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ODDINO MORGARI (1865-1944)
di Gianni Artero
1. Il personaggio
Nato a Torino il 16 novembre 1865 in una famiglia di pittori (il
padre Paolo Emilio, la madre Clementina Lomassi, la sorella Bice, il
fratello Luigi, il più celebre, vissuto dal 1857 al 1935 e
autore di numerosi affreschi[1]), questa parentela concorse
probabilmente allo stereotipo di “bohemien”. A questa nomea
contribuì l'autobiografia di Rinaldo Rigola in cui l’anziano
sindacalista racconta che, eletto deputato nel 1904, non essendovi
allora indennità per tale carica "l'on. Morgari mi impartiva
delle lezioni di economia parlamentaristica:..."risparmio i soldi
dell'albergo andando a dormire in treno. Combino il viaggio in modo
che tra l'andata e il ritorno ci sia da passare l'intera notte"
approfittando della franchigia ferroviaria che consentiva ai
deputati di viaggiare gratuitamente."Sapevo che Morgari era capace
di fare ciò ed altro ma non ero del suo avviso...non mi
sentivo di spingere il mio eroismo a tal punto....(....)...non [ero
] tagliato per l'eccentricità" [2]
Più seriamente, c’è sicuramente
nella sua vita un lato avventuroso, un certo gusto per la vita
nomade: dal soggiorno in Francia alla fine degli anni '80 alla
presenza in Macedonia nel 1903 dove era accorso in occasione
dell'insurrezione al dominio turco, dai due anni trascorsi in
Estremo Oriente (1911-13), ai viaggi durante la guerra mondiale per
riallacciare i rapporti tra i socialisti, fino alla presenza a
Budapest durante la “Comune” e ai viaggi in Russia nel 1922 e alla
metà degli anni '30.
Spontaneo il paragone con personaggi del socialismo
dell'epoca, come Giacinto Menotti Serrati[3] che trascorse una parte
importante della sua vita nell'emigrazione come organizzatore dei
lavoratori italiani in Svizzera e negli Stati Uniti, o come il
"cittadino del mondo" Edmondo Peluso[4] che ha suggerito
il sottotitolo. Al di là dell’aspetto pittoresco
è importante cogliere lo spessore umano e politico del
personaggio che fu una figura non secondaria di un quarantennio del
socialismo italiano, e nel periodo della guerra anche
internazionale, trovandosi sovente al centro dei più
importanti avvenimenti, fino almeno al primo dopoguerra quando
verrà superato dai nuovi eventi e da una nuova generazione.
Nel sistema di valori fondativi del socialismo italiano
delle origini, il carattere positivistico-sentimentale della sua
adesione è comune alla maggior parte della generazione,
mentre i suoi tratti distintivi sono il disinteresse, che lo
portò a subire più che a ricercare le cariche
direttive, e la predicazione tra le masse. Nelle cronache delle
agitazioni e degli scioperi di tutta Italia, dal 1890 in poi
è raro non trovare il suo nome: quando la situazione si
faceva critica e occorreva la presenza di qualcuno che sapesse
parlare alle masse, le sezioni del Partito e le Camere del Lavoro si
rivolgevano a lui. Analogamente proiettato verso gli umili fu il suo
impegno di pubblicista.
Dopo queste essenziali chiavi di lettura, un’ultima
osservazione: avendo operato sia a livello locale torinese, che
(dall’elezione alla Camera nel 1897) nazionale, e dal 1914 anche
internazionale, non è facile con un’ esposizione
rigidamente cronologica che spezza la narrazione in singoli episodi
slegati seguire il filo di attività che si sviluppavano
parallelamente su piani diversi. Abbiamo pertanto ragruppato
le vicende secondo nuclei tematici, così da poterle
descrivere nel contesto in cui si collocano.
Nel 1885 durante il servizio di leva, che
per la sua conoscenza del disegno andava svolgendo
all'Istituto Geografico Militare di Firenze, ebbe luogo la sua
iniziazione politica, che così rievocherà in uno
scritto dei suoi ultimi anni: “nella mia adolescenza per motivi di
natura psicologica ed ereditaria la mia mentalità era come
una spugna pronta ad imbeversi di quel qualunque ideale umanitario
che le fosse prospettato dal primo idealista in cui si sarebbe
imbattuto; e volle il caso che questo fosse un mazziniano…andato al
par di me nella Fortezza di Basso di Firenze, ragion per cui
in tre giorni fui avvinto e mi diedi a quella fede per metà
politica e per metà religiosa con quella stessa ardente
passione con cui un giovane vive il suo primo amore” [5]
Ma fu costretto a dimettersi «quando il Ministero
delegò una Commissione disciplinare a giudicare di un
rapporto della polizia, che [lo] denunciava come
mazziniano»[6]
Espatriato, raggiunse Parigi e in seguito Marsiglia dove dal
settembre al dicembre del 1890 diresse il circolo mazziniano. Per
usare le sue parole, scritte però a cinquant’anni dagli
avvenimenti e quindi da considerare con cautela: “Quattr'anni
erano passati dopo d'allora durante i quali avevo preso contatto col
pensiero socialista traverso scarse ed incomplete battute,
cosicchè poco a poco ero venuto a dubitare che il
mazzinianesimo fosse un edificio mancante di alcuni muri maestri, ma
per passare alla convinzione socialista ero impedito da diverse
obiezioni suggeritemi dal buon senso dell'aspetto pratico delle
questioni già vivo in me nonostante l'età giovanile.
Respingevo con noia certe obiezioni volgari. (...).ma certi altri
dubbi mi ponevano in imbarazzo: per esempio mi stringeva il cuore
assistendo alla propaganda di tanti sindacalisti e socialisti che
alle masse parlavano soltanto di diritti e mai di doveri...e che si
disinteressavano delle sofferenze di tanti altri lavoratori solo
perchè non portavano il berretto dell'operaio di
fabbrica....Si poteva temere che nel nuovo assetto si scatenasse una
nuova forma di sfruttamento, quella degli oziosi e dei cinici sui
compagni coscienti e volonterosi..(...)..mi chiedevo se per ottenere
un corretto adempimento dei nuovi obblighi sociali non sarebbe stato
necessario un regime di dittatura che avrebbe trasformato l'Eden
promesso in un'immensa caserma...Il socialismo prometteva di
costruire una nuova casa di cui però non presentava il piano
limitandosi a magnificarlo con vaghe frasi messianiche...tutti
motivi che mi portavano ad attendere che un uomo o un libro mi
dimostrasse con argomenti irrefutabili che .....non era un'impresa
destinata a fallire dopo immensi sacrifici per l'incapacità
morale e tecnica dei suoi imprenditori e per imprevisti difetti d'un
meccanismo che nessuno aveva cura di prevedere....La rivelazione mi
raggiunse sotto la forma d'un volumetto venutomi sotto mano per caso
e che lessi d'un fiato in una camera di un albergo di quint'ordine
della vecchia Marsiglia...”L'Anno 2000” di Edoardo Bellamy, uno
scrittore totalmente vuoto in fatto di dottrine..[ma]..nel leggerlo
io vidi la società socialista nella sua architettura e nei
suoi ordinamenti e di colpo tutti i miei dubbi sparirono dalla mia
mente...e poi fui certo che la società degli uguali e dei
liberi non era un sogno come quello del paradiso dei cristiani, ma
un meccanismo che si poteva concretamente costruire e far funzionare
(...) Questa verità mi folgorò nel cervello e mi
fasciò di gioia tantochè ad un certo punto della
lettura andai alla finestra e gridai: “ho compreso! ho compreso!”
come se volessi informare tutta Marsiglia. Per qualche tempo vissi
nello stato d'animo di un visionario a cui Iddio è apparso in
sogno per assegnargli una qualche missione”[7]
2. Lo sviluppo industriale e le origini del socialismo torinese
La storia di Torino operaia e socialista
è stata scritta più volte[8] ma si ritiene utile
fornire alcuni dati essenziali di inquadramento.
L'Esposizione Universale del 1884 aveva
sancito il superamento della crisi legata al trasferimento della
capitale. Su una popolazione nel 1880 di 300.000 abitanti gli
addetti all'industria (comprendendo anche i lavoratori a domicilio e
parte degli artigiani) costituivano una quota del 20-30 %. La
maggior parte delle imprese risultava già allora concentrata
nei settori metallurico e tessile con il 40% e il 19% delle imprese
cittadine rispettivamente. Accanto al vecchio comparto statale
(Arsenale militare, Manifattura tabacchi, Officine ferroviarie) che
continuava a rappresentare il più consolidato nucleo
produttivo cittadino, cresceva un tessuto di imprese private dotate
di grande dinamismo che avevano dato vita a stabilimenti di medie
dimensioni con maestranze operaie dalle 100 alle 300 unità e
che negli anni tra la fine degli anni '80 e i primi anni '90,
nonostante la rottura commerciale con la Francia e la crisi
bancaria, riuscirono a consolidare il primo nucleo del capitalismo
d'impresa destinato a soppiantare le produzioni governative e a
fornire alla città il suo definitivo volto industriale.
