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    ODDINO MORGARI (1865-1944)
    
    di Gianni Artero
    
    1. Il personaggio
    
    Nato a Torino il 16 novembre 1865 in una famiglia di pittori (il
    padre Paolo Emilio, la madre Clementina Lomassi, la sorella Bice, il
    fratello Luigi, il più celebre, vissuto dal 1857 al 1935 e
    autore di numerosi affreschi[1]), questa parentela concorse
    probabilmente allo stereotipo di “bohemien”. A questa nomea
    contribuì l'autobiografia di Rinaldo Rigola in cui l’anziano
    sindacalista racconta che, eletto deputato nel 1904, non essendovi
    allora indennità per tale carica "l'on. Morgari mi impartiva
    delle lezioni di economia parlamentaristica:..."risparmio i soldi
    dell'albergo andando a dormire in treno. Combino il viaggio in modo
    che tra l'andata e il ritorno ci sia da passare l'intera notte"
    approfittando  della franchigia ferroviaria che consentiva ai
    deputati di viaggiare gratuitamente."Sapevo che Morgari era capace
    di fare ciò ed altro ma non ero  del suo avviso...non mi
    sentivo di spingere il mio eroismo a tal punto....(....)...non [ero
    ] tagliato per l'eccentricità"  [2]
    
        Più seriamente, c’è sicuramente
    nella sua vita un lato avventuroso, un  certo gusto per la vita
    nomade: dal soggiorno in Francia alla fine degli anni '80 alla
    presenza in Macedonia nel 1903 dove era accorso in occasione
    dell'insurrezione al dominio turco, dai due anni trascorsi in
    Estremo Oriente (1911-13), ai viaggi durante la guerra mondiale per
    riallacciare i rapporti tra i socialisti, fino alla presenza a
    Budapest durante la “Comune” e ai viaggi in Russia nel 1922 e alla
    metà degli anni '30.  
    
       Spontaneo il paragone con personaggi del socialismo
    dell'epoca, come Giacinto Menotti Serrati[3] che trascorse una parte
    importante della sua vita nell'emigrazione come organizzatore dei
    lavoratori italiani in Svizzera e negli Stati Uniti, o come il
    "cittadino del mondo" Edmondo Peluso[4]   che ha suggerito
    il sottotitolo.  Al di là dell’aspetto pittoresco
    è importante cogliere lo spessore umano e politico del
    personaggio che fu una figura non secondaria di un quarantennio del
    socialismo italiano, e nel periodo della guerra anche
    internazionale, trovandosi sovente al centro dei più
    importanti avvenimenti, fino almeno al primo dopoguerra quando
    verrà superato dai nuovi eventi e da una nuova generazione.
    
      Nel sistema di valori fondativi del socialismo italiano
    delle origini, il carattere positivistico-sentimentale della sua
    adesione è comune alla maggior parte della  generazione,
    mentre i suoi tratti distintivi sono il disinteresse, che lo
    portò a subire più che a ricercare le cariche
    direttive, e la predicazione tra le masse. Nelle cronache delle
    agitazioni e degli scioperi di tutta Italia, dal 1890 in poi
    è raro non trovare il suo nome: quando la situazione si
    faceva critica e occorreva la presenza di qualcuno che sapesse
    parlare alle masse, le sezioni del Partito e le Camere del Lavoro si
    rivolgevano a lui. Analogamente proiettato verso gli umili fu il suo
    impegno di pubblicista.
    
      Dopo queste essenziali chiavi di lettura, un’ultima
    osservazione: avendo operato sia a livello locale torinese, che
    (dall’elezione alla Camera nel 1897) nazionale, e dal 1914 anche
    internazionale,  non è facile con un’ esposizione
    rigidamente cronologica che spezza la narrazione in singoli episodi
    slegati seguire il filo di attività che si sviluppavano
    parallelamente su piani diversi.  Abbiamo pertanto ragruppato
    le vicende secondo nuclei tematici, così da poterle
    descrivere nel contesto in cui si collocano.
    
      Nel 1885 durante il  servizio di leva,   che
    per la sua conoscenza del disegno andava   svolgendo
    all'Istituto Geografico Militare di Firenze, ebbe luogo la sua
    iniziazione politica, che così rievocherà in uno
    scritto dei suoi ultimi anni: “nella mia adolescenza per motivi di
    natura psicologica ed ereditaria la mia mentalità era come
    una spugna pronta ad imbeversi di quel qualunque ideale umanitario
    che le fosse prospettato dal primo idealista in cui si sarebbe
    imbattuto; e volle il caso che questo fosse un mazziniano…andato al
    par di me  nella Fortezza di Basso di Firenze, ragion per cui
    in tre giorni fui avvinto e mi diedi a quella fede per metà
    politica e per metà religiosa con quella stessa ardente
    passione con cui un giovane vive il suo primo amore” [5]
    
    Ma fu costretto a dimettersi «quando il Ministero
    delegò una Commissione disciplinare a giudicare di un
    rapporto della polizia, che [lo] denunciava come
    mazziniano»[6]
    
    Espatriato, raggiunse Parigi e in seguito Marsiglia dove dal
    settembre al dicembre del 1890 diresse il circolo mazziniano. Per
    usare le sue parole, scritte però a cinquant’anni dagli
    avvenimenti e quindi da considerare con cautela:  “Quattr'anni
    erano passati dopo d'allora durante i quali avevo preso contatto col
    pensiero socialista traverso scarse ed incomplete battute,
    cosicchè poco a poco ero venuto a dubitare che il
    mazzinianesimo fosse un edificio mancante di alcuni muri maestri, ma
    per passare alla convinzione socialista ero impedito da diverse
    obiezioni suggeritemi dal buon senso dell'aspetto pratico delle
    questioni già vivo in me nonostante l'età giovanile.
    Respingevo con noia certe obiezioni volgari. (...).ma certi altri
    dubbi mi ponevano in imbarazzo: per esempio mi stringeva il cuore
    assistendo alla propaganda di tanti sindacalisti e socialisti che
    alle masse parlavano soltanto di diritti e mai di doveri...e che si
    disinteressavano delle sofferenze di tanti altri lavoratori solo
    perchè non portavano il berretto dell'operaio di
    fabbrica....Si poteva temere che nel nuovo assetto si scatenasse una
    nuova forma di sfruttamento, quella degli oziosi e dei cinici sui
    compagni coscienti e volonterosi..(...)..mi chiedevo se per ottenere
    un corretto adempimento dei nuovi obblighi sociali non sarebbe stato
    necessario un regime di dittatura che avrebbe trasformato l'Eden
    promesso in un'immensa caserma...Il socialismo prometteva di
    costruire una nuova casa di cui però non presentava il piano
    limitandosi a magnificarlo con vaghe frasi messianiche...tutti
    motivi che mi portavano ad attendere che un uomo o un libro mi
    dimostrasse con argomenti irrefutabili che .....non era un'impresa
    destinata a fallire dopo immensi sacrifici per l'incapacità
    morale e tecnica dei suoi imprenditori e per imprevisti difetti d'un
    meccanismo che nessuno aveva cura di prevedere....La rivelazione mi
    raggiunse sotto la forma d'un volumetto venutomi sotto mano per caso
    e che lessi d'un fiato in una camera di un albergo di quint'ordine
    della vecchia Marsiglia...”L'Anno 2000” di Edoardo Bellamy, uno
    scrittore totalmente vuoto in fatto di dottrine..[ma]..nel leggerlo
    io vidi la società socialista nella sua architettura e nei
    suoi ordinamenti e di colpo tutti i miei dubbi sparirono dalla mia
    mente...e poi fui certo che la società degli uguali e dei
    liberi non era un sogno come quello del paradiso dei cristiani, ma
    un meccanismo che si poteva concretamente costruire e far funzionare
    (...) Questa verità mi folgorò nel cervello e mi
    fasciò di gioia tantochè ad un certo punto della
    lettura andai alla finestra e gridai: “ho compreso! ho compreso!”
    come se volessi informare tutta Marsiglia. Per qualche tempo vissi
    nello stato d'animo di un visionario a cui Iddio è apparso in
    sogno per assegnargli una qualche missione”[7]
    
     
    
    2. Lo sviluppo industriale e le origini del socialismo torinese
    
         La storia di Torino operaia e socialista
    è stata scritta più volte[8] ma si ritiene utile
    fornire alcuni dati essenziali di inquadramento.
    
         L'Esposizione Universale del 1884 aveva
    sancito il superamento della crisi legata al trasferimento della
    capitale. Su una popolazione nel 1880  di 300.000 abitanti gli
    addetti all'industria (comprendendo anche i lavoratori a domicilio e
    parte degli artigiani) costituivano una quota del 20-30 %. La
    maggior parte delle imprese risultava già allora concentrata
    nei settori metallurico e tessile con il 40% e il 19% delle imprese
    cittadine rispettivamente. Accanto al vecchio comparto statale
    (Arsenale militare, Manifattura tabacchi, Officine ferroviarie) che
    continuava a rappresentare il più consolidato nucleo
    produttivo cittadino, cresceva un tessuto di imprese private dotate
    di grande dinamismo che avevano dato vita a stabilimenti di medie
    dimensioni con maestranze operaie dalle 100 alle 300 unità e
    che negli anni tra la fine degli anni '80 e i primi anni '90,
    nonostante la rottura commerciale con la Francia e la crisi
    bancaria, riuscirono a consolidare il primo nucleo del capitalismo
    d'impresa destinato a soppiantare le produzioni governative e a
    fornire alla città il suo definitivo volto industriale.
    
       Questo processo di sviluppo entrava in confltto con una
    società connotata da  relazioni sociali fortemente
    gerarchiche,  da retaggi politici  e   culturali
    di tipo tradizionale e da un sistema politico-istituzionale
    elitario. Aveva iniziato a modificare questo quadro la crescita
    tumultuosa e disordinata di un proletariato proto-industriale
    accanto e pericolosamente intrecciato con il “ceto operaio sobrio e
    previdente” caro alla tradizione sabauda, crescita che era vista
    come una minaccia del rapporto paternalistico tra élites
    liberali e associazionismo operaio
    
      Nel 1880-81 dal ceppo della Lega della democrazia,
    cioè dall'area che andava dai mazziniani ai radicali e che,
    pur non essendo vasta e socialmente radicata come nel milanese, non
    era priva di organizzazioni in ambiente operaio, artigiano e
    piccolo-borghese, erano sorte l'Associazione democratica subalpina,
    il Consolato operaio, la Società di mutuo soccorso
    Fratellanza artigiana
    
      Nella primavera 1886 l'agitazione dei muratori assuse quasi
    le caratteristiche di una rivolta urbana con blocco dei quartieri,
    scontri violenti e presidio di molte zone da parte della polizia;
    poi vi erano state la lotta delle sigaraie e la diffusione di una
    piccola conflittualità negli stabilimenti manifatturieri su
    problemi di salario, orario, regolamenti
    
    Intorno a quel periodo cominciò a manifestarsi quella
    tendenza repubblicano-socialista che, dapprima rappresentata solo da
    pochi mazziniani attratti dal movimento operaio (gli avvocati
    Leandro Allasia e Giambattista Cagno, il giovanissimo pacifista
    ClaudioTreves, il gasista Gianpietro Daghetto) crebbe sino a
    costituire il pilastro della formazione a Torino del Partito
    socialista
    
       Nel giugno 1887 nasce la “Gazzatta operaia” fondata
    dallo studente vercellese Luigi Galleani[9], che ebbe un ruolo come
    elemento di mediazione tra anarchismo e movimento operaio,  ma
    numerosi erano, in un'area dai confini incerti, i giornali che si
    pubblicavano nella capitale piemontese: il “Ventesimo secolo”
    di  Giovanni Lerda (autodidatta, divenuto poi protagonista a
    livello nazionale come leader della corrente intransigente[10]), il
    “Grido del popolo” del tipografo Chenal, la “Squilla” di area
    radical-repubblicana.
    
       Nel corso del 1888 si costituì, con l'intervento
    degli operaisti milanesi Lazzari e Casati, sul modello dei lombardi
    “Figli del lavoro”, la Associazione fra i lavoratori d'ambo i sessi
    di città e di campagna che poco dopo si presentò come
    federazione locale del Partito Operaio Italiano. Fu l'unica forza in
    grado di intervenire nell'intensa fase di agitazioni di fabbrica e
    proteste operaie che attraversarono Torino   nella
    primavera-estate 1889,  con dimensioni e intensità mai
    raggiunte in precedenza, e i cui effetti determinarono una svolta
    decisiva per la configurazione del movimento operaio e socialista
    locale
    
      A metà aprile del 1889,  partita dai pellettieri
    che protestavano per una ribasso dei cottimi, ripresero le
    agitazioni che si infittirono ed estesero in tutti i settori, in
    particolare quello tessile colpito dal rialzo delle tariffe
    doganali.
    
      La tendenza spontanea dell'agitazione operaia si
    intrecciò così con il progetto politico e
    organizzativo della federazione operaista che si era costituita
    proprio sulla tesi della centralità delle lotte economiche
    per lo sviluppo del socialismo come movimento politico, sostenendo
    un duro confronto con l'anarchismo intransigente tradizionalmente
    diffidente verso il concetto stesso di lotta di classe come lotta
    rivoluzionaria
    
       La situazione si radicalizzò a partire
    dall'inizio di giugno, con una città quasi in stato
    d'assedio: gli arresti nei giorni 11 e 12 furono una quarantina e il
    13 iniziarono i processi per direttissima con condanne da due giorni
    a tre mesi; anche dopo questa data si ebbero strascichi  con
    l'entrata in scena dei panettieri e poi dei garzoni del macello
    civico.
    
      Il 10 novembre 1889 si votò a Torino per rinnovare il
    consiglio comunale sulla base della legge del 30 dicembre 1888 che
    estendeva il diritto di voto a parte dell'elettorato operaio. Si
    determinò in occasione di queste elezioni la frattura dei
    democratici tra un'ala possibilista, che si inserì nella
    lista liberale, e un'ala più radicale che si accordò
    con i gruppi socialisti-operaisti per la presentazione di una lista
    democratico-operaia, i cui   risultati furono deludenti,
    non andando nessuno dei candidati oltre i 1800-1900 voti.
    
     
    
    3. Morgari nel socialismo torinese del decennio 1890-1900
    
       In questa situazione si inserisce Morgari che,
    rientrato dalla Francia, prende parte attiva sulle pagine della
    Squilla alle discussioni seguite al congresso socialista di Genova
    del 1892 . Non proveniva dal socialismo militante, era quasi
    sconosciuto all'inizio al punto che il Grido del Popolo ne storpiava
    il nome, ma apparteneva a quell'area di repubblicani di recente
    conversione guardata con una certa diffidenza dai vecchi operaisti e
    socialisti per questo motivo.
    
       Così viene descritto quasi cinqunt'anni dopo da
    un anonimo collaboratore dell'”Avanti!”: “Arrivato da dove non si sa
    piovve un giorno a Torino un tale con un pizzetto rossiccio (...)
    trovò lavoro come contabile presso la cartoleria Simondelli
    in via Po. ....Erano allora gli impiegati pagati a mesi e Oddino
    ebbe l'audacia di chiedere un anticipo sullo stipendio del suo primo
    mese. Allora si andava a vedere il padrone con il cappello in mano e
    l'ordine di costui e il fatto per di più che gli venne
    concesso stupirono parecchi di noi della stessa ditta. Parlava un
    linguaggio nuovo e una sera mi invitò ad andare alla
    “Fratellanza operaia” ..(...)..non ricordo se a parlare ci fosse
    Cerutti o Chenal. Intervenne nel dibattito anche un avvocato che
    più tardi seppi era Claudio Treves...Passò qualche
    anno e il PSI fondò una sezione a Porta Palazzo
    sorvegliatissima dalla polizia.... Poscia la testa calda
    fondò un'altra sezione vicina a Piazza Filiberto frequentata
    da universitari: Roux, Casalini e altri E forse anche persone di
    dubbia moralità, difatti una sera vedo Oddino pallido e
    silenzioso. Più tardi ci spiegherà l'origine del suo
    malumore ..Aveva riscosso quella sera stessa il suo stipendio e
    mentre era nella Sezione un biglietto da 100 lire aveva preso il
    volo dal suo portafoglio. Oddino non volle denuncìare il
    fatto alla polizia Ne subirebbe la sezione..La gente direbbe che vi
    son dei ladri fra noi che vogliamo riformare il mondo. E poi chi lo
    ha preso forse ne aveva più bisogno di me. Così la
    cosa fu messa a tacere per non danneggiare la sezione” [11]
    
       Dopo la fallimentare campagna elettorale del 1889,
    sull'onda della delusione che serpeggiava, e con la ripresa delle
    vertenze, questa volta alle Officine ferroviarie, la parola d'ordine
    della fondazione della Borsa del lavoro  ebbe grande successo,
    raccogliendo nell'estate del 1891 l'adesione dei più forti
    sodalizi operai a partire dall'Associzioe Generale Operaia (AGO)
    che, forte di 6.000 soci, aveva un'immagine pubblica quasi
    istituzionale, e tutt'altro che scontata era la sua adesione al
    progetto, presentato comunque con caratteri di moderazione tali da
    essere accettabile ai liberali.
    
      La proposta di fare del Primo Maggio una giornata
    internazionale di lotta, lanciata a  Parigi nel 1889, diede
    luogo a Torino nel 1891 ad incidenti: sfidando il divieto
    prefettizio folti gruppi  di dimostranti, radunatisi in piazza
    Statuto, furono circondati e dispersi dalle forze di polizia:
    Quell'episodio rimase rimase a lungo impresso nella memoria
    collettiva della città, e fu il fatto scatenante che
    determinò nel noto scrittore Edmondo De Amicis, che assisteva
    alla scena dalle finestre del suo appartamento su quella piazza,
    l'interesse verso il socialismo. Nei giorni successivi vennero
    celebrati i processi per direttissima, che comminarono pene 
    pesanti: da due a tre anni.
    
       Frattanto il progetto della Camera del lavoro che, come
    a Milano e in altre realtà, diede luogo ad una trattativa con
    il Municipio per il riconoscimento e un sussidio, andava avanti:
    nell'estate 1891, non appena fu avviata l'organizzazione delle
    sezioni per arti e mestieri, passò rapidamente da poco
    più di 700 a quasi 4.000 aderenti.
    
       Nelle elezioni del novembre 1892 si presentò una
    lista socialista con candidati in quattro collegi, con risultati
    deludenti: Prampolini ottenne 53 voti, Lerda 153. Mentre per Lerda
    il problema della sconfitta non si poneva, non avendo mai puntato
    sulle elezioni se non come occasione per far sentire la voce del
    socialismo, nella nota di commento pubblicata dalla “Squilla” e
    scritta da Morgari si coglieva una posizione più
    problematica, espressione di una cultura per la quale lotta
    economica e lotta politico-parlamentare formavano un tutto unico e
    che poneva l'esigenza di una tattica di partito integrale.
    
       La dura sconfitta alle urne indusse l'area degli
    ex-radicali e repubblicani, della “Squilla”, della “Lega Democratica
    Sociale”, a prendere la decisione, nel corso di una riunione tenuta
    il 15 novembre 1892, di fondare la sezione del “Partito dei
    lavoratori di Torino e provincia”, in attesa di concordare
    l'affiliazione a livello nazionale. Fu una forzatura di un gruppo di
    organizzatori che in questo modo si candidava al ruolo di direzione
    del socialismo torinese in sostituzione della “vecchia gurdia”.
    
        Il quadro dirgente che guidò il processo
    di formazione del partito non proveniva dalle esperienze storiche
    del socialismo, (con l'eccezione del vecchio operaista Paolo Alessi)
    ma dall'associazionismo repubblicano e a dare il tono al nuovo
    partito più che la componente operaia, presente con Chenal,
    Daghetto, Racca e gli organizzatori Quirino Nofri e Morgari, fu
    quella quella dei giovani di simpatie democratiche e repubblicane
    provenienti dall'Università e destinati a ruoli di primo
    piano come Claudio Treves, Adolfo Zerboglio, Guglielmo Ferrero,
    Camillo Olivetti, Mario Novaro, Zino Zini, Guglielmo Ferrero, Felice
    Momigliano, Gina e Paola Lombroso. Fu un passaggio di consegne non
    formalizzato ma dovuto alle indubbie capacità organizzative
    di alcuni personaggi che dimostrarono di meritare un ruolo di guida
    nel partito e di saperlo condurre alla conquista di nuovi traguardi.
    
      Il Partito esordì organizzando una serie di conferenze
    operaie a partire dal 2 dicembre e indicendo le elezioni per il
    rinnovo della Commissione Esecutiva della CdL che, sebbene fondata
    appena da un anno, languiva in difficoltà amministrative e
    politiche. Il nuovo gruppo dirigente restituì la CdL
    all'influenza socialista, cosa che aveva un significato particolare
    alla luce dei principi organizzativi stabiliti al Congresso di
    Genova, e si presentò come gruppo autonomo, dandosi una
    struttura unitaria al posto della precedente federazione di
    associazioni di mestieri e di circoli politici
    
       Al momento dell'adesione nazionale, il 14 gennaio 1893,
    i soci iscritti erano solo 80, ma già il 21 confluì la
    Lega Democratica Sociale portando un contributo essenziale di soci e
    di risorse con 300 iscritti, ad aprile 1893 divenuti 400. e la
    Squilla cessò le pubblicazioni irrobustendo il Grido del
    popolo, divenuto organo ufficiale a livello locale. Al successo di
    questo giornale contribuì anche il declino del “Ventesimo
    secolo” di Lerda e Schiaparelli.
    
    In questa fase di impianto dell'organizzazione, a prendere le
    iniziative (formazione di una commissione di propaganda, istituzione
    di una scuola di partito, piano di potenziamento del “Grido”) fu un
    gruppo composto dall'insegnante Battelli, dal medico Norlenghi,
    Morgari, Daghetto, Allasia, Zerboglio, Treves, Cagno......
    
       La sezione si formò su alcune basi politiche e
    ideologiche: propensione all'analisi sociologica, influenza
    del  socialismo prampoliniano-emiliano; critica
    dell'ordinamento borghese più moralista che marxista.
    Come scriverà La Stampa alcuni anni dopo, il partito
    socialista a Torino “lo fondarono un esiguo numero di persone,
    giovanissime quasi tutte, alcune colte, quasi tutte sentimentali e
    talune fino alla mobosità, agitate da sogni seducenti di
    ricostruzione dell'attuale società viziata e corrotta” [12]
    
       Per la giornata del Primo Maggio 1993 il partito tenne
    13 conferenze in città e altre 4 in provincia, dando
    così l'immagine di un'organizzzione forte e radicata sul
    territorio. Il 28 maggio Morgari tenne un comizio al Teatro
    Nazionale in appoggio alla proposta di legge del deputato
    democratico Pietro Albertoni di abolizione dei dazi sui beni di
    largo consumo e di una tassazione fortemente progressiva sulle
    successioni. A maggio iniziò la propaganda nelle campagne
    attraverso conferenze e in giugno i quattro candidati alle
    amministrative (Morgari, Nofri, Alessi, Goria) ottenevano 1809 voti
    che erano anche il risultato della precedente conquista di
    un'importante istituzione quale la Cooperativa ferroviaria
    
      Nell'agosto del 1893 ad Aigues Mortes in Provenza erano
    avvenui dei gravissimi scontri tra gli operai locali e quelli
    italiani che accettavano di lavorare nelle saline per salari
    più bassi, culminati nel linciaggio di una trentina di
    immigrati. Alle dimostrazioni antifrancesi appoggiate dal governo, i
    socialisti torinesi contrapposero una piccola manifestazione nel
    corso della quale Morgari fu arrestato e subì la sua prima
    condanna: dieci giorni di arresto per violazione dell'art. 434
    (disobbedienza all'ordine di scioglimento d'una manifestazione)
    
    Al congresso di Reggio Emilia del settembre 1893 Morgari non fu tra
    i delegati della sezione torinese, che inviò Giuseppe
    Battelli e Claudio Treves
    
    Il 29 ottobre 1894 fu condannato a quattro mesi di detenzione e a
    300 lire di multa per un discorso tenuto durante un banchetto a
    Romano Canavese. Nel novembre dello stesso anno fu sul banco degli
    imputati della pretura di Torino[13] con Treves e Guglielmo
    Ferrero per un proclama inserito nel Grido del Popolo e venne
    definito: «uno dei più esaltati caporioni del Partito
    in Torino» e condannato a tre mesi di confino a Morgex
    (Aosta). Per concludere, il 18 febbraio 1897 a Roma, durante il
    processo a 120 socialisti, venne condannato ad un'ammenda di 10 lire
    per aver protestato contro il decreto di scioglimento della
    federazione socialista romana.
    
       Dal  1896 Ia propaganda socialista a Torino
    trovò nella questione dell'amministrazione cittadina la leva
    più potente di agitazione. Di fronte ai problemi delle masse
    popolari  riusciva, con un «programma minimo», a
    sostanziare la fede nell'avvenire di solidi motivi immediati:
    socializzazion dei servizi pubblici (acqua, gas, telefoni, luce),
    abolizione dei dazi sui consumi, giornata lavorativa di otto ore per
    i dipendenti municipali, facilitazioni alle cooperative, istruzione
    laica obbligatoria e gratuita.
    
      Per le elezioni politiche del 1897 venne enunciato un
    programma più avanzato, propagandando oltre alla grande
    rivendicazione democratica del suffragio universale la concezione
    della "nazione armata”: “facciamo come in Svizzera”, dice Morgari
    che non si limita ad illustrare questo programma attraverso giornali
    e opuscoli ma insiste sulla necessità della costituzione di
    circoli, come strumenti fondamentali di penetrazione.
    
     
    
    4.  L'elezione nel 1897 e il “Novantotto”
    
    Nel 1897 furono eletti in Italia 15 deputati socialisti, di cui due
    in collegi torinesi: Quirino Nofri, ferroviere e cooperativista e
    Morgari, anche se la sua candidatura fu ostacolata, come traspare da
    una lettera a Treves: “Ritengo non sia assolutamente necessario che
    i rappresentanti del Partito in Parlamento siano tutti e senza
    eccezione scelti nella categoria delle macchine da discorsi e da
    teoria, ma anche qualche volta, in quella degli uomini da lavoro e
    di senso pratico, atti non solo ad illustrare e a demolire, ma anche
    ad amministrare, organizzare, costruire. Disposto a ritirarmi
    di fronte a candidature operaie (...) non lo sono di fronte
    alle candidature di chiunque altro   (...)
    Dimostrami   che  l'interesse   del Partito
    esige il mio ritiro.  Se rimango convinto mi
    ritirerò»[14].
    
    Il 5 maggio 1897 esordì in Parlamento con una
    interrogazione al Ministro dell'Interno sulla morte del
    detenuto Frezzi, un anarchico deceduto in circostanze sospette nelle
    carceri di San Michele a Firenze. Intervenne più volte in
    favore degli operai delle manifatture tabacchi; difese i dipendenti
    del Ministero della Guerra che chiedevano le 10 ore. Chiese,
    associandosi alla campagna promossa dai partiti dell'Estrema, il
    trasferimento di fondi dai bilanci dei dicasteri «non
    produttivi», quali l'esercito e la marina militare, a quelli
    dell'agricoltura e dell'industria. Fece parte della prima redazione
    dell'«Avanti!» e ne fu amministratore; ma nel gennaio
    del 1898 rinunciò a quest'incarico per dedicarsi maggiormente
    all'opera di propaganda e motivò così le sue
    dimissioni: "non sono all'altezza; o dirò meglio alla
    bassezza di un incarico che esige spirito inquisitoriale,
    severità, misure di rigore. Negli impiegati e nei dipendenti
    di ogni fatta vedo dei compagni con cui l'estrema familiarità
    delle relazioni toglie la possibilità del tiraneggiare. Vedo
    degli uomini e dietro ogni loro pena le cause ereditarie di
    nutrizione, di nervi, di bisogno e di passione che quella deficienza
    producono e ciò mi disarma. Non sono tagliato per
    comandare»[15]
    
    Nel 1998 il tribunale di Biella lo condannò a tre mesi e 26
    giorni e ad una multa di 100 lire per eccitamento all'odio fra le
    classi sociali, in seguito alle parole pronunciate in una conferenza
    elettorale a Cossato nel 1897, in appoggio alla candidatura di
    Dino Rondani[16], anche lui eletto deputato in quella legislatura. 
    
    Nell'aprile del 1898 fu presente con Andrea Costa e Camillo
    Prampolini allo sciopero di Molinella e presentò diverse
    interrogazioni sulle cause che avevano portato allo scioglimento
    della cooperativa locale. Pochi giorni dopo partì con Rondani
    per Palermo, per sostenere la locale sezione nella lotta contro la
    mafia crispina della zona.
    
    A Torino si ebbe inizialmente scarsa eco dello scoppio dei moti del
    maggio 1898,  tanto che Morgari, Nofri e Treves firmarono un
    manifesto della sezione in cui si lamentava «la lotta
    micidiale di Milano, che si combatte senza un chiaro
    obiettivo» e si invitavano i socialisti ad astenersi da ogni
    dimostrazione, a mantenere fede alla tattica evoluzionistica del
    partito, al gradualismo «che solo potrà portare il
    proletariato alla conquista del potere politico" . Il 9 maggio il
    generale Bava Beccaris, comandante della piazza militare di Milano,
    che per la proclamazione dello stato d'assedio aveva ricevuto dal
    capo del governo Rudinì i pieni poteri, fece trattenere
    Turati e Bissolati, presentatisi in questura per protestare contro
    l'espulsione della Kuliscioff, "essendovi evidente flagranza reato
    incitazione rivolta per parte entrambi", fece arrestare Andrea
    Costa e diede analoghe disposizioni per Morgari e il deputato
    socialista di Carpi Alfredo Bertesi.[17]
    
      Lo stessogiorno partì per Milano ma non riuscì
    a trovare contatti, essendo tutti incarcerati o fuggiti;
    partì allora per Lugano per avere notizie più precise
    dai compagni là riparati. In questo viaggio l'autorità
    di P.S. volle vedere un legame con la tentata invasione di bande
    armate dalla Svizzera[18].
    
