assassinio di Max Nordau durante una festa di sionisti,
«Corriere della Sera», 20 dicembre 1903.
32 L’attentato
di un sionista contro Max Nordau. L’interrogatorio di Chain
Selik Louran, «Corriere della Sera»,
21 dicembre 1903.
33 L’attentato
di un sionista contro Max Nordau. L’interrogatorio di Chain
Selik Louran, «Corriere della Sera»,
21 dicembre 1903.
34 Max
Nordau e la questione semita, «Corriere della
Sera», 24 dicembre 1903.
35 Il
congresso sionista a Basilea, «Corriere della
Sera», 26 luglio 1905.
36 Il
congresso sionista, «Corriere della
Sera», 27 luglio 1905.
37 Il
sionismo e l’opposizione dell’alta classe israelita,
«Corriere della Sera», 27 luglio 1905.
38 Con il termine tedesco Bund, che significa
associazione,
si è soliti indicare in forma abbreviata il movimento
socialista
ebraico «Algemeiner Jidisher Arbeterbund in Lite, Poilen
un
Russland» (espressione jiddisch
che significa «Federazione generale dei lavoratori ebrei
in
Lituania, Polonia e Russia»). Il Bund fu fondato a Vilna
nel
1897
soprattutto come sindacato operaio, ma in seguito svolse una
funzione
di vero e proprio movimento politico. Tenace avversario del
sionismo,
si batteva per la salvaguardia della lingua jiddisch
e per i diritti degli operai ebrei nell’Europa Orientale.
Mentre
in Russia, nel 1921, confluì nel partito bolscevico, in
Polonia
continuò a esercitare un importante e autonomo ruolo fino
all’invasione nazista.
Confronta Frankel Jonathan, Gli
Ebrei
Russi tra socialismo e nazionalismo (1862-1917),
Torino, Einaudi, 1990, pagine 268-393.
39 Esempio di questa situazione ne I Moncalvo di
Enrico Castelnuovo, pubblicato nel 1908.
40 Il
congresso sionista, «Corriere della
Sera», 28 luglio 1905.
41 Il
congresso dei sionisti, «Corriere della
Sera», 31 luglio 1905.
42 Per
una colonia israelita in Sud Africa, «Corriere
della Sera», 2 agosto 1905.