Questo processo di sviluppo entrava in confltto con una
società connotata da relazioni sociali fortemente
gerarchiche, da retaggi politici e culturali
di tipo tradizionale e da un sistema politico-istituzionale
elitario. Aveva iniziato a modificare questo quadro la crescita
tumultuosa e disordinata di un proletariato proto-industriale
accanto e pericolosamente intrecciato con il “ceto operaio sobrio e
previdente” caro alla tradizione sabauda, crescita che era vista
come una minaccia del rapporto paternalistico tra élites
liberali e associazionismo operaio
Nel 1880-81 dal ceppo della Lega della democrazia,
cioè dall'area che andava dai mazziniani ai radicali e che,
pur non essendo vasta e socialmente radicata come nel milanese, non
era priva di organizzazioni in ambiente operaio, artigiano e
piccolo-borghese, erano sorte l'Associazione democratica subalpina,
il Consolato operaio, la Società di mutuo soccorso
Fratellanza artigiana
Nella primavera 1886 l'agitazione dei muratori assuse quasi
le caratteristiche di una rivolta urbana con blocco dei quartieri,
scontri violenti e presidio di molte zone da parte della polizia;
poi vi erano state la lotta delle sigaraie e la diffusione di una
piccola conflittualità negli stabilimenti manifatturieri su
problemi di salario, orario, regolamenti
Intorno a quel periodo cominciò a manifestarsi quella
tendenza repubblicano-socialista che, dapprima rappresentata solo da
pochi mazziniani attratti dal movimento operaio (gli avvocati
Leandro Allasia e Giambattista Cagno, il giovanissimo pacifista
ClaudioTreves, il gasista Gianpietro Daghetto) crebbe sino a
costituire il pilastro della formazione a Torino del Partito
socialista
Nel giugno 1887 nasce la “Gazzatta operaia” fondata
dallo studente vercellese Luigi Galleani[9], che ebbe un ruolo come
elemento di mediazione tra anarchismo e movimento operaio, ma
numerosi erano, in un'area dai confini incerti, i giornali che si
pubblicavano nella capitale piemontese: il “Ventesimo secolo”
di Giovanni Lerda (autodidatta, divenuto poi protagonista a
livello nazionale come leader della corrente intransigente[10]), il
“Grido del popolo” del tipografo Chenal, la “Squilla” di area
radical-repubblicana.
Nel corso del 1888 si costituì, con l'intervento
degli operaisti milanesi Lazzari e Casati, sul modello dei lombardi
“Figli del lavoro”, la Associazione fra i lavoratori d'ambo i sessi
di città e di campagna che poco dopo si presentò come
federazione locale del Partito Operaio Italiano. Fu l'unica forza in
grado di intervenire nell'intensa fase di agitazioni di fabbrica e
proteste operaie che attraversarono Torino nella
primavera-estate 1889, con dimensioni e intensità mai
raggiunte in precedenza, e i cui effetti determinarono una svolta
decisiva per la configurazione del movimento operaio e socialista
locale
A metà aprile del 1889, partita dai pellettieri
che protestavano per una ribasso dei cottimi, ripresero le
agitazioni che si infittirono ed estesero in tutti i settori, in
particolare quello tessile colpito dal rialzo delle tariffe
doganali.
La tendenza spontanea dell'agitazione operaia si
intrecciò così con il progetto politico e
organizzativo della federazione operaista che si era costituita
proprio sulla tesi della centralità delle lotte economiche
per lo sviluppo del socialismo come movimento politico, sostenendo
un duro confronto con l'anarchismo intransigente tradizionalmente
diffidente verso il concetto stesso di lotta di classe come lotta
rivoluzionaria
La situazione si radicalizzò a partire
dall'inizio di giugno, con una città quasi in stato
d'assedio: gli arresti nei giorni 11 e 12 furono una quarantina e il
13 iniziarono i processi per direttissima con condanne da due giorni
a tre mesi; anche dopo questa data si ebbero strascichi con
l'entrata in scena dei panettieri e poi dei garzoni del macello
civico.
Il 10 novembre 1889 si votò a Torino per rinnovare il
consiglio comunale sulla base della legge del 30 dicembre 1888 che
estendeva il diritto di voto a parte dell'elettorato operaio. Si
determinò in occasione di queste elezioni la frattura dei
democratici tra un'ala possibilista, che si inserì nella
lista liberale, e un'ala più radicale che si accordò
con i gruppi socialisti-operaisti per la presentazione di una lista
democratico-operaia, i cui risultati furono deludenti,
non andando nessuno dei candidati oltre i 1800-1900 voti.
3. Morgari nel socialismo torinese del decennio 1890-1900
In questa situazione si inserisce Morgari che,
rientrato dalla Francia, prende parte attiva sulle pagine della
Squilla alle discussioni seguite al congresso socialista di Genova
del 1892 . Non proveniva dal socialismo militante, era quasi
sconosciuto all'inizio al punto che il Grido del Popolo ne storpiava
il nome, ma apparteneva a quell'area di repubblicani di recente
conversione guardata con una certa diffidenza dai vecchi operaisti e
socialisti per questo motivo.
Così viene descritto quasi cinqunt'anni dopo da
un anonimo collaboratore dell'”Avanti!”: “Arrivato da dove non si sa
piovve un giorno a Torino un tale con un pizzetto rossiccio (...)
trovò lavoro come contabile presso la cartoleria Simondelli
in via Po. ....Erano allora gli impiegati pagati a mesi e Oddino
ebbe l'audacia di chiedere un anticipo sullo stipendio del suo primo
mese. Allora si andava a vedere il padrone con il cappello in mano e
l'ordine di costui e il fatto per di più che gli venne
concesso stupirono parecchi di noi della stessa ditta. Parlava un
linguaggio nuovo e una sera mi invitò ad andare alla
“Fratellanza operaia” ..(...)..non ricordo se a parlare ci fosse
Cerutti o Chenal. Intervenne nel dibattito anche un avvocato che
più tardi seppi era Claudio Treves...Passò qualche
anno e il PSI fondò una sezione a Porta Palazzo
sorvegliatissima dalla polizia.... Poscia la testa calda
fondò un'altra sezione vicina a Piazza Filiberto frequentata
da universitari: Roux, Casalini e altri E forse anche persone di
dubbia moralità, difatti una sera vedo Oddino pallido e
silenzioso. Più tardi ci spiegherà l'origine del suo
malumore ..Aveva riscosso quella sera stessa il suo stipendio e
mentre era nella Sezione un biglietto da 100 lire aveva preso il
volo dal suo portafoglio. Oddino non volle denuncìare il
fatto alla polizia Ne subirebbe la sezione..La gente direbbe che vi
son dei ladri fra noi che vogliamo riformare il mondo. E poi chi lo
ha preso forse ne aveva più bisogno di me. Così la
cosa fu messa a tacere per non danneggiare la sezione” [11]
Dopo la fallimentare campagna elettorale del 1889,
sull'onda della delusione che serpeggiava, e con la ripresa delle
vertenze, questa volta alle Officine ferroviarie, la parola d'ordine
della fondazione della Borsa del lavoro ebbe grande successo,
raccogliendo nell'estate del 1891 l'adesione dei più forti
sodalizi operai a partire dall'Associzioe Generale Operaia (AGO)
che, forte di 6.000 soci, aveva un'immagine pubblica quasi
istituzionale, e tutt'altro che scontata era la sua adesione al
progetto, presentato comunque con caratteri di moderazione tali da
essere accettabile ai liberali.
La proposta di fare del Primo Maggio una giornata
internazionale di lotta, lanciata a Parigi nel 1889, diede
luogo a Torino nel 1891 ad incidenti: sfidando il divieto
prefettizio folti gruppi di dimostranti, radunatisi in piazza
Statuto, furono circondati e dispersi dalle forze di polizia:
Quell'episodio rimase rimase a lungo impresso nella memoria
collettiva della città, e fu il fatto scatenante che
determinò nel noto scrittore Edmondo De Amicis, che assisteva
alla scena dalle finestre del suo appartamento su quella piazza,
l'interesse verso il socialismo. Nei giorni successivi vennero
celebrati i processi per direttissima, che comminarono pene
pesanti: da due a tre anni.
Frattanto il progetto della Camera del lavoro che, come
a Milano e in altre realtà, diede luogo ad una trattativa con
il Municipio per il riconoscimento e un sussidio, andava avanti:
nell'estate 1891, non appena fu avviata l'organizzazione delle
sezioni per arti e mestieri, passò rapidamente da poco
più di 700 a quasi 4.000 aderenti.
Nelle elezioni del novembre 1892 si presentò una
lista socialista con candidati in quattro collegi, con risultati
deludenti: Prampolini ottenne 53 voti, Lerda 153. Mentre per Lerda
il problema della sconfitta non si poneva, non avendo mai puntato
sulle elezioni se non come occasione per far sentire la voce del
socialismo, nella nota di commento pubblicata dalla “Squilla” e
scritta da Morgari si coglieva una posizione più
problematica, espressione di una cultura per la quale lotta
economica e lotta politico-parlamentare formavano un tutto unico e
che poneva l'esigenza di una tattica di partito integrale.
La dura sconfitta alle urne indusse l'area degli
ex-radicali e repubblicani, della “Squilla”, della “Lega Democratica
Sociale”, a prendere la decisione, nel corso di una riunione tenuta
il 15 novembre 1892, di fondare la sezione del “Partito dei
lavoratori di Torino e provincia”, in attesa di concordare
l'affiliazione a livello nazionale. Fu una forzatura di un gruppo di
organizzatori che in questo modo si candidava al ruolo di direzione
del socialismo torinese in sostituzione della “vecchia gurdia”.
Il quadro dirgente che guidò il processo
di formazione del partito non proveniva dalle esperienze storiche
del socialismo, (con l'eccezione del vecchio operaista Paolo Alessi)
ma dall'associazionismo repubblicano e a dare il tono al nuovo
partito più che la componente operaia, presente con Chenal,
Daghetto, Racca e gli organizzatori Quirino Nofri e Morgari, fu
quella quella dei giovani di simpatie democratiche e repubblicane
provenienti dall'Università e destinati a ruoli di primo
piano come Claudio Treves, Adolfo Zerboglio, Guglielmo Ferrero,
Camillo Olivetti, Mario Novaro, Zino Zini, Guglielmo Ferrero, Felice
Momigliano, Gina e Paola Lombroso. Fu un passaggio di consegne non
formalizzato ma dovuto alle indubbie capacità organizzative
di alcuni personaggi che dimostrarono di meritare un ruolo di guida
nel partito e di saperlo condurre alla conquista di nuovi traguardi.