    Gli arresti avvengono sulla base di elenchi predisposti dalle
    questure, quasi mai in flagranza di reato e per lo più
    senza prove e capi d'accusa, alla ricerca dei quali si procede al
    momento del processo.
    
    Il commissario straordinario di Milano propose l'arresto fuori
    della sua giurisdizione anche di Rondani, bestia nera degli
    industriali biellesi perché animatore delle lotte operaie
    della Valsessera e di Nofri, organizzatore dei ferrovieri, Si
    scatena dunque la caccia benchè fosse prescritta la flagranza
    di reato per l'arresto di membri del parlamento.
    
     Rondani è già riuscito a espatriare. Meno
    fortunati furono Nofri e Morgari. Il primo, dopo essere stato
    sorvegliato, è fermato a Torino la sera del 12.  Morgari
    il 14 maggio è arrestato a Roma “essendo risultato essersi
    egli trovato Milano nel giorno nove quando avvennero tumulti
    Monforte, parendomi inoltre esistere flagranza a termini del
    capoverso articolo 33 codice penale essendo stato trovato deputato
    denaro giornale sovversivo "Avanti" e così in possesso
    oggetti che lo fanno presumere coautore in reato di istigazione.”
    
    A fabbricare le prove provvide la questura di Milano, con due
    voluminosi rapporti all'avvocato fiscale militare. Preoccupazione
    primaria del questore è di ribadire il carattere
    insurrezionale dei tumulti, l'ideologia rivoluzionaria dei partiti
    socialista e repubblicano e degli anarchici, la
    responsabilità determinante di trentadue capi socialisti,
    repubblicani, anarchici che coincidono con gran parte del
    gruppo dirigente nazionale e locale dei tre movimenti politici.
    
    Contro Morgari non esisteva che l'accusa di essere per Torino “quasi
    quello che Turati era in Milano” cioè un abile organizzatore
    e propagandista.  Il processo presso il Tribunale militare si
    concluse il 12 agosto con l'assoluzione di Morgari e la condanna di
    Turati e del deputato repubblicano De Andreis a 12 anni (ma furono
    liberati l'anno successivo) 
    
     
    
    5. L'ostruzionismo
    
    Caduto il governo Rudinì gli succedette Pelloux, che si mosse
    sulla stessa linea, anche se con una maggioranza parlamentare
    inizialmente allargata ai liberali zanardelliani e giolittiani. In
    materia di ordine pubblico era stato approntato un decreto che dava
    all'autorità di pubblica sicurezza la facoltà di
    "vietare, per ragioni di ordine pubblico, gli assembramenti e le
    riunioni politiche"; vietava di portare ed esporre in pubblico
    "insegne, stendardi o emblemi sediziosi"; dava facoltà
    al ministro dell'interno di sciogliere le “associazioni dirette
    a sovvertire, per vie di fatto, gli ordinamenti sociali o la
    costituzione della stato"; vietava la sciopero degli "impiegati,
    agenti ed operai addetti alle ferrovie, alle poste, ai telegrafi,
    alla illuminazione pubblica"; aggravava le disposizioni penali in
    materia di reati di stampa estendendo la responsabilità di
    eventuali pubblicazioni incriminate anche agli "autori e
    cooperatori" delle pubblicazioni stesse, oltre che al gerente del
    giornale. Si trattava di un testo assai lesivo della
    libertà e pericoloso, poiché poteva essere il punto di
    partenza di ulteriori disposizioni repressive.
    
    L'11 giugno 1899 nelle elezioni per il rinnovo parziale del
    consiglio comunale di Milano la coalizione dei radicali,
    repubblicani e socialisti ottenne 19.000 voti contro 15.000
    andati alla coalizione clerico-moderata e il radicale Mussi, padre
    del giovane ucciso durante la manifestazione dell'anno precedente
    che era stata la scintilla dei moti milanesi, divenne sindaco di
    Milano. A Torino, a Firenze e in altre città, furono
    ottenuti dai socialisti altri successi, indicativi del nuovo
    orientamento dello spirito pubblico, oltre che della forte
    ripresa delle organizzazioni operaie.
    
    Per il governo Pelloux, l’esito delle elezioni rappresentava un
    campanello d'allarme; nonostante ciò decise di far passare il
    decreto in seconda lettura alla Camera. L'incauta mossa ebbe come
    effetto non solo di esasperare la volontà 
    ostruzionistica dell'estrema sinistra, ma di far passare
    all'opposizione la sinistra liberale di Giolitti e Zanardelli, che
    fino a quel momento si era preoccupata di tenere le distanze
    dall'azione dell'estrema, suscitando perplessità e riserve
    persino in alcuni ambienti conservatori settentrionali, se non 
    altro per ragioni di opportunità politica quando non per
    scrupoli legalitari.
    
    L’ostruzionismo, già ipotizzato dai socialisti da mesi,
    annunciato alla Camera e parzialmente applicato alla ripresa dei
    lavori, si esplicò, formalmente sempre nei limiti del
    regolamento dell'assemblea, con la presentazione di emendamenti, con
    continue richieste di verifica dell'esistenza del numero
    legale, con discorsi fatti al solo scopo di protrarre la discussione
    a tempo indeterminato e che appaiono una giostra di trovate, come a
    esempio la pseudo arringa dell'afono Bertesi, le disquisizioni
    di Morgari fatte con voce lentissima, sillabando le parole, i
    discorsi di quattro, cinque ore di Ferri e Pantano, le provocazioni
    alla maggioranza per suscitare incidenti e la conseguente
    sospensione della seduta. L'ostruzionismo, cui non partecipò
    la sinistra liberale, rese assai agitata l'atmosfera dell'assemblea
    ed innervosì la maggioranza governativa, non abituata a quel
    metodo di lotta nuovo per il parlamento italiano
    
    La seduta della Camera del 30 giugno 1899 all'ordine del giorno ha
    le modifiche al suo regolamento e la conversione in legge del
    decreto 22 giugno 1899. Terminato il primo appello sorge Prampolini
    a chiederne un secondo per l'approvazione del verbale, forte del
    regolamento della camera. Il presidente arbitrariamente rifiuta
    e mette ai voti il verbale per alzata e seduta, tra le proteste
    e le grida dell'Estrema, in un clima che diviene subito arroventato.
    
    Quando il presidente della Camera fece preparare le urne per una
    votazione a scrutinio segreto vi fu uno scontro tra Bissalati e
    Sonnino, che vennero alle mani, mentre Prampolini Morgari e De
    Felice si impadronirono delle urne e le rovesciarono
    disperdendo le schede dei deputati che già avevano votato.
    
    Nel tumulto generale il presidente dichiarò allora sciolta la
    seduta e poco dopo fu annunciata la chiusura della sessione[19]. La
    ripresa dei lavori fu stabilita per ìl 14 novembre.
    
    Il giorno dopo il presidente, i vicepresidenti e i segretari della
    camera si riunirono per decidere quali sanzioni adottare contro i
    responsabili della rottura delle urne, ma l’avvenuta chiusura della
    sessione, avendo fatto decadere l’intero ufficio di presidenza,
    li pose nella condizione di non poter deliberare alcun
    provvedimento.A questo punto intervenne la magistratura a promuovere
    d’ufficio, contro Bissolati, De Felice, Morgari e Prampolini
    un’azione penale per avere impedito alla Camera l’esercizio di una
    delle sue funzioni. All’intervento del potere giudiziario non erano
    estranee le pressioni dell’esecutivo, che sperava così di
    colpire l’ostruzionismo e i suoi più battaglieri esponenti
    
    La sentenza di rinvio a giudizio della corte d'appello di Roma, le
    requisitorie del P.M. e del procuratore generale, l'ordinanza della
    camera di consiglio del tribunale sono concordi   -
    dinanzi agli imputati che sostengono di essere stati costretti
    a difendere con la forza i diritti della minoranza dalla violenza
    esercitata dal presidente dell'assemblea asservito alla
    maggioranza e che dichiarano perciò non solo di non aver
    commesso il reato a loro attribuito, ma di aver compiuto lo stretto
    dovere di deputati - nell'affermare il principio che, essendo
    "sovrana la maggioranza nelle nostre istituzioni
    costituzionali, non si saprebbe capire come possa la sua
    deliberazione qualificarsi violenza e tale da consentire una
    reazione fuori le linee della legalità con vie di fatto
    costituenti delitto." A giustificazione poi della procedura contro
    quattro deputati senza tener conto delle immunità
    parlamentari, la magistratura si appella al tipo di reato che
    appartiene ai delitti contro i poteri dello stato ed è quindi
    "evidentemente d'azione pubblica", mentre lo Statuto garantisce
    ai membri del parlamento di non essere arrestati soltanto nel
    periodo di apertura della sessione parlamentare.
    
    La risposta di Bissolati, De Felice, Morgari e Prampolini
    all'intervento dei giudici romani è politicamente abile:
    pur ribadendo che la magistratura non ha alcun diritto di
    giudicare il modo in cui si svolgono le discussioni parlamentari,
    essi dichiarano di astenersi dal sollevare eccezioni sulla
    legittimità e regolarità dell'azione giudiziaria,
    perché a tutti "importa per ragioni politiche che il
    processo abbia corso colla maggiore possibile sollecitudine,"
    per trasformare l'azione giudiziaria in un processo
    politico.                    
    Perciò non soltanto confermano, durante gli interrogatori, i
    fatti attribuiti loro dall'accusa, ma addirittura si spingono
    fino all'autodenuncia allo scopo di allargare sempre più le
    dimensioni del processo politico contro il governo[20]. A questo
    punto però il governo, dopo aver tentato di servirsi della
    magistratura per colpire gli ostruzionisti, è costretto a
    retrocedere, per evitare di divenire, dinanzi al paese, da
    accusatore accusato.
    
    L'inizio del processo presso la corte d'assise di Roma è
    già stato fissato dal presidente il 30 ottobre, gli imputati
    sono già in carcere, quando la vigilia un decreto reale
    annuncia per il 14 novembre l'apertura della terza sessione della
    ventesima legislatura e, col restituire loro l'immunità
    parlamentare, rimette in libertà i quattro deputati
    socialisti evitando nello stesso tempo il processo.
    
    Prima della chiusura della sessione parlamentare la Camera approva
    il 9 luglio le conclusioni della commissione incaricata di riferire
    sull'autorizzazione a procedere contro i deputati Turati, De
    Andreis, Bissolati, Andrea Costa, Morgari, Bertesi, Rondani,
    Pescetti  per eccitamento alla guerra civile, istigazione e
    associazione a delinquere. Facendo proprie le argomentazioni
    dell'avvocato fiscale del Tribunale Militare di Milano e le
    conclusioni della commissione parlamentare viene data via libera
    all'apertura di un procedimento penale contro Turati, il
    repubblicano De Andreis, Morgari e il socialista toscano Pescetti
    
    Mentre a Montecitorio si svolgevano queste vicende, il paese
    rimaneva tranquillo: nessuna saldatura si operò fra l'azione
    ostruzionistica dell'Estrema e i movimenti popolari, sia per il
    senso di stanchezza e frustrazione lasciato dall'esperienza del
    maggio precedente, sia per il rapido processo di
    normalizzazione seguito alle misure repressive: molte
    associazioni disciolte avevano potuto ricostituirsi e la maggior
    parte dei giornali sospesi riprendere le pubblicazioni;
    già nel dicembre i condannati con pene inferiori a due
    anni avevano riacquistato la libertà grazie a un indulto e
    infine proprio nel giugno 1899 un secondo provvedimento di
    clemenza restituì la libertà anche ai rimanenti. Ma
    più importanti ancora erano gli effetti della fase economica
    ascendente che stava  ormai consolidandosi i cui benefici
    cominciavano a filtrare vedo il basso.
    
     
    
    6. L'attività all’inizio del Novecento (1900-1905) 
    
    Dopo la fase di repressione del biennio '98-'99, con il nuovo secolo
    si aprì un'epoca di riforme (pur con una dura gestione
    dell'ordine pubblico che degenerò in frequenti eccidi di
    dimostranti) e di graduale inserimento del socialismo nella
    compagine nazionale, che durò con fasi alterne per un
    quindicennio, fino allo scoppio della guerra mondiale.
    
    Al governo presieduto da Zanardelli, con un programma di riforme
    liberali, per la prima volta nella loro storia i socialisti
    concessero il voto. Nonostante questo appoggio esterno, a seguito
    della campagna di stampa promossa nel 1903 da Ferri contro il
    ministro della Marina ammiraglio Bettolo, Morgari con il deputato
    liberale Franchetti propose un’inchiesta parlamentare che  di
    fronte alla gravità delle accuse, facesse piena luce sui
    rapporti della Marina con le ditte fornitrici, in particolare la
    società Terni.
    
    La Camera respinse la proposta con una maggioranza però
    piuttosto esigua  (188 voti contro 149) in quanto numerosi
    deputati di destra avevano fatto confluire i loro voti con quelli
    dell’Estrema. Giolitti si dimise il giorno successivo al voto, in
    modo da non venir coinvolto nel declino zanardelliano, e il governo
    sopravvisse pochi mesi con un semplice rimpasto.
    
    La sua attività politica non si esauriva in quella
    parlamentare: durante lo sciopero dei portuali di Marsiglia de 1990,
    andato ad incoraggiare alla lotta i lavoratori italiani, venne
    espulso come perturbatore dell'ordine ed accusato da alcuni giornali
    italiani di essere pagato dai commercianti liguri, interessati ad
    attrarre a sé il traffico del porto francese.  A seguito
    del viaggio del re in Russia nel giugno 1903, venne annunciato alla
    Camera che lo zar avrebbe restituito la visita; egli dichiarò
    che "qualunque grido di acclamazione sarebbe stato un plauso allo
    knut"[21]  e che sarebbe stato accolto dai fischi dei
    sociaIisti. I riformisti ironizzarono sulla "politica del
    fischio"[22] e i paventati fischi fornirono il pretesto per rinviare
    una visita sgradita al governo di Vienna
    
    Sempre nel 1903, durante l'insurrezione in Macedonia, si recò
    sul posto e inviò all'Avanti! una serie di articoli.
    
    Nel 1903 Zanandelli si dimise e subentrò Giolitti, cui il
    Partito Socialista, a differenza di quanto fatto nei confronti del
    governo precedente,  negò la fiducia. PersonaImente
    Morgari, che denunciò sempre i brogli elettorali di Giolitti,
    riteneva tuttavia che per l'immediato futuro soltanto un governo
    giolittiano avrebbe potuto procedere sulla via delle riforme e in
    quell'occasione egli scrisse: “Ora che Ella definitivamente non
    è più ministro... delle elezioni. tra l'altro. posso
    dirigerle questo saluto senza che Ella dubiti della mia
    sincerità... lo sono e sarò sempre socialista ma il
    progresso va per gradi, ed Ella è tale uomo da personificare
    i! progresso per un periodo di I0 o di 20 anni. Poi Ella sarà
    sorpassato se non camminerà con esso, ma vi è tempo di
    parlarne"  [23]
    
    Negli anni successivi Morgari fu presente a molte delle agitazioni
    che scoppiarono in tutta Italia: nell'aprile 1904 si recò a
    Torre Annunziata in occasione dello sciopero generale locale; in
    maggio fu nel vercellese a sostenere le rivendicazioni delle
    mondariso; fu presente allo sciopero dei contadini di Magliano
    Sabino e a quello dei minatori Capoliveri.
    
    Nel settembre del 1904 in un grande comizio a Milano, dopo la strage
    dei minatori di Buggerru (Sardegna), fu lanciata la parola d’ordine
    dello sciopero generale nazionale; riunitoso il 14 a Roma il
    Comitato Esecutivo del PSI, composto da Ferri, Lerda e Morgari, ai
    quali si aggiunsero il segretario amministrativo Mongini, Varazzani
    per il GPS e Cabrini per il Segretariato della resistenza (embrione
    della CgdL). decise in un primo momento di respingere la richiesta
    di sciopero generale, che fu comunque proclamato perchè a
    causa di un altro eccidio  il movimento spontaneo divenne
    incontenibile.
    
     
    
    7. Il propagandista Morgari e il ciarlatano Frizzi
    
    Il 1. febbraio 1900 fondò il quindicinale "Sempre Avanti!,
    periodico per gli umili e i pratici", in cui riprende i moduli della
    sua arte propagandistica già collaudata. Alla diffusione dei
    principi e degli obiettivi cui sono dedicate le prime due facciate
    sotto il titolo “La pagina degli umili”, aggiunge “La pagina dei
    pratici”, con la quale si propone di dare maggior mordente alla
    propaganda trattando gli argomenti dell’organizzazione e gestione
    cooperativa, dell’amministrazione comunale, della condotta pratica
    degli scioperi. Interessante è la rubrica “Se fossi deputato,
    cosa farei?” che pubblica le risposte dei lettori.
    
    Morgari rivela una grande capacità di volgarizzatore,
    teorizzando così il suo metodo di predicazione: ”Per attrarre
    le masse lavoratrici è necessario convincerle e per
    convincerle occorrerà parlare in maniera da essere compresi.
    Bisogna ridurre ai termini minimi il bagaglio delle idee, renderle
    semplici, riferirsi a dei fatti conosciuti, partire dal noto per
    giungere all’ignoto, servirsi di parabole e fare impiego di una
    lingua che altro non sia che dialetto tradotto, insomma discendere
    fino al basso livello culturale delle masse lavoratrici, prenderle
    per mano e riaccompagnarle adagio adagio all’insù”[24] e
    a  chi lo accusava di cadere nel semplicismo, rispondeva:
    «Bisogna dividere il lavoro. Occorrono discorsi, giornali e
    opuscoli per le classi colte, discorsi, giornali e opuscoli per le
    non istruite». A queste ultime egli rivolse specialmente la
    sua opera.
    
    Essa fa appello agli stessi sentimenti elementari e profondi
    dell’operaio, al suo spirito di giustizia e fratellanza,
    convincendolo che soffre non perché i padroni siano cattivi
    ma perchè il sistema sociale è ingiusto. Nel povero
    è racchiusa la figura ideale del sofferente e dell’oppresso,
    accomunando il muratore e il contadino, il mendicante e la ragazza
    di filanda. Ad essi si rivolge badando non solo a cementarne
    l’unione ma a liberarli dai pregiudizi antisocialisti radicati negli
    strati popolari: rompendo con la tradizione dei primi fogli operai,
    l'atteggiamento verso la religione, la patria, le istituzioni
    è rispettoso: “Il socialismo non vuole distruggere né
    la famiglia, né la religione, né la
    proprietà, né la libertà. Vuole procedere
    con mezzi pacifici, a grado a grado…i socialisti non vogliono
    spartire: mettono insieme: tutti procedono come soci». La
    descrizione avveniristica di una società di eguali è
    l'espressione di una fiducia positiva nell'evolversi
    dell'umanità verso un mondo di giustizia.
    
    La tecnica della propaganda ha una suggestiva presa sentimentale e
    insieme regole fisse, elementari. Procede a base di dialoghi,
    apologhi, vignette, con una didascalica convincente e meticolosa che
    non ignora i richiami letterari, alla Zola, di una descrizione
    veristica.
    
    Nel 1896 aveva scritto “L'arte della propaganda socialista”,
    pubblicata a puntate e poi raccolta in un opuscolo che ebbe vasta
    diffusione e fu più volte ristampato[25]. E' un testo
    didascalico, interessante oggi solo in quanto rivelatore della 
    ideologia socialista "media" del tempo: come testi per la formazione
    del propagandista “colto” indicava "un riassunto delle teorie di
    Darwin e Spencer...Marx completerà la fondamentale triade col
    celeberrimo e indispensabile suo Capitale, il vangelo dei socialisti
    contemporanei", a cui aggiunge il "Socialisme integral" di Benoit
    Malon, “Socialismo e scienza positiva” di Enrico Ferri, Schaffle “La
    quintessenza del socialismo”, Bellamy "L'anno 2000", mentre agli
    operai consigliava la lettura dei giornali di partito.
    
    L'andata al popolo, l'origine piccolo-borghese dei quadri, è
    proclamata così: “Sono ben spesso i migliori, codesti
    disertori della loro classe. Avrebbero tornaconto a mantenere il
    presente assetto sociale, sì mite per loro e lo combattono.
    Essi nel partito sono i più disinteressati. Il partito fu
    fondato dai disertori della classe abbiente e quasi ovunque è
    diretto da essi”
    
    Sempre nel 1896 fondò il periodico “La parola del povero.
    Foglio di propaganda popolare”,  supplemento quindicinale del
    "Grido del popolo" che si pubblicava con il motto “Lavoratori voi
    non siete piccini se non perchè state in ginocchio:
    alzatevi". Presentandolo scrive:”È la parola che viene dalla
    risaia dove bruciano al sole fanciulle decenni e vecchi falciatori;
    è la parola che esce dalle fabbriche dove si consuma tanto
    fiore di giovinezza: è la parola che sale dalla perpetua
    notte delle miniere e dalle zolfatare, sepolcri di vivi:
    è la parola che viene dalle soffitte fredde e dai bugigattoli
    marci, dove si pigiano tutte le miserie. Conteneva l'interessante
    rubrica "Prime notizie dalla città futura" e nell'ultima
    pagina la pubblicità dell'Alleanza cooperativa torinese. Ebbe
    una notevole diffusione di massa tirando nei primi 23 numeri
    complessivamente più di 300.000 copie.  Sul “Sempre
    Avanti!” nel 1902 aveva pubblicato in appendice l’autobiografia di
    Arturo Frizzi, singolare personaggio di venditore ambulante
    convertitosi al socialismo[26], che mise al servizio del partito la
    sua “arte” di oratore popolare.
    
    Questo scritto aveva anche lo scopo di mettere “in luce che il
    merito della mia riabilitazione la devo alla fede socialista che
    sempre mi sarà costante compagna nella lotta per
    l’esistenza". Per il genere di vita che conduceva, la sua richiesta
    di iscrizione non venne subito accettata e Bissolati, cui si era
    rivolto, gli rispose “sii buono, pazienta ancora, sta un po’ sotto
    aceto, poi in seguito rifarai la domanda, e se ti comportrai bene,
    come ho fiducia, sarai soddisfatto. Non dubiti, caro Leonida – io
    replicai- che farò meno male di quanto mi sarà
    possibilie per rendermi degno di voi socialisti, veri apostoli di
    Cristo[27]...Voi soli meritate tutto il rispetto perchè
    disinteressatamente sostenete le ragioni degli umili, degli offesi,
    degli sfruttati. Tre anni dopo fui accettato nel Circolo di Cremona,
    poi per maggior comodità, causa la mia posizione di ambulante
    mi iscrissi alla Sezione Centrale dove pagavo le mie quote”.
    
    Per un atto di rispetto verso i compagni aveva ritenuto doveroso
    abbandonare Rosina, la donna che amava ma che non era sua moglie,
    come di frequente succedeva nel mondo degli imbonitori. Questo gesto
    fu apprezzato come espressione della volontà di
    riabilitazione ma Morgari nella nota di commento allo scritto volle
    sottolineare di non considerare “come fallo” l’incontro con questa
    donna: “... noi rivendichiamo  altamente ad ogni essere umano,
    come massimo bene, il diritto alla libertà dell’amore ....che
    prorompe fin d’ora – rivoluzionariamente – nei casi come quello
    narrato dall’autore, ma che avrà pratica e generale sanzione
    soltanto in una società socialista, allorchè l’uomo e
    la donna, posti su uno stesso piede d’eguaglianza economica,
    più non si vincoleranno che per amore, sciogliendosi quando
    l’amore non c’è più, senza danno materiale per alcuna
    delle parti, e nemmeno pei figli”
    
    Frizzi partecipò alla vita di partito sia come propagandista
    che come candidato in prima persona e collaborando alla stampa
    socialista come diffusore ed anche inviando corrispondenze a vari
    fogli: "La nuova terra", "Il popolo" di Trento diretto da Battisti,
    ecc.   Intervenne al congresso di Bologna del 1904
    dichiarando "di essere venuto con simpatie riformiste ma di essere
    diventato intransigente dopo il discorso di Lazzari " [28]. Si
    dimise nel 1912.
    
    Ripubblicata col titolo “Il ciarlatano” e con la prefazione del
    direttore della “Giustizia” Giovanni Zibordi nel 1912, la biografia
    conteneva una dedica a Oddino Morgari “cui devo l’essere diventato
    un socialista, pratico e nemico della violenza, da qualunque parte
    venga. Lo chiamo con orgoglio mio padre, sebbene di due anni
    più giovane, perchè per me egli fu tale come per
    molti, che dalla sua parola appresero la vera natura del socialismo”
    
     
    
    8. A Torino agli inizi del secolo. Lo sciopero dei gasisti (1902)
    
    Nel 1897 in Piemonte i voti socialisti balzarono da 8.850 a 30.000,
    superando quelli della Lombardia. Nel capoluogo  raccolsero
    5.400 voti su 20.000: un torinese su quattro votava PSI.  In
    una città dove la classe operaia crebbe nel ventennio
    1881-1901 solo dal 28 al 29% della popolazione attiva, fu decisiva
    per i successi elettorali l'alleanza con la piccola borghesia
    impiegatizia, esercente ed intellettuale, che a differenza di altre
    città non aveva una formazione democratica che la
    rappresentasse (in povincia di Torino contro i 48.000 voti
    costituziionali e  14.000 socialisti si hanno appena 3.000 voti
    radicali) ma votava direttamente per i candidati socialisti.
    
    Di estrazione borghese erano quasi tutti i quadri e i candidati
    nelle elezioni. Nofri e Morgari erano dirigenti di quelle
    associazioni mutualistiche che, col loro fitto e ramificato tessuto,
    fungevano da tramite fra gli interessi economici della classe
    operaia e dei ceti piccolo-borghesi. L'equilibrio era destinato a
    rompersi con i primi anni del '900 quando la nascita della grande
    industria avrebbe dilatato la massa operaia.
    
      Il 1900 si aprì, per il socialismo piemontese, con la
    celebrazione del 7. Congresso regionale, tenuto ad Alessandria il 6
    gennaio in cui il neo-sindaco della città Paolo Sacco,
    relatore sulla tattica, propose l'alleanza tra i partiti popolari
    come elemento permanente della politica socialista, incontrando
    resistenze nella sezione torinese dove il riformismo era
    accompagnato alla chiusura ad alleanze per mancanza di partners.
    
    Nel 1900 il PSI aveva a Torino una estesa base elettorale: oltre ai
    due deputati (Quirino Nofri e Morgari), 17 consiglieri comunali e 3
    provinciali ed è accusato di badare essenzialmente alla lotta
    politica e amministrativa trascurando la lotta economica e di
    fabbrica. Nel giugno 1902 si accresce di altri nove consiglieri
    comunali provenienti dalle file della borghesia professionale e
    accademica.
    
    A dicembre 1900 entrarono in sciopero i fonditori, ma non
    bastò la mobilitazione compatta per quasi due mesi  e la
    solidarietà di altri lavoratori per aver la meglio
    sull'intransigenza degli industriali; lo sciopero sostanzialmente
    fallì, senza che  l'organizzazione delle leghe di
    mestiere si sfaldasse: tra la fine del 1901 e l'inizio del 1902, la
    Camera del lavoro conta 6500 operai organizzati, numero comunque
    modesto in rapporto al totale della massa lavoratrice cittadina e se
    confontato ai 28.000 d Milano. I dirigenti sindacali e i quadri di
    partito vivono con apprensione questa vigilia della prima grande
    battaglia dei lavoratori torinesi: è in gioco, a livello
    locale, la credibilità della linea strategica riformatrice e
    legalitaria che il PSI ha confermato con il voto di fiducia espresso
    nel febbraio 1901 al governo Zanardelli.
    
      L'occasione sembrò giungere agli inizi di febbraio del
    1902, quando gli operai gasisti delle due Società esercenti
    in città scendono in sciopero. L'agitazione è seguita
    dai dirigenti sindacali: nel salone dell’AGO dove i gasisti si sono
    riuniti per decidere lo sciopero sono presenti oltre al segretario
    della Lega, il consulente legale dei gasisti, il rappresentante
    della CdL e quello della Federazione nazionale, che si
    dichiarò favorevole allo sciopero in considerazione dei
    successi ottenuti dalla categoria in altre città italiane.
    Scontata è l'intransigenza delle due società
    produttrici che hanno già dimostrato, non rispondendo al
    memoriale, di non voler trattare. Ma un elemento nuovo e non
    previsto rende problematica una favorevole risoluzione della
    vertenza: le autorità cittadine e governative intervengono
    nel conflitto, vanificando ogni possibilità di vittoria
    operaia. Il giorno 4 il prefetto rifiuta di ricevere una delegazione
    operaia e invia la truppa, affinché presìdi i
    gasometri e contribuisca al funzionamento dei forni. Il sindaco
    respinge la proposta operaia di continuare a prestare servizio di
    accensione dei lampioni nelle vie cittadine e ne incarica gli
    spazzini comunali.
    
    Morgari inviò un telegramma di protesta a Giolitti, in cui
    denuncia l'operato del prefetto    e fa presente che
    ad Alessandria, in un'analoga situazione, non vi era stato l'invio
    della truppa e, anche a Genova, dove inizialmente erano stati
    mandati dei soldati, questi erano stati subito ritirati.
    
    È di alcuni giorni dopo un secondo telegramma di protesta di
    Morgari, che dice fra l'altro: “Questo non si chiama garantire la
    pubblica sicurezza, ma parteggiare per il capitale contro il lavoro.
    Chiedo che si ordini al locale prefetto il ritiro dei militari o la
    sua immediata intromissione per risolvere la vertenza”.
    
    Anche i consiglieri comunali socialisti, nella seduta del 12
    febbraio, protestarono vivamente contro il comportamento del sindaco
    facendo presente che le società, legate da una convenzione
    con il comune, sono da considerarsi inadempienti avendo rifiutato di
    prendere in considerazione le richieste operaie. Nel frattempo le
    due società hanno invitato, pena il licenziamento, le
    maestranze a presentarsi al lavoro. L'appello cadde nel vuoto, ma
    ormai la situazione è compromessa L'intervento dei soldati e
    il reclutamento di crumiri ha riportato la normalità nel
    servizio d'illuminazione. Il 19 febbraio la proposta della
    commissione degli operai gasisti che la soluzione della vertenza
    fosse demandata a un collegio arbitrale fu rifiutata, facendo 
    giungere al culmine l'indignazione della massa operaia torinese.
    
    Nella notte del 20-21 sono diffusi manifestini inneggiami allo
    sciopero generale, nella mattina del 21 vi sono alcune astensioni
    spontaneamente dal lavoro, nel pomeriggio il numero degli
    scioperanti aumenta. Un gruppo di dimostranti è caricato
    dalla truppa e si effettuano alcuni arresti, alle 17 parlano alla
    folla Actis, Casalini e Morgari, che è  il più
    deciso nell' invitare allo sciopero generale cittadino
    
    In serata, la commissione esecutiva della CdL redige un manifesto,
    in cui prende atto della nuova situazione Non tumulti, non violenze;
    la classe operaia dimostra la sua forza semplicemente con
    l'astensione dal lavoro. Essa non ritornerà alle officine se
    non quando gli operai gasisti avranno ottenuto soddisfazione. I
    giorni seguenti sono caratterizzati da scontri tra dimostranti e
    forze dell'ordine, ai quali fanno seguito arresti. Allo sciopero non
    hanno aderito tutti i lavoratori, ma alcune avanguardie sono decise
    a continuare la lotta. Per cinque giorni, 10.600 operai e 5.000
    operaie si astengono dal lavoro e sfilano per le vie cittadine,
    anche se il prefetto ha proibito ogni pubblica manifestazione.
    
    Fu ancora Morgari nel pomeriggio del 22 febbraio a parlare alla
    folla invitandola a continuare la lotta, dopo che nella mattinata
    aveva guidato un corteo di protesta sotto il municipio . Nel
    frattempo il sindaco convince le due società ad
    accettare l'arbitrato, ma solo previa  accettazione del
    principio dell'illicenziabilità dei crumiri, ciò che
    rappresenta per i gasisti una resa senza condizioni. Nonostante
    ciò, la CdL e la dirigenza socialista rivolgono un appello ai
    lavoratori affinchè riprendano il lavoro, in quanto con il
    loro sciopero avrebbero già vinto una grande battaglia.
    Anche Morgari, fino all'ultimo deciso sostenitore della lotta, firma
    il manifesto. In seno alla dirigenza socialista del partito e della
    CdL è ancora una volta prevalsa la moderazione.
    
    Il 27 febbraio in un'adunanza all'A.G.O. Morgari cercò
    di spiegare il suo atteggiamento e il perché del manifesto
    che invitava al ritorno al lavoro, ma venne apostrofato
    violentemente da un anarchico che lo accusò di aver prima
    trascinato gli operai nello sciopero generale, rovinandoli, e di
    esser si poi ritratto e concluse invitando gli operai a
    diffidare da simili «capi» che cercavano piedistalli a
    spese degli operai e che sarebbero domani diventati tiranni; Morgari
    reagì  con un ceffone. Nei giorni successivi, coperto
    di  lettere  di biasimo, pubblicò sul Sempre
    Avanti! un articolo amaro ma pacato. In esso affermò di aver
    agito secondo coscienza .
    
    Il 1 marzo il lodo obbliga le due società a riassumere solo
    224 dei 658 scioperanti . Il bilancio dell'agitazione non può
    esser più negativo: alla mancata riassunzione si aggiungono i
    200 procedimenti penali degli arrestati.
    
     
    
    9. La Segreteria della Camera del lavoro e le lotte del 1906
    
     Il nuovo secolo per i socialisti torinesi inizia con la
    ricostruzione a metà febbraio 1900 della Camera del lavoro,
    con un graduale processo di riorganizzazione delle leghe.
    
    Alla direzione della Camera del Lavoro, i cui iscritti scendono dai
    5500 iniziali a 3500[29], è nominato nell’aprile 1902 il
    tipografo Camillo Rappa, che resta in carica fino alla primavera del
    1906,  ed è quello della sua segreteria un periodo di
    ripresa (funestata però da scontri come quello del 17
    settembre 1904 dove rimane ucciso l’operaio Garello): già a
    metà del 1903 gli iscritti sono 8000, mentre le sezioni sono
    salite da 36 a 58; tra queste fanno spicco quella dei tipografi con
    528 soci, dei ferrovieri con 1848, dei metallurgici con 649. Queste
    tre sezioni comprendono più di un terzo di tutti gli
    organizzati.
    
    Dopo la lunga segreteria Rappa, la direzione della Cdl viene
    affidata nella primavera del 1906 a Morgari che, tra contrasti di
    corrente e conflitti con gli anarco-sindacalisti assunse un
    atteggiamento più conciliante cercando di trovare accordi con
    le controparti, coadiuvato dal sindaco di Torino, il giolittiano
    Secondo Frola.
    
    Il 3 maggio 1907 nella discussione sulla relazione morale e
    finanziaria, la C.E. può affermare che i soci sono aumentati
    da 8768 a 15626 e le sezioni da 68 a 110 “il grande numero di soci
    coincide con la presenza dell’on.Morgari alla segreteria per
    l’impulso da lui dato all’ordinamento interno e all’azione esterna.
    La CdL può andare orgogliosa. Anche le entrate sono aumentate
    da 8643 L. a 17.608”
    
       Durante la sua segreteria la volontà di lotta
    delle masse operaie torinesi pone comunque la dirigenza sindacale di
    fronte alla realtà di un movimento rivendicativo di
    un'ampiezza mai prima conosciuta. Il 30 aprile  1906 le 800
    operaie del cotonificio Bass richiedo alla direzione la riduzione
    dell'orario di lavoro da 11 a 10 ore. I dirigenti della CdL,
    considerata la disorganizzazione della categoria, sconsigliano ogni
    forma di lotta. Nonostante ciò il 3 maggio  le cotoniere
    della Bass scendono in sciopero, seguite il giorno seguente da
    quelle degli altri cotonifici, lanifici e maglifici  Il 5
    maggio lavoratori dei due sessi del settore tessile sfilano per le
    vie cittadine. La CdL, pur dichiarando d'essere contraria allo
    sciopero, non si esime dall'esprimere solidarietà alle
    scioperanti e rende pubbliche le richieste operaie
    
      Lunedì 7 maggio la schiera delle scioperanti risulta
    ingrossata dagli operai di molti stabilimenti meccanici e
    chimici, che vogliono dimostrare solidarietà alla
    categoria in lotta. Come ormai è tradizione, gli scioperanti
    si assiepano davanti alla CdL; il lancio di sassi da parte di alcuni
    ragazzi provoca la reazione della forza dell'ordine che, guidata dal
    commissario di Pubblica sicurezza entra nel cortile dell’AGO,
    sparando sulla folla. Il bilancio è pesante: un morto, 8
    feriti, 22 arrestati. I dirigenti camerali e i del Partito decidono
    all' unanimità la proclamazione dello sciopero generale;
    è anche deciso di richiedere lo sciopero generale in tutta
    Italia: si effettuerà a Milano, Bologna, Firenze e Roma.
    
    II giorno 8 decine di migliala di lavoratori assistono ai comizi dei
    massimi esponenti socialisti. Come nel 1902, in occasione dello
    scopero dei gasisti, i toni più accesi e battaglieri
    provengono dai discorsi di Morgari. Il 9 maggio, dopo un'imponente
    manifestazione popolare, Morgari parlò esaltando la forza
    nuova del popolo che si era venuta manifestando accanto alle
    tradizionali potenze dello Stato e della Chiesa, della banca e
    dell'industria.
    
       Il 9 la CdL dichiara la cessazione dello sciopero.
    Già il 7 sera infatti, gli industriali tessili, convocati
    nuovamente dal sindaco, avevano deciso di accettare le richieste
    operaie. L'8 il prefetto aveva inoltre assicurato che sarebbe stata
    aperta un'inchiesta. Gli avvenimenti di Torino hanno una vasta eco a
    livello nazionale e uno strascico parlamentare; i deputati
    socialisti  avendo visto bocciare la proposta intesa a
    scongiurare nuovi eccidi rassegnarono le dimissioni.
    
       Quasi tutte le categorie richiedono, spesso
    ottenendoli, miglioramenti salariali e normativi; in alcuni
    casi non è nemmeno necessario il ricorso allo sciopero.
    La favorevole congiuntura economica consiglia gli imprenditori a non
    rischiare un arresto prolungato della produzione, che causerebbe una
    perdita di profitto. II 12 maggio gli operai carrozzieri presentano
    un memoriale contenente la richiesta di un trattamento salariale e
    normativo analogo a quello delle fabbriche di automobili. Il 17
    la carrozzeria Rothschild concede le 10 ore, l'aumento della paga
    delle ore straordinarie e i 10 minuti di tolleranza sull'entrata. Il
    19 maggio 1906, nei locali del municipio, i padroni delle principali
    sartorie cittadine e una rappresentanza delle operaie del settore
    raggiungono un accordo, che prevede l'accoglimento di alcune
    delle più significative richieste del memoriale presentato
    dalla Lega sarte e modiste.
    
       Le uniche categorie a non ottenere sensibili
    miglioramenti appartengano a quei settori produttivi che non hanno
    potuto beneficiare della favorevole congiuntura economica.
    
    Il 15 febbraio 1907 viene sostituito da Alessandro De Giovanni, di
    tendenza sindacalista-rivoluzionaria, perché chiamato alla
    segreteria nazionale del PSI.
    
    Se durante la sua direzione gli iscritti sono saliti, scendono a
    11.570 nel 1909, a 9.009 nel 1910 e 9.392 nel 1911 e a 9.117 nel
    1912 .
    
     
    
    10. La sezione socialista torinese nel primo decennio del  '900
    
       Al congresso di Imola del 1902, che vide prevalere i
    riformisti, i quattro delegati della sezione torinese votano per la
    mozione  Ferri-Labriola, senza ricadute immediate sulla sezione
    in maggioranza (deputati dei collegi cittadini, consiglieri
    comunali, commissione esecutiva della CdL) riformista; solo agli
    inizi del 1904 l'acceso dibattito fra le tendenze tocca anche il
    capoluogo piemontese. La calorosa accoglienza riservata dai
    socialisti torinesi a metà febbraio, ormai in clima
    precongressuale, a Enrico Ferri  è  un' 
    anticipazione della scelta di campo della sezione
    
      È l'avv. Momigliano, leader della corrente
    intransigente, a illustrare, in un articolo di fondo del
    «Grido del Popolo», la posizione politica della sezione:
    non dovrà essere consumata alcuna scissione, ma  non
    dovranno esserci cedimenti nel senso che il Psi non deve
    diventare un partito possibilista accodato a una frazione della
    democrazia.  A Bologna, sede dell'8. Congresso ( 8-11 aprile)
    dei sette delegati torinesi, sei si pronunciano nella prima
    votazione a favore dell'odg presentato da Labriola, mentre uno si
    astiene. Nella seconda, tutti i voti dei delegati confluiscono
    sull'odg presentato da Ferri (alleato di Arturo Labriola) che
    prevale e diventa segretario.
    
      Morgari al congresso di Bologna (1904) era stato firmatario
    dell'OdG intermedio, presentato prevalentemente da organizzatori
    sindacali come Rigola, Cabrini, Reina, che si poneva tra i rformisti
    e la coalizione ferriana-sindacalrivoluzionaria. Preso atto della
    divergenza politica, rimette il suo mandato al collegio che lo ha
    eletto. I socialisti di Borgo Vittoria gli inviano  un
    telegramma in cui respingono le dimissioni e salutano in lui «
    il valoroso soldato del Partito socialista »
    
       Già nel 1902-1903 toni fortemente anticlericali
    avevano soppiantato il vecchio linguaggio usato dai primi
    socialisti nella loro opera di «apostolato laico». 
    Ora che gli intransigenti hanno conquistato maggiore spazio nel
    quadro organizzativo del partito, la propaganda anticlericale
    tende a uscire dalle sale di conferenza dei circoli culturali per
    divenire momento di mobilitazione. Il 22 maggio, giorno della
    tradizionale processione di S. Bernardino in Borgo S. Paolo, sono
    indetti dai socialisti un corteo e un comizio anticlericali.
    Benché il prefetto Guiccioli non autorizzi la manifestazione,
    un gruppo di socialisti si dirige verso il luogo dove si deve tenere
    in forma privata il comizio. Le truppe caricano il corteo e
    arrestano Francesco Barberis, portavoce della corrente
    intransigente torinese. II 2 giugno 1904, nel 22°
    anniversario della morte di Giuseppe Garibaldi, è
    organizzato dai socialisti e dai repubblicani un grande
    corteo-comizio. Gli oratori ufficiali sono il repubblicano
    avv. Gorini e l'avv. Leandro Allasia, un esponente dell'ala
    riformista del Partito socialista. Riformisti e rivoluzionari
    trovano nell'anticlericalismo un momento unificante di lotta.
    
       Dopo il referendum del novembre 1905 sulla creazione di
    un'azienda municipalizzata per l'energia elettrica, in cui i
    suffragi dei socialisti risultarono decisivi per il successo della
    proposta formulata dalla giunta del giolittiano Frola, si crearono
    condizioni per una convergenza su punti importanti: dalla riforma
    delle imposte, all'abolizione delle «spese di lusso», al
    passaggio al comune di alcuni servizi pubblici; dall'attuazione di
    una serie di provvedimenti annonari che tenessero basso il costo dei
    viveri, a una politica di acquisizioni edilizie pubbliche. Da allora
    sino al 1911, quando in coincidenza col dibattito sull'allargamento
    della cinta daziaria tornarono sulle posizioni critiche dei
    liberisti radicali, le ragioni del dialogo prevalsero su quelle
    dell'antagonismo.
    
    Morgari nel 1906 in occasione delle elezioni per il Congresso
    propone la mozione “integralista” che conquista la maggioranza
    della sezione torinese perché, pur basata su posizioni
    riformiste, offre la possibilità di mantenere una posizione
    intransigente sul tema delle alleanze elettorali che a Torino, per
    mancanza di partiti affini, non si pone neppure, diventando una
    sorta di mito radicato ed elevato a teorema politico.
    
    Tale facile estremismo riesce al Congresso provinciale a
    strappare, nonostante la loro aumentata influenza, la
    maggioranza ai sindacalisti-rivoluzionari. Su 28 rappresentanti
    delle sezioni, 14 votano l'ordine del giorno integralista e 11
    quello rivoluzionario. Non diverso è l'esito preelettorale
    nella sezione cittadina, dove il gruppo sindacalista non è
    riuscito, nonostante abbia condotto una campagna suffragata dai
    successi dei lavoratori per i metodi dell'azione diretta, a
    trasformare la natura, la composizione sociale e l'orientamento del
    partito in città.
    
     
    
    11. Alla segreteria del PSI. L’”Integralismo” ( 1906-08)  
    
    Morgari si affermò sul piano nazionale in occasione del 9.
    Congresso di Roma dell'ottobre 1906, allorché assieme al
    socialista umbro Francesco Paoloni[30] propose la mozione
    «integralista». In due articoli  dal titolo Verso
    il congresso nazionale socialista, pubblicati sull'Avanti! del 29 e
    30 settembre 1906 spiegò il significato della formula,
    consistente in una «sintesi dell'anima possibilista e
    dell'anima avvenirista del socialismo, dell'idealismo e della
    praticità, dell'azione diretta e dell'azione
    rappresentativa, dell'antistatalismo e  della legislazione
    statale, della rivoluzione  e della legalità, del
    sindacalismo e dell'antisindacalismo, dell'intransigenza e
    dell'affinismo».
    
    Nella seduta del 7 ottobre ribadì: «Vi dico che
    integralismo, nella sua espressione più intima e più
    caratteristica, è tutto qui, nel procurare che nella
    coscienza del militante socialista coesistano armonizzate la nozione
    limpida del divenire della società futura nel grembo stesso
    della società futura — da affrettarsi colle riforme dirette e
    legislative — e la nozione dell'assetto ultimo, cercato quasi con
    desiderio nostalgico, per raggiungere il quale la società
    umana dovrà verosimilmente attraversare una catastrofe
    causata da un « alto là » della borghesia
    stancata di concessioni»[31].
    
    Non capiva come ci si potesse scontrare in lotte interne, quando
    tanto ancora rimaneva da fare a chiunque avesse a cuore la
    condizione proletaria e volesse veramente agire in favore dei
    diseredati. Poiché la situazione non era ancora matura per la
    rivoluzione, conveniva intanto operare quotidianamente con mezzi
    legali. Ogni socialista, doveva essere contemporaneamente riformista
    e rivoluzionario.
    
    Gli uni e gli altri voleva colpire quando scriveva che “i
    riformisti hanno obliato lo spirito e i fini dell'azione socialista
    mentre i rivoluzionari si arrestano nel culto infecondo delle
    supreme idealità marxiste”
    
    La mediazione era la sua vocazione autentica ed anche un ritorno
    alle origini, all'ispirazione prampoliniana dei tempi eroici, un
    procedimento mentale per cui il «propagandismo» e
    l'appello ai sentimenti appaiono in grado di risolvere i
    termini politici delle questioni. «L'integralismo per lui non
    era stato un espediente tattico per carpire una vittoria in
    congresso, ma uno stato d'animo. Ed è stato d'animo, quello
    di Morgari, di chi ama il suo partito in sincerità e in
    umiltà perché esso è il partito della
    redenzione degli oppressi»[32].
    
    L'integralismo rappresentò nel 1906-8 l'affermazione del
    corpo centrale del partito, fondamentalmente unitario, che ricercava
    nei valori propagandistici e pedagogici quella identità del
    socialismo italiano, che la lotta tra le tendenze sembrava
    minacciare. Il progetto di rilancio del Partito su basi
    intransigenti e classiste, nella lotta contro le spese
    improduttive e le spese militari, il latifondo e il sistema fiscale,
    un atteggiamento polemico nei confronti del blocchismo popolare, una
    difesa dell'istanza partitica e dell'esigenza primaria della
    propaganda per la formazione della «coscienza
    socialista» erano istanze sedimentate  nella tradizione
    socialista italiana.
    
    Il partito, paralizzato dai dissidi prima del 1906, si chiudeva in
    una posizione sostanzialmente difensiva, dì raccoglimento.
    Più che alla ricerca di una politica nuova, con caratteri
    propri, l'integralismo intendeva correggere, amalgamare,
    insomma integrare ciò che di positivo fosse presente nelle
    tendenze opposte. In pratica confermava la necessità
    dell'azione quotidiana di organizzazione e di propaganda, la
    lotta parlamentare per le riforme, lo stretto collegamento tra
    l'istanza politica e quella di resistenza, il fine della
    socializzazione come obiettivo unitario contrapposto al
    corporativismo economico e settoriale. Erano questi per lo
    più obiettivi presenti anche nel riformismo. Tipici degli
    integralisti semmai furono il più accentuato richiamo alla
    coscienza di classe, la concezione «organicistica» del
    proletariato che favoriva una sottolineatura più marcata dei
    valori del collettivismo, il ruolo più incisivo attribuito
    alle organizzazioni economiche e al partito, la rivendicazione di
    una più sostanziale autonomia del partito che escludeva
    alleanze sistematiche, la forte diffidenza nei confronti della
    borghesia, con la quale avrebbe anche potuto stringere di volta in
    volta accordi limitati, ma sempre nella consapevolezza che essa
    rappresentava l'avversario di classe. Al congresso di Roma del 1906
    l'odg maggioritario ottenne 26.500 voti su 34.000 con la confluenza
    dei voti dei riformisti e l'adesione del Ferri, ex alleato di
    Labriola, che diede alla formazione del « blocco integralista
    unitario » il significato di «un punto di arresto contro
    la deviazione sindacalista e il catastrofismo».
    
        Al congresso, che lo nominò segretario
    politico,  il tema della propaganda-organizzazione fu ripreso
    più volte. In primo luogo fu deciso di istituire
    «segretari regionali» ai quali fosse demandato il
    compito della organizzazione politica ed economica: era investito
    così il punto importante della questione meridionale, e
    cioè l'esigenza di consolidare la struttura
    politico-organizzativa del movimento operaio e contadino del Sud,
    nel quale si individuava il protagonista principale della lotta per
    la sua emancipazione, e nello stesso tempo un fattore di
    riequilibrio dell'intera politica nazionale del partito.
    Significativa risultò la composizione della nuova
    direzione, che teneva conto non solo del criterio della
    omogeneità politica, ma anche del principio della
    rappresentanza regionale. Riuscirono eletti numerosi dirigenti di
    organizzazioni di resistenza, di federazioni di mestiere e di
    associazioni: da Quaglino (Federazione edilizia) a Rigola (tessili),
    a Del Buono e Marzetto (CdL di Firenze e
    Vicenza).       Ciò rifletteva
    il peso che avevano quadri e dirigenti sindacali che, pur essendo su
    posizioni sostanzialmente riformiste, rivendicavano due esigenze
    fondamentali: l'unità del movimento di classe e la diffidenza
    verso il parlamentarismo. Facevano parte della Direzione i
    rappresentanti regionali, il direttore dell'« Avantil »
    e un delegato del Gruppo Parlamentare, che poi a lungo sarebbe stato
    proprio Morgari. La numerosa direzione appariva assai più
    rappresentativa delle precedenti  per la sua espressione
    regionale,  Vi era l'impegno a ricondurre all'interno del
    partito tutte le componenti — sindacali, cooperative, politiche —
    del movimento socialista, ma di per sé non rappresentava
    una soluzione per una effettiva direzione.
    
       Le aree di diffusione dell'integralismo rimanevano
    nel Piemonte, che dava circa il 22% dell'intera forza della
    componente. Una buona presenza gli integralisti avevano in
    Emilia-Romagna, dove era attestato oltre un terzo (36,6%) della
    forza complessiva della corrente. Vero punto di forza
    dell'integralismo era la Toscana. Erano integralisti Roma e il
    Lazio (52,61%). Nel Sud e nelle isole il fenomeno integralista era
    pressoché sconosciuto. Da rilevare la buona presenza
    integralista nei centri urbani dell'Italia centrale, e in genere
    nelle grandi città (dove raggiungevano il 55,4%). Erano
    infatti integraliste Torino, Firenze, in parte Roma.
    L'integralismo rappresentò una meteora abbastanza breve,
    ed entrò rapidamente in crisi, impari a quegli obiettivi
    di ricomposizione unitaria del movimento socialista che si era
    prefissi: come posizione di raccoglimento e come istanza
    unitaria favoriva il processo di riorganizzazione e consolidamento
    del riformismo e di sfaldamento della possibile alternativa
    sindacalista rivoluzionaria. I rapporti di forza all'interno del
    Partito furono decisamente modificati a vantaggio del primo
    dopo la scissione dei sindacalisti rivoluzionari nel 1907. 
    Allora agli integralisti venne meno il ruolo mediatore che si erano
    attribuiti.
    
    L'unitarismo del Morgari non poteva certo condizionare efficacemente
    l'iniziativa politica dei riformisti, i quali del resto con la
    costituzione della CGdL avevano riassorbito molti quadri sindacali,
    Altobelli, Bussi, Garibotti, Quaglino, Rigola che al congresso
    di Roma si erano pronunciati per l'integralismo.
    
    Al congresso di Firenze del 1908 mentre molti della sua corrente si
    presentano con i riformisti nella “concentrazione socialista” che
    prevale con 18.000 voti, ribadisce di voler mantenere la mozione
    “integralista” (che ottiene 6.700 voti pari al 21%) “anche se
    sostanzialmente  uguale nella lettera ma non nello
    spirito”,  mentre i voti ottenuti dall'odg Pescetti al
    congresso di Modena del 1911 sul quale si riversarono i
    consensi di molti ex-integralisti furono 1070 pari al 5% 
    
     
    
    12. La direzione dell'”Avanti!” (1908) e un primo "dialogo" coi
    cattolici
    
    Nel gennaio 1908 Enrico Ferri, avendo accolto l'invito a tenere
    delle conferenze nel Sud America, aveva rassegnato le dimissioni da
    direttore dell'«Avanti!»; gli subentrava Morgari, nella
    sua qualità di  leader della corrente che era prevalsa
    al congresso. Il più importante centro di propaganda e di
    orientamento politico rimaneva in mano agli
    integralisti.          
    
    La direzione di Morgari era chiaramente transitoria: egli stesso,
    nell'accettare la carica, avvertì che l'avrebbe tenuta fino
    al successivo congresso; nel comunicare ai lettori di aver assunto
    la direzione del giornale, rassicurò coloro che temevano che
    I'Avanti! nelle sue mani divenisse un organo di esposizione
    elementare del socialismo: «Accettando di portare una croce
    che io non ho sollecitata né ambita, mi sono fatto
    giaculatoria del principio secondo cui il portavoce dei malvestiti
    deve camminare in redingote e cilindro".  
    
    Direttore dal 22 febbraio al 30 settembre 1908, quando gli
    succedette Bissolati  avendo  i riformisti riconquistato
    la direzione del partito al congresso di Firenze, la  redazione
    disponeva di collaboratori di alto livello come Bonomi, Francesco
    Ciccotti, Galantara, Paoloni, Podrecca.
    
    Durante la sua direzione condusse una campagna per la
    legalità nelle manifestazioni: approfittando di una sua
    assenza, Francesco Ciccotti aveva pubbicato sull'Avanti! del 3
    aprile un violento editoriale per l’eccidio in occasione di una
    manifestazione, suscitando  la reazione di Bonomi che diede le
    dimissioni ritirandole solo quando Morgari prese le sue difese,
    conducendo una campagna di stampa, suggestivamente intitolata
    “prendere il toro per le corna” (cioè i due corni del
    dilemma: legalità o illegalità, da cui il
    proletariato-toro era dilaniato) che prendeva decisamente posizione
    contro i cortei che degeneravano in manifestazioni violente.
    
    Pubblicò sull'Avanti una lunga lettera che due giovani 
    usciti dall'esperienza della Lega democratica nazionale e
    avvicinatisi ai socialisti cristiani, Guglielmo Quadrotta[33] e
    Felice Perroni, gli indirizzavano e che si concludeva con una
    domanda esplicita
    
    : « A chi professa i nostri ideali sono aperte oggi le file
    del Partito socialista italiano? » La lettera[34]
    suscitò una polemica nella quale intervennero, tra gli
    altri, Bonomi, Turati, Zibordi, Paoloni, sostenendo diversi punti di
    vista, ma questa apertura al mondo cattolico venne sconfessata al
    congresso di Firenze con l'approvazione dell'OdG Bussi-Vella che
    negava ai cattolici l'entrata nel PSI.
    
     Morgari, che pure condusse dure battaglie contro la Chiesa[35]
    e sostenne la battaglia per l'abolizione dell'educazione 
    religiosa nelle scuole condotta da Bissolati, era avverso
    all'estremo anticlericalismo.Durante la sua direzione scomparvero
    rubriche come “la cloaca clericale” e gli attacchi gratuiti alla
    Chiesa.[36]
    
     
    
    13. L' attività nel Parlamento e nel Paese 1907- 1911
    
        Nelle votazioni per il Congresso di Firenze del
    1908 i riformisti proclamarono l'opportunità di dare la
    scalata all’amministrazione dello Stato e dei Comuni e su tale base
    stesero il nuovo programma minimo che comprendeva: migliore
    legislazione del lavoro (disciplina giuridica dei contratti,
    estensione delle pensioni, leggi sulla maternità), abolizione
    del dazio sul grano, laicità della scuola, opposizione agli
    incrementi sulle spese militari, suffragio universale e suoi
    corollari (proporzionale e indennità ai deputati),
    concordandolo con quanti al Congresso precedente si erano presentati
    integralisti.
    
    Morgari non volle confluire nella nuova corrente, rinunciare alla
    vecchia bandiera, e ripresentò la mozione “anche se
    sostanzialmente  uguale nella lettera ma non nello
    spirito”  in cui accentuava le sue riserve all' appoggio dei
    socialisti al governo.
    
    Neppure a Torino nel dibattito precongressuale l'azione di Morgari
    era valsa a sottrarre la maggioranza dei suffragi a quegli esponenti
    «sindacalisti riformisti», che, sotto la guida di
    Rigola, esercitano un predominio incontrastato sulla sezione dopo
    l'allontanamento dei sindacalisti rivoluzionari. Anzi, risultano
    eletti nella direzione del partito, col Rigola, il Reina e il
    Quaglino, i due piemontesi che gli sono più legati. E il
    “Grido del Popolo” può cosi inorgoglirsi che «alla
    testa del Partito socialista siano uomini nostri, cresciuti alle
    nostre lotte, sperimentati alle nostre prove», e condannare la
    «distinzione capziosa» di Morgari il quale lascia
    frattanto la direzione dell'«Avanti!» a Leonida
    Bissolati.
    
     A Torino si continuerà per tutto il 1909 a correre
    ancora molto lungo questa strada. La propaganda del partito sul
    piano politico generale non conosce più che la solita nota
    anticlericale, mentre da un punto di vista teorico l'identificazione
    di «socialismo» con le più immediate riforme
    della legislazione sociale è ormai totale.
    
    Dopo la vittoria riformista al congresso di Firenze del 1908,
    all'interno dell'area si delineò la spaccatura tra una
    componente (i dirigenti confederali insieme con Bissolati e Bonomi)
    che proponeva la creazione di un «partito del lavoro»
    privo di connotazione ideologica e aperto a tutte le componenti del
    movimento economico del proletariato, e la  “sinistra
    riformista” di Modigliani e Salvemini.
    