Il Partito esordì organizzando una serie di conferenze
operaie a partire dal 2 dicembre e indicendo le elezioni per il
rinnovo della Commissione Esecutiva della CdL che, sebbene fondata
appena da un anno, languiva in difficoltà amministrative e
politiche. Il nuovo gruppo dirigente restituì la CdL
all'influenza socialista, cosa che aveva un significato particolare
alla luce dei principi organizzativi stabiliti al Congresso di
Genova, e si presentò come gruppo autonomo, dandosi una
struttura unitaria al posto della precedente federazione di
associazioni di mestieri e di circoli politici
Al momento dell'adesione nazionale, il 14 gennaio 1893,
i soci iscritti erano solo 80, ma già il 21 confluì la
Lega Democratica Sociale portando un contributo essenziale di soci e
di risorse con 300 iscritti, ad aprile 1893 divenuti 400. e la
Squilla cessò le pubblicazioni irrobustendo il Grido del
popolo, divenuto organo ufficiale a livello locale. Al successo di
questo giornale contribuì anche il declino del “Ventesimo
secolo” di Lerda e Schiaparelli.
In questa fase di impianto dell'organizzazione, a prendere le
iniziative (formazione di una commissione di propaganda, istituzione
di una scuola di partito, piano di potenziamento del “Grido”) fu un
gruppo composto dall'insegnante Battelli, dal medico Norlenghi,
Morgari, Daghetto, Allasia, Zerboglio, Treves, Cagno......
La sezione si formò su alcune basi politiche e
ideologiche: propensione all'analisi sociologica, influenza
del socialismo prampoliniano-emiliano; critica
dell'ordinamento borghese più moralista che marxista.
Come scriverà La Stampa alcuni anni dopo, il partito
socialista a Torino “lo fondarono un esiguo numero di persone,
giovanissime quasi tutte, alcune colte, quasi tutte sentimentali e
talune fino alla mobosità, agitate da sogni seducenti di
ricostruzione dell'attuale società viziata e corrotta” [12]
Per la giornata del Primo Maggio 1993 il partito tenne
13 conferenze in città e altre 4 in provincia, dando
così l'immagine di un'organizzzione forte e radicata sul
territorio. Il 28 maggio Morgari tenne un comizio al Teatro
Nazionale in appoggio alla proposta di legge del deputato
democratico Pietro Albertoni di abolizione dei dazi sui beni di
largo consumo e di una tassazione fortemente progressiva sulle
successioni. A maggio iniziò la propaganda nelle campagne
attraverso conferenze e in giugno i quattro candidati alle
amministrative (Morgari, Nofri, Alessi, Goria) ottenevano 1809 voti
che erano anche il risultato della precedente conquista di
un'importante istituzione quale la Cooperativa ferroviaria
Nell'agosto del 1893 ad Aigues Mortes in Provenza erano
avvenui dei gravissimi scontri tra gli operai locali e quelli
italiani che accettavano di lavorare nelle saline per salari
più bassi, culminati nel linciaggio di una trentina di
immigrati. Alle dimostrazioni antifrancesi appoggiate dal governo, i
socialisti torinesi contrapposero una piccola manifestazione nel
corso della quale Morgari fu arrestato e subì la sua prima
condanna: dieci giorni di arresto per violazione dell'art. 434
(disobbedienza all'ordine di scioglimento d'una manifestazione)
Al congresso di Reggio Emilia del settembre 1893 Morgari non fu tra
i delegati della sezione torinese, che inviò Giuseppe
Battelli e Claudio Treves
Il 29 ottobre 1894 fu condannato a quattro mesi di detenzione e a
300 lire di multa per un discorso tenuto durante un banchetto a
Romano Canavese. Nel novembre dello stesso anno fu sul banco degli
imputati della pretura di Torino[13] con Treves e Guglielmo
Ferrero per un proclama inserito nel Grido del Popolo e venne
definito: «uno dei più esaltati caporioni del Partito
in Torino» e condannato a tre mesi di confino a Morgex
(Aosta). Per concludere, il 18 febbraio 1897 a Roma, durante il
processo a 120 socialisti, venne condannato ad un'ammenda di 10 lire
per aver protestato contro il decreto di scioglimento della
federazione socialista romana.
Dal 1896 Ia propaganda socialista a Torino
trovò nella questione dell'amministrazione cittadina la leva
più potente di agitazione. Di fronte ai problemi delle masse
popolari riusciva, con un «programma minimo», a
sostanziare la fede nell'avvenire di solidi motivi immediati:
socializzazion dei servizi pubblici (acqua, gas, telefoni, luce),
abolizione dei dazi sui consumi, giornata lavorativa di otto ore per
i dipendenti municipali, facilitazioni alle cooperative, istruzione
laica obbligatoria e gratuita.
Per le elezioni politiche del 1897 venne enunciato un
programma più avanzato, propagandando oltre alla grande
rivendicazione democratica del suffragio universale la concezione
della "nazione armata”: “facciamo come in Svizzera”, dice Morgari
che non si limita ad illustrare questo programma attraverso giornali
e opuscoli ma insiste sulla necessità della costituzione di
circoli, come strumenti fondamentali di penetrazione.
4. L'elezione nel 1897 e il “Novantotto”
Nel 1897 furono eletti in Italia 15 deputati socialisti, di cui due
in collegi torinesi: Quirino Nofri, ferroviere e cooperativista e
Morgari, anche se la sua candidatura fu ostacolata, come traspare da
una lettera a Treves: “Ritengo non sia assolutamente necessario che
i rappresentanti del Partito in Parlamento siano tutti e senza
eccezione scelti nella categoria delle macchine da discorsi e da
teoria, ma anche qualche volta, in quella degli uomini da lavoro e
di senso pratico, atti non solo ad illustrare e a demolire, ma anche
ad amministrare, organizzare, costruire. Disposto a ritirarmi
di fronte a candidature operaie (...) non lo sono di fronte
alle candidature di chiunque altro (...)
Dimostrami che l'interesse del Partito
esige il mio ritiro. Se rimango convinto mi
ritirerò»[14].
Il 5 maggio 1897 esordì in Parlamento con una
interrogazione al Ministro dell'Interno sulla morte del
detenuto Frezzi, un anarchico deceduto in circostanze sospette nelle
carceri di San Michele a Firenze. Intervenne più volte in
favore degli operai delle manifatture tabacchi; difese i dipendenti
del Ministero della Guerra che chiedevano le 10 ore. Chiese,
associandosi alla campagna promossa dai partiti dell'Estrema, il
trasferimento di fondi dai bilanci dei dicasteri «non
produttivi», quali l'esercito e la marina militare, a quelli
dell'agricoltura e dell'industria. Fece parte della prima redazione
dell'«Avanti!» e ne fu amministratore; ma nel gennaio
del 1898 rinunciò a quest'incarico per dedicarsi maggiormente
all'opera di propaganda e motivò così le sue
dimissioni: "non sono all'altezza; o dirò meglio alla
bassezza di un incarico che esige spirito inquisitoriale,
severità, misure di rigore. Negli impiegati e nei dipendenti
di ogni fatta vedo dei compagni con cui l'estrema familiarità
delle relazioni toglie la possibilità del tiraneggiare. Vedo
degli uomini e dietro ogni loro pena le cause ereditarie di
nutrizione, di nervi, di bisogno e di passione che quella deficienza
producono e ciò mi disarma. Non sono tagliato per
comandare»[15]
Nel 1998 il tribunale di Biella lo condannò a tre mesi e 26
giorni e ad una multa di 100 lire per eccitamento all'odio fra le
classi sociali, in seguito alle parole pronunciate in una conferenza
elettorale a Cossato nel 1897, in appoggio alla candidatura di
Dino Rondani[16], anche lui eletto deputato in quella legislatura.
Nell'aprile del 1898 fu presente con Andrea Costa e Camillo
Prampolini allo sciopero di Molinella e presentò diverse
interrogazioni sulle cause che avevano portato allo scioglimento
della cooperativa locale. Pochi giorni dopo partì con Rondani
per Palermo, per sostenere la locale sezione nella lotta contro la
mafia crispina della zona.
A Torino si ebbe inizialmente scarsa eco dello scoppio dei moti del
maggio 1898, tanto che Morgari, Nofri e Treves firmarono un
manifesto della sezione in cui si lamentava «la lotta
micidiale di Milano, che si combatte senza un chiaro
obiettivo» e si invitavano i socialisti ad astenersi da ogni
dimostrazione, a mantenere fede alla tattica evoluzionistica del
partito, al gradualismo «che solo potrà portare il
proletariato alla conquista del potere politico" . Il 9 maggio il
generale Bava Beccaris, comandante della piazza militare di Milano,
che per la proclamazione dello stato d'assedio aveva ricevuto dal
capo del governo Rudinì i pieni poteri, fece trattenere
Turati e Bissolati, presentatisi in questura per protestare contro
l'espulsione della Kuliscioff, "essendovi evidente flagranza reato
incitazione rivolta per parte entrambi", fece arrestare Andrea
Costa e diede analoghe disposizioni per Morgari e il deputato
socialista di Carpi Alfredo Bertesi.[17]
Lo stessogiorno partì per Milano ma non riuscì
a trovare contatti, essendo tutti incarcerati o fuggiti;
partì allora per Lugano per avere notizie più precise
dai compagni là riparati. In questo viaggio l'autorità
di P.S. volle vedere un legame con la tentata invasione di bande
armate dalla Svizzera[18].
Gli arresti avvengono sulla base di elenchi predisposti dalle
questure, quasi mai in flagranza di reato e per lo più
senza prove e capi d'accusa, alla ricerca dei quali si procede al
momento del processo.