    Al successivo congresso di Milano dell'ottobre 1910, in cui Turati
    riesce a ottenere un'ampia maggioranza con la confluenza della
    destra bissolatiana sulla sua mozione che ottiene 13.000 voti,
    Morgari si accosta ai “riformisti di sinistra” Modigliani e
    Salvemini presentado insieme a loro una mozione “intermedia” che
    raccoglie  4.500 voti (quella intransigente presentata da
    Lazzari ne raccoglie 6.000). rimanendo quindi sempre al centro dello
    schieramento.
    
    Morgari, che alle elezioni del 1907 era stato rieletto, votò
    nel 1909 in favore del governo Sonnino; essendo il voto in contrasto
    con I'opinione della direzione del Partito.  diede le
    dimissioni da propagandista.
    
    Nel 1909, quando si cominciava a temere la guerra, presentò
    alla Camera il seguente OdG: «La Camera da incarico ai governo
    di farsi iniziatore di una conferenza per l'arbitrato e per il
    disarmo». Sempre nel 1909 si tornò a parlare di una.
    visita dello zar in Italia. Il Partito Socialista assunse di nuovo
    un atteggiamento di aperta ostilità e Morgari riprese la sua
    protesta attraverso discorsi, articoli e opuscoli. Fu creato un
    "Segretariato nazionale antizaresco" e quando il 23 ottobre lo zar
    giunse a Racconigi, Morgari riuscì a mantenere la promessa e
    a   fischiare  l'ospite: il suo gesto entrò
    nella leggenda. Le relazioni con gli emigrati socialisti russi di
    varie tendenze molto numerosi sulla Riviera e a Capri, iniziate
    almeno dal 1903, si andarono infittendo: è del 18 
    maggio 1908 una sua interrogazione – su sollecitazione dello
    scrittore Gorki - su pacchi di giornali russi fermati alla dogana
    cui Giolitti rispose prontamente. In effetti l'Italia venne usata da
    Lenin in quel periodo come tappa intermedia per introdurre stampa
    sovversiva in Russia.
    
     I deputati socialisti si andavano sempre più orientando
    verso il ministerialismo. Morgari, allora segretario del gruppo
    parlamentare, vi si oppose ripetutamente. Il 10 maggio 1910
    l'Avanti! pubblicò una sua lettera: "Perchè ognuno
    assuma le proprie responsabilità": "Io che odio più di
    ogni altra cosa al mondo I'ipocrisia dovunque l'incontro proruppi
    quando mi accorsi che la mia tesi veniva elusa perché
    molesta...Tace anche I' Avanti... Non protestai prima e tutte le
    volte, e son decine, che non vidi registrato il mio pensiero nei
    resoconti delle adunanze del gruppo socialista. Ora non sono
    più disposto a farlo. Ho lavorato per  degli anni per
    spegnere Ia disgustosa ed esiziale lotta intestina delle tendenze,
    sopportando le beffe dei sapienti e dei saccenti... Ora scongiuro
    gli amici dell'Avanti! di non costringere proprio me a riaccenderla”
    
    Alle elezioni suppletive del marzo 1910 dopo l'opzione di Nofri
    per il collegio di Siena, la sezione torinese, contro il parere dei
    riformisti favorevoli alla presentazione di Rinaldo Rigola, scelse
    la candidatura di protesta del giornalista triestino Todeschini che
    fu battuto dal candidato costituzionale. Questa sconfitta non
    pregiudicò il rafforzamento in seno alla sezione del gruppo
    intransigente guidato dal professor Temistocle Jacobbi che,
    eletto segretario politico nel novembre 1909, diventò nel
    1910 anche direttore del «Grido del Popolo». A Torino la
    situazione più critica per il partito si verificò alla
    Camera del lavoro: a luglio 1910 i socialisti furono messi in
    minoranza in seno al consiglio generale. La commissione
    esecutiva, controllata dai socialisti, rassegnò le
    dimissioni dopo aver richiamato alla disciplina di partito gli
    iscritti. Il consiglio generale, convocato il 7 agosto, decise di
    nominare transitoriamente una commissione di studio con lo scopo di
    preparare il futuro congresso camerale ma dei cinque eletti solo due
    furono socialisti.
    
    La sezione torinese tornò nel 1910 a identificarsi colle
    posizioni di Morgari, facendo confluire i propri voti sulla
    mozione Modigliani al congresso di Milano dell'ottobre.
    
    L'indirizzo politico della sezione venne premiato sia alle
    elezioni politiche che a quelle amministrative da un aumento
    costante di suffragi.
    
    I dirigenti locali non si curavano di definire criteri rigorosi di
    discriminazione  appagandosi del generico appoggio
    dall'esterno alle iniziative del partito e della Camera del
    lavoro, o della sporadica collaborazione giornalistica su soggetti
    disparati. Oddino Morgari sintetizza in una lettera del  25
    agosto 1913 a Gustavo Balsamo-Crivelli tale concezione dei rapporti
    con i fuorusciti della borghesia: “[...] troppi intellettuali — e tu
    ne sei davvero uno — ci lasciarono da qualche anno in qua: e [...]
    deve possedere un nocciolo morale di natura profondamente buona
    e disinteressata l'uomo che al par di te rimane dopo vent'anni nelle
    nostre file quando per nascita, per ingegno aristocratico, per
    l'ambiente in cui vive e per il quale come letterato scrive, per
    tanti esempi che ha dinnanzi di uomini che perdettero l'antica fede,
    per le diffidenze che sono intorno ai così detti
    professionisti nel campo operaio, per la natura rozza del movimento
    proletario, per i non rari suoi eccessi, per non avere avuto
    gl'incarichi a cui il suo valore lo indicava — bene potrebbe
    umanamente essere tratto a distaccarsi da noi"[37]
    
     
    
    14. Con Salvemini per la questione meridionale
    
    Salvemini aveva presentato al congresso di Milano del 1910, come
    già a quello precedente di Firenze, la prima piattaforma
    politica fondata non su schemi dottrinari ma su un’analisi storica
    della società italiana e delle sue contraddizioni; il suo
    piano era di contrapporre al blocco reazionario indutriale-agrario
    l'alleanza degli operai del Nord e dei contadini del Sud.
    
    E' in questa occasione che Morgari venne a contatto con la tematica
    meridionalista salveminiana, aderendo alla mozione "intermdia",
    firmata anche dal livornese G.E.Modigliani, ma il suo interesse per
    i problemi del Sud risaliva agli inizi dell'impegno socialista
    differenziandolo in ciò dal riformismo padano che, anche nei
    suoi esponenti più illuminati come Turati, ha chiusure quasi
    razziste nei confronti del meridione. Nel 1998 partì per
    Palermo con Dino Rondani, entrambi deputati socialisti piemontesi
    eletti l'anno precedente, per sostenere la locale sezione nella
    lotta contro la mafia palermitana che garantiva l'elezione di 
    Crispi. La sera del 16 aprile i due deputati e un gruppo di
    compagni vennero aggrediti dai crispini che spararono anche alcuni
    colpi di rivoltella.
    
    Nell'ottobre 1902 iniziò un ciclo di conferenze di propaganda
    nel Sud; l'anno successivo condusse un'inchiesta su Gaetano
    Alessandro, vescovo di Cefalù, noto nella zona quale persona
    di dubbia moralità, usuraio e truffatore, pubblicando tra la
    fine del 1903 e il 1904 sull'Avanti! una serie di articoli che
    furono raccolti nell'opuscolo Un lupo in mitria  già
    ricordato. Nell'aprile 1904 si recò a Torre Annunziata in
    occasione dello sciopero generale locale
    
    Al congresso di Roma del 1906 vinto dagli integralisti  fu
    deciso di istituire nell'Italia meridionale e nelle isole
    «segretari regionali ai quali sarà demandato il compito
    della organizzazione politica ed economica": era investito
    così il punto importante della questione meridionale, e
    cioè l'esigenza di consolidare la struttura
    politico-organizzativa del movimento operaio e contadino del Sud,
    nel quale si individuava il protagonista principale della lotta per
    la sua emancipazione, e nello stesso tempo un fattore di
    riequilibrio dell'intera politica nazionale del partito
    
    Nel 1909 Morgari si battè, con toni salveminiani, contro i
    mafiosi e per il suffragio universale, che voleva ottenere con la
    lotta popolare, contro i brogli e per l'elevazione delle plebi.
    l'agitazione aveva un particolare significato per l'Italia del Sud;
    la legge elettorale dava infatti diritto di voto a tutti i maschi
    adulti che sapessero leggere e scrivere, e nel Mezzogiorno la
    percentuale di analfabeti era ancora molto alta: praticamente tutta
    la massa dei contadini e dei braccianti era esclusa dalla vita
    politica; la compravendita di voti e la violenza toglievano poi ogni
    significato ai pochi voti del Sud proletario. Sempre nel 1909 si
    occupò dell'elezione di Vito de Bellis a Gioia del Colle e
    condusse con De Felice, Bissolati e Ciccotti una indagine in
    merito[38]. Avendo appurato che i metodi elettorali del de Bellis si
    basavano essenzialmente sulle mazzette, quando l'elezione del
    deputato meridionale venne convalidata, Morgari proruppe alla
    Camera in un'aperta indignata denuncia dei brogli, delle
    camorre, della violenza nelle elezioni.
    
    Nel luglio 1910, durante le elezioni politiche ad Andria (Bari), i
    seguaci del candidato  governativo  impedirono la
    distribuzione dei certificati elettorali. Il 31, durante uno scontro
    fra proletari, seguaci del candidato  governativo e forze
    dell'ordine, due contadini furono uccisi e 10 feriti. Venne
    proclamato lo sciopero generale. Morgari, accorso sul posto, fece
    un'inchiesta e inviò al Presidente del Consiglio un
    telegramma[39].  In seguito, da numerosi comuni dell'Italia
    meridionale, pervennero a Morgari richieste di occuparsi delle loro
    amministrazioni. Nel 1910 la Direzione del Partito stanziò
    8000 lire per la propaganda, che «nel Mezzogiorno
    sarà essenzialmente curata da Oddino Morgari».
    
     
    
    15. Il viaggio in Oriente e il congresso di Ancona (1911-14)
    
    Il 23 novembre 1910 Morgari comunicò con una circolare le sue
    dimissioni da segretario del gruppo parlamentare[40].  In una
    lettera a Turati, ribadendo le sue dimissioni. Morgari scrisse:
    ”Sono un po' sindacalista [alludendo alla corrente di Arturo
    Labriola, n.d.a] io pure, valuto più l'azione diretta del
    socialismo nel paese che quella parlamentare. Visto che l'azione
    parlamentare narcotizza e addomestica il maggior numero dei deputati
    penso che giovi rinvigorire l'azione nel paese con una propaganda
    orale e scritta volta a rimettere in onore il carattere avvenirista
    dei movintenti che la destra si adopera a cancellare senza
    strepiti».
    
    Nell'agosto 1911, disgustato «dallo spettacolo della compagine
    parlamentare socialista», accettò l'invito di Alfredo
    Bertesi, deputato socialista di Carpi (nel 1912 seguirà
    Bissolati e nel 1915 aderirà al fronte patriottico) e
    fondatore di una cooperativa per la lavorazione del truciolo, di
    recarsi in Estremo Oriente per studiare un particolare sistema
    locale di lavorazione del truciolo, che si voleva introdurre in
    Italia. Rimase via due anni facendo praticamente il giro del mondo
    senza quasi far giungere sue notizie e solo nella primavera del 1912
    l’Avanti! pubblicava una sua lettera da Manila. Nel 1913, a campagna
    elettorale già iniziata, era ancora all'estero e il 29 agosto
    il giornale cattolico torinese “Il Momento” ne approfittò per
    accusarlo di trascurare il lavoro parlamentare e di viaggiare per
    interesse, smentito da Bertesi che sul “Grido del Popolo” disse che
    viaggiava senza diaria ma col semplice rimborso delle spese vive.
    
    Morgari, ancora in viaggio, rendendosi conto delle critiche che gli
    potevano essere mosse, scrisse a Torino chiedendo di non essere
    più candidato: «Non è che io desideri ritirarmi
    dalla vita pubblica. L'incarico del deputato, ora che il Gruppo
    parlamentare si è fatto omogeneo e il partito ha dato in
    sostanza ragione alla mia campagna integralista, tornerebbe a
    piacermi. Ma si tratta di ben altro, si tratta dell'interesse del
    partito danneggiato dalla mia lunga assenza... dalla parvenza che io
    avrei di rientrare in Italia poco prima delle elezioni unicamente
    per raccattare un'indennità”
    
     Ma la sezione torinese rispose che aveva già cominciato
    la campagna elettorale sul suo nome e attendeva con impazienza il
    suo arrivo, Morgari giunse a Torino il 15 agosto  accolto
    trionfalmente. Nel discorso di saluto disse: "C'è stata nel
    passato una deviazione verso destra, perciò è bene che
    il partito si volga verso sinistra. Vogliamo combattere a fianco di
    un proletariato il quale comprende che il fine del socialismo
    è al di là delle riforme e delle stesse battaglie,
    anche grandiose, delle organizzaioni operaie". Nell'ottobre venne
    rieletto nel tradizionale secondo collegio anche per la XXIV
    legislatura.
    
    I colleghi vollero riaffidargli l’incarico di segretario del Gruppo,
    e in tale veste al Congresso di Ancona del 1914 nella seduta del 28
    aprile relazionò sull'attività del GPS. “La relazione
    scritta era divisa in due parti, la prima si riferiva alla forza
    interna del Gruppo (consistenza numerica, rapporti can gli altri
    organismi del Partito, che furono definiti cordiali “vuoi nelle
    questioni di massima, vuoi nei quotidiani rapporti fra
    Segretariati”, studi e deliberazioni del Gruppo, cariche
    parlamentari) e la seconda alla sua operosità (nella quale
    veniva minuziosamente esposta la partecipazione ed il contributo del
    Gruppo nel sua complesso e nei suoi componenti all'attività
    parlamentare).
    
    Sulla relazione presero la parola ”(…) tra gli altri: ”Niccolini che
    dichiarò degna di elogi l'attività del Gruppo
    parlamentare, ma raccomandò nello stesso tempo ai deputati a
    non limitarsi ad una cura assidua degli interessi locali, ma ad
    assumere la cura collettiva dei collegi affinché la divisione
    del lavoro potesse avvenire secondo. le rispettive competenze,
    Franco sulla necessità di frequenti viaggi dei deputati
    socialisti settentrionali nelle regioni del Mezzogiorno nelle quali
    i pubblici poteri rispettavano soltanto coloro che erano protetti
    dall’immunità parlamentare (…) Ercole che accusò il
    Gruppo parlamentare di avere, in occasione di una recente agitazione
    di ferrovieri, favorito la Federazione gialla a scapito. del
    Sindacato, ecc.” Rispose ai vari interventi trattando in particolare
    della vertenza dei ferrovieri a proposito della quale espresse
    l'augurio. che i lavoratori della categoria in primo luogo si
    unifichino. e poi in secondo luogo unifichino se stessi col resto
    del proletariato». Furono votati all'unanimità quattro
    OdG di approvazione in vario grado, dall’incondizionata a quella con
    riserva, dell’operato del GPS[41]
    
    Riconfermato segretario del gruppo parlamentare, era membro di
    diritto  della direzione -unico a non  far parte della
    maggioranza intransigente - con Lazzari segeretario e Mussolini
    direttore dell'Avanti!
    
    Con quest’ultimo iniziarono a incrinarsi i rapporti all’interno
    stesso della direzione: in occasione della Settimana Rossa il
    direttore dell'Avanti! aveva assunto posizioni personali non
    concordate col segretario e con la direzione che avevano dato luogo
    a critiche, ma nella sessione della Direzione del 28-30 giugno, con
    le sole astensioni di Morgari e Balabanoff, gli venne riconfermata
    la fiducia, in considerazione anche del successo dell'Avanti e dell'
    aumentato peso politico.
    
     
    
    16. Lo scoppio della guerra
    
    Ai congressi dell’Internazionale il dibattito sulle misure da
    prendere per impedire la guerra diveniva sempre più frequente
    in corrispondenza all’aggravarsi della situazione internazionale e
    vedeva impegnati i grandi leaders europei: Huysmans, Jaurès,
    Vaillant, Keir Hardie. Il PSI per chiusura provinciale
    partecipò marginalmente al dibattito sull’imperialismo (se si
    esclude qualche intervento di Lerda[42]   e di pochi
    altri) e i leaders preferivano non recarsi personalmente ai
    congressi ma inviavano generalmente Morgari, che finì per
    assumere la funzione di “ministro degli esteri”
    
    Al congresso di Copenaghen del 1910 Morgari aveva presentato una
    mozione che invitava i partiti socialisti aventi rappresentanza
    parlamentare a proporre alle rispettive Camere una riduzione degli
    armamenti: la richiesta avrebbe dovuto essere appoggiata da
    dimostrazioni popolari. Tale mozione era stata respinta e nè
    al congresso di Basilea del 1912, né a quello straordinario
    del 1914 vennero deliberate misure concrete contro la guerra. Alla
    riunione tenuta il 23-24 ottobre 1911 a Zurigo, intervenne dicendo
    che “l’aggressione italiana alla Turchia sarebbe stata fronteggiata
    dalla classe operaia con lo sciopero generale”[43]
    
    Nel 1914 il congresso dell'Internazionale era previsto per
    l'ultima settimana di agosto; ma quando il 23 luglio l'Austria
    rivolse l'ultimatum alla Serbia, il Bureau Socialiste International
    (BSI) convocò  la riunione a Bruxelles il 29 e 30 luglio
    quando già le truppe austro-ungariche avevano passato il
    confine serbo.
    
    Al meeting che si tenne la sera del 29 luglio al Cirque Royal
    parlò anche Morgari, facendo appello ai valori comuni, alla
    classe operaia, alla razza umana tutta intera. Nel clima di forte
    tensione del momento le parole furono patetiche, commoventi, ma la
    riunione si concluse con un nulla di fatto. Poi Jaurès venne
    ucciso, le dichiarazioni di guerra si susseguirono.
    
    I deputati socialisti francesi votarono per i crediti di guerra
    e  altrettanto, quando già era in atto l'invasione del
    Belgio, fece la socialdemocrazia tedesca.
    
    Il 27 luglio si era tenuta a Milano presso l'Avanti! una riunione
    del gruppo parlamentare con l'intervento di 28 deputati (poco
    più della metà) presieduta da Morgari con la
    partecipazione di Mussolini e Ratti per la Direzione, che si chiuse
    con una mozione che oltre a reclamare la “immediata convocazione
    della Camera al fine di chiedere al governo dichiarazioni
    impegnative...di neutralità assoluta” e a reclamare la rapida
    riunione dell'IOS, invitava i lavoratori a “manifestare la loro
    ostilità alla guerra e a tenersi pronti per quelle più
    energiche misure che il partito intendesse adottare in vista degli
    avvenimenti”[44]
    
    La Direzione del Partito allargata alla Confederazione del lavoro,
    Federterra, Sindacati Gente di mare e Ferrovieri si riunì
    nuovamente a Milano il 3 agosto per sentire Morgari e Balabanoff che
    riferirono sulla riunione dell’Internazionale (BSI) a Bruxelles cui
    avevano partecipato. La sera del 4 agosto ad un comizio a Milano cui
    erano accorse 40.000 persone, prese la parola con Lazzari, Della
    Seta, e De Ambris (per l'USI)
    
    All'assemblea del 9 e del 19 settembre della sezione socialista
    milanese Mussolini e Morgari raccolsero la grande maggioranza per la
    tesi della neutralità assoluta[45]
    
    Altra Direzione del PSI a Bologna il 19-22 ottobre, dove si
    aprì un contenzioso con Mussolini che proponeva la formula
    della “neutralità attiva e operante” invece della
    neutralità  assoluta che era la posizione assunta dal
    Partito. Dopo una giornata di discussioni per evitare la crisi,
    Lazzari, Bacci, Della Seta e Morgari vennero incaricati di preparare
    un manifesto che conciliasse le posizioni, ma Mussolini
    rifiutò la mediazione; sulla questione Morgari
    rilasciò un’intervista[46], cui rispose Mussolini con una
    lettera pubblicata due giorni dopo. 
    
     
    
    17. L'incontro di Lugano (1914)
    
    Il Partito Socialista Italiano e la socialdemocrazia svizzera,
    pur  tra incertezze, rimasero  le   sole
    organizzazioni socialiste a  battersi per la rinascita
    dell'Internazionale e  a mantenere fino in fondo una decisa
    opposizione alla guerra.
    
    Questo era il fine per cui il 27 settembre 1914 una delegazione del
    PSI incontrò a Lugano alcuni socialisti svizzeri. Erano
    presenti per l'Italia: Armuzzi, Balabanoff, De Falco, Lazzari,
    Modigliani, Morgari, Ratti, Musatti, Serrati, Turati.
    
    I convenuti esaminarono la situazione creata dalla guerra e
    valutarono ciò che si poteva fare per abbreviarne il corso.
    In quella sede venne decisa la convocazione di un congresso da
    tenersi in Svizzera entro breve tempo: su questo punto tutti furono
    d'accordo. I problemi sorsero invece sull'ampiezza da assegnare
    alla conferenza
    
    I congressisti desideravano infatti farvi partecipare anche i membri
    dei paesi belligeranti: Grimm propose un incontro dei vari partiti
    socialisti allo scopo di riconciliare la socialdemocrazia tedesca
    con il Partito Socialista Francese. La Balabanoff, Turati e 
    Modigliani approvarono, Morgari ebbe dei dubbi: riteneva i due punti
    di vista troppo divergenti perché potessero giungere ad un
    accordo
    
    Venne anche presa in esame la situazione del BSI ormai paralizzato
    dalla guerra: si propose di trasportarne la sede in Svizzera o di
    affidare al comitato direttivo del partito socialista svizzero
    i compiti del Bureau stesso. Ci si rese però conto che la
    conferenza di Lugano era priva di poteri, soprattutto in merito
    a questioni di così vasta portata. Si temette inoltre che il
    BSI potesse credersi illegalmente spogliato delle sue funzioni.
    Grimm suggerì la costituzione di una «Centrale
    d'Information Mutuelle», una specie di agenzia  destinata
    a durare quanto la guerra, con il compito di provvedere agli affari
    correnti, e di preparare il terreno per una futura riconciliazione.
    Morgari propose di costituire un bureau provvisorio
    dell'Internazionale la cui costituzione, sempre per non urtare il
    BSI, avrebbe dovuto essere adottata in una mozione separata.
    
    Alla fine la proposta di Modigliani, approvata contro quella di
    Morgari che proponeva di rompere definitivamente con l'ormai
    inefficiente Bureau residente in Belgio e di istituire un nuovo
    Ufficio internazionale provvisorio con sede in Svizzera, incaricava
    il Partito socialdemocratico svizzero e il Partito Socialista
    Italiano di riprendere i contatti con il B.S.I. onde ristabilire le
    funzioni
    
    I partecipanti alla riunione si separarono con l'impegno di
    coordinare i loro sforzi e di non rivelare nulla di ciò che
    vi era stato dibattuto. Poiché la riunione, che doveva
    rimanere segreta, era divenuta di dominio pubblico, al termine della
    giornata venne elaborato un comunicato in forma di appello, che fu
    poi largamente diffuso dalla stampa socialista europea.
    
    Le iniziative auspicate dalla mozione Modigliani si
    svilupparono pochi mesi dopo. Per l'esecuzione del mandato di
    Lugano, infatti, la Direzione del PSI e il direttivo del Gruppo
    parlamentare socialista, nella riunione tenuta a Firenze dal 16 al
    18 gennaio del 1915, incaricavano Oddino Morgari, nonostante questi
    nel convegno di Lugano si fosse decisamente espresso per la
    soppressione del vecchio B.S.I., di prendere contatti con i partiti
    socialisti dei paesi europei belligeranti e neutrali
    
    Nel gennaio 1915 si tenne a Copenaghen una conferenza dei partiti
    socialisti scandinavi e olandesi. Egli annunciò la sua
    partecipazione approfittando di una tournée europea che
    doveva compiere come collaboratore dell'«Avanti!». Parti
    quindi per la Danimarca ma non vi partecipò, affermando di
    non essere giunto in tempo, ma successivamente, il 18 febbraio,
    dirà al Comitato Direttivo del Partito socialista svizzero di
    non aver preso parte alla Conferenza di Copenaghen sia perché
    aveva inteso che la Svizzera non avrebbe inviato delegati, sia
    perché Grimm lo aveva informato che vi potevano essere
    sospetti di influenze tedesche sulla conferenza.
    
    L'incontro di Copenaghen ebbe scarso successo. I partecipanti non
    furono numerosi e, forse per timore di creare attriti, trattarono
    solo argomenti secondari e si limitarono a chiedere al BSI la
    convocazione di una conferenza non appena possibile e comunque prima
    dell'inizio delle trattative di pace.
    
     
    
    18. La «Missione Morgari». Parigi e Berna
    
        Il suo compito era di raccogliere informazioni,
    effettuare sondaggi presso i vari partiti per rendersi conto delle
    reali loro disposizioni verso la promozione della pace e il
    risveglio dell'Internazionale. Il mandato era abbastanza elastico e
    anche l'itinerario non era ben precisato. Lo scopo principale, era
    quello di gettare le basi su cui realizzare il programma di Lugano,
    e cioè: trasferimento del Bureau in un paese neutro (di
    preferenza la Svizzera) e convocazione urgente di una conferenza dei
    partiti socialisti dei paesi non belligeranti.Prima di partire, in
    febbraio, Morgari si recò in Svizzera ad esporre gli
    obiettivi del suo viaggio e chiese di essere accompagnato nella sua
    missione da un delegato del locale Partito socialista.  
    Gli svizzeri decisero di affidargli invece un messaggio scritto,
    copia del quale venne inviata al BSI e ai partiti affiliati prima
    ancora della partenza di Morgari. Ma per una serie di circostanze
    egli non potè partire che ad aprile e in quei due mesi varie
    situazioni erano evolute o cambiate.
    
        In una serie di articoli dal titolo Che cosa
    fare?, apparsi sull'Avanti! dal 20 al 22 aprile 1915, Morgari
    espresse il suo punto di vista sulla necessità
    improrogabile della convocazione di una conferenza internazionale
    socialista. Dopo aver giustificato i socialisti che avevano aderito
    alla guerra in quanto «l'opinione che il proletariato debba
    associarsi alla difesa della patria circola da tempo nelle file
    socialiste, è stata apertamente affermata in molteplici
    occasioni, nella stampa e nei parlamenti, e non fu mai
    sconfessata " esplicitamente " dai congressi», si
    rivolgeva all'Esecutivo dell'Internazionale: «A questo
    BSI noi rivolgiamo un caldo appello ad uscire dal suo presente stato
    di aspettazione ed a riunire senz'altro
    l'Internazionale».
    
       A Parigi chiese la convocazione di una conferenza
    internazionale al  presidente del B.S.I.  
    Vandervelde, che non solo rifiutò di convocarla, ma
    dichiarò che avrebbe impedito agli stessi svizzeri ed
    italiani di farlo. Dal canto suo Morgari lo accusò di tenere
    in ostaggio l'Internazionale, e il colloquio ebbe toni drammatici.
    L'Avanti! pubblicò la relazione di Morgari sul viaggio a
    Parigi e Vandervelde reagì cercando di modificare la propria
    posizione: ma Morgari replicò che se le parole potevano non
    essere esatte, la sostanza era quella da lui indicata: francesi e
    belgi non volevano venire in contatto con i tedeschi ed erano per
    la, guerra a  fondo contro il militarismo germanico
    
    Naturalmente i gruppi socialisti dissidenti che vedevano
    nell'iniziativa italo-svizzera una rinascita dello spirito
    internazionalistico accolsero Morgari a braccia aperte.A Parigi
    strinse rapporti con Martov e Trotskij , il quale con la sua penna
    satirica ne traccia questo pungente ritratto: “Morgari ha una natura
    d'artista: è un politico e uno psicologo. I tratti del suo
    viso giovanile recano il segno di un carattere bonario ed
    indulgente.(...) rimprovera al marxismo la mancanza di realismo,
    riconosce nella Storia la "molteplicità" dei fattori e tenta
    di arrivare ad una concezione "integrale", sia nella pratica che
    nella teoria. L'integralismo significa, in realtà, uno sforzo
    per giungere ad un eclettismo "armonioso".(...) Sulla terrazza di un
    caffè di uno dei grandi boulevards, avemmo una conversazione
    con Morgari e alcuni deputati socialisti che per ragioni non molto
    chiare si consideravano di sinistra. Sinché il colloquio non
    andò al di là delle proclamazioni pacifiste e della
    ripetizione di luoghi comuni sulla necessità di ristabilire
    le relazioni internazionali, le cose andarono abbastanza bene. Ma
    quando Morgari, con tono drammatico da cospiratore, cominciò
    a parlare della necessità di procurarci falsi passaporti per
    andare in Svizzera (era evidente che l'aspetto "carbonaro" della
    faccenda lo attraeva) i signori deputati fecero il muso, e uno di
    loro si affrettò a chiamare il cameriere e a pagare le
    consumazioni. Sulla terrazza aleggiava il fantasma di
    Molière, forse anche quello di Rabelais la cosa non
    andò oltre.“[47]
    
    Tuttavia, se il programma di Lugano era inaccettabile per il
    socialismo ufficiale, per i dissidenti risultava insufficiente.
    Essi infatti obiettavano che se si trattava di far cessare la guerra
    una conferenza di neutri sarebbe stata inutile. A loro avviso si
    dovevano invece adunare i dissidenti, gli elementi di opposizione
    che nei paesi belligeranti si erano dichiarati contro la guerra e
    contro la politica di union sacrée. Al termine dei colloqui
    parigini Morgari aderì a quest'idea e, tornato in Italia, la
    espose al Congresso di Bologna del 15 e 16 maggio 1915. Il Congresso
    adottò la sua proposta; i socialisti italiani decisero
    così, ignorando gli organi ufficiali dei partiti, di
    convocare singoli o gruppi socialisti e sindacali di qualsiasi
    natura, scelti secondo le convinzioni e appartenenti sia a paesi
    neutri, sia a paesi belligeranti.
    
     Pochi giorni dopo si recò a Berna per elaborare con
    Grimm la realizzazione del progetto all’insaputa del Partito
    socialista svizzero. Infatti, mentre il PSI aveva votato a
    Bologna la decisione, assai più avanzata rispetto alle
    posizioni di Lugano, di convocare le minoranze, il Partito svizzero
    rimase legato all'idea di convocare soltanto i neutri.
    
    Per questo il PSI trovò come interlocutore attivo non
    già il comitato centrale del Partito socialista svizzero, ma
    Grimm, che aveva assunto una posizione analoga a quella italiana. E
    solo più tardi, in novembre, al Congresso di Aarau il Partito
    socialista svizzero approverà l'operato di Grimm.
    
    L'11 luglio Morgari e la Balabanoff incontrarono a Berna in una
    riunione preliminare: Zinoviev (per i boscevichi), Aksel'rod (per i
    menscevichi), Warski e Waleki (polacchi) e Grimm. Dei partecipanti,
    però, solo Morgari e la Balabanoff erano venuti dall'estero
    con un mandato ufficiale; tutti gli altri erano già in
    Svizzera come rifugiati.  Fu a questa conferenza che si
    fissò lo scopo e il carattere del convegno da tenersi in
    settembre. Esso «non avrebbe avuto per nulla come scopo la
    creazione di una nuova Internazionale, ma il suo scopo sarebbe
    stato piuttosto di richiamare il proletariato a un'azione comune per
    la pace, di creare un centro d'azione e di cercare di ricondurre la
    classe operaia alla sua missione storica».
    
     
    
    19. Nel Paese in guerra (1915-16)
    
    In occasione delle "radiose  giornate" del maggio 1915 a Torino
    la pressione della base operaia spinse la sezione cittadina, assai
    dubbiosa  pur essendo diretta dagli intransigenti, a proclamare
    lo sciopero per il 15. Nell'occasione Morgari non era presente
    perchè a Bologna con Buozzi e Pastore. La tensione cresceva
    da settimane e la giornata si concluse con un pesante bilancio: 14
    feriti e un morto tra i dimostranti, occupazione della Casa del
    popolo da parte dell'esercito, arresto di esponenti sindacali e
    politici, che caratterizzano la situazione più grave
    verificatasi in Italia alla vigilia dell'entrata in guerra.Rientrato
    a Torino, con Casalini e Quaglino girò “4 o 5 ore per tutta
    la città per persuadere gli scioperanti a riprendere il
    lavoro". Mentre i componenti della Commissione Esecutiva della
    Sezione torinese sono arrestati e rimangono in carcere più di
    tre mesi, funziona una C.E. provvisoria, di cui fa parte anche
    Morgari, che a luglio viene sostuita con elezioni che vedono
    contrapposte due liste; in quella intransigente, con Barberis,
    Boero, ecc., si colloca Morgari.
    
    Pacifismo e internazionalismo erano aspirazioni sincere che espresse
    in articoli, manifestazioni, comizi e nei due discorsi che tenne
    alla Camera, ma non poteva dimenticare che molti in Italia, tra i
    quali gli irredentisti del Trentino e della Venezia Giulia, avevano
    voluto la guerra per motivi patriottici e ideali. Né
    poteva dimenticare la «Lettera aperta» che Cesare
    Battisti aveva inviato un anno prima[48] 
    
    Una crisi lo colpirà alcuni mesi più tardi, quando il
    sentimento mazziniano e risorgimentale prenderà il
    sopravvento sulle convinzioni antimilitariste. E’ del mese di
    dicembre 1915, infatti, la polemica sorta intorno alla frase
    «ti invidio» scritta da Morgari al suo amico Plinio
    Gherardini, arruolatesi volontario; si parlò allora di un suo
    prossimo arruolamento tra i garibaldini di Francia. La notizia,
    smentita dall’Avanti e dal Grido, fu poi confermata dallo stesso
    interessato in una lettera a Lazzari del 25 dicembre,
    mettendolo in connessione con il particolare momento: «un
    periodo nel quale ancora mi pareva possibile conciliare due cose
    opposte: l'antimilitarismo e il fucile, quando cioè
    procuravo di convincermi che - dopo fatto ogni sforzo per
    impedire lo scoppio della guerra, dal punto di vista degli interessi
    generali e dei nostri principi - un socialista potesse, senza
    contraddizione seguire il proprio temperamento appena scoppiata la
    guerra, in base al motto: "cosa fatta capo ha" ».
    
     Ulteriore conferma troviamo nel discorso pronunciato alla
    Camera da Morgari il 1 luglio 1916, che  s'apriva con la
    confessione della propria crisi: «persino chi parla ebbe negli
    inizi un momento di esitanza e pregò un collega, che è
    su questi banchi, di tenergli in serbo una camicia rossa»[49]
    La guerra non era considerata unilateralmente come un
    «portato degli interessi economici delle classi
    dirigenti», ma anche come esigenza di «cause
    ideali, sdegni generosi, fedi sincere». Fu anche
    profetico: "se abbattiamo la Germania essa coverà la sua
    rivicita, la coverà 20 anni ma la farà" e insiste
    sullo scarso interesse a "annettere rupi trentine e caverne del
    Carso",[50].
    
    Serrati, in una breve introduzione al discorso sull'Avanti, 
    pur dissentendo «sia per ciò che si riferisce alle
    origini e alle cause della guerra, sia per quanto riguarda la
    condotta della guerra e sia anche e soprattutto quanto ha tratto ai
    rimedi democratici contro la guerra», non mancherà di
    elogiare il discorso «coraggiosissimo».
    
    Il discorso gli procurò i feroci attacchi degli avversari, in
    particolare dell'«Idea Nazionale» e gli elogi dei
    giovani socialisti tra cui quello di  Gramsci.
    
     
    
    20. Da Zimmerwald a Kienthal
    
    Il 5 settembre la conferenza venne finalmente convocata, nonostante
    la tenace opposizione del presidente dell'Internazionale e
    l'ostilità dei socialpatrioti. La località prescelta
    è Zimmerwald, un paesino della Svizzera. L'organo del PSI
    questa volta scriverà: «Gli sforzi entusiastici
    del nostro Morgari — che gli scettici deridevano e i cattivi
    calunniavano — sono stati coronati da pieno successo»
    
    Le convocazioni per Zimmerwald vennero fatte segretamente e la
    Conferenza si svolse all'insaputa di tutti, governo svizzero
    compreso.
    
    A Zimmerwald convennero 38 delegati di 11 paesi: le delegazioni
    ufficiali dei partiti socialisti di Polonia, Italia, Bulgaria,
    Romania e Svizzera e i rappresentanti dei gruppi di opposizione
    di Germania, Francia, Olanda, Svezia e Norvegia. Il partito
    socialdemocratico serbo, che pure aveva dichiarato la propria
    neutralità, non potè inviare il proprio rappresentante
    per la mancata concessione del passaporto al delegato. Dei russi in
    esilio, parteciparono Lenin, Zinoviev, Axelrod e Trotzki. Per
    l'Italia vi partecipò la delegazione del PSI e del GPS,
    composta da Costantino Lazzari, Angelica Balabanof, Modigliani,
    Serrati e  Morgari.
    
    Trotsky nella sua autobiografia descrive così la partenza dei
    congressisti da Berna per Zimmerwald:« Noi ci pigiammo in
    quattro carrozze e salimmo verso la montagna. La gente guardava con
    curiosità quella strana carovana. I delegati scherzavano
    sul fatto che mezzo secolo dopo la costituzione della prima
    Internazionale tutti gli internazionalisti trovavano posto in
    quattro carrozze. Ma nello scherzo non c'era alcuno scetticismo.
    Accade molte volte che il filo della storia si strappi. Allora
    bisogna annodarlo. E fu quello che si fece a Zimmerwald».
    
    Fin dalle prime battute i delegati si divisero in « destra
    » e « sinistra ». La prima, composta dalla
    maggioranza dei convenuti, sebbene intransigente nella condanna
    della guerra, confessava ancora fiducia nella Internazionale.
    La sinistra, invece, riteneva che l'unione sacra e la politica
    dilatoria del B.S.I. l’avessero definitivamente squalificata, e
    poneva il problema della trasformazione della guerra militare
    in guerra civile sviluppando le deliberazioni del congresso di
    Basilea. Il «Manifesto», che non intendeva ripudiare la
    2. Internazionale ma cercava di mutarne la direzione e si
    pronunciava contro la guerra addossandone la
    responsabilità alla cupidigia imperialistica di tutti i paesi
    belligeranti, in Italia fu stampato alla macchia e
    l'«Avanti!» lo pubblicò a dispetto della censura
    il 14 ottobre  grazie a un'abile manovra del direttore Serrati.
    
    A Zimmerwald, nella firma del manifesto conclusivo, Morgari
    rivelò non poche perplessità, in quanto non si
    sentiva di avallare le affermazioni unilaterali sulle cause della
    guerra[51] persuaso che la sua impostazione oscurasse le ragioni di
    coloro che avevano combattuto la guerra non per interessi economici
    ma unicamente per motivi morali
    
    Morgari sintetizzò la portata de convegno in un'intervista
    rilasciata al giornale La Sera, in cui affermava che «l'atto
    pratico di Zimmerwald è quello di aver compiuto il nostro
    dovere di socialisti, che era di riunirci internazionalmente ed
    esprimere una parola concertata nei riguardi della guerra. Ma nello
    stesso tempo pur volendo sfuggire alle responsabilità di
    questa guerra, noi non diciamo ai soldati o di fuggire o di non
    sparare”
    
    La Conferenza costituì anche una «Commissione
    socialista internazionale» con il compito
    «facilitare le relazioni fra i partiti socialisti» e di
    «informare le organizzazioni aderenti sugli avvenimenti e
    lò svolgimento della lotta per la pace». A farne parte
    furono chiamati Grimm, Naine, Morgari e la Balabanoff (in veste di
    traduttrice). La commissione lavorò attivamente nonostante
    l'entrata in guerra dell'Italia, ma i risultati furono scarsi.
    Ciò non impedì ai giornali borghesi di sviluppare una
    vasta campagna di stampa contro i socialisti italiani accusati di
    svolgere, all'interno della Commissione di Berna, attività
    antimilitare e antipatriottica.
    
    Nel febbraio 1916, in una riunione internazionale tenutasi a Berna e
    promossa dal PSI, venne decisa una nuova conferenza che si tenne poi
    a Kienthal dal 24 al 30 aprile. I punti più importanti
    all'ordine del giorno della conferenza erano: la battaglia per la
    fine della guerra, l'attitudine del proletariato verso i problemi
    della pace, la questione della convocazione del BSI a l'Aja.
    
    Per l'Italia, con Lazzari, Prampolini, Modigliani, Musatti, Dugoni e
    Serrati vi partecipò anche Morgari. In essa vennero
    riaffermati i principi contenuti nel manifesto di Zimmerwald,
    pur apparendo i termini del nuovo manifesto più decisi. Nel
    testo programmatico che ad esso si accompagna, venne stabilita,
    in 14 punti, la condotta che il proletariato doveva adottare di
    fronte alla guerra e, fatto nuovo, la lotta per la pace fu
    identificata con la lotta rivoluzionaria per il socialismo. I
    testi di Kienthal furono votati all'unanimità dai
    partecipanti alla conferenza. Anche se i gruppi presenti a Kienthal
    erano sostanzialmente quelli di Zimmerwald, i delegati furono molto
    più numerosi e ciò nonostante le autorità di
    alcuni paesi belligeranti avessero ostacolato la partecipazione non
    rilasciando i passaporti. A Kienthal si registrò anche un
    netto spostamento a sinistra. Lenin non si trovò
    più isolato. Dopo due anni di guerra, i delegati di Kienthal
    non parlarono più di «pace senza annessioni e senza
    indennità” ma di «conquista dei governi e della
    proprietà capitalistica per parte dei popoli” e aggiunsero:
    «la pace duratura sarà il frutto del socialismo
    trionfante»
    
    Il manifesto di Kienthal venne giudicato non sufficientemente
    rivoluzionario dalla sinistra, mentre la destra ritenne troppo
    assolute e pessimistiche alcune affermazioni. In questa
    «destra » si inquadra anche Morgari che formulò
    un emendamento votato anche da Modigliani Prampolini Dugoni
    Musatti.  Votarono le tesi senza riserve Serrati e Balabanoff.
    
    Benché la condanna della guerra risultasse molto più
    dura e circostanziata rispetto a Zimmerwald, il rapporto
    ufficiale concluse con un generico invito all'azione delle masse.
    
     
    
    21. La Missione Ford. Stoccolma
    
    È nella mancanza di linearità con le tesi di
    Zimmerwald e di Kienthal che va inquadrata la sua singolare
    partecipazione alla Missione Ford. L'industriale americano Henry
    Ford[52]  aveva intrapreso una campagna per il ritorno della
    pace in Europa fondando una istituzione che, abbondantemente
    finanziata e composta di elementi danesi e svedesi , aveva la sua
    sede a  Stoccolma. Ford intendeva mostrare la
    superiorità morale del capitalismo americano che non era
    costretto favorire le guerre per realizzare profitti ma poteva
    legittimarsi moralmente e politicamente attraverso il coinvolgimento
    nei consumi delle masse popolari. Non su cannoni, ma su
    automobili e su oggetti di consumo era in grado di puntare
    l'industria americana.
    
       Morgari fu colpito da questo capitalismo che sapeva
    coniugare le esigenze del profitto con quelle della socialità
    e della pace, e questa posizione di apertura ad un certo tipo di
    imprenditoria ebbe sviluppi nell'immediato dopoguerra con la
    collaborazione con Giovanni Agnelli e l'industriale tessile Franco
    Marinotti nel tentativo di stabilire rapporti economici con la
    Russia sovietica.
    
      Ford aveva inviato il proprio segretario a Berna per
    scegliere una commissione svizzera per il parlamentino pacifista che
    avrebbe dovuto sedere in permanenza a Stoccolma. Fu a Berna che
    agli inizi del 1916 Morgari conobbe, tramite il vecchio
    internazionalista Enrico Bignami, il segretario di Ford. Invitato da
    quest'ultimo a far parte della commissione permanente della
    Missione, si consigliò con Grimm, Balabanoff, Serrati,
    Lazzari e Vella. Vi si oppone la sola Balabanoff, gli
    altri    considerarono  possibile 
    l'opera  di   Morgari    purché
    svolta  a  titolo personale, senza alcun mandato
    
       Nel resoconto del viaggio di Morgari, l'Avanti! insiste
    nel presentare la sua  partecipazione alla Missione come un
    fatto di iniziativa  personale,  escludendo 
    ogni  copertura  diretta  del  partito, 
    che ufficialmente non poteva essere data, basandosi la Missione Ford
    esclusivamente sul contributo finanziario di un capitalista.
    L'autonomia della iniziativa, in verità, è
    riconosciuta dallo stesso Morgari in una lettera a Serrati del 15
    giugno  1917 :   «Più volte mi scrivesti
    per invitarmi ad inviare articoli, notizie. Ma sai come la penso.
    Invadere l'Avanti! con quelle tesi — posto pure che tu lo concedessi
    — sarebbe un abusare dell'ospitalità politica, e un tentar di
    scuotere la discreta e sufficiente concordia odierna del partito.
    Scrivere senza avanzare tesi non vorrei. Notizie non ne ho; ne ho
    meno di te, che leggi o fai leggere giornali in più
    lingue »[53]
    
    In una nota editoriale da attribuire a Serrati premessa al suo
    articolo Le due Vittorie apparso su Scintilla e poi sull’ Avanti!,,
    si legge: «Bella utopia, quella di ricercare nel mondo tutti
    gli uomini buoni e generosi e stringerli in un fascio di forze
    operanti contro la barbarie della guerra. Tanto bella questa utopia
    che quando noi abbiamo visto Morgari tutto preso da questo nobile
    sogno, non ci siamo sentiti di dissuaderlo e, pur dissentendo, lo
    abbiamo quasi incoraggiato a correre pellegrino di pace per il mondo
    alla ricerca degli uomini buoni......Mentre il pacifismo largamente
    umanitario di Morgari conduce logicamente alla cessazione o, quanto
    meno, alla attenuazione della lotta di classe, il nostro
    determinismo economico ci chiama invece ad accentuare l'azione
    indipendente ed autonoma del proletariato nei confronti di tutti i
    dominanti »[54].
    
    Morgari quindi accettò l'offerta del segretario di Ford
    tacitamente confortato dal consenso dei compagni e nel maggio del
    1916 intraprese il viaggio per Stoccolma.
    
    Della Missione Ford faceva parte anche Hermann Greulich, che il 17
    maggio 1915 aveva presentato alla direzione del PSI il sig. Nathan,
    latore da parte di pacifisti americani di offerte finanziarie
    categoricamente rifiutate dallo stesso Morgari, a nome della
    direzione del partito, in un colloquio avuto a Bologna con il
    pacifista americano. Fu allora che la stampa antisocialista e
    interventista vide nelle offerte di Nathan al PSI il denaro tedesco
    e identificò in Greulich un agente del governo imperiale.
    Memore di tale polemica, Morgari invitò Greulich a dimettersi
    da membro della commissione permanente della Missione Ford, per
    fugare ogni possibile equivoco sulle reali intenzioni della
    Missione.
    
       Il parlamentino costituito da Ford a Stoccolma
    rivestiva particolare importanza per Morgari, dopo i numerosi
    tentativi falliti; per questo, incurante del vespaio di critiche
    suscitato sulla stampa italiana, egli divenne uno dei maggiori
    attori della iniziativa pacifista. A suo giudizio il problema
    essenziale per il momento, al di fuori di ogni problematica
    rivoluzionaria, era quello esclusivo di salvare la pace, anche se
    tutto ciò comportava collaborazione con un capitalista. Ai
    delegati della Missione Ford Morgari presentò un Plan d'une
    grande campagne mondiale pour la paix prochaine et definitive,
    preventivamente discusso dal gruppo scandinavo della Missione il 24
    settembre 1916 e presentato nel novembre a tutti i componenti.
    Stilato con la meticolosità che gli era propria, si
    articolava in 78 punti ed era basato sul contributo finanziario di
    cinquanta milioni di dollari da parte di Ford. Prevedeva una
    campagna mondiale per la pace, della durata di 5 anni,
    sostenuta da quotidiani, cartelloni, cinema, propagandisti
    distribuiti in tutti i paesi. Si articolava in tre fasi di sviluppo:
    1) «Avant l'armistice», per avvicinarlo e influenzare i
    negoziati preparatori; 2) «Pendant l'armistice», per
    influire sulle condizioni del trattato di pace; 3)
    «Après la paix», per vincere quelle forze che si
    opponevano a una completa instaurazione dei diritti delle genti.
    
    Il piano prevedeva anche la fondazione di un quotidiano mondiale,
    pubblicato in tre lingue, e l’adozione di una lingua mondiale,
    l’Esperanto[55] - di cui Morgari fu un discreto conoscitore e attivo
    divulgatore- per influire più facilmente e uniformemente
    sull’educazione dei popoli al pacifismo.
    
    Ma non se ne fece nulla: Ford  in armonia con l'atteggiamento
    del governo americano che aveva deciso l'intervento a favore
    dell'Intesa,  annunciò che non aveva più fiducia
    nella buona volontà di pace dei dirigenti tedeschi e sciolse
    definitivamente la sua missione il giorno della rottura dei rapporti
    diplomatici tra Germania e Stati Uniti (2 febbraio 1917).
    
    Il viaggio di Morgari provocò sulla stampa sarcasmi e accuse
    di ingenuità se non di  connivenza col nemico. 
    Iniziò l' Idea nazionale il 13 ottobre 1916, seguita dal
    Corriere della Sera del 3 giugno 1917 che così commentava:
    ”L’importante è che l’affare si concluda subito per
    merito suo, così il socialismo intasca in moneta elettorale
    il prezzo della mediazione. Sua Eccellenza Morgari ha l’anima di un
    viceplenipotenziario di Federico II o di Maria Teresa», e
    dal Giornale d'Italia del 7 luglio. Morgari esprimerà la sua
    delusione per il fallimento della Missione in un'intervista
    rilasciata alla Stampa pochi giorni dopo il suo rientro in Italia.
    L'Avanti! non commentò: a giustificazione riportò una
    relazione letta a suo tempo da Morgari alla seziono di Torino. Il
    carattere borghese dell'iniziativa di Stoccolma è
    sottolineato dalle dure parole di critica che II Grido del Popolo
    scrisse sull'iniziativa di Morgari: «Noi che abbiamo solo
    fiducia nella lotta di classe e non crediamo né alla
    efficacia, né alla sincerità di alcun pacifismo
    borghese, saremmo mortificatissimi di aver perso tre mesi di
    tempo in collaborazione con un qualsiasi Ford, presso qualsiasi
    governo, presso una qualsiasi conferenza che non fosse stata una
    conferenza di socialisti internazionalisti" .
    
    Rimase tutto l'inverno in Svezia; fallita la Missione Ford, in
    primavera partì per l'Olanda. All'Aja si fermò per
    circa due mesi cercando di mettersi in contatto con Huysmans, per
    spingerlo a convocare un congresso per la pace, ma Huysmans fu
    irremovibile, e qui era stato raggiunto da un telegramma di Lazzari
    che lo pregava di raggiungere Pietrogrado per prendere contatti con
    i rivoluzionari russi e inviare notizie precise all'Avanti!.
    
    Tentò di recarsi in Russia attraverso la Scandinavia, ma
    inutilmente, a causa delle restrizioni degli imbarchi per la guerra
    in corso. Ne diede notizia egli stesso in una lettera a Serrati, in
    data 15 giugno 1917, dall'Aja: «Rimpatrio. Dopo quasi due mesi
    di pratiche per ottenere il rimpatrio traverso il territorio
    anglofrancese, ottenutolo infine il 21 aprile, ricevo il
    telegramma di Lazzari incaricantemi di recarmi in Russia. Pensa
    quanto siffatto incarico mi lusingasse e corrispondesse al mio
    sentimento. Non profittai del permesso con pericolo di vederlo
    decadere e insieme a un compagno esiliato russo e ad un
    organizzatore che conosce i porti olandesi come tu l’Avanti!, feci
    ricerche per trovare imbarco alla volta dellaScandinavia. Dopo
    oltre un mese di vane pratiche, rinuncio »[56] . Così
    nel luglio 1917 rientrò in Italia.
    
    Morgari non potè partecipare alla conferenza di
    Stoccolma. L'avvento al potere dei bolscevichi determinò
    il ritiro della delegazione russa dal comitato di Stoccolma e
    contribuì alla disgregazione del movimento zimmerwaldista, la
    cui crisi era già manifesta dalla metà del 1917.
    Morgari, costretto in Olanda dalla guerra, non partecipò
    ai lavori preparatori né alle sedute della terza conferenza
    di Zimmerwald.
    
     
    
    22. Nel Paese in guerra (1917-18)
    
       Rientrato in Italia a luglio da Stoccolma, ricevette
    con Romita e Serrati il 13 agosto 1917 alla Casa del popolo di
    Torino i rappresentanti dei Soviet di Pietrogrado che stavano
    compiendo un giro di propaganda noi paesi dell'Intesa. Si tenne
    anche un comizio affollatissimo, il primo dall'inizio della guerra.
    
      Il 22 agosto scoppiò a Torino uno sciopero determinato
    dalla carenza di generi alimentari, che assunse subito carattere
    politico e si trasformò in aperta rivolta contro la guerra.
    La sera stessa la sezione di Torino telefonò a Morgari
    chiedendogli di precipitarsi a Torino. Dalla testimonianza resa al
    processo per i moti dell'agosto dal segretario della CdL Dalberto,
    egli si mise in contatto prima con Rigola a Biella che
    rifiutò di intervenire, poi si rivolse ai deputati Casalini
    in vacanza e Morgari a Roma, perchè rientrassero. II giorno
    dopo giungeva nella città trasformata in un campo di
    battaglia. Queste iniziative saranno considerate dal Tribale
    Militare conferme dell’ipotesi che Morgari era uno dei promotori
    dell'insurrezione
    
       Nella notte tra sabato e domenica furono arrestati
    quasi tutti i membri delle commissioni esecutive della sezione
    socialista e della CdL, molti segretari di Leghe e Circoli e
    parecchi altri compagni tra i più noti, che decisero di
    affidare ai deputati socialisti torinesi (Casalini, De Giovanni,
    Morgari) il compito di funzionare da direttivo provvisorio. La sera
    del  23 con Romita e il corrispondente dell'Avanti! Leo Galetto
    ebbe un colloquio col prefetto, il quale assicurò poi Roma
    telefonicamente che Morgari “pare animato da buone intenzioni”. Il
    26 presentarono per il visto al Comando del Corpo d'Armata, che
    aveva assunto la tutela dell'ordine pubblico, il seguente
    manifesto:"Lavoratori Torinesi:L'inefficienza del Governo Centrale,
    l'ignavia dell' Amministrazione cittadina, le provocazioni
    indicibili del potere politico locale, vi hanno fatto scattare
    unanimi in un movimento di sciopero generale, meraviglioso, forte,
    ammonitore ed esemplare. Scoppiato per la mancanza del pane,
    esso si è subito tramutato in una decisa manifestazione
    contro la guerra, che tanti lutti ha . seminato e tanto sdegno
    suscita in ogni animo, in tutti i paesi. La forza brutale dello
    stato borghese, la incoscienza da parte dei proletari vestiti in
    divisa, la dolorosa impreparazione della nostra organizzazione
    ad una azione risolutiva, ci costringono a consigliarvi a tornare
    lunedì al lavoro. Non è consiglio di viltà
    quello che vi diamo, ma di saggezza e di forza. Noi intendiamo che
    non solo questo grandioso movimento proletario torinese sia
    avvertimento serio e definitivo al governo monarchico borghese,
    perchè cessi questa strage inutile e inumana, ma indichi
    anche a tutti i proletari d'Italia ed all'Internazionale il dovere
    di una più intensa e definitiva preparazione. Torniamo al
    lavoro, o compagni, ma torniamo colla coscienza di aver
    compiuto un atto coraggioso degno e fecondo senza dedizioni e senza
    rinunzie. E’ stato sparso sangue proletario, ma non invano.
    Salutiamo le vittime con una promessa di prossima, preparata
    rivincita. Salutiamole al grido: "Viva lo sciopero generale. Viva la
    pace. Abbasso la guerra!"
    
    E poichè il nulla osta fu negato, consegnano il 27 al
    generale Sartirana il testo di un nuovo manifesto assai più
    moderato e breve: “Ai lavoratori torinesi Compagni! Avendo accettato
    di rappresentare provvisoriamente le oprganizzazioni che per i noti
    eventi non possono regolarmente funzionare....crediamo nostro dovere
    avvertirvi che le nostre organizzazioni hanno delberato di invitarvi
    a riprndere il lavoro lunedì corrente. Mandiamo intanto un
    riverente saluto alle vittime cadute con quella fede che
    rimarrà intatta nei nostri cuori”
    
    Nel 1917 oltre alla rivolta di Torino si registrarono una
    più  vigorosa opposizione alla guerra e anche alcuni
    atti di sabotaggio. La stampa borghese incominciò a parlare
    di bolscevizzazione e di «pericolo di un sabotamento
    proletario della guerra». Materiale di propaganda socialista
    internazionalista e pacifista veniva distribuito
    clandestinamente e talvolta giungeva anche fra le truppe al fronte
    grazie «alle cassette di munizioni, sul cui fondo si
    nascondono dei manifesti sediziosi» Le autorità
    militari erano anche molto preoccupate per la frequenza con cui
    andavano ripetendosi incidenti nei principali stabilimenti militari.
    
    “noi siamo un partito che è costruito da trent’anni e da
    trent’anni combattiamo la guerra...(...)...c’è il
    patriottismo dei sign ori che crede possa la gloria e il benessere
    della patria realizzarsi solo nell’espansionismo e vi è il
    patriottismo della povera gente, il nostro, che cerca il benessere e
    la glorua della patria nello sviluppo interno delle risorse
    interne,. La guerra è il vero sabotaggio della guerra. Voi
    sabotate la razza; è la distruzione dei giovani, dei validi
    che imperversa”[57]  
    
     Il 21 dicembre 1917 presentò alla Camera un Od.G
    :«La Camera invita il Governo a rivolgere alle potenze
    alleate, nemiche e neutrali una proposta di pace generale e di
    riordinamento della convivenza internazionale basata sull'abolizione
    del diritto di dichiarare Ia guerra, finora  riconosciuto negli
    stati dal costume politico e dalle convenzioni interne». Dopo
    il suo discorso alla Camera, come già nel 1916, Morgari fu
    sommerso di lettere, in parte anche di lode, soprattutto da militari
    al fronte o vedove di guerra. Anche Gramsci[58] e Serrati scrissero
    a Morgari per congratularsi con lui. Discorso che passa per
    "vergognosamete leninista" e contro il quale protesteranno numerosi
    professori, da Mosca a Loria. Nell'esaltazione della rivoluzione
    russa “che innalza la più grande bandiera che abbia mai
    sventolato sulla faccia della terra” “Lenin non tiene abbastanza
    conto della difficoltà di trasformare bruscamente una
    società individualista in una collettivista, sebbene tale
    trasformazione sia facilitata in Russia dal fondo mistico della
    razza slava e ancor più dal fatto che quel paese è
    uscito da poco dal comunismo primitivo della terra ....Lenin ha
    fretta, vuole trasformare il suo Paese in una enorme società
    cooperativa di produzione e di consumo...”
    