Il commissario straordinario di Milano propose l'arresto fuori
della sua giurisdizione anche di Rondani, bestia nera degli
industriali biellesi perché animatore delle lotte operaie
della Valsessera e di Nofri, organizzatore dei ferrovieri, Si
scatena dunque la caccia benchè fosse prescritta la flagranza
di reato per l'arresto di membri del parlamento.
Rondani è già riuscito a espatriare. Meno
fortunati furono Nofri e Morgari. Il primo, dopo essere stato
sorvegliato, è fermato a Torino la sera del 12. Morgari
il 14 maggio è arrestato a Roma “essendo risultato essersi
egli trovato Milano nel giorno nove quando avvennero tumulti
Monforte, parendomi inoltre esistere flagranza a termini del
capoverso articolo 33 codice penale essendo stato trovato deputato
denaro giornale sovversivo "Avanti" e così in possesso
oggetti che lo fanno presumere coautore in reato di istigazione.”
A fabbricare le prove provvide la questura di Milano, con due
voluminosi rapporti all'avvocato fiscale militare. Preoccupazione
primaria del questore è di ribadire il carattere
insurrezionale dei tumulti, l'ideologia rivoluzionaria dei partiti
socialista e repubblicano e degli anarchici, la
responsabilità determinante di trentadue capi socialisti,
repubblicani, anarchici che coincidono con gran parte del
gruppo dirigente nazionale e locale dei tre movimenti politici.
Contro Morgari non esisteva che l'accusa di essere per Torino “quasi
quello che Turati era in Milano” cioè un abile organizzatore
e propagandista. Il processo presso il Tribunale militare si
concluse il 12 agosto con l'assoluzione di Morgari e la condanna di
Turati e del deputato repubblicano De Andreis a 12 anni (ma furono
liberati l'anno successivo)
5. L'ostruzionismo
Caduto il governo Rudinì gli succedette Pelloux, che si mosse
sulla stessa linea, anche se con una maggioranza parlamentare
inizialmente allargata ai liberali zanardelliani e giolittiani. In
materia di ordine pubblico era stato approntato un decreto che dava
all'autorità di pubblica sicurezza la facoltà di
"vietare, per ragioni di ordine pubblico, gli assembramenti e le
riunioni politiche"; vietava di portare ed esporre in pubblico
"insegne, stendardi o emblemi sediziosi"; dava facoltà
al ministro dell'interno di sciogliere le “associazioni dirette
a sovvertire, per vie di fatto, gli ordinamenti sociali o la
costituzione della stato"; vietava la sciopero degli "impiegati,
agenti ed operai addetti alle ferrovie, alle poste, ai telegrafi,
alla illuminazione pubblica"; aggravava le disposizioni penali in
materia di reati di stampa estendendo la responsabilità di
eventuali pubblicazioni incriminate anche agli "autori e
cooperatori" delle pubblicazioni stesse, oltre che al gerente del
giornale. Si trattava di un testo assai lesivo della
libertà e pericoloso, poiché poteva essere il punto di
partenza di ulteriori disposizioni repressive.
L'11 giugno 1899 nelle elezioni per il rinnovo parziale del
consiglio comunale di Milano la coalizione dei radicali,
repubblicani e socialisti ottenne 19.000 voti contro 15.000
andati alla coalizione clerico-moderata e il radicale Mussi, padre
del giovane ucciso durante la manifestazione dell'anno precedente
che era stata la scintilla dei moti milanesi, divenne sindaco di
Milano. A Torino, a Firenze e in altre città, furono
ottenuti dai socialisti altri successi, indicativi del nuovo
orientamento dello spirito pubblico, oltre che della forte
ripresa delle organizzazioni operaie.
Per il governo Pelloux, l’esito delle elezioni rappresentava un
campanello d'allarme; nonostante ciò decise di far passare il
decreto in seconda lettura alla Camera. L'incauta mossa ebbe come
effetto non solo di esasperare la volontà
ostruzionistica dell'estrema sinistra, ma di far passare
all'opposizione la sinistra liberale di Giolitti e Zanardelli, che
fino a quel momento si era preoccupata di tenere le distanze
dall'azione dell'estrema, suscitando perplessità e riserve
persino in alcuni ambienti conservatori settentrionali, se non
altro per ragioni di opportunità politica quando non per
scrupoli legalitari.
L’ostruzionismo, già ipotizzato dai socialisti da mesi,
annunciato alla Camera e parzialmente applicato alla ripresa dei
lavori, si esplicò, formalmente sempre nei limiti del
regolamento dell'assemblea, con la presentazione di emendamenti, con
continue richieste di verifica dell'esistenza del numero
legale, con discorsi fatti al solo scopo di protrarre la discussione
a tempo indeterminato e che appaiono una giostra di trovate, come a
esempio la pseudo arringa dell'afono Bertesi, le disquisizioni
di Morgari fatte con voce lentissima, sillabando le parole, i
discorsi di quattro, cinque ore di Ferri e Pantano, le provocazioni
alla maggioranza per suscitare incidenti e la conseguente
sospensione della seduta. L'ostruzionismo, cui non partecipò
la sinistra liberale, rese assai agitata l'atmosfera dell'assemblea
ed innervosì la maggioranza governativa, non abituata a quel
metodo di lotta nuovo per il parlamento italiano
La seduta della Camera del 30 giugno 1899 all'ordine del giorno ha
le modifiche al suo regolamento e la conversione in legge del
decreto 22 giugno 1899. Terminato il primo appello sorge Prampolini
a chiederne un secondo per l'approvazione del verbale, forte del
regolamento della camera. Il presidente arbitrariamente rifiuta
e mette ai voti il verbale per alzata e seduta, tra le proteste
e le grida dell'Estrema, in un clima che diviene subito arroventato.
Quando il presidente della Camera fece preparare le urne per una
votazione a scrutinio segreto vi fu uno scontro tra Bissalati e
Sonnino, che vennero alle mani, mentre Prampolini Morgari e De
Felice si impadronirono delle urne e le rovesciarono
disperdendo le schede dei deputati che già avevano votato.
Nel tumulto generale il presidente dichiarò allora sciolta la
seduta e poco dopo fu annunciata la chiusura della sessione[19]. La
ripresa dei lavori fu stabilita per ìl 14 novembre.
Il giorno dopo il presidente, i vicepresidenti e i segretari della
camera si riunirono per decidere quali sanzioni adottare contro i
responsabili della rottura delle urne, ma l’avvenuta chiusura della
sessione, avendo fatto decadere l’intero ufficio di presidenza,
li pose nella condizione di non poter deliberare alcun
provvedimento.A questo punto intervenne la magistratura a promuovere
d’ufficio, contro Bissolati, De Felice, Morgari e Prampolini
un’azione penale per avere impedito alla Camera l’esercizio di una
delle sue funzioni. All’intervento del potere giudiziario non erano
estranee le pressioni dell’esecutivo, che sperava così di
colpire l’ostruzionismo e i suoi più battaglieri esponenti
La sentenza di rinvio a giudizio della corte d'appello di Roma, le
requisitorie del P.M. e del procuratore generale, l'ordinanza della
camera di consiglio del tribunale sono concordi -
dinanzi agli imputati che sostengono di essere stati costretti
a difendere con la forza i diritti della minoranza dalla violenza
esercitata dal presidente dell'assemblea asservito alla
maggioranza e che dichiarano perciò non solo di non aver
commesso il reato a loro attribuito, ma di aver compiuto lo stretto
dovere di deputati - nell'affermare il principio che, essendo
"sovrana la maggioranza nelle nostre istituzioni
costituzionali, non si saprebbe capire come possa la sua
deliberazione qualificarsi violenza e tale da consentire una
reazione fuori le linee della legalità con vie di fatto
costituenti delitto." A giustificazione poi della procedura contro
quattro deputati senza tener conto delle immunità
parlamentari, la magistratura si appella al tipo di reato che
appartiene ai delitti contro i poteri dello stato ed è quindi
"evidentemente d'azione pubblica", mentre lo Statuto garantisce
ai membri del parlamento di non essere arrestati soltanto nel
periodo di apertura della sessione parlamentare.
La risposta di Bissolati, De Felice, Morgari e Prampolini
all'intervento dei giudici romani è politicamente abile:
pur ribadendo che la magistratura non ha alcun diritto di
giudicare il modo in cui si svolgono le discussioni parlamentari,
essi dichiarano di astenersi dal sollevare eccezioni sulla
legittimità e regolarità dell'azione giudiziaria,
perché a tutti "importa per ragioni politiche che il
processo abbia corso colla maggiore possibile sollecitudine,"
per trasformare l'azione giudiziaria in un processo
politico.
Perciò non soltanto confermano, durante gli interrogatori, i
fatti attribuiti loro dall'accusa, ma addirittura si spingono
fino all'autodenuncia allo scopo di allargare sempre più le
dimensioni del processo politico contro il governo[20]. A questo
punto però il governo, dopo aver tentato di servirsi della
magistratura per colpire gli ostruzionisti, è costretto a
retrocedere, per evitare di divenire, dinanzi al paese, da
accusatore accusato.
L'inizio del processo presso la corte d'assise di Roma è
già stato fissato dal presidente il 30 ottobre, gli imputati
sono già in carcere, quando la vigilia un decreto reale
annuncia per il 14 novembre l'apertura della terza sessione della
ventesima legislatura e, col restituire loro l'immunità
parlamentare, rimette in libertà i quattro deputati
socialisti evitando nello stesso tempo il processo.
Prima della chiusura della sessione parlamentare la Camera approva
il 9 luglio le conclusioni della commissione incaricata di riferire
sull'autorizzazione a procedere contro i deputati Turati, De
Andreis, Bissolati, Andrea Costa, Morgari, Bertesi, Rondani,
Pescetti per eccitamento alla guerra civile, istigazione e
associazione a delinquere. Facendo proprie le argomentazioni
dell'avvocato fiscale del Tribunale Militare di Milano e le
conclusioni della commissione parlamentare viene data via libera
all'apertura di un procedimento penale contro Turati, il
repubblicano De Andreis, Morgari e il socialista toscano Pescetti
Mentre a Montecitorio si svolgevano queste vicende, il paese
rimaneva tranquillo: nessuna saldatura si operò fra l'azione
ostruzionistica dell'Estrema e i movimenti popolari, sia per il
senso di stanchezza e frustrazione lasciato dall'esperienza del
maggio precedente, sia per il rapido processo di
normalizzazione seguito alle misure repressive: molte
associazioni disciolte avevano potuto ricostituirsi e la maggior
parte dei giornali sospesi riprendere le pubblicazioni;
già nel dicembre i condannati con pene inferiori a due
anni avevano riacquistato la libertà grazie a un indulto e
infine proprio nel giugno 1899 un secondo provvedimento di
clemenza restituì la libertà anche ai rimanenti. Ma
più importanti ancora erano gli effetti della fase economica
ascendente che stava ormai consolidandosi i cui benefici
cominciavano a filtrare vedo il basso.
6. L'attività all’inizio del Novecento (1900-1905)
Dopo la fase di repressione del biennio '98-'99, con il nuovo secolo
si aprì un'epoca di riforme (pur con una dura gestione
dell'ordine pubblico che degenerò in frequenti eccidi di
dimostranti) e di graduale inserimento del socialismo nella
compagine nazionale, che durò con fasi alterne per un
quindicennio, fino allo scoppio della guerra mondiale.
Al governo presieduto da Zanardelli, con un programma di riforme
liberali, per la prima volta nella loro storia i socialisti
concessero il voto. Nonostante questo appoggio esterno, a seguito
della campagna di stampa promossa nel 1903 da Ferri contro il
ministro della Marina ammiraglio Bettolo, Morgari con il deputato
liberale Franchetti propose un’inchiesta parlamentare che di
fronte alla gravità delle accuse, facesse piena luce sui
rapporti della Marina con le ditte fornitrici, in particolare la
società Terni.
La Camera respinse la proposta con una maggioranza però
piuttosto esigua (188 voti contro 149) in quanto numerosi
deputati di destra avevano fatto confluire i loro voti con quelli
dell’Estrema. Giolitti si dimise il giorno successivo al voto, in
modo da non venir coinvolto nel declino zanardelliano, e il governo
sopravvisse pochi mesi con un semplice rimpasto.
La sua attività politica non si esauriva in quella
parlamentare: durante lo sciopero dei portuali di Marsiglia de 1990,
andato ad incoraggiare alla lotta i lavoratori italiani, venne
espulso come perturbatore dell'ordine ed accusato da alcuni giornali
italiani di essere pagato dai commercianti liguri, interessati ad
attrarre a sé il traffico del porto francese. A seguito
del viaggio del re in Russia nel giugno 1903, venne annunciato alla
Camera che lo zar avrebbe restituito la visita; egli dichiarò
che "qualunque grido di acclamazione sarebbe stato un plauso allo
knut"[21] e che sarebbe stato accolto dai fischi dei
sociaIisti. I riformisti ironizzarono sulla "politica del
fischio"[22] e i paventati fischi fornirono il pretesto per rinviare
una visita sgradita al governo di Vienna
Sempre nel 1903, durante l'insurrezione in Macedonia, si recò
sul posto e inviò all'Avanti! una serie di articoli.
Nel 1903 Zanandelli si dimise e subentrò Giolitti, cui il
Partito Socialista, a differenza di quanto fatto nei confronti del
governo precedente, negò la fiducia. PersonaImente
Morgari, che denunciò sempre i brogli elettorali di Giolitti,
riteneva tuttavia che per l'immediato futuro soltanto un governo
giolittiano avrebbe potuto procedere sulla via delle riforme e in
quell'occasione egli scrisse: “Ora che Ella definitivamente non
è più ministro... delle elezioni. tra l'altro. posso
dirigerle questo saluto senza che Ella dubiti della mia
sincerità... lo sono e sarò sempre socialista ma il
progresso va per gradi, ed Ella è tale uomo da personificare
i! progresso per un periodo di I0 o di 20 anni. Poi Ella sarà
sorpassato se non camminerà con esso, ma vi è tempo di
parlarne" [23]
Negli anni successivi Morgari fu presente a molte delle agitazioni
che scoppiarono in tutta Italia: nell'aprile 1904 si recò a
Torre Annunziata in occasione dello sciopero generale locale; in
maggio fu nel vercellese a sostenere le rivendicazioni delle
mondariso; fu presente allo sciopero dei contadini di Magliano
Sabino e a quello dei minatori Capoliveri.
Nel settembre del 1904 in un grande comizio a Milano, dopo la strage
dei minatori di Buggerru (Sardegna), fu lanciata la parola d’ordine
dello sciopero generale nazionale; riunitoso il 14 a Roma il
Comitato Esecutivo del PSI, composto da Ferri, Lerda e Morgari, ai
quali si aggiunsero il segretario amministrativo Mongini, Varazzani
per il GPS e Cabrini per il Segretariato della resistenza (embrione
della CgdL). decise in un primo momento di respingere la richiesta
di sciopero generale, che fu comunque proclamato perchè a
causa di un altro eccidio il movimento spontaneo divenne
incontenibile.
7. Il propagandista Morgari e il ciarlatano Frizzi
Il 1. febbraio 1900 fondò il quindicinale "Sempre Avanti!,
periodico per gli umili e i pratici", in cui riprende i moduli della
sua arte propagandistica già collaudata. Alla diffusione dei
principi e degli obiettivi cui sono dedicate le prime due facciate
sotto il titolo “La pagina degli umili”, aggiunge “La pagina dei
pratici”, con la quale si propone di dare maggior mordente alla
propaganda trattando gli argomenti dell’organizzazione e gestione
cooperativa, dell’amministrazione comunale, della condotta pratica
degli scioperi. Interessante è la rubrica “Se fossi deputato,
cosa farei?” che pubblica le risposte dei lettori.
Morgari rivela una grande capacità di volgarizzatore,
teorizzando così il suo metodo di predicazione: ”Per attrarre
le masse lavoratrici è necessario convincerle e per
convincerle occorrerà parlare in maniera da essere compresi.
Bisogna ridurre ai termini minimi il bagaglio delle idee, renderle
semplici, riferirsi a dei fatti conosciuti, partire dal noto per
giungere all’ignoto, servirsi di parabole e fare impiego di una
lingua che altro non sia che dialetto tradotto, insomma discendere
fino al basso livello culturale delle masse lavoratrici, prenderle
per mano e riaccompagnarle adagio adagio all’insù”[24] e
a chi lo accusava di cadere nel semplicismo, rispondeva:
«Bisogna dividere il lavoro. Occorrono discorsi, giornali e
opuscoli per le classi colte, discorsi, giornali e opuscoli per le
non istruite». A queste ultime egli rivolse specialmente la
sua opera.
Essa fa appello agli stessi sentimenti elementari e profondi
dell’operaio, al suo spirito di giustizia e fratellanza,
convincendolo che soffre non perché i padroni siano cattivi
ma perchè il sistema sociale è ingiusto. Nel povero
è racchiusa la figura ideale del sofferente e dell’oppresso,
accomunando il muratore e il contadino, il mendicante e la ragazza
di filanda. Ad essi si rivolge badando non solo a cementarne
l’unione ma a liberarli dai pregiudizi antisocialisti radicati negli
strati popolari: rompendo con la tradizione dei primi fogli operai,
l'atteggiamento verso la religione, la patria, le istituzioni
è rispettoso: “Il socialismo non vuole distruggere né
la famiglia, né la religione, né la
proprietà, né la libertà. Vuole procedere
con mezzi pacifici, a grado a grado…i socialisti non vogliono
spartire: mettono insieme: tutti procedono come soci». La
descrizione avveniristica di una società di eguali è
l'espressione di una fiducia positiva nell'evolversi
dell'umanità verso un mondo di giustizia.
La tecnica della propaganda ha una suggestiva presa sentimentale e
insieme regole fisse, elementari. Procede a base di dialoghi,
apologhi, vignette, con una didascalica convincente e meticolosa che
non ignora i richiami letterari, alla Zola, di una descrizione
veristica.
Nel 1896 aveva scritto “L'arte della propaganda socialista”,
pubblicata a puntate e poi raccolta in un opuscolo che ebbe vasta
diffusione e fu più volte ristampato[25]. E' un testo
didascalico, interessante oggi solo in quanto rivelatore della
ideologia socialista "media" del tempo: come testi per la formazione
del propagandista “colto” indicava "un riassunto delle teorie di
Darwin e Spencer...Marx completerà la fondamentale triade col
celeberrimo e indispensabile suo Capitale, il vangelo dei socialisti
contemporanei", a cui aggiunge il "Socialisme integral" di Benoit
Malon, “Socialismo e scienza positiva” di Enrico Ferri, Schaffle “La
quintessenza del socialismo”, Bellamy "L'anno 2000", mentre agli
operai consigliava la lettura dei giornali di partito.
L'andata al popolo, l'origine piccolo-borghese dei quadri, è
proclamata così: “Sono ben spesso i migliori, codesti
disertori della loro classe. Avrebbero tornaconto a mantenere il
presente assetto sociale, sì mite per loro e lo combattono.
Essi nel partito sono i più disinteressati. Il partito fu
fondato dai disertori della classe abbiente e quasi ovunque è
diretto da essi”
Sempre nel 1896 fondò il periodico “La parola del povero.