    Il 1918 iniziò con una ventata di reazione antisocialista. Il
    24 gennaio il governo ordinò l'arresto del segretario
    politico del P.S.I. Lazzari e del vice-segretario Bombacci, per il
    loro atteggiamento «in evidente contrasto con le
    necessità della difesa nazionale». Già nel 1915
    Lazzari aveva chiesto a Morgari di sostituirlo qualora fosse stato
    arrestato. Lo sostituì ma tenne la carica per poco: il 18
    giugno dello stesso anno diede le dimissioni. Era anche segretario
    del gruppo parlamentare e il dissidio fra questo e la direzione
    rendeva difficile la sua posizione. Come al solito riassunse il suo
    pensiero in una circolare[59]
    
     
    
    23. La Commissione di informazione e di azione internazionale
    
    Circa un anno dopo il suo rientro dal Nord, Morgari riprese la
    sua attività, come incaricato del partito all'estero,
    partecipando al congresso del Partito socialista francese. Nella
    riunione del 30 settembre 1918 la direzione del PSI aveva
    deliberato che Morgari e Alessandri portassero il saluto e la
    solidarietà dei socialisti italiani al congresso del Partito
    socialista francese, che si tenne a Parigi dal 6 al 9 ottobre 1918.
    
    In tale occasione, approfittando della presenza di molti delegati
    stranieri e della vittoria al Congresso dei "minoritari" fu composta
    una «Commissione socialista di informazioni e di azione
    internazionale». La Commissione, dopo alcune sedute
    preparatorie tenute da Morgari con il bolscevico Kemerer e con altri
    delegati francesi e serbi nelle giornate dell'11-13 ottobre, venne
    ufficialmente approvata il 14 nel corso di una riunione negli uffici
    del Populaire, cui parteciparono il segretario Frossard, Longuet,
    Loriot, Paul Faure, Rappoport, ecc; gli italiani Morgari, Alessandri
    e Rubino, segretario della sezione socialista italiana in Parigi,
    oltre a russi, serbi e greci
    
    La nuova Commissione aveva il compito di «creare un centro
    d'informazione e di azione a disposizione delle correnti di
    sinistra (internazionalisti, intransigenti, zimmerwaldiani) dei
    paesi dell'Europa occidentale e dell'America, in considerazione del
    fatto che «la censura dell'Intesa era riuscita ad innalzare
    un'insuperabile 'muraglia cinese' fra l'Europa occidentale (Italia,
    Francia, Inghilterra, Spagna, Portogallo) e il rimanente d'Europa
    (Imperi Centrali, Russia, Svizzera, Balcani, Scandinavia),
    muraglia che durerà ancora a lungo per impedire il
    propagarsi del bolscevismo dall'Est d'Europa all'ovest». La
    Commissione intendeva inoltre sostituirsi alla Commissione
    socialista internazionale costituita a Zimmerwald - trasferitasi,
    nel frattempo, dalla Svizzera a Stoccolma e forzatamente
    inefficiente - e al Bureau della II Internazionale «le
    cui funzioni, rispettose degli statuti e di tutte le correnti che si
    agitano nel socialismo mondiale, non potevano essere che neutrali, e
    limitate a convocare imparzialmente i diversi partiti appena il
    Congresso internazionale.sarà possibile».[60]
    
    A Parigi patrocinò la proposta di convocare una
    conferenza zimmerwaldista a Roma, da contrapporre alla
    conferenza interalleata di Londra alla quale la direzione del
    partito socialista italiano aveva rifiutato di inviare propri
    rappresentanti. Morgari interpellò, a tal proposito, alcuni
    membri della nuova direzione (ex minoritaria) del Partito socialista
    francese e della nuova Commissione internazionale (tra i quali
    Longuet, Faure, Frossard) ma questi opposero un netto rifiuto e gli
    mossero il rimprovero di non aver partecipato alla conferenza di
    Londra, dove i socialisti italiani neutrali avrebbero potuto
    collaborare con i “minoritari”.
    
     
    
    24. La Comune di Budapest
    
       Dopo la sconfitta degli imperi centrali e l'abdicazione
    di Carlo d'Asburgo, il presidente provvisorio dell'Ungheria Karolyi,
    di fronte alle crescenti difficoltà e nella speranza di
    attenuare l’ostilità delle potenze vincitrici, aveva
    rassegnato le dimissioni affidando il potere al partito socialista
    nato dalla fusione dei socialdemocratici col piccolo partito
    comunista fondato da Bela Kun. Così iI 21 marzo del 1919
    veniva proclamata a Budapest la Repubblica Ungherese dei Consigli.
    
       In effetti l'Intesa mandò a Budapest  un
    suo rappresentante col compito di trattare l'accordo di pace. Fu un
    successo per il governo dei Consigli non solo in Ungheria
    (dove  l'opinione pubblica lo appoggiò in uno spirito di
    solidarietà nazionale) ma anche in Europa, alimentando
    l'interesse intorno alla seconda rivoluzione socialista, attuata nel
    cuore dell’Europa.
    
        Il successo e i consensi dei primi giorni di vita
    permisero al governo rivoluzionario di lavorare per l'edificazione
    anche pratica del nuovo ordinamento sociale, economico e produttivo
    del paese, esprimendosi con misure più massimaliste di quelle
    attuate in Russia: il 26 marzo fu decretata la nazionalizzazione di
    tutti gli impianti industriali, minerari e di trasporto con
    più di venti operai, di tutti i beni immobili e gli istituti
    finanziari; il 3 aprile si dichiarò il passaggio di tutte le
    proprietà fondiarie a «proprietà dello Stato
    proletario senza alcuna indennità di riscatto».
    Quest'atto, sebbene  in linea con la dottrina marxista e
    soprattutto dettato dalla necessità di garantire la
    continuità dei rifornimenti alimentari alla capitale e al
    fronte, rappresentava una delusione per quei contadini poveri che
    avevano sperato nella ridistribuzione fondiaria e nel possesso della
    terra. Il sistema delle «cooperative di produzione» ,
    spesso amministrate dagli ex proprietari, non fu di fatto accettato.
    
       Frattanto l'Intesa favorì la creazione di
    governi controrivoluzionari e aiutò gli attacchi militari
    della Romania e Cecoslovacchia. La sorte della repubblica dei
    Consigli sembrava già segnata quando alla metà di
    aprile le truppe romene iniziano la loro offensiva militare se non
    fosse stato per la mobilitazione popolare messa in atto dal governo
    rivoluzionario  con la creazione di un' Armata rossa a cui
    affluirono per spirito patriottico anche ex ufficiali ed
    elementi della inteIligenzia
    
    I mesi di maggio e di giugno gli ungheresi recuperarono le posizioni
    perdute aprendo  possibilità per la sopravvivenza della
    repubblica dei Consigli che attendeva a brevissima scadenza lo
    scoppio di una rivoluzione in tutto il bacino centro-europeo
    confortata dalle  notizie provenienti dalla Baviera e dalla
    ritenuta imminente saldatura delle truppe ungheresi con l'Armata
    rossa sul fronte ucraino.
    
    L'avvenimento suscitò viva impressione sulle masse popolari:
    la rivoluzione sembrava estendersi a macchia d'olio In Italia, la
    Direzione del partito socialista il 19 marzo 1919 aveva votato un
    ordine del giorno di adesione all’Internazionale Comunista; ora,
    dopo le novità provenienti dall'Ungheria e dalla Baviera, il
    PSI nel manifesto del Primo Maggio rivolgeva un appello «La
    classe lavoratrice dovrà infine affermare che è ormai
    animata da chiara coscienza della propria forza e dei propri
    destini, che è pronta a raccogliere e seguire gli
    insegnamenti della Russia, dell'Ungheria, della Baviera dove il
    potere politico ed economico è raccolto soltanto nelle mani
    di chi produce, di chi lavora».
    
    In Italia però le notizie giungevano confuse e allarmanti, la
    stampa socialista era costretta ora ad accogliere ora a smentire le
    più clamorose invenzioni giornalistiche come quella della
    occupazione della capitale o della morte di Bela Kun.[61]
    
    L’incertezza delle informazioni, l’esigenza di una presa di contatto
    diretta, il desiderio di manifestare la solidarietà dei
    socialisti italiani stanno alle origini della missione affidata
    dalla Direzione del Partito a Morgari che si trovava allora a Monaco
    di Baviera; vi si era recato dopo aver inutilmente tentato di
    raggiungere Pietroburgo da Zurigo e da lì il 1. aprile aveva
    inviato un messaggio a Mosca nel quale esprimeva la piena adesione
    del PSI all'Internazionale Comunista  e la solidarietà
    dei socialisti italiani al governo dei Soviet.[62]
    
       Il 19 maggio giungeva [63] a Budapest  pieno di
    curiosità e di interesse, disponibile all’entusiasmo, ma
    insieme ansioso di registrare obiettivamente sulla base d’un
    rigoroso metodo «scientifico»  e
    «sperimentale»  quanto avrebbe visto. La tattica
    consistente «nel registrare colle luci le ombre, le
    lamentele, le deficienze, gli errori», spiegandone beninteso
    le cause, equivaleva ai suoi occhi «ad aprire una scuola
    pratica ad uso dei proletariati che non hanno ancora fatto la loro
    rivoluzione. Frequentando tale scuola, conoscendo ogni passo del
    calvario, salito dai fratelli che li  precedettero  nella
    fatica gloriosa,  apprenderanno  ad imitare  le cose
    buone, a prevedere difficoltà, a prepararsi a vincerle e a
    non ripetere gli errori, almeno nella misura che le circostanze
    permetteranno»
    
    Il 25 maggio l'Avanti! con un servizio da Budapest dava notizia
    dell'arrivo del Morgari, della sua visita al più grande
    complesso industriale della capitale, la Landmaschinen Fabrik,
    del suo incontro con le truppe combattenti sul fronte 
    nonché dei colloqui da lui avuti con Bela Kun, con Vilmos
    Bòhm e con Gyula Alpàry.
    
    La corrispondenza, negando le esagerazioni delle agenzie
    borghesi (la morte di Kun, l’occupazione di Budapest, lo
    sciopero generale, la fame, il terrore), tendeva a dare un quadro
    ottimistico della situazione: «Ieri visitammo con
    Morgari  il fronte a nord-est di Budapest, arrivando a un
    chilometro di distanza dalle posizioni ceche di Miskolcz, ove
    strisciammo a terra per osservare le posizioni sotto il fischio
    delle cannonate. Miskolcz, fu presa nella notte stessa dagli
    ungheresi, che fecero trecento prigionieri cechi e si impossessarono
    di trenta mitragliatrici... Dovunque visitammo truppe riscontrammo
    grande entusiasmo. Tutti marciavano compatti, uniti, sventolando
    bandiere rosse,cantando la Marsigliese e l’Internazionale,
    adornando cannoni, automobili e treni con simboli rivoluzionari e
    accogliendo la nostra automobile con grida di evviva
    all’Internazionale...Ad Harszay venne assalito dai soldati
    l’automobile dello Stato maggiore, improvvisando una dimostrazione
    di simpatia. Un soldato parlò a nome del suo reggimento,
    pregando i capi dell’esercito di salutare in loro nome il
    proletariato rimasto nelle fabbriche, nelle officine e nei
    campi, raccomandandogli di lavorare tranquillamente all’interno, che
    essi, proletari in divisa, faranno il proprio dovere alle
    frontiere» [64].
    
      A Csòt Morgari si recò il 7 luglio per svolgere
    un’inchiesta sull’allontanamento della compagnia  italiana
    del 2. Battaglione balcanico. I 71 volontari italiani dell’esercito
    rosso erano stati accusati dal comandante di depredazioni e
    internati a Csòt. Morgari, nella relazione inviata al
    Commissario del Popolo per la guerra, affermò infondate le
    accuse rivolte ai volontari italiani e ne chiese l’immediata
    liberazione. Fece visita anche alla missione militare italiana,
    l’unica dell’Intesa rimasta a Budapest, comandata dal maggiore
    Romanelli.
    
    Questi giunse a chiedere i “buoni uffici” di Morgari per convincere
    Bela Kun a cedere il potere, sotto la garanzia dell’Italia, in
    considerazione della tragica situazione in cui versava l’Ungheria,
    in guerra con quasi tutti i suoi vicini e in previsione di un
    probabile intervento dell’Intesa. Sembrò, in un primo
    momento, che Kun si manifestasse disposto ad accedere alle proposte
    del Romanelli. Ne da notizia un telegramma, spedito per corriere
    diplomatico il 26 maggio: «Delegazione di Budapest informa che
    l’on. Morgari ora Budapest per seguire movimento bolscevico, avvisa
    nostra Missione essere Bela Kun disposto cedere potere attuale e
    chiedere intervento Italia per garantire ordine. Bela Kun domanda
    come Italia ricostituirebbe potere in Ungheria e se intervento
    Italia a Budapest porterebbe conseguenza intervento altre truppe
    Intesa..(....)... .se si potesse in qualche modo profittare a
    vantaggio del nostro paese di questo... e prepararci ad una seria
    influenza nostra per dopo, sarebbe certamente opportuno non
    perdere tempo»
    
    Ma dopo il 24 giugno, in seguito all'opera di difensore dei
    contro-rivoluzionari da Romanelli[65]  svolta, Morgari ruppe le
    relazioni con la Missione italiana tanto da rifiutare nei momenti
    della crisi della «Comune» l'ospitalità e la
    protezione offertagli. Una polemica si sviluppò
    successivamente: il Corriere della Sera, in polemica con
    l'Avanti! che aveva attaccato la Missione italiana accusandola di
    correità con i controrivoluzionari, aveva scritto che Morgari
    doveva la sua liberazione dai soldati bianchi a Romanelli,
    circostanza smentita dall'interessato. .
    
    In una lettera a Kun  scritta all'indomani del tentativo
    controrivoluzionario del 24 giugno quando alcuni  militari
    dell'Accademia Ludovica cannoneggiarono la sede del governo,
    consigliava di non ricorrere alla pena di morte sia per non
    dare motivo alla Francia, cui era stato affidato il compito di
    polizia dal trattato di armistizio, di intervenire, sia
    perché metodi feroci di repressione avrebbero influito
    “sul  buon nome della rivoluzione proletaria in occidente”, e
    soprattutto perchè «...se anche fosse vero che col
    rinunciare al Terrore veniste incontro al voto dei compagni di
    destra, questa sarebbe una ragione in più per rinunciarvi,
    perché così cementereste quell'unione fra le due
    correnti del proletariato ungherese che è tanto necessaria e
    che è una delle ragioni di superiorità della
    rivoluzione ungherese sulla russa ...L'obiezione più grave
    pare questa, che la controrivoluzione del 24-25 corr. sia stato il
    frutto di un regime dittatoriale non severo” . Concludeva
    suggerendo che “imprigionare molti ribelli e cospiratori borghesi
    equivale, come efficacia, ad ucciderne alcuni. Minore
    l'intimidazione, ma in compenso maggiore la paralizzazione. Non
    crudeltà, non vendetta, ma difesa recando il minor dolore
    possibile.”
    
    . Davanti all'ultimatum di Clemenceau, che intima agli ungheresi di
    cessare le operazioni militari contro i cechi e i romeni, Kun
    dovette cedere e far ritirare le truppe schierate su posizioni
    avanzate. Questo gettò lo scompiglio nelle file dell'esercito
    rosso ungherese, facendone precipitare il morale e la compattezza.
    
    Il 1° agosto, mentre le truppe romene si apprestano a marciare
    su Budapest, con la capitale accerchiata e con una controrivoluzione
    sempre più attiva all'interno, il Consiglio del governo
    rivoluzionario si dimette, e il 18 novembre entrava in Budapest
    l'ammiraglio Horty instaurando un regime
    controrivoluzionario.[66]  Entrati i romeni a Budapest 
    tra il 7 e l'8 agosto, dopo aver assistito «ad una atroce
    caccia all'uomo», era stato arrestato. Liberato, poi di nuovo
    arrestato altre due volte, infine definitivamente liberato aveva
    lasciato l'Ungheria il 15 agosto.
    
    Dopo due mesi  trascorsi a Vienna, il 10 ottobre aveva ripreso
    la via dell'Italia. Ora ci si attendeva che parlasse, che
    raccontasse quel che aveva visto. Ma preferiva tacere, anche a costo
    di lasciar nascere supposizioni. Se prendeva la parola in pubblico,
    quanto all'Ungheria si manteneva sulle generali e sorvolava sui
    punti più controversi [67]
    
    Da quanto possiamo desumere dalla lettera ai Cari compagni della
    direzione del partito, l'esperimento comunista ungherese deluse
    fortemente Morgari, soprattutto perché la fine era stata
    causata non tanto dalle forze esterne, quanto «dallo stesso
    voltafaccia della maggior parte dei lavoratori». La lettera
    è un documento che ha un notevole valore politico e
    biografico. Dopo aver premesso che «[...] se il viaggio
    compiuto per vostro incarico e l'aver visto vivere e tragicamente
    perire ben due Repubbliche dei Consigli, hanno modificato e
    temperato le mie antiche prevenzioni contro la tattica bolscevica,
    non le hanno però annullate », riferendosi
    esplicitamente alle possibilità rivoluzionarie che alcuni
    socialisti itaiani ritenevano esistenti in Italia e in altri paesi
    d'Europa nel 1919 Morgari scriveva: «Non ho fede nelle energie
    insurrezionali del proletariato in Italia e nel resto d'Europa, la
    Russia esclusa, specie nei paesi usciti vittoriosi dalla guerra, nel
    presente stato storico, né d'altra parte credo che la
    situazione politico-economica dei paesi vittoriosi è
    catastrofica da condurre gli istituti borghesi, a cominciare da
    quello militare, ad uno sfasciamento che dia il potere al
    proletariato non per la forza di questo, ma per il crollo
    avversario». Per quanto concerneva specificamente l'Italia,
    egli riteneva pertanto che il PSI «dovrebbe guardare la
    verità nel bianco degli occhi; riconoscere che esso non
    è ancora in grado di rovesciare le istituzioni
    capitalistiche».
    
    Le perplessità che la rivoluzione ungherese poteva suscitare
    nella base socialista erano sui metodi che avevano caratterizzato la
    gestione del potere nel periodo di dittatura del proletariato. Per
    le tradizioni pacifiste e non violente del socialismo italiano,
    l'argomento aveva una sua indubbia consistenza e non lo si poteva
    accantonare tanto agevolmente. Il «socialismo» non
    poteva essere costruito col «terrore»[68]: naturalmente
    si dava certo che le descrizioni propalate dalla stampa borghese
    peccassero per eccesso e fossero viziate dalla precisa
    volontà di stravolgere fatti e situazioni per spirito di
    parte. Ma il problema diventava allora sapere che cosa era veramente
    successo, ricorrendo a testimonianze obiettive e sincere.
    
    Fu solo il 22 dicembre, davanti a 72 deputati socialisti e a qualche
    altro compagno fra cui Serrati, che finalmente ruppe il silenzio
    tenendo una lunga relazione di quel che aveva veduto e appreso in
    Ungheria. Riferendone due giorni dopo l'«Avanti!»[69]
    negò che le conclusioni fossero cosi disastrose per i
    massimalisti da consigliare una sorta di censura. Morgari, al
    contrario, era stato invitato a stendere una relazione scritta
    che sarebbe stata certamente diffusa «a meno che non vi si
    oppongano ragioni di opportunità politica». Certo aveva
    sottolineato anche gli aspetti negativi e il suggerimento che
    si poteva ricavare da quanto aveva detto era «la
    necessità d'una più stretta intesa, onde gli
    avvenimenti non trovino impreparato il partito, per cui esso sia
    sorpassato e sommerso da altri elementi, i quali, mossi solo da
    interessi o personali o di gruppo, non vedendo le supreme
    necessità del movimento d'insieme, potrebbero compromettere
    cogli eccessi, il successo di quella rivoluzione sociale, che
    è la finalità stessa del Partito socialista» .
    
    Ma intanto altre versioni attribuivano al rapporto Morgari una
    intonazione ben più dura. A stare al «Messaggero»
    Morgari avrebbe addirittura dichiarato che «la dittatura
    proletaria era passata come una rapida devastazione, che
    l'attività dei comunisti di Ungheria era stata distruttiva e
    la produzione nelle fabbriche era diminuita dal cinquanta al
    settantacinque per cento», che i contadini s'erano rifiutati
    di approvigionare le città, che la burocrazia,
    «nonostante il regime comunista, era estremamente
    corrotta», che i funzionari bolscevichi « si
    arricchivano, compiendo, in nome del governo, requisizioni a proprio
    vantaggio », che si erano commessi «atti di
    brutalità» senza risparmiare «atti atroci di
    repressione»
    
    All'assemblea del 17 febbraio 1920 della Sezione socialista
    milanese, Serrati sostenne che «noi non abbiamo alcuna ragione
    per tenere nascosto quanto è avvenuto in Ungheria  La
    rivoluzione è quello che è, non si fa allegramente,
    è irta di difficoltà, di incognite, di aspri
    doveri». Proprio per questo si poteva analizzare senza paura
    la rivoluzione ungherese, ben sapendo che al di là degli
    errori o dei difetti essa sarebbe rimasta «una grande e
    gloriosa pagina di storia dell'Internazionale comunista»
    
    Ma Morgari preferiva tacere. E invano nel giugno 1920 la segreteria
    della SFIO sollecitava l'invio d'una copia della sua ormai mitica
    relazione. La richiesta appariva anzi come conferma che aveva fatto
    bene a non pubblicar nulla. Gli incitamenti e le esortazioni a farlo
    erano state numeroso, «ma — eccettuato per parte di Serrati —
    sempre da destri o da avversari». Ora la richiesta dei
    socialisti francesi aveva un analogo retroterra, «Vuol dire
    che si cercano armi contro il massimalismo dei Loriot ecc.».
    Morgari  non voleva servire da arma di scissione. «Ora,
    né io potrei scrivere in un rapporto la metà
    solamente delle cose vedute, né potrei scriverle tutte,
    ciò che varrebbe fornire argomenti taglienti ai nemici
    del Partito e alla frazione di esso che non è quella alla cui
    fiducia dovetti l'incarico del viaggio in Ungheria».
    
    Ma non era solo questo il motivo di tanta resistenza. Al di
    là del dissenso, che pure aveva preso forma, c'era un impegno
    di solidarietà al quale non si poteva mancare nei confronti
    di «quei compagni di fede, ora tutti dispersi per il mondo o
    tragicamente periti» che avevano generosamente dato vita
    all'esperimento d'Ungheria. Anche per questo il silenzio
    rimaneva, nonostante tutto, la migliore consegna.
    
     
    
    25. I viaggi in Russia e la valutazione del bolscevismo
    
    Nel luglio 1922 era stato varato il «Comitato per le
    iniziative italo-russe», costituito tra alcuni dei
    maggiori rappresentanti della grande industria ed esponenti
    autorevoli del socialismo riformista, cui avevano dato la loro
    adesione  tecnici come Alberto Beneduce.
    
    Con Turati, Buozzi e D'Aragona si erano impegnati anche Baldesi.
    Morgari, Colombino, Buozzi, la Cgl e i direttivi di federazioni
    operaie e di leghe cooperative che tentarono di stabilire un
    terreno di intesa  con gli industriali per contrastarne
    l’allineamento al movimento fascista e per ricostituire il
    blocco di interessi del periodo giolittiano
    
      La carta era quella di favorire un'apertura alla penetrazione
    commerciale italiana sul mercato sovietico che consentisse di
    alleviare il blocco delle esportazioni ma anche di alimentare canali
    di rifornimento di materie prime svincolati dal monopolio
    dell'Inghilterra e degli Stati Uniti.
    
    In complesso, una grossa rappresentanza degli interessi del settore
    meccanico, della navigazione, tessile e chimico dell’Italia
    settentrionale aveva raccolto l’invito. Mai come in quel momento era
    parsa consistente la prospettiva di una convergenza reciproca fra
    industriali e sindacati. Ma questa politica aveva degli antefatti: i
    riformisti avevano puntato le loro carte su Agnelli come
    l'unico in grado di trascinare altri esponenti economici e
    di avere l'appoggio di Giolitti e che soprattutto era andato
    inseguendo l'obiettivo di ripristinare i rapporti commerciali
    con la Russia fin dal 1920 quando emissari della Fiat avevano
    compiuti dei sondaggi con Krassin e altri agenti sovietici in
    Europa. «Per Buozzi Agnelli è la maggior forza che si
    potesse avere con noi. È sicuramente il grande
    industriale lungimirante capace di procedere per tre-quattro
    anni per raggiungere uno scopo. Anche se collocasse in Russia
    migliaia di auto e  camion senza un centesimo di profitto,
    avrebbe convenienza ad alimentare l'industria. È un
    esportatore, unico a vendere  nel mondo, ad essere il
    più grande fabbricante di macchine»[70]
    
       Finita la fase ascendente dell'ondata rivoluzionaria in
    Europa, il governo sovietico aveva espresso agli ambienti economici
    occidentali la sua disponibilità per una ripresa delle
    esportazioni, secondo lo spirito della Nep di recente inaugurata.
    
    Morgari all'arrivo  nel marzo 1921 di una missione commerciale
    russa conclusasi con la sottoscrizione di un trattato
    commerciale provvisorio aveva ripreso le trattative per conto della
    Fiat e poi, con il presidente del Consorzio operai metallurgici
    Colombino, era stato a Genova, a sondare il terreno presso la
    delegazione sovietica alla Conferenza apertasi il 19 aprile.
    
       Le forti riserve sollevate da destra e
    l'intervento del ministro degli Esteri in Consiglio dei
    ministri erano valsi a rimettere in discussione la ratifica del
    trattato con la Russia già sottoscritto a Genova il 24 maggio
    che comportava il riconoscimento dello stato sovietico
    cosicchè nell’estate si era creato un vuoto politico, sebbene
    i rapporti tra la società italiana e il mondo russo si
    fossero infittiti: l’Italia aveva risposto con grande slancio
    all’«appello contro la fame» lanciato da Maksim Gor’kij
    per combattere gli effetti della terribile carestia che alla fine
    del 1921 aveva colpito molte regioni della Russia. Il partito
    socialista aveva costituito il Comitato pro-Russia che all’inizio
    del 1922 aveva inviato nel Mar Nero l’«Amilcare
    Cipriani», con un carico di viveri e di medicinali.
    
    Paradossalmente il rifiuto al riconoscimento della Russia 
    finiva per rivalutare la presenza di Morgari e dei suoi compagni nel
    Comitato perchè rimanevano valide le  prospettive di
    natura economica e commerciale. Proprio su questa base il presidente
    della Fiat aveva ritenuto opportuno mantenere in vita il
    Comitato
    
    In queste condizioni però l'attività dei
    rappresentanti socialisti era destinata a scadere in un'opera
    di pura e semplice mediazione commerciale in un momento in
    cui   era mutato profondamente il clima  del Paese e
    si era andato chiarendo il carattere illusorio di prospettive di
    collaborazione fra costituzionali e riformisti, cui non era
    servita nemmeno la scissione del partito socialista.
    
       Morgari nel corso dell’estate aveva intessuto una fitta
    rete di corrispondenza con industriali, cooperatori, autorità
    governative, per far decollare un progetto di colonizzazione
    agricola  che espose al primo congresso italo-orientale e
    coloniale, che si tenne a Trieste dal 12 al 15 settembre 1922,
    gettando un ponte fra la politica dei «grandi» e dei
    «piccoli» affari, invitando a considerare il commercio
    italo-russo in funzione dell’importazione delle materie prime. Egli
    si riferì alla Russia come all’unico paese che potesse
    salvare l’Italia dall’isolamento e dall’accerchiamento economico e
    si propose per andare in Russia come ambasciatore di questa
    politica.
    
      La sua perseveranza verrà premiata: alla fine del
    1922. Agnelli e l'industriale milanese Marinotti lo inviarono a
    Mosca, con l’incarico  di essere il loro osservatore
    commerciale; anche se non era ciò che Morgari aveva
    desiderato, qualora la Fiat avesse deciso di impegnarsi seriamente
    sul mercato russo si sarebbe trattato pur sempre di un contributo
    alla «lotta contro il monopolio delle grandi potenze
    industriali».
    
      Egisto Pavirani, cooperatore e tecnico agrario socialista lo
    aveva seguito per studiare la realizzazione di un progetto di
    colonizzazione italiana nella Russia meridionale. "Mussolini in
    persona si espresse favorevolmente all’impresa col Baldini" scrisse
    Morgari[71] a Pavirani prima che questi, insieme a un compagno
    comunista delegato dal PcdI si recasse nella Russia meridionale per
    ispezionare la concessione.
    
    In sostanza, dileguatosi l'ottimismo iniziale circa un proficuo
    intervento in Russia di  cooperative agricole socialiste, del
    lungo lavoro portato avanti da Buozzi, D'Aragona e Turati,
    rimarrà in piedi semplicemente il rapporto personale
    stabilito da Morgari con Agnelli, ma senza alcuna concreta
    rispondenza alle volenterose aperture verso la grande industria per
    un rovesciamento dei suoi orientamenti politici di fondo.
    
    Le sue valutazioni sul regime sovietico variarono nel corso deli
    anni: nell’opuscolo  Che cosa vogliono i socialisti
    unitari,  pubblicato   nel 1923  condannò
    il   regime    russo,  
    ponendolo  sullo  stesso  piano di quello
    fascista  “oggigiorno in Russia,   grazie al terrore,
    dominano ancora i comunisti ma di socialismo non c'è quasi
    più niente... Con la tattica della fretta non si ottiene
    altro che di diffamare il socialismo »
    
    Quando nel 1934, dopo il patto d'unità d'azione con i
    comunisti, s'accenderà il dibattito sul pacifismo
    socialista, fu il primo a far sua la parola d'ordine della difesa
    dell'URSS che, riteneva, per la sua stessa natura sociale non
    potesse impegnarsi in guerre d'aggressione. 
    