Foglio di propaganda popolare”, supplemento quindicinale del
"Grido del popolo" che si pubblicava con il motto “Lavoratori voi
non siete piccini se non perchè state in ginocchio:
alzatevi". Presentandolo scrive:”È la parola che viene dalla
risaia dove bruciano al sole fanciulle decenni e vecchi falciatori;
è la parola che esce dalle fabbriche dove si consuma tanto
fiore di giovinezza: è la parola che sale dalla perpetua
notte delle miniere e dalle zolfatare, sepolcri di vivi:
è la parola che viene dalle soffitte fredde e dai bugigattoli
marci, dove si pigiano tutte le miserie. Conteneva l'interessante
rubrica "Prime notizie dalla città futura" e nell'ultima
pagina la pubblicità dell'Alleanza cooperativa torinese. Ebbe
una notevole diffusione di massa tirando nei primi 23 numeri
complessivamente più di 300.000 copie. Sul “Sempre
Avanti!” nel 1902 aveva pubblicato in appendice l’autobiografia di
Arturo Frizzi, singolare personaggio di venditore ambulante
convertitosi al socialismo[26], che mise al servizio del partito la
sua “arte” di oratore popolare.
Questo scritto aveva anche lo scopo di mettere “in luce che il
merito della mia riabilitazione la devo alla fede socialista che
sempre mi sarà costante compagna nella lotta per
l’esistenza". Per il genere di vita che conduceva, la sua richiesta
di iscrizione non venne subito accettata e Bissolati, cui si era
rivolto, gli rispose “sii buono, pazienta ancora, sta un po’ sotto
aceto, poi in seguito rifarai la domanda, e se ti comportrai bene,
come ho fiducia, sarai soddisfatto. Non dubiti, caro Leonida – io
replicai- che farò meno male di quanto mi sarà
possibilie per rendermi degno di voi socialisti, veri apostoli di
Cristo[27]...Voi soli meritate tutto il rispetto perchè
disinteressatamente sostenete le ragioni degli umili, degli offesi,
degli sfruttati. Tre anni dopo fui accettato nel Circolo di Cremona,
poi per maggior comodità, causa la mia posizione di ambulante
mi iscrissi alla Sezione Centrale dove pagavo le mie quote”.
Per un atto di rispetto verso i compagni aveva ritenuto doveroso
abbandonare Rosina, la donna che amava ma che non era sua moglie,
come di frequente succedeva nel mondo degli imbonitori. Questo gesto
fu apprezzato come espressione della volontà di
riabilitazione ma Morgari nella nota di commento allo scritto volle
sottolineare di non considerare “come fallo” l’incontro con questa
donna: “... noi rivendichiamo altamente ad ogni essere umano,
come massimo bene, il diritto alla libertà dell’amore ....che
prorompe fin d’ora – rivoluzionariamente – nei casi come quello
narrato dall’autore, ma che avrà pratica e generale sanzione
soltanto in una società socialista, allorchè l’uomo e
la donna, posti su uno stesso piede d’eguaglianza economica,
più non si vincoleranno che per amore, sciogliendosi quando
l’amore non c’è più, senza danno materiale per alcuna
delle parti, e nemmeno pei figli”
Frizzi partecipò alla vita di partito sia come propagandista
che come candidato in prima persona e collaborando alla stampa
socialista come diffusore ed anche inviando corrispondenze a vari
fogli: "La nuova terra", "Il popolo" di Trento diretto da Battisti,
ecc. Intervenne al congresso di Bologna del 1904
dichiarando "di essere venuto con simpatie riformiste ma di essere
diventato intransigente dopo il discorso di Lazzari " [28]. Si
dimise nel 1912.
Ripubblicata col titolo “Il ciarlatano” e con la prefazione del
direttore della “Giustizia” Giovanni Zibordi nel 1912, la biografia
conteneva una dedica a Oddino Morgari “cui devo l’essere diventato
un socialista, pratico e nemico della violenza, da qualunque parte
venga. Lo chiamo con orgoglio mio padre, sebbene di due anni
più giovane, perchè per me egli fu tale come per
molti, che dalla sua parola appresero la vera natura del socialismo”
8. A Torino agli inizi del secolo. Lo sciopero dei gasisti (1902)
Nel 1897 in Piemonte i voti socialisti balzarono da 8.850 a 30.000,
superando quelli della Lombardia. Nel capoluogo raccolsero
5.400 voti su 20.000: un torinese su quattro votava PSI. In
una città dove la classe operaia crebbe nel ventennio
1881-1901 solo dal 28 al 29% della popolazione attiva, fu decisiva
per i successi elettorali l'alleanza con la piccola borghesia
impiegatizia, esercente ed intellettuale, che a differenza di altre
città non aveva una formazione democratica che la
rappresentasse (in povincia di Torino contro i 48.000 voti
costituziionali e 14.000 socialisti si hanno appena 3.000 voti
radicali) ma votava direttamente per i candidati socialisti.
Di estrazione borghese erano quasi tutti i quadri e i candidati
nelle elezioni. Nofri e Morgari erano dirigenti di quelle
associazioni mutualistiche che, col loro fitto e ramificato tessuto,
fungevano da tramite fra gli interessi economici della classe
operaia e dei ceti piccolo-borghesi. L'equilibrio era destinato a
rompersi con i primi anni del '900 quando la nascita della grande
industria avrebbe dilatato la massa operaia.
Il 1900 si aprì, per il socialismo piemontese, con la
celebrazione del 7. Congresso regionale, tenuto ad Alessandria il 6
gennaio in cui il neo-sindaco della città Paolo Sacco,
relatore sulla tattica, propose l'alleanza tra i partiti popolari
come elemento permanente della politica socialista, incontrando
resistenze nella sezione torinese dove il riformismo era
accompagnato alla chiusura ad alleanze per mancanza di partners.
Nel 1900 il PSI aveva a Torino una estesa base elettorale: oltre ai
due deputati (Quirino Nofri e Morgari), 17 consiglieri comunali e 3
provinciali ed è accusato di badare essenzialmente alla lotta
politica e amministrativa trascurando la lotta economica e di
fabbrica. Nel giugno 1902 si accresce di altri nove consiglieri
comunali provenienti dalle file della borghesia professionale e
accademica.
A dicembre 1900 entrarono in sciopero i fonditori, ma non
bastò la mobilitazione compatta per quasi due mesi e la
solidarietà di altri lavoratori per aver la meglio
sull'intransigenza degli industriali; lo sciopero sostanzialmente
fallì, senza che l'organizzazione delle leghe di
mestiere si sfaldasse: tra la fine del 1901 e l'inizio del 1902, la
Camera del lavoro conta 6500 operai organizzati, numero comunque
modesto in rapporto al totale della massa lavoratrice cittadina e se
confontato ai 28.000 d Milano. I dirigenti sindacali e i quadri di
partito vivono con apprensione questa vigilia della prima grande
battaglia dei lavoratori torinesi: è in gioco, a livello
locale, la credibilità della linea strategica riformatrice e
legalitaria che il PSI ha confermato con il voto di fiducia espresso
nel febbraio 1901 al governo Zanardelli.
L'occasione sembrò giungere agli inizi di febbraio del
1902, quando gli operai gasisti delle due Società esercenti
in città scendono in sciopero. L'agitazione è seguita
dai dirigenti sindacali: nel salone dell’AGO dove i gasisti si sono
riuniti per decidere lo sciopero sono presenti oltre al segretario
della Lega, il consulente legale dei gasisti, il rappresentante
della CdL e quello della Federazione nazionale, che si
dichiarò favorevole allo sciopero in considerazione dei
successi ottenuti dalla categoria in altre città italiane.
Scontata è l'intransigenza delle due società
produttrici che hanno già dimostrato, non rispondendo al
memoriale, di non voler trattare. Ma un elemento nuovo e non
previsto rende problematica una favorevole risoluzione della
vertenza: le autorità cittadine e governative intervengono
nel conflitto, vanificando ogni possibilità di vittoria
operaia. Il giorno 4 il prefetto rifiuta di ricevere una delegazione
operaia e invia la truppa, affinché presìdi i
gasometri e contribuisca al funzionamento dei forni. Il sindaco
respinge la proposta operaia di continuare a prestare servizio di
accensione dei lampioni nelle vie cittadine e ne incarica gli
spazzini comunali.
Morgari inviò un telegramma di protesta a Giolitti, in cui
denuncia l'operato del prefetto e fa presente che
ad Alessandria, in un'analoga situazione, non vi era stato l'invio
della truppa e, anche a Genova, dove inizialmente erano stati
mandati dei soldati, questi erano stati subito ritirati.
È di alcuni giorni dopo un secondo telegramma di protesta di
Morgari, che dice fra l'altro: “Questo non si chiama garantire la
pubblica sicurezza, ma parteggiare per il capitale contro il lavoro.
Chiedo che si ordini al locale prefetto il ritiro dei militari o la
sua immediata intromissione per risolvere la vertenza”.
Anche i consiglieri comunali socialisti, nella seduta del 12
febbraio, protestarono vivamente contro il comportamento del sindaco
facendo presente che le società, legate da una convenzione
con il comune, sono da considerarsi inadempienti avendo rifiutato di
prendere in considerazione le richieste operaie. Nel frattempo le
due società hanno invitato, pena il licenziamento, le
maestranze a presentarsi al lavoro. L'appello cadde nel vuoto, ma
ormai la situazione è compromessa L'intervento dei soldati e
il reclutamento di crumiri ha riportato la normalità nel
servizio d'illuminazione. Il 19 febbraio la proposta della
commissione degli operai gasisti che la soluzione della vertenza
fosse demandata a un collegio arbitrale fu rifiutata, facendo
giungere al culmine l'indignazione della massa operaia torinese.
Nella notte del 20-21 sono diffusi manifestini inneggiami allo
sciopero generale, nella mattina del 21 vi sono alcune astensioni
spontaneamente dal lavoro, nel pomeriggio il numero degli
scioperanti aumenta. Un gruppo di dimostranti è caricato
dalla truppa e si effettuano alcuni arresti, alle 17 parlano alla
folla Actis, Casalini e Morgari, che è il più
deciso nell' invitare allo sciopero generale cittadino
In serata, la commissione esecutiva della CdL redige un manifesto,
in cui prende atto della nuova situazione Non tumulti, non violenze;
la classe operaia dimostra la sua forza semplicemente con
l'astensione dal lavoro. Essa non ritornerà alle officine se
non quando gli operai gasisti avranno ottenuto soddisfazione. I
giorni seguenti sono caratterizzati da scontri tra dimostranti e
forze dell'ordine, ai quali fanno seguito arresti. Allo sciopero non
hanno aderito tutti i lavoratori, ma alcune avanguardie sono decise
a continuare la lotta. Per cinque giorni, 10.600 operai e 5.000
operaie si astengono dal lavoro e sfilano per le vie cittadine,
anche se il prefetto ha proibito ogni pubblica manifestazione.
Fu ancora Morgari nel pomeriggio del 22 febbraio a parlare alla
folla invitandola a continuare la lotta, dopo che nella mattinata
aveva guidato un corteo di protesta sotto il municipio . Nel
frattempo il sindaco convince le due società ad
accettare l'arbitrato, ma solo previa accettazione del
principio dell'illicenziabilità dei crumiri, ciò che
rappresenta per i gasisti una resa senza condizioni. Nonostante
ciò, la CdL e la dirigenza socialista rivolgono un appello ai
lavoratori affinchè riprendano il lavoro, in quanto con il
loro sciopero avrebbero già vinto una grande battaglia.
Anche Morgari, fino all'ultimo deciso sostenitore della lotta, firma
il manifesto. In seno alla dirigenza socialista del partito e della
CdL è ancora una volta prevalsa la moderazione.
Il 27 febbraio in un'adunanza all'A.G.O. Morgari cercò
di spiegare il suo atteggiamento e il perché del manifesto
che invitava al ritorno al lavoro, ma venne apostrofato
violentemente da un anarchico che lo accusò di aver prima
trascinato gli operai nello sciopero generale, rovinandoli, e di
esser si poi ritratto e concluse invitando gli operai a
diffidare da simili «capi» che cercavano piedistalli a
spese degli operai e che sarebbero domani diventati tiranni; Morgari
reagì con un ceffone. Nei giorni successivi, coperto
di lettere di biasimo, pubblicò sul Sempre
Avanti! un articolo amaro ma pacato. In esso affermò di aver
agito secondo coscienza .
Il 1 marzo il lodo obbliga le due società a riassumere solo
224 dei 658 scioperanti . Il bilancio dell'agitazione non può
esser più negativo: alla mancata riassunzione si aggiungono i
200 procedimenti penali degli arrestati.
9. La Segreteria della Camera del lavoro e le lotte del 1906
Il nuovo secolo per i socialisti torinesi inizia con la
ricostruzione a metà febbraio 1900 della Camera del lavoro,
con un graduale processo di riorganizzazione delle leghe.
Alla direzione della Camera del Lavoro, i cui iscritti scendono dai
5500 iniziali a 3500[29], è nominato nell’aprile 1902 il
tipografo Camillo Rappa, che resta in carica fino alla primavera del
1906, ed è quello della sua segreteria un periodo di
ripresa (funestata però da scontri come quello del 17
settembre 1904 dove rimane ucciso l’operaio Garello): già a
metà del 1903 gli iscritti sono 8000, mentre le sezioni sono
salite da 36 a 58; tra queste fanno spicco quella dei tipografi con
528 soci, dei ferrovieri con 1848, dei metallurgici con 649. Queste
tre sezioni comprendono più di un terzo di tutti gli
organizzati.
Dopo la lunga segreteria Rappa, la direzione della Cdl viene
affidata nella primavera del 1906 a Morgari che, tra contrasti di
corrente e conflitti con gli anarco-sindacalisti assunse un
atteggiamento più conciliante cercando di trovare accordi con
le controparti, coadiuvato dal sindaco di Torino, il giolittiano
Secondo Frola.
Il 3 maggio 1907 nella discussione sulla relazione morale e
finanziaria, la C.E. può affermare che i soci sono aumentati
da 8768 a 15626 e le sezioni da 68 a 110 “il grande numero di soci
coincide con la presenza dell’on.Morgari alla segreteria per
l’impulso da lui dato all’ordinamento interno e all’azione esterna.
La CdL può andare orgogliosa. Anche le entrate sono aumentate
da 8643 L. a 17.608”
Durante la sua segreteria la volontà di lotta
delle masse operaie torinesi pone comunque la dirigenza sindacale di
fronte alla realtà di un movimento rivendicativo di
un'ampiezza mai prima conosciuta. Il 30 aprile 1906 le 800
operaie del cotonificio Bass richiedo alla direzione la riduzione
dell'orario di lavoro da 11 a 10 ore. I dirigenti della CdL,
considerata la disorganizzazione della categoria, sconsigliano ogni
forma di lotta. Nonostante ciò il 3 maggio le cotoniere
della Bass scendono in sciopero, seguite il giorno seguente da
quelle degli altri cotonifici, lanifici e maglifici Il 5
maggio lavoratori dei due sessi del settore tessile sfilano per le
vie cittadine. La CdL, pur dichiarando d'essere contraria allo
sciopero, non si esime dall'esprimere solidarietà alle
scioperanti e rende pubbliche le richieste operaie
Lunedì 7 maggio la schiera delle scioperanti risulta
ingrossata dagli operai di molti stabilimenti meccanici e
chimici, che vogliono dimostrare solidarietà alla
categoria in lotta. Come ormai è tradizione, gli scioperanti
si assiepano davanti alla CdL; il lancio di sassi da parte di alcuni
ragazzi provoca la reazione della forza dell'ordine che, guidata dal
commissario di Pubblica sicurezza entra nel cortile dell’AGO,
sparando sulla folla. Il bilancio è pesante: un morto, 8
feriti, 22 arrestati. I dirigenti camerali e i del Partito decidono
all' unanimità la proclamazione dello sciopero generale;
è anche deciso di richiedere lo sciopero generale in tutta
Italia: si effettuerà a Milano, Bologna, Firenze e Roma.
II giorno 8 decine di migliala di lavoratori assistono ai comizi dei
massimi esponenti socialisti. Come nel 1902, in occasione dello
scopero dei gasisti, i toni più accesi e battaglieri
provengono dai discorsi di Morgari. Il 9 maggio, dopo un'imponente
manifestazione popolare, Morgari parlò esaltando la forza
nuova del popolo che si era venuta manifestando accanto alle
tradizionali potenze dello Stato e della Chiesa, della banca e
dell'industria.
Il 9 la CdL dichiara la cessazione dello sciopero.
Già il 7 sera infatti, gli industriali tessili, convocati
nuovamente dal sindaco, avevano deciso di accettare le richieste
operaie. L'8 il prefetto aveva inoltre assicurato che sarebbe stata
aperta un'inchiesta. Gli avvenimenti di Torino hanno una vasta eco a
livello nazionale e uno strascico parlamentare; i deputati
socialisti avendo visto bocciare la proposta intesa a
scongiurare nuovi eccidi rassegnarono le dimissioni.
Quasi tutte le categorie richiedono, spesso
ottenendoli, miglioramenti salariali e normativi; in alcuni
casi non è nemmeno necessario il ricorso allo sciopero.
La favorevole congiuntura economica consiglia gli imprenditori a non
rischiare un arresto prolungato della produzione, che causerebbe una
perdita di profitto. II 12 maggio gli operai carrozzieri presentano
un memoriale contenente la richiesta di un trattamento salariale e
normativo analogo a quello delle fabbriche di automobili. Il 17
la carrozzeria Rothschild concede le 10 ore, l'aumento della paga
delle ore straordinarie e i 10 minuti di tolleranza sull'entrata. Il
19 maggio 1906, nei locali del municipio, i padroni delle principali
sartorie cittadine e una rappresentanza delle operaie del settore
raggiungono un accordo, che prevede l'accoglimento di alcune
delle più significative richieste del memoriale presentato
dalla Lega sarte e modiste.
Le uniche categorie a non ottenere sensibili
miglioramenti appartengano a quei settori produttivi che non hanno
potuto beneficiare della favorevole congiuntura economica.
Il 15 febbraio 1907 viene sostituito da Alessandro De Giovanni, di
tendenza sindacalista-rivoluzionaria, perché chiamato alla
segreteria nazionale del PSI.
Se durante la sua direzione gli iscritti sono saliti, scendono a
11.570 nel 1909, a 9.009 nel 1910 e 9.392 nel 1911 e a 9.117 nel
1912 .
10. La sezione socialista torinese nel primo decennio del '900
Al congresso di Imola del 1902, che vide prevalere i
riformisti, i quattro delegati della sezione torinese votano per la
mozione Ferri-Labriola, senza ricadute immediate sulla sezione
in maggioranza (deputati dei collegi cittadini, consiglieri
comunali, commissione esecutiva della CdL) riformista; solo agli
inizi del 1904 l'acceso dibattito fra le tendenze tocca anche il
capoluogo piemontese. La calorosa accoglienza riservata dai
socialisti torinesi a metà febbraio, ormai in clima
precongressuale, a Enrico Ferri è un'
anticipazione della scelta di campo della sezione
È l'avv. Momigliano, leader della corrente
intransigente, a illustrare, in un articolo di fondo del
«Grido del Popolo», la posizione politica della sezione:
non dovrà essere consumata alcuna scissione, ma non
dovranno esserci cedimenti nel senso che il Psi non deve
diventare un partito possibilista accodato a una frazione della
democrazia. A Bologna, sede dell'8. Congresso ( 8-11 aprile)
dei sette delegati torinesi, sei si pronunciano nella prima
votazione a favore dell'odg presentato da Labriola, mentre uno si
astiene. Nella seconda, tutti i voti dei delegati confluiscono
sull'odg presentato da Ferri (alleato di Arturo Labriola) che
prevale e diventa segretario.