    Nel 1936-37 soggiornò nell'URSS e in particolare in Crimea
    nel periodo delle "grandi purghe" e di queste dette all'inizio
    un'interpretazione filostaliniana, cosa che non impedirà che
    gli venissero confiscati al momento del rientro in Francia[72] i
    materiali di studio costituiti da note e appunti che, come sua
    consuetudine, egli diligentemente compilava  e che erano
    custoditi in due valigie, per cui non ci restano documenti su questo
    soggiorno.
    
     
    
    26. Nel movimento antifascista in Italia e in Francia (1922-44)
    
    Rieletto nel 1919 e nel 1921, pur avendo chiesto di non essere
    più candidato, come segretario del gruppo parlamentare
    prospetta i pericoli della situazione politica e chiede la revisione
    della linea di condotta del Partito. Il 2 agosto 1921 con Bacci,
    Zannerini, Musatti per il Gruppo Parlamentare e la Direzione del
    PSI, Baldesi, Galli, Caporali per la CgdL, firma il patto di
    pacificazione con Mussolini, De Vecchi, Giuriati nello studio del
    presidente della Camera De Nicola.
    
    Nel dopoguerra la sua voce nei dibattiti interni del partito risuona
    sempre meno: non interviene ai congressi di Roma (1918), Bologna
    (1919), Livorno (1921), Milano (1921), Roma (1922), e nel corso di
    quest'ultimo vota la mozione riformista aderendo al Partito
    Socialista Unitario (PSU) di Turati, Treves, Matteotti come quasi
    tutta la dirigenza piemontese del PSI con l'eccezione di Romita,
    Barberis, Amedeo e pochi altri.
    
    Scrive nel 1923 l'opuscolo II Partito socialista unitario per
    illustrarne i princìpi; durante le elezioni del 1924
    raccoglie le prove delle violenze fasciste e documenta i brogli e il
    terrore delle camicie nere nel pamphlet La libertà di voto
    sotto il regime fascista. Fa parte con altri sei (Caldara, ecc.)
    della Direzione del Partito Socialista dei Lavoratori Italiani
    (PSLI) che sostituisce nel 1925 il PSU sciolto all'indomani
    dell'attentato Zaniboni.
    
    Nel 1926 ripara in Francia dove con Baldini, Turati, Treves, Buozzi,
    Modigliani e altri fuorusciti collabora alla ricostruzione
    dell'organizzazione che prende il nome di Partito socialista
    unitario del lavoratori italiani (PSULI) e che in quel momento
    dispone di tre sezioni (Parigi, Tolosa e Lione), mentre i
    massimalisti, più numerosi,  ne avevano sette. L'impegno
    maggiore è quello di fondarne altre nei più importanti
    centri dell'emigrazione e di far uscire l'organo di stampa
    "Rinascita socialista", come si desume dalla Circolare
    sull'organizzazione che Morgari stila in data 1. maggio 1927
    
    Il PSULI pur avendo un numero di iscritti inferiore a quello dei
    massimalisti, poteva contare su dirigenti di notorietà
    internazionale e godeva dell'appoggio del partito francese (SFIO) e
    delle sovvenzioni dell'Internazionale socialista (IOS). Inoltre
    erano in maggioranza riformisti i dirigenti della ricostituita CgdL
    
    Collabora al «Corriere degli Italiani», fondato da
    "popolare" Luigi Donati, risiedendo presso la redazione del giornale
    [73].
    
    Il "Corriere degli Italiani", sposando posizioni alquanto
    critiche verso gli ambienti del fuoruscitismo offrì il
    fianco alla provocazione fascista, ricevendo finanziamenti
    addirittura dall'Ambasciata italiana: è questo, della
    eccessiva credulità, un aspetto della personalità del
    Morgari che si rivelò pericoloso in un ambiente 
    infiltrato di spie e provocatori quale quello dell'emigrazione
    antifascista in Francia[74].
    
    Fece parte del "Comitato per l'azione in Italia" costituito nel
    1928, e nel 1929 della "Commissione per la propaganda in Italia",
    presiedute entrambe da De Ambris.
    
    Nel 1930 al 21. Congresso (primo dell'esilio) tenuto a Parigi il
    29-30 luglio, che è anche il congresso della riunificazione
    con il partito massimalista (o meglio con l'ala giudata da Nenni,
    mentre una parte con Angelica Balabanoff ne rimarrà fuori)
    è nominato segretario amministrativo (segretario politico Ugo
    Coccia).[75]
    
    Non risulta aver partecipato invece al 22. Congresso, tenuto
    Marsiglia nell'aprile 1933. Con il 1933-34 la vita politica europea
    subisce un'accelerazione cresente: in Germania arriva al potere
    Hitler e viene inaugurata la politica dei fronti popolari. Per il
    partito socialista furono gli anni dello scioglimento della
    Concentrazione e della nascita del Centro Interno, del patto di
    unità d'azione con i comunisti e dell'impegno in Spagna.
    
    Il tradizionale pacifismo perde il carattere di intangibilità
    per diventare oggetto di discussione: quando nel 1934, dopo il patto
    d'unità d'azione con i comunisti, si accenderà il
    dibattito sul pacifismo socialista, è il primo a far sua la
    parola d'ordine della difesa dell'URSS che riteneva per la sua
    stessa natura sociale non potesse impegnarsi in guerre d'aggressione
    e propugna il «disfattismo rivoluzionario» da opporre ai
    regimi fascisti in caso di guerra.
    
    E' Morgari a  iniziare la discussione con due articoli sul
    "Fattore bellico nella politica dell'antifascismo" pubblicati dal
    "Nuovo Avanti!” dell’aprile 1938, cui 
    rispose     Modigliani richiamandosi  
    alla tradizionale agitazione socialista, che con la politica del non
    intervento di Leon Blum strappa alla borghesia la bandiera del
    pacifismo integrale, che in Francia è un fatto di massa,
    con radici profonde nella grande guerra, nella «rivolta umana
    contro la distruzione bestiale e la morte a comando”
    
    Ma e poi? chiede Morgari, che non rinnega il suo precedente
    pacifismo, ma ritiene antistorico riproporre il cliché di un
    marxismo " unilaterale e semplicista", quando l'esperienza
    insegna che "talune guerre hanno portato non reazione, ma
    libertà (…) La stessa guerra mondiale del 1914-1918
    partorì la rivoluzione d'Ottobre e ben dieci repubbliche
    democratiche”
    
    Gli interrogativi si affollano. E se la guerra scoppiasse
    mentre noi stiamo svolgendo il nostro apostolato per la pace, cosa
    dovremmo fare? Continuare la nostra missione, come se niente
    fosse, per l'emancipazione del proletariato e rifiutare di
    allinearci al blocco antifascista? Ma se questo
    malauguratamente perdesse la partita e quindi di conseguenza il
    proletariato fosse inabissato nella dittatura reazionaria per una o
    due generazioni? «Collaboriamo con le altre forze progressive
    del mondo a scongiurare la nuova guerra europea, ma se è
    destino che si produca, prepariamoci spiritualmente, tatticamente e
    organizzativamente a far si che questo nuovo spaventoso delitto del
    fascismo si converta in una tomba per le camice nere, brune, verdi e
    di ogni colore. Con tutti i mezzi, nessuno escluso!”
    
       Al 23. Congresso (terzo dell'esilio) svoltosi a Parigi
    dal 26 al 28 giugno 1937, un anno dopo la vittoria del Fronte
    Popolare, è delegato della Federazione parigina. Nel corso
    del 1938 interviene in comizi "unitari": parla, con Emilio Lussu per
    Giustizia e Libertà e Giuseppe Di Vittorio per il PCI, il 5
    aprile a Grenoble, e il 6, sempre con Lussu e con Giusppe Berti per
    il PCI, a Lione. Collabora al periodico repubblicano "Problemi della
    rivoluzione italiana" [76]
    
      Nell'estate del 1939 il patto russo-tedesco mette in crisi
    l’alleanza fra PSI e PCI e la segreteria di Nenni che ne era stato
    fautore. In un’assemblea convocata nella sala di rue Meslay
    nell’ottobre 1939 prende la parola per chiedere le dimissioni di
    Nenni, che viene sostituito da un Comitato composto da Morgari,
    Saragat e Tasca, con funzioni di segretari e di direttori del
    giornale[77]
    
    Morgari in due articoli del marzo 1940 pubblicati dal “Nuovo
    Avanti!” dichiara di non aver rimorsi per "aver stretta la mano
    pentita" che Mosca offriva nel 1934 e per aver polemizzato con
    Modigliani Tasca e Faravelli a difesa dell'unità d'azione,
    perché quella politica corrispondeva alle esperienze e agli
    ideali socialisti: difendere l'Urss, mantenere la pace, impedire la
    fascistizzazione dell'Europa. Ma ora che Mosca con il "turpe
    abbraccio" con Hitler non lascia più dubbi sulle sue
    intenzioni di scegliere la guerra per bolscevizzare l'Europa, egli
    non ha remore «a cancellare risolutamente Stalin ed i
    suoi seguaci» dalle alleanze socialiste, innanzi tutto
    «"pregiudizialmente", per un motivo di incompatibilità
    morale».La sua indignazione è al massimo. Definisce
    Stalin "truffatore" e "giuda", chiama «il paese di Stalin, non
    più Urss, come finora, ma bensì Russia quanto
    all’aspetto geografico e Stalinlandia quanto al regime politico”
    
      Fu questa del marzo 1940 la sua ultima presa di posizione
    politica; il  Comitato venne integrato da Buozzi e Faravelli e
    quando i tedeschi entravano a Parigi, mentre gli altri membri si
    trasferivano nel Sud, dove poi elaborarono le “Tesi di Tolosa”, si
    trovava ricoverato in un ospedale. Verso la fine del 1940
    all’aggravarsi del male ottenne di ritornare a Torino, dove rivide
    amici e parenti che avevano persuaso le autorità a
    concedergli di tornare e di potersi recare a Sanremo, dove si spense
    nel novembre del 1944.  in una modesta pensione.
    
      L'11 novembre 1945 la salma venne trasferita a Torino, e
    presso la sede provinciale del PSIUP fu commemorato dal socialista
    alessandrino Paolo De Michelis.
    
     
    
    27. Conclusione
    
        Spariva con lui una figura tipica del socialismo
    italiano di fine secolo. Nutriva una fede positiva nell'uomo ed era
    convinto che i proletari si sarebbero riscattati da soli.
    Riformista, non dimenticò mai l'obiettivo ultimo, anzi in
    più occasioni lo additò ai compagni che 
    indulgevano al ministerialismo ma, convinto che la situazione non
    fosse matura per  la   rivoluzione, optò
    sempre per il quadro dei miglioramenti che la classe lavoratrice
    può procurarsi oggi.
    
       Con la svolta politica del 1901 intravvide la
    possibilità di rafforzare l' alleanza con l'ala progressista
    e radicale della borghesia, ma l'appoggio alle forze più
    rinnovatrici della borghesia non ebbe nulla in comune con
    l'acquiescenza al ministerialismo e al trasformismo giolittiano.
    
       Fu dopo il 1907 una figura isolata a livello nazionale,
    lontano dal massimalismo vittorioso nel 1912, ma anche distinto dal
    riformismo lombardo-emiliano per alcuni elementi di
    originalità, in primo luogo la particolare
    sensibilità per i problemi del Mezzogiorno e l'insistenza con
    cui si battè per il suffragio universale accanto a
    Gaetano Salvemini e a Giuseppe E. Modigliani, mentre nella sezione
    torinese non si preoccupò di crearsi un seguito personale.
    
       La Grande guerra lo “rilanciò”  ma il
    dopoguerra, con i profondi mutamenti avvenuti (rivoluzione russa,
    fascismo), lo vide appassionatamente partecipe ma ormai consegnato a
    un ruolo di  testimone di un’altra epoca, autorevole ma
    sorpassato.
    
        [1] A.M.Comanducci “I pittori italiani
    dell’Ottocento. Dizionario critico e documentario”, Milano, 1992, ad
    nomen
    
        [2] R.Rigola “Rinaldo Rigola e il movimento
    operaio nel biellese: autobiografia”, Bari, 1930, pag. 172-3 
    
        [3]  Natta “Serrati. Vita e lettere di un
    rivoluzionario”, Roma, 2001; A.Rosada “Serrati nell'emigrazione”.
    1889-1911”, Roma, 1972; vedi anche G.Miccichè"Vincenzo
    Vacirca : un socialista itinerante" , Ragusa, 1992
    
        [4]  D.Gnocchi “Odissea rossa. La storia
    dimenticata di uno dei fondatori del PCI”, Torino, 2001
    
        [5]"Come divenni socialista" in "Nuovo
    Avanti!"  di Zurigo del 27 luglio 1939
    
        [6] “Grido del Popolo” del 18 ottobre 1913,
    articolo che tratteggia la sua figura di candidato alle imminenti
    elezioni politiche
    
        [7] Come divenni socialista" in "Nuovo
    Avanti!"  di Zurigo del 27 luglio 1939
    
        [8]   Da ultimo M. Scavino, “Con la
    penna e con la lima. Operai e intellettuali nella nascita del
    socialismo torinese. 1889-1893”, Torino, 1999 (ma  ancora
    validi M.Grandinetti“Il tempo della lotta e dell' organizzazione:
    linee di storia della CdL di Torino”, Milano, 1992; P.Spriano
    “Storia di Torino operaia e socialista”, Torino, 1958; P.P.Bellomi
    “Lotte di classe, sidacalismo e riformismo a Torino 1898-1910” in
    “Storia del movimento operaio, del socialismo e  delle lotte
    sociali in Piemonte”, vol. 2., Bari, 1979) 
    
        [9] P.C.Masini “La giovinezza di Luigi Galleani”
    in “Movimento operaio”, 1954 n.3; U.Fedeli “Luigi Galleani:
    qurant'anni di lotte rivoluzionarie”, Cesena, 1956
    
        [10] C. Finale: “Gli anni genovesi di Giovanni
    Lerda e la polemica con Bernstein” in “Movimento operaio e
    socialista”, 1962, n.1
    
        [11] “Appuntamento con Oddino Morgari”, in “Nuovo
    Avanti!”, 11 maggio 1940
    
        [12]  ”La Stampa”, 6.12.1899. Questo il
    bilancio, poco simpatizzante, dei caratteri del primo movimento
    socialista a Torino che traccerà un trentennio dopo, Piero
    Gobetti:”La fisionomia del vecchio socialismo torinese fu data quasi
    essenzialmente dall'esistenza dell'Alleanza cooperativa, grande
    organismo economico che si rivelò capace di sostenere la
    concorrenza del libero commercio nel provvedere alle esigenze del
    consumo ma, in sede politica, fu scuola di collaborazionismo e di
    spirito burocratico. Né alcuna corrente che divenisse
    dominante nel partito ne potè prescindere, perché
    questa era la vera base finanziaria del partito nella sua azione
    locale. Nofri, tecnico  del cooperativismo, nel quale
    potè anche trovare il suo canonicato; Casalini, il
    missionario dell'igiene, il medico dei poveri, che lavorando
    nel  suo Comune esauriva tutti i suoi ideali filantropici;
    Morgari, l'apostolo popolare nella lotta contro i soprusi e i
    privilegi, furono le figure eminenti e popolari nella
    psicologia rudimentale delle masse. Il «marchese» 
    Balsamo-Crivelli, il raffinato dell'erudiziene, il Pastonchi degli
    studi storici, e il «professore» Zino Zini recarono al
    quadro i necessari colori  romantici, con la loro adesione
    aristocratica e filosofica alla causa degli umili e degli oppressi.”
    
        [13] La frase pronunciata al processo “So che
    sarò condannato e prometto che in qualunque luogo mi designi
    la sentenza per scontare la pena del confino, se in quel luogo vi
    sarà già il partito lo rafforzerò se non vi
    sarà lo creerò” contribuì a creargli la fama di
    apostolo intemerato
    
        [14] ACS, Fondo Morgari, cit. in R.Allio “Oddino
    Morgari socialista” in “Bollettino storico bibliografico subalpino”
    1970, n.3-4 
    
        [15] Ibidem
    
        [16]A. Maccarrone “L'attività politica di
    Dino Rondani dalla nascita del PSI alla fine della prima guerra
    mondiale”, 1995, tesi di laurea consultabile alla Civica di Biella.
    Morgari schizza questo ritratto dell'amico "...sempre giovanissimo,
    svelto, piccino, con gli eleganti baffetti neri, con braccia, gambe
    e lingua in movimento perpetuo..." In "Fiori di maggio", Roma, 1905,
    pag. 28.
    
        [17] M.Pecoraro ”Alfredo Bertesi: la figura e
    l'opera”,  Modena , 1995
    
        [18] Morgari scrisse la prefazione al libro di
    Francesco Berutti “Le bande svizzere: episodio tipico dei moti di
    maggio 1898”, Arona, 1904. Così Umberto Levra smonta la
    leggenda (“Il colpo di stato della borghesia", Milano, 1975): “poco
    più di duecento operai italiani abbandonano il lavoro e,
    grazie a collette improvvisate, si dirigono senz'armi e senza
    bagagli in treno alla volta del Sempione. Prima del confine
    intervengono però le autorità cantonali, dirottano il
    treno su un binario morto, arrestano gran parte dei componenti della
    banda rimasti senza cibo e senz'acqua, li ammassano in un campo di
    concentramento improvvisato e li caricano poi su un treno speciale,
    dai cui finestrini spuntano malinconiche le bandiere rosse dei
    rivoltosi e li trasferiscono sotto scorta fino a Chiasso dove li
    consegnano a una compagnia di bersaglieri, tra le vivaci proteste di
    gran parte dell'opinione pubblica svizzera colpita dalla procedura
    indegna delle tradizioni liberali elvetiche (…) AI Sempione poche
    decine di italiani sfuggono all'arresto in territorio svizzero,
    disperdendosi sui monti; la maggior parte di essi torna indietro e
    alcuni altri tentano di passare il confine a piccoli gruppi (…) Tre
    sole guardie di finanza sono perciò sufficienti per
    arrestare, senza incontrare resistenza, il 13, il 14 e il 15 maggio,
    ben 49 "rivoltosi," privi di armi e spossati dalla fatica (…) Gli
    arrestati, quasi tutti in età compresa fra i 15 e i 30 anni e
    per lo più originari della provincia di Novara e, in
    subordine, del Canavese, di Torino, di Milano e di Pavia, sono 
    immediatamente deferiti al tribunale militare di Milano con
    ordinanza del 19 maggio del tribunale di Domodossola, il quale si
    preoccupa, da un Iato, di "legittimare completamente l'operato della
    truppa" che ha arrestato i 49 individui e, dall'altro, di far
    risaltare con evidenza Ia connessione fra i fatti criminosi di
    Milano e la formazione e marcia delle bande In discorso; uno era lo
    scopo, la rivoluzione sociale; identici i mezzi, la rivolta armata
    ai poteri dello Stato, il saccheggio, la distruzione. Quindi
    è che qualunque è la denominazione giuridica a darsi
    ai fatti attribuiti agli arrestati, e gli articoli del Codice da
    applicarsi, sembra che tali fatti non possano non appartenere alla
    competenza dell'Autorità Militare di Milano funzionante da
    Tribunale Militare di Guerra, tanto per il proseguimento
    dell'istruttoria quanto pel giudizio”. Il tribunale militare di
    Milano, incurante delle testimonianze oculari di uomini d'ordine
    elvetici e italiani, si atterrà alla versione  delle
    bande armate, coinvolgendovi anche il Rondani e il Vergnanini e gli
    altri principali esponenti socialisti e repubblicani rifugiati a
    Lugano
    
         
    
         
    
        [19] La stessa validità giuridica del
    decreto del 22 giugno era in questione: la Corte dei conti l'aveva
    registrato con riserva in quanto ledente l'assoluta competenza del
    potere legislativo, mentre sulla sua legittimità era stata
    chiamata a pronunciarsi in maniera definitiva, la prima sezione
    penale della Cassazione di Roma che il 20 febbraio 1900 emise una
    sentenza che dichiarava l'illegittimità del decreto non
    essendo stato approvato
    
        [20] ; ACS, Fondo Morgari, b. 2, fase. 2,
    sottofasc. 6; AGB, fase. Processo Bissolati - Prampolini - Morgari -
    De Felice (atti istruttori, testimonianze raccolte dal giudice
    istruttore, carteggi degli avvocati difensori);
    
         
    
        [21] “Annuario Parlamentare” 1902-5 vol. ix, pag.
    891-23. Da allora Morgari fu un punto di riferimento per
    l'emigrazione russa in Italia, anche per l'elargizione di piccoli
    sussidi, fin oltre la rivoluzione d'ottobre, dopo la quale
    tutelò anche socialisti che non aderivano al nuovo regime,
    cfr. A.Venturi “Rivoluzionari russi in Italia, 1917-1921 “, 
    Milano,  1979, e A.Tamborra “Esuli russi in Italia dal 1905 al
    1917”, Soveria M., 1977 e 2002
    
        [22] “Critica sociale” 1903, n.18-19
    
        [23] “Carteggio Giolitti”, Milano, 1962, 2. vol.
    
        [24] “Sempre Avanti!”, 1. febbraio 1900
    
        [25] Ora in appendice a R.Pisano “Il paradiso
    socialista. La propaganda socialista in Italia alla fine dell'800”,
    Milano, 1986. Sull’argomento anche F.Andreucci “Il marxismo
    collettivo: Socialismo, marxismo e circolazione delle idee dalla
    seconda alla terza Internazionale”, Milano, 1986; G.Turi “Editoria e
    cultura socialista (1890-1910)”, in “A. F. Formiggini. Un editore
    del '900”, Bologna, 1981
    
        [26]  “Arturo Frizzi, vita e opere di un
    ciarlatano” a cura di A.Bergonzoni, Milano, 1979
    
        [27]  Vedi A. Nesti “Gesù socialista.
    Una tradizione popolare italiana.(1880-1920)” Torino, 1974
    
        [28] F.Pedone “Il Partito socialista nei suoi
    congressi”, vol.2., Milano, 1961
    
        [29]  Contemporaneamente la CdL di Milano
    conta 34.000 iscritti, 28.000 quella di Genova e 6.000 Bologna
    
        [30]     G.B.Furiozzi, 
    “Francesco Paoloni e il socialismo integrale, 1892-1917”, Firenze,
    1993
    
        [31] Resoconto stenografico del IX congresso
    nazionale, Roma, 1907, p. 64
    
        [32] G. Arfè, Storia dell'Avanti. Vol. 1,
    1896-1926. Milano-Roma, 1963, p. 71
    
         
    
        [33] Nel dopoguerra divenne seguace di Bonomi;
    curò il volume “Il colloquio di un secolo fra cattolici e
    socialisti: 1864-1963”, Roma, 1964
    
        [34] l'Avanti!, 17 luglio 1908, "Possono i
    Socialisti cristiani iscriversi al nostro partito? riportata anche
    in A.Luciani “Socialismo e movimenti popolari in Europa”, vol.
    2,t.2, Venezia, 1985" «On. Morgari, Ella gentilmente c'invita
    nell'Avanti! di alcune sere fa ad esporre le idee che hanno condotto
    noi e numerosi nostri amici democratici cristiani, aderenti alla
    Lega democratica nazionale, a fare una professione di fede
    socialista; e il suo invito è cosi cortese, ed è un
    indizio cosi indubbio di una serenità che molti si ostinano a
    non vedere fra i socialisti, che noi non possiamo sottrarci a
    quest'atto di "coraggiosa sincerità", come Ella lo chiama.
    Ella sa, onorevole Morgari, come un nostro ordine del giorno
    sull'indirizzo sociale che avrebbe dovuto assumere la Lega
    democratica nazionale nel prossimo Congresso, ordine del giorno
    esplicitamente socialista, abbia diviso in due frazioni la sezione
    romana della Lega stessa. Dall'una parte la nostra corrente;
    dall'altra quella dei democratici-cristiani vecchio stile, la quale
    crede conformemente all'antico programma sociale-cristiano di
    rimediare alle ingiustizie della società attuale
    cercando soltanto di infonderle un nuovo spirito morale, e
    ritoccandone alquanto le istituzioni, ma mantenendole nella loro
    struttura fondamentale..(...).La nostra adesione al socialismo, on.
    Morgari, ha radice nelle nostre convinzioni religiose. La religione
    per noi non è una credenza intellettuale in certi principi
    astratti od un cerimoniale, cioè un insieme di pratiche
    cristallizzate, come la predicano e la sentono i seguaci della
    tradizione. La religione è anzitutto e soprattutto un
    atteggiamento pratico e vitale di fronte al problema dell'essere e
    della vita: è l'atteggiamento dell'uomo che sente la propria
    insufficienza individuale, e cerca di completare ed integrare la
    propria esistenza entrando in comunione di vita con una potenza
    superiore, di cui egli sente essere una parte. La vita religiosa
    è una vita di effusione, di allargamento per cui all'uomo
    vecchio fatto di egoismo sottentra l'uomo nuovo assetato di amore e
    di giustizia. Nulla quindi di più contrario alla religione
    dello spirito individualista, sia esso morale od economico, per cui
    l'uomo considera se stesso come centro e fine delle proprie azioni e
    subordina gli altri ai propri desideri. Duto questo concetto della
    vita religiosa, per cui essa non viene concepita come una forma
    particolare di vita contrapposta a quella morale, economica, ecc.,
    ma come un orientamento di tutta la vita, era naturale che noi dalle
    dispute filosoicho e teologiche, scendessimo alla
    considerazione dei problemi sociali. E di fronte alla società
    presente, che della conquista della ricchezza fa una guerra atroce
    fra uomo e uomo, e crea un dualismo gravido di lotte e di odii tra
    capitale e lavoro, fra produttore e consumatore, noi ci siamo
    domandati: corrisponde questa società al nostro ideale
    religioso? Perché il principio cristiano della
    solidarietà e della cooperazione deve rimanere un principio
    morale astratto e non può, incarnandosi in una
    società, divenire la legge della produzione e dello scamblio?
    Perché mai questa vita a doppia partita? Ed allora noi
    abbiamo profondamente sentito la bontà dell'ideale
    socialista; noi abbiamo sentito che oggi il socialismo non
    rappresenta soltanto un esercito di sfruttati, spinti
    dall'insofferenza del giogo padronale verso la conquista di
    un'esistenza migliore, ma rappresenta l'umanità nelle sue
    più nobili aspirazioni di giustizia e di solidarietà,
    aspirazioni che il proletariato ha l'alta missione storica di
    realizzare....Sulle labbra di Cristo suonarono i più forti
    accenti di speranza che mai abbia udito l'umanità, e il
    Cristianesimo sorse come una grande speranza nell'avvento di un
    regno che non era già quello dell'oltretomba, ma un regno
    terreno di giustizia e di amore, Solo durante i secoli da speranza
    sociale che esso era, divenne speranza individuale, una partita
    personale fra l'uomo e Dio. Ma il nostro cristianesimo non solo ci
    ha convinti della bontà e della verità delle
    aspirazioni socialistiche, ma ci dà pure la speranza e la
    fiducia ch'esse possano pienamente trionfare. Se il socialismo per
    attuarsi richiede una forte trasformazione psicologica
    dell'individuo, una trasformazione delle tendenze egoistiche e
    particolariste in tendenze altruistiche, chi meglio di noi che
    abbiamo cosi profonda fiducia nell'energia creatrice dello spirito
    umano e siamo gli umili ma consapevoli rappresentanti di una
    religione che fu detta di liberazione, appunto perché ammette
    le ampie possibilità di trasformazioni e di adattamenti
    dell'uomo, chi meglio di noi potrà avere fede e speranza nel
    divenire della società socialista? Del resto la storia
    costituisce una luminosa riprova della verità della nostra
    convinzione: tutte le volte che il cristianesimo è stato
    profondamente vissuto e sentito, esso non si è rivelato
    soltanto come movimento religioso, ma come movimento sociale.(...).
    Se quelle idealità cristiano-comunistiche non si
    realizzarono, si deve più tosto al fatto che i
    rappresentanti di esse non seppero accoppiare all'alta visione
    ideale quello spirito critico e quel senso realistico della vita
    politica e sociale che è carattere proprio del socialismo
    attuale. Anche l'Avanti! on. Morgari, accennava recentemente in una
    corrispondenza americana ad un grande movimento del clero umericano
    verso il partito socialista, al quale avevano aderito vescovi e
    sacerdoti numerosi; il Congresso pan-anglicano, teautosi in
    questi giorni a Londra, ha dimostrato quale formidabile corrente in
    favore del socialismo vi sia nel clero anglicano; parecchi clergymen
    hanno fatto delle dichiarazioni socialiste nel più largo
    senso della parola, tra applausi fragorosi dell'assemblea: in
    Francia e nel Belgio, Jaurès e Vandervelde, tra i socialisti,
    hanno mostrato di capire tutto il vantaggio che alla causa
    socialista potrebbe venire dal rinnovamento del cristianesimo; in
    Inghilterra i socialisti hanno inaugurato delle cosi dette Chiese di
    lavoro ...Noi sentiamo le difficoltà che in Italia si
    oppongono ad un movimento simile, ma nutriamo profonda speranza che
    progressivamente si possa attuare un'intesa fra le persone
    sinceramente cristiane e la democrazia socialista. E
    concludiamo, onorevole Morgari, con una domanda :a chi professa i
    nostri ideali sono aperte oggi le file del Partito socialista?
    »
    
        [35] Si veda il contradditorio con il cattolico
    triestino Antonio Pavissich (1851-1913) sostenuto a Monza il 10
    febbraio 1901, così come gli articoli di stampa contro il
    vescovo di Cefalù poi raccolti in “Un lupo in mitria:
    requisitoria contro sua accellenza rev.ma monsignore dott. don
    Gaetano D'Alessandro,vescovo e parroco di Cefalù in
    Sicilia”,  Corigliano calabro, 1905 
    
        [36]Intervistato dal “Grido del popolo” il 20
    settembre 1907, ammoniva “l'anticlericalismo, col prendere forma
    parolaia, quarantottesca, di vecchio stile democratico, costituisce
    un vero danno al nostro movimento di classe sviandone l'attenzione
    dai problemi del socialismo”
    
        [37] Archivio G.Bergami”, Carte BalsamoCrivelli,
    cit. in “Gramsci e i lineameti idali del socialismo torinese”, in
    “Storia del movimento operaio...in Piemonte”, 2. vol., cit
    
        [38]  Del caso si occupò Salvemini in
    un articolo sull'”Avanti!”, ristampato  in “Il ministro della
    malavita”, Firenze, 1910
    
        [39]«Esaminata situazione, ritengo che ove
    Governo pensasse prendere occasione avvenimenti Andria per
    iniziare radicale opera rigenerazione Mezzogiorno, dovrebbe
    sciogliere amministrazione comunale Andria, aprire processo per
    associazione a delinquere che non arrestisi davanti eventuali
    responsabilità dominatori comune e deputato Bolognese:
    sottrarre istruttoria giudice Macchia da tempo, per varie
    prove, legato ai responsabili dei fatti, ricercare probabili
    conniventi vari funzionari, specie delegato Damiani e
    sottoprefetto, e loro eventuale destituzione; incriminare
    carabinieri e soldati, che invece di limitare il fuoco contro autori
    vari spari che non causarono scalfittura alcuna militi, spararono su
    quanti curiosi fuggenti transitavano via Carmino, ingigantendo
    conflitto; sciogliere corpo guardie notturne e campestri in cui
    attendono pregiudicati; disperdere con mezzi legge aggruppamenti
    malavita andriese, che acquiescente polizia costituisce braccio
    esecutivo dominatori comune e deputato collegio; sussidiare
    famiglie morti e feriti. Qualora anche questa volta Governo,
    traverso sua inchiesta istruttoria eludesse obbligo porre fine
    malavita locale, inciterò 9000 contadini leghe, più
    volte vittime violenza suddetta malavita dispederla
    direttamente violenza».
    
        [40] Questo il testo integrale: "Non posso
    adempiere ad un incarico senza passione, senza fede. Orbene io mi
    sono andato accotgendoche la maggioranza del gruppo ha bisogno di un
    segretario abile  Un uomo di cararattere, che resta un
    socialista è ormai di impaccio alla maggioranza suddetta,
    fattasi delifinitivamente incapace di tenere alla Camera
    l'atteggiamento e il linguaggio che a socialisti convengono. E 
    non  alludo con ciò  all' appoggio  che si
    è dato e che si  continuera a dare al  Ministero
    Luzzatti. AI contrario io penso che si potrebbe appoggiare un
    gabinetto per molto meno quando però il Gruppo mantenesse ad
    un tempo quella fìerezza politica e ripetesse quelle
    affermazioni promgrammatiche con cui soltanto - nel contatto con
    uomini d' altri partiti, specie se cinici e bacati in larga parte --
    si può impedire che I'involuzione delle dottrine,
    l'addomesticamento progressivo, l'arrivismo Io scetticismo penetrino
    in noi e nelle masse che ci guardano operare. A più riprese,
    ma invano, tentai galvanizzare la spenta fede nell'animo di molti
    colleghi...e d'altro canto mi domando se a un segretario compete
    questa funzione di mentore o se non piuttosto ha l'obbligo di
    seguire !' indirizzo della maggionza od altrimenti di andarsene. lo
    me ne vado, ormai ritengo che non convenga applicarsi a irrobustire
    le enerie  fattive e il prestigio politico del Gruppo che
    spenderà poi questi valori in modo che io ritengo deleterio:
    intendo dire in un non lontano m inisterialismo coi giolittiani
    anche più sporchi, ciò toglierà a! gruppo la
    rispettabilità morale nel preparare con sapiente lentezza e
    non nella forma fanciullesca  del Ferri, la partecipaz.ione dei
    socialisti al governo; e nel tagliare un dopo l'altro i ponti col
    passato, accentuando per gradi il proprio rinsavimento dalle
    utopie» originarie, vuoi col fare su di esse il silenzio
    sistematico, vuoi col retrocedere a volgarità di monarchici
    nazionalisti e militaristi selihene di scartamento ridotto, vuoi col
    porre a riposo l'ultima caratteristica di un partito che voglia
    conservarsi il carattere di sovversivo sul terreno sociale, dico la
    lotta di classe, per limitarsi a domandare in tono melenso
    amichevolmente le riforme alla benigna condiscendenza delle classi
    dirigenti e del governo
    
        [41] F.Pedone “Il PSI attreverso i suoi
    congressi”, vol.2, cit
    
        [42] ; G.Are “La scoperta dell'imperialismo. Il
    dibattito nella cultura italiana del primo novecento”, Roma, 1985
    M.Degli Innocenti “Il socialismo italiano e la guerra di Libia”,
    Roma, 1976
    
        [43] C.Pinzani “Jaurès, l’internazionale e
    la guerra”, Bari, 1970
    
        [44] Avanti, 28 luglio 1914 e Ambrosoli, cit ,
    pag. 323
    
        [45] L.Valiani “Il PSI nel periodo della
    neutralità. 1914-15”, Milano, 1963, pag. 40
    
        [46] O.M., in  Avanti!,  25 ottobre
    1914: “Mussolini parve a tutti noi che fosse venuto a Bologna con la
    ferma intenzione di non andare d’accordo con la Direzione:
    perché un uomo della sua intelligenza non poteva supporre che
    13 persone che sono a dirigere un partito di quasi 60.000 uomini,
    avessero potuto da un momento all’altro cambiare opinione…solo
    perchè uno solo, per quanto apprezzabilissimo, era in un
    nuovo ordine d’idee”
    
        [47] L.Trotskij “La mia vita”
    
        [48] La Stampa, 27 settembre 1914. La lettera
    è stata riprodotta in C. Battisti: Scritti politici e
    sociali,  Firenze, 1966, p. 470-476. . In essa Battisti in
    risposta all'affermazione dell'indifferenza delle masse operaie
    italiane d'Austria per l'irredentismo sottolineava lo stato
    d'oppressione in cui l'Austria-Ungheria teneva le sue
    nazionalità, il che ne avrebbe sicuramente determinato lo
    sfacelo a seguito della guerra, il gravissimo malessere, materiale e
    morale del  Trentino, e il fatto che gli italiani d'Austria
    già versavano il loro sangue sui campi di battaglia per una
    causa che detestavano, e scriveva: «Invano io ho cercato sino
    ad ora sulI'Avanti! " e negli altri periodici socialisti le ragioni
    pratiche, tangibili della neutralità adatta a persuadere
    anche chi non ha dimestichezza con Engels e con Marx. Vi ho trovate
    lunghe disquisizioni filosofiche sulla collaborazione e sulla lotta
    di classe, disquisizioni che mi hanno fatto l'effetto di un
    predicozzo sulle cause della miseria a chi, avendo fame, chiede pane
    e lavoro».
    
        [49]  Atti parlamentari, Camera del
    deputati, tornata del 1. luglio 1916. Il collega è il
    repubblicano Eugenio Chiesa
    
        [50] « [...] non parlo dal punto di vista
    socialista dottrinale, il quale contiene una verità profonda,
    ma unilaterale. La interpretazione materialista della storia spiega
    sempre ad un modo 11 fenomeno della guerra. Per essa la guerra
    è sempre il portato degli interessi economici delle classi
    dirigenti. Ogni guerra altro non è che una bassa e criminosa
    manovra del capitalismo. Vi è del vero in questa tesi, ma non
    vi è tutta la verità ».
    
        [51] A. Balabanoff: “Ricordi di una
    socialista”,  Roma, 1946, p. 104 «Tutto ad un tratto
    dallo scanno occupato dalla delegazione italiana, si sentì un
    " non posso votare ". Era il delegato italiano Morgari, che
    già all'esordio della lettura del manifesto aveva fatto segni
    di diniego.
    
        [52] Così l'Avanti! del 23  luglio
    1917:"Nel marzo  de1 1916 a Berna l'on. Morgari conobbe
    per  il  tramite del vecchio  internazionalista
    Enrico Bignami il segretario del pacifista Enrico Ford ......Ford
    è un uomo speciale, entusiasta, ingenuo, che in un convegno
    con Wilson aveva dichiarato di  essere disposto a dare tutto il
    suo patrimonio (750 milioni) per abbreviare   d'un giorno
    la guerra. Aveva qualificato la guerra degli Stati Uniti contro il
    Messico  come un episodio di pirateria  capitalistica,
    usando, inconsapevomente, un linguggio quasi marxista. Invitato da
    una pacifista ungherese,  si decide a fare una spedizione in
    Europa  per  determinare una pressione dei neutri per por
    fine alla guerra. Morgari pensa che sarà possibile dare un
    contenuto concreto a questa attività ideologica e sterile di
    per sé  . Zimmerwald  disponendo di sole 
    tremila lire ha fatto un lavoro enorme: cosa potrebbe fare se
    disponesse di maggiori mezzi? ......Egli voleva proporre a Ford di
    assegnare 50 milioni per fare attraverso 10 quotidiani opera
    antibellica, per rafforzare le minoranze antiguerraiole, per
    spezzare l'anello di ferro che le polizie e le censure aveva stretto
    attorno a Zimmerwald...." 
    
        [53] Istituto Gramsci, Archivio Serrati,
    viii/83-83 bis
    
        [54]  O.Morgari “Le due Vittorie” in
    ”Avanti!”,  6 novembre 1917
    
        [55] Morgari scrisse un opuscolo: "La più
    internazionale delle internazionali " pubblicato nel 1915,
    apparso a puntate anche sull'Avanti! del 19-20-21-22-24-26 agosto. A
    proposito della «questione esperantista», che polemiche
    abbastanza vivaci suscitò in campo socialista sembra
    opportuno sottolineare la posizione di Gramsci, decisamente avversa
    alla diffusione di una lingua unica internazionale come mezzo
    per facilitare i rapporti intemazionali e far comunicare gli operai
    dei diversi paesi. «Le spinte linguistiche avvengono solo dal
    basso in alto; i libri poco influiscono sul cambiamenti delle
    parlate: i libri fanno opera di regolarizzazione, di conservazione
    delle forme linguistiche più diffuse e più
    antiche».  Di conseguenza i socialisti dovevano opporsi
    ai sostenitori dell'esperanto, preoccupandosi soltanto
    dell'«avvento del collettivismo e dell'Internazionale» i
    quali soltanto avrebbero potuto portare a un «conguagliamento
    delle lingue ario-europee».
    
        [56]Questo il resto della lettera«Mi trovo
    'imbottigliato' in Olanda. Quale italiano non posso traversare la
    Germania. Quale zimmerwaldiano e pacifista, non l'Inghilterra e
    la Francia. Una pratica avviata da questo nostro R° Ministro con
    i due ambasciatori dell'Aja attraverso Sonnino non ha dato ancora
    alcun frutto decisivo. Avrei potuto rimpatriare facendo un giro
    lungo, per la Spagna o... per New York ma dal 1° febbraio,
    cioè dall'inizio della guerra sottomarina rinforzata, nessun
    piroscafo per passeggeri è più partito dall'Olanda. La
    Germania pretende che non tocchino l'Inghilterra, questa
    pretende di visitarli in un porto inglese e le negoziazioni
    durano da due mesi, né se ne vede la fine.  Resta libero
    – per modo di dire – un ' canale ' che dall'Olanda,
    teoricamente, conduce in Scandinavia: largo 20 miglia, con campo di
    mine inglese a destra e tedesco a sinistra, qualche cannonata per
    sbaglio e sottomarini tedeschi di guardia che, se visitano la nave
    che mi porta ... mi portano prigioniero in Germania.Non è
    tutto. Occorre essere accettato a bordo, e di regola i
    cittadini dei paesi belligeranti sono respinti. Ma supponiamo
    che io sia riuscito a sbarcare in Scandinavia. Mi si
    permetterà l'ingresso in Russia? Il governo provvisorio
    è ... interventista quanto l'inglese e il francese. Non si
    esigerà come di regola un visto italiano precedente? E questo
    mi sarà concesso? Vero è che io mi recherei
    laggiù tuttaltro che per consigliare una pace separata. Mai
    la chiedemmo in Italia. Noi vogliamo la pace tutta, non un
    miserabile ritirarsi d'uno dei combattenti che, tradendo gli
    alleati, mette al sicuro la pancia. Ma chi sa queste cose? Noi
    tutti passiamo per germanofili, quando non per venduti. (Aggiungi
    che una pace separata russo-tedesca porterebbe a questo, che gli
    Imperi Centrali, vittoriosi, accetterebbero più tardi
    l'invito che la borghesia russa loro farebbe di accorrere a salvarla
    dalla marea socialista. Ne conseguirebbe lo schiacciamento dei
    nostri, la sostituzione della repubblica con un nuovo tzarismo
    moderatamente costituzionale e una nuova Santa Alleanza, a parte poi
    il trionfo del militarismo e dell'imperialismo nelle loro forme
    più brute). In breve io raccomanderei di riprendere la
    proposta Wilson senza cessar di combattere.Tornando a noi
    tenterò questo viaggio (...)»
    
        [57]  In Avanti!, 10 novembre 1917
    
        [58]A nome della sezione socialista torinese, in
    una lettera datata Torino 29 dicembre 1917
    
        [59]“Mi  nominaste segretario  
    del   partito    neIlo  
    scorso   febbraio   per   plausibili
    motivi: 1.Motivi tecnici: occorreva sostituire il posto lasciato
    vacante da Lazzari con persona sperimentata, ed io ero in quanto
    segretario del gruppo Parlamentare da anni e come tale membro deIla
    direzione de! Partito pure da anni; 2.Motivi politici, perche la
    situazione faceva credere che una sola forma d’azione fosse rimasta
    al partito, quella parlamentare, cosicché appariva utile che
    i due segretariati fossero, fin quando quella situazione durava,
    riuniti nella stessa persona, ugualmente affiatata con i due gruppi,
    a loro volta in quell’epoca sufficientemente d’accordo nell’unico
    programma di far fronte alla guerra e alla reazione.
    L’unicità del segretariato permetteva alla Direzione di
    trasmettere ne! Gruppo, più direttamente ed efficacemente il
    proprio consiglio di energica tenace ed intransigente battaglia . 3.
    Motivi di sicurezza, perché la minaccia di scioglimento e di
    arresto ne! partito e nella direzione suggerìvano
    l'espediente di garantire la continuazione di vita di quegli
    organismi con l'usbergo della medaglia parlamentare, eleggendo a
    segretario un deputato e immillando un comitato di novi; deputati il
    prendere le redini del partito nel caso che la direzione fosse
    arrestata.  Senonché i rapporti tra il gruppo e la 
    Direzione dopo d'allora mutarono, la mia posizione di segretario
    unico divenne difficile e discutibile, specie a proposito di due
    vertenze: quella per la partecipazionone alle Commissioni
    governative pel dopo guerra e quella per una tattica parlamentare
    per volgere verso la pace nella qua!e io stesso non mi trovai
    d'accordo con la direzione. Come potevo continuare ad  essere
    il portavoce della direzione nel gruppo o   anche solo
    il   trait-d'union,   ugualmente   dai
    due lati benvisto,   se   in   queste
    questioni di capitale   imporitanza  parteggiavo
    per  il   gruppo  direzionale? Avrei dovuto
    già allora dimettermi da segretario, ma me ne distolsero
    varie ragioni: l'imminenza del congresso, l'arresto di Serrati, e
    quello probabile di Bombacci. La    neutraità
    dei rapporti personali il timore   che  
    a   molti   le   mie  
    dimissioni  apparissero  come   un  
    ritirarsi   da   una  
    carica   pericolosa,   l'inizio 
    di   un   preoccupante
    sessionamento,   la   coscienza  
    di   contribuire   ad   attutire 
    i   contrasti   in   un periodo in cui
    tutti auspicano che il  partito resti uno». Dichiarato
    che la situazione era tale da dimostrare l'impossibiltà di
    un  segretario  unico, proseguì: "mi era parso da
    principio che lasci voi in un conflitto nel quale sono d'accordo con
    voi e non col gruppo, ma già nella mia prima lettera ho
    spiegato che non mi sarei sentito l'animo di sostenere il pensiero
    della direzione fino a scindere il gruppo e  dimettermi anche
    da suo segretario se il voto non fosse stato quello che fu. Se prima
    non mi fossi liberato dal sospelto che su tanto mio attaccamento
    alla direzione influisse lo stipendio e il bisogno di assicurarmi le
    spalle nel collegio..”. In altro parole sono venute a cessare le
    condizioni che resero possibile la mia nomina nello scorso
    febbraio.  Anche il   pericolo  
    è   cessato,   non  
    per   le   singole  
    persone   ma   per   gli eventi.
    Resta   la   difficoltà  
    di   sostituirmi   nel   posto, 
    ma  si   può   risolvere. In primo
    luogo io mi sento inferiore al duplice mandato per esaurimento,
    stanchezza, abitila irrimediabili, ormai lo vedo. Inoltre Bombacci
    ha dato prova di possedere tutte le doti di esperienza ingegno e
    carattere necessarie per degnamente tenere le redini di un partito
    di proletari.  Si risparmierebbo spesa e si otterrebbe maggiore
    e più snella produzione affiancando il Bombacci con un
    giovane socialista intelligente e svelto, messo a sua
    disposizione... Se poi Bombacci fosse arrestato la Direzione
    esaminerebbe la nuova situazione nata»
    
        [60]In alcuni suoi appunti scrisse al
    riguardo:  "Questa commissione fu costituita per principale
    spinta dello scrivente... pensando che ciò avrebbe
    altresì preparato le basi di quel congresso zimmerwaldiano
    che era desiderato dalla direziono del P.S.I., considerato che la
    censura dell'Intesa era riuscita ad innalzare una insuperabile
    muraglia cinese fra l'Europa occidentale (Italia, Francia.
    Inghilterra. Spaglia, Portogallo')e il rimanente d'Europa (Imperi
    Centrali, Russia, Svizzera, Balcani, Scandinavia) muraglia che
    durerà ancora a lungo per impedire il progresso del
    bolscevismo dall'Est d'Europa all'Ovest; (che per tale fatto la
    Commissiono Socialista Internazionale (zimmervaldiana') di Stoccolma
    era e rimane praticamente inesistente nei riguardi dell'Europa
    occidentale e dell'America, che quanto a questi paesi, non si poteva
    affatto utilizzare il Comitato Esecutivo sorto dalla Conferenza
    interalleata di Londra, interventista o socialpatriotta, o che
    neppure si poteva utilizzare il Bureau Socialiste International
    dell'antica Internazionale avente per segretario Huysmans, le cui
    funzioni rispettose degli statuti e di tutte lo correnti elusi
    agitano nel socialismo mondiale non potevano essere che neutrali o
    limitate a convocare imparzialmente i diversi partiti appena il
    Congresso Internazionale sarà possibile, che
    dunque   per l' Europa occidentale e  per l'America
    era necessario creare un   centro d'informazione e di
    azione a disposizione  delle  correnti di sinistra
    (internazionalisti,  intransigenti, zimmervaldiani) 
    nei  suddetti paesi. Per i motivi su esposti, dopo riunioni
    preparatorie tenute nei giorni 11-12 e 13 ottobre tra Io scrivenite,
    Kemerer e 3-4 francesi e serbi, il 14 ottobre la Commissione veniva
    costituita in un'adunanza negli uffici del Populair.
    
        Criteri:  Attivita  modesta ma
    immediatamente iniziata. La Commissione sara composta di
    personalità e non di delegati ufficiali per risparmiare tempo
    ma sopratutto per non mettere nell'imbarazzo certi partiti (ad es.
    Il francese, nonostante la recente vittoria dei minoritari ). Si
    chiederanno   successivamente le  ratifiche dei
    diversi  partiti. Roma 8 gennaio 1919.
    
        [61]  II 5 maggio l'Avanti! pubblicava una
    nota d'agenzia col titolo:«La fine del Governo sovietista
    ungherese?». Il 9 maggio Genosse (Gustavo Sacerdote)
    informava sulle trattative di armistizio con la Romania e smentiva
    recisamente l'occupazione di Budapest: «La notizia,
    evidentemente, è falsa. Noi stiamo ancora in diretta
    comunicazione con Budapest (...). L'esercito rosso continua a
    battersi con accanimento».
    
        [62] La breve lettera di solidarietà 
    “scritta su piccoli ritagli di carta come si faceva ai tempi
    zaristi” fu citata da Lenin in un discorso tenuto a Mosca il 17
    aprile: Ved.Lenin Sul movimento operaio italiano, pag. 109 
    
        [63] «Fra Vienna e Budapest. La rivoluzione
    ungherese resiste», Avanti!, 20 maggio 1919.
    
        [64] «Le menzogne della borghesia»,
    siglato I. S., l'Avanti!',  26 maggio 1919
    
        [65] G.Romanelli,”Nell’Ungheria di Bela Kun e
    durante l’occupazione militare romena”. Udine, 1964, p. 69-73.;
    nuova edizione dell'Ufficio Storico Militare, Roma,  2002
    
        [66]Pezzi di colore ricavati da appunti scritti
    nel mese di maggio furono pubblicati dall’Avanti il 4,5,10,15 
    agosto. Dal 10 giugno al 15 agosto coprono gli appunti autografi
    del”Diario ungherese”, in ACS, Mostra Rivoluzione Fascista, b. 130;
    Alcuni estratti in G. Calciano, “Appunti e documenti
    sull’attività internazionale di Oddino Morgari” in “Rivista
    storica del socialismo”, 1967, n. 32
    
        [67]Cfr. il resoconto del comizio tenuto alla
    Casa del popolo nell'«Avanti!» edizione torinese, 19
    novembre 1919, “Morgari parla in Borgo Vittoria”
    
        [68] Il deputato socialista Osvaldo Maffioli si
    trovava in Ungheria allo scoppio della rivoluzione. Nel
    giugno  aveva avuto un colloquio con Kun, cui non aveva
    risparmiato riserve sull'esperimento di dittatura del proletariato
    realizzato in Ungheria. Il colloquio fu pubblicato con grande
    rilievo sul «Secolo» del 22 giugno, a firma del
    giornalista Luciano Magrini, al quale Maffioli aveva fatto delle
    confidenze. La pubblicità data da tutta la stampa
    provocò le ire disciplinari dell'«Avanti!», alle
    quali Maffioli replicò il 27 luglio invocando il giudizio
    della sezione milanese e rinunciando alle cariche che ricopriva.
    Morgari era presente al colloquio
    
        [69] “Avanti!”, 24 dicembre  1919, 
    “Gli insegnamenti di una rivoluzione”.
    
        [70]  Nota del 22  febbraio 1921,
    Fondo  Morgari, busta 3413, in ACS
    
        [71] "Diario di Mosca" Fondo  Morgari, busta
    3413, 16 nov.1922
    
        [72]  Episodio che rievocherà anni
    dopo con toni molto critici sul Nuovo Avanti, 5 agosto 1939 ”Alla
    ricerca della città del sole”, significativamente dopo la
    crisi con l’Urss e i partiti comunisti provocata dal patto con
    Hitler
    
        [73]Così lo ricorderà Marzo
    (G.B.Canepa), in “Le cronache di una vita”, Genova, 1983, che,
    costretto ad espatriare, era stato indirizzato a Morgari:
    “abitava con la moglie, la Sofia, in una specie di «
    dépendance » del giornale: un ammezzato composto di una
    cucina-soggiorno, e una camera da letto attigua a un
    bugigattolo ricavato dal sottoscala che serviva da ripostiglio.
    Mi accolse con grande affabilità…..Non solo, ma quando
    gli dissi ch'ero stato espulso dalla Francia e dunque che sarebbe
    stato imprudente alloggiare in albergo, propose di sistemarmi
    in quel sottoscala, e io subito accettai, senza preoccuparmi degli
    inconvenienti che avrebbero potuto verificarsi a causa della
    coabitazione in un ambiente tanto ristretto…..I compiti che mi
    vennero assegnati erano fin troppo modesti: di buon mattino
    m'affrettavo a compilare la rassegna stampa per i due direttori;
    quindi dovevo riordinare gli appunti che Morgari aveva lasciato
    sul tavolo e ricopiarli per benino perché poi, al suo arrivo,
    potesse più agevolmente correggerli e ampliarli. Questo
    lavoro di copiatura dovevo ripeterlo più d'una volta, fino
    alla stesura finale dell'articolo: un lavoro manuale, dunque, da
    semplice scrivano, ma lo facevo con grande scrupolo, pago della
    fiducia che m'era stata accordata. Ed era una fiducia piena,
    perché quando Morgari doveva comunicare agli altri membri
    della Concentrazione notizie o documenti riservati e importanti, a
    me soltanto veniva affidato il compito di recapitarli. Mi si
    presentò così l'occasione di intrattenermi con
    personaggi politici famosi: ad esempio con Gaetano
    Salvemini…..Nenni, Modigliani, Claudio Treves... Più spesso
    però, e regolarmente, dovevo recarmi da Francesco Saverio
    Nitti, che ….(…)..m'incuteva un rispetto pieno di deferenza.
    Cosicché ogni qual volta sosteneva una caduta del regime
    fascista, in conseguenza dell'inevitabile crisi economica che
    ben presto avrebbe costretto Mussolini a dimettersi, mi guardavo
    bene dal sollevare dei dubbi, ma l'ascoltavo come se fosse un
    oracolo. I dubbi li sollevava poi Morgari che, quando gli riferivo
    quelle previsioni, si affrettava a smorzare il mio entusiasmo
    dicendo che la caduta del fascismo basata esclusivamente su delle
    leggi economiche, era opinabile, essendo le previsioni in tale
    materia il più delle volte destinate a restare un pio
    desiderio. Morgari era un uomo di indubbio buon senso, e
    l'esperienza che feci nel periodo in cui rimasi al suo fianco
    contribuì non poco a costituire il sustrato ideologico
    della mia futura vita politica. E' dal suo insegnamento infatti che
    appresi a considerare l'anticlericalismo che mi animava, e
    ch'era diffuso non solo nei repubblicani ma anche nei socialisti, un
    atteggiamento destinato a ostacolare il conseguimento della pace
    sociale; e così pure il settarismo che avevo riscontrato in
    tantissimi compagni quando ritenevano fascisti coloro che
    militavano in altri partiti...Anche per questo suo insegnamento
    conservo il suo ricordo con particolare riconoscenza e
    affetto.”
    
        [74] A.Garosci "Storia dei fuorusciti", Bari,
    1953, pag. 18 "..il buon Oddino Morari...il quale viveva poveramente
    dormendo in una branda alla sede del "Corriere" era rimasto
    così candidamente fanciullesco da condurre, ignaro, a
    visitare il giornale e gli archivi il viceconsole di Nizza, Spetia,
    che era anche commissario di polizia"
    
        [75] Questo il ricordo di Vera Modigliani che lo
    frequentò negli anni ’30, in “Esili”, Milano, 1946 “Una
    grossa testa calva: appena una corona di capelli ancora scuri
    gl'incorniciava il basso della nuca e discendeva sul collo forte.
    Aveva gli occhi vivi sotto le sopracciglia folte, quando, raramente,
    li sollevava sull'interlocutore. Ma li teneva di preferenza
    abbassati, quasi a guardarsi dentro, nell'anima, in quel lavorio
    d'introspezione, di autocritica ansiosa, che non lo abbandonava
    mai e che faceva spesso di lui un esitante e talora un
    contraddittore di se stesso. Ho visto a volte quegli occhi
    accendersi nell'ira e nello sdegno, ed allora anche la voce,
    che era di solito piana, quasi sommessa, si levava in uno
    scatto, e le parole si rincorrevano affannose. Ed anche, ma di
    rado, li ho visti illuminati da un sorriso. Un grosso naso dava
    a quel viso, che avrebbe potuto sembrar severo, un’impronta di
    bonarietà. Una barbetta breve, appena grigia, gli copriva il
    mento. Tutti i suoi atteggiamenti erano semplici, cortesi e
    improntati a un. desiderio di non mettersi in mostra. Eppure
    non era modesto. Aveva precisa in sé la nozione del proprio
    valore, e quel suo fare riservato, quasi ritroso, era dovuto
    forse al desiderio di veder chiaro in se stesso, di districarsi
    nel numero infinito dei «pro e contro». L'ho visto,
    per ore e ore, assistere ai dibattiti delle riunioni, quasi mai
    partecipandovi attivamente, apparentemente impassibile, con un
    immobilità di Budda, l'eterna pipa nell'angolo delle
    labbra, sempre cogli occhi abbassati, prendendo instancabilmente, su
    ritagli di carta, appunti ed appunti. (Minuta calligrafia di
    uomo che predilige il dettaglio…).  era un'anima mistica di un
    santo, ma un santo cosciente della propria santità….. Da
    giovane  doveva esser stato robusto e tarchiato:
    conservava ancora un po' quella sagoma. Ma ora gli abiti vecchi e
    trasandati gli si afflosciavano sul corpo dimagrito. Aveva quasi
    sempre al fianco la sua Sofia, più giovane di lui, ma anzi
    tempo appassita. La trattava come una bambina di scarso
    discernimento; lei, però, sentiva la grandezza morale del suo
    Oddino e gli tributava un'assistenza se non sempre riposante, sempre
    devota e premurosa.”
    
        [76] O.M. "Il trionfo del fascismo. Di chi la
    colpa?", in   "Problemi della rivoluzione italiana" , 2.
    serie, n.6, settembre 1938
    
        [77] S.Merli “I socialisti, la guerra, la nuova
    Europa : dalla Spagna alla Resistenza, 1936-1942”, Milano, 1994