Morgari al congresso di Bologna (1904) era stato firmatario
dell'OdG intermedio, presentato prevalentemente da organizzatori
sindacali come Rigola, Cabrini, Reina, che si poneva tra i rformisti
e la coalizione ferriana-sindacalrivoluzionaria. Preso atto della
divergenza politica, rimette il suo mandato al collegio che lo ha
eletto. I socialisti di Borgo Vittoria gli inviano un
telegramma in cui respingono le dimissioni e salutano in lui «
il valoroso soldato del Partito socialista »
Già nel 1902-1903 toni fortemente anticlericali
avevano soppiantato il vecchio linguaggio usato dai primi
socialisti nella loro opera di «apostolato laico».
Ora che gli intransigenti hanno conquistato maggiore spazio nel
quadro organizzativo del partito, la propaganda anticlericale
tende a uscire dalle sale di conferenza dei circoli culturali per
divenire momento di mobilitazione. Il 22 maggio, giorno della
tradizionale processione di S. Bernardino in Borgo S. Paolo, sono
indetti dai socialisti un corteo e un comizio anticlericali.
Benché il prefetto Guiccioli non autorizzi la manifestazione,
un gruppo di socialisti si dirige verso il luogo dove si deve tenere
in forma privata il comizio. Le truppe caricano il corteo e
arrestano Francesco Barberis, portavoce della corrente
intransigente torinese. II 2 giugno 1904, nel 22°
anniversario della morte di Giuseppe Garibaldi, è
organizzato dai socialisti e dai repubblicani un grande
corteo-comizio. Gli oratori ufficiali sono il repubblicano
avv. Gorini e l'avv. Leandro Allasia, un esponente dell'ala
riformista del Partito socialista. Riformisti e rivoluzionari
trovano nell'anticlericalismo un momento unificante di lotta.
Dopo il referendum del novembre 1905 sulla creazione di
un'azienda municipalizzata per l'energia elettrica, in cui i
suffragi dei socialisti risultarono decisivi per il successo della
proposta formulata dalla giunta del giolittiano Frola, si crearono
condizioni per una convergenza su punti importanti: dalla riforma
delle imposte, all'abolizione delle «spese di lusso», al
passaggio al comune di alcuni servizi pubblici; dall'attuazione di
una serie di provvedimenti annonari che tenessero basso il costo dei
viveri, a una politica di acquisizioni edilizie pubbliche. Da allora
sino al 1911, quando in coincidenza col dibattito sull'allargamento
della cinta daziaria tornarono sulle posizioni critiche dei
liberisti radicali, le ragioni del dialogo prevalsero su quelle
dell'antagonismo.
Morgari nel 1906 in occasione delle elezioni per il Congresso
propone la mozione “integralista” che conquista la maggioranza
della sezione torinese perché, pur basata su posizioni
riformiste, offre la possibilità di mantenere una posizione
intransigente sul tema delle alleanze elettorali che a Torino, per
mancanza di partiti affini, non si pone neppure, diventando una
sorta di mito radicato ed elevato a teorema politico.
Tale facile estremismo riesce al Congresso provinciale a
strappare, nonostante la loro aumentata influenza, la
maggioranza ai sindacalisti-rivoluzionari. Su 28 rappresentanti
delle sezioni, 14 votano l'ordine del giorno integralista e 11
quello rivoluzionario. Non diverso è l'esito preelettorale
nella sezione cittadina, dove il gruppo sindacalista non è
riuscito, nonostante abbia condotto una campagna suffragata dai
successi dei lavoratori per i metodi dell'azione diretta, a
trasformare la natura, la composizione sociale e l'orientamento del
partito in città.
11. Alla segreteria del PSI. L’”Integralismo” ( 1906-08)
Morgari si affermò sul piano nazionale in occasione del 9.
Congresso di Roma dell'ottobre 1906, allorché assieme al
socialista umbro Francesco Paoloni[30] propose la mozione
«integralista». In due articoli dal titolo Verso
il congresso nazionale socialista, pubblicati sull'Avanti! del 29 e
30 settembre 1906 spiegò il significato della formula,
consistente in una «sintesi dell'anima possibilista e
dell'anima avvenirista del socialismo, dell'idealismo e della
praticità, dell'azione diretta e dell'azione
rappresentativa, dell'antistatalismo e della legislazione
statale, della rivoluzione e della legalità, del
sindacalismo e dell'antisindacalismo, dell'intransigenza e
dell'affinismo».
Nella seduta del 7 ottobre ribadì: «Vi dico che
integralismo, nella sua espressione più intima e più
caratteristica, è tutto qui, nel procurare che nella
coscienza del militante socialista coesistano armonizzate la nozione
limpida del divenire della società futura nel grembo stesso
della società futura — da affrettarsi colle riforme dirette e
legislative — e la nozione dell'assetto ultimo, cercato quasi con
desiderio nostalgico, per raggiungere il quale la società
umana dovrà verosimilmente attraversare una catastrofe
causata da un « alto là » della borghesia
stancata di concessioni»[31].
Non capiva come ci si potesse scontrare in lotte interne, quando
tanto ancora rimaneva da fare a chiunque avesse a cuore la
condizione proletaria e volesse veramente agire in favore dei
diseredati. Poiché la situazione non era ancora matura per la
rivoluzione, conveniva intanto operare quotidianamente con mezzi
legali. Ogni socialista, doveva essere contemporaneamente riformista
e rivoluzionario.
Gli uni e gli altri voleva colpire quando scriveva che “i
riformisti hanno obliato lo spirito e i fini dell'azione socialista
mentre i rivoluzionari si arrestano nel culto infecondo delle
supreme idealità marxiste”
La mediazione era la sua vocazione autentica ed anche un ritorno
alle origini, all'ispirazione prampoliniana dei tempi eroici, un
procedimento mentale per cui il «propagandismo» e
l'appello ai sentimenti appaiono in grado di risolvere i
termini politici delle questioni. «L'integralismo per lui non
era stato un espediente tattico per carpire una vittoria in
congresso, ma uno stato d'animo. Ed è stato d'animo, quello
di Morgari, di chi ama il suo partito in sincerità e in
umiltà perché esso è il partito della
redenzione degli oppressi»[32].
L'integralismo rappresentò nel 1906-8 l'affermazione del
corpo centrale del partito, fondamentalmente unitario, che ricercava
nei valori propagandistici e pedagogici quella identità del
socialismo italiano, che la lotta tra le tendenze sembrava
minacciare. Il progetto di rilancio del Partito su basi
intransigenti e classiste, nella lotta contro le spese
improduttive e le spese militari, il latifondo e il sistema fiscale,
un atteggiamento polemico nei confronti del blocchismo popolare, una
difesa dell'istanza partitica e dell'esigenza primaria della
propaganda per la formazione della «coscienza
socialista» erano istanze sedimentate nella tradizione
socialista italiana.
Il partito, paralizzato dai dissidi prima del 1906, si chiudeva in
una posizione sostanzialmente difensiva, dì raccoglimento.
Più che alla ricerca di una politica nuova, con caratteri
propri, l'integralismo intendeva correggere, amalgamare,
insomma integrare ciò che di positivo fosse presente nelle
tendenze opposte. In pratica confermava la necessità
dell'azione quotidiana di organizzazione e di propaganda, la
lotta parlamentare per le riforme, lo stretto collegamento tra
l'istanza politica e quella di resistenza, il fine della
socializzazione come obiettivo unitario contrapposto al
corporativismo economico e settoriale. Erano questi per lo
più obiettivi presenti anche nel riformismo. Tipici degli
integralisti semmai furono il più accentuato richiamo alla
coscienza di classe, la concezione «organicistica» del
proletariato che favoriva una sottolineatura più marcata dei
valori del collettivismo, il ruolo più incisivo attribuito
alle organizzazioni economiche e al partito, la rivendicazione di
una più sostanziale autonomia del partito che escludeva
alleanze sistematiche, la forte diffidenza nei confronti della
borghesia, con la quale avrebbe anche potuto stringere di volta in
volta accordi limitati, ma sempre nella consapevolezza che essa
rappresentava l'avversario di classe. Al congresso di Roma del 1906
l'odg maggioritario ottenne 26.500 voti su 34.000 con la confluenza
dei voti dei riformisti e l'adesione del Ferri, ex alleato di
Labriola, che diede alla formazione del « blocco integralista
unitario » il significato di «un punto di arresto contro
la deviazione sindacalista e il catastrofismo».
Al congresso, che lo nominò segretario
politico, il tema della propaganda-organizzazione fu ripreso
più volte. In primo luogo fu deciso di istituire
«segretari regionali» ai quali fosse demandato il
compito della organizzazione politica ed economica: era investito
così il punto importante della questione meridionale, e
cioè l'esigenza di consolidare la struttura
politico-organizzativa del movimento operaio e contadino del Sud,
nel quale si individuava il protagonista principale della lotta per
la sua emancipazione, e nello stesso tempo un fattore di
riequilibrio dell'intera politica nazionale del partito.
Significativa risultò la composizione della nuova
direzione, che teneva conto non solo del criterio della
omogeneità politica, ma anche del principio della
rappresentanza regionale. Riuscirono eletti numerosi dirigenti di
organizzazioni di resistenza, di federazioni di mestiere e di
associazioni: da Quaglino (Federazione edilizia) a Rigola (tessili),
a Del Buono e Marzetto (CdL di Firenze e
Vicenza). Ciò rifletteva
il peso che avevano quadri e dirigenti sindacali che, pur essendo su
posizioni sostanzialmente riformiste, rivendicavano due esigenze
fondamentali: l'unità del movimento di classe e la diffidenza
verso il parlamentarismo. Facevano parte della Direzione i
rappresentanti regionali, il direttore dell'« Avantil »
e un delegato del Gruppo Parlamentare, che poi a lungo sarebbe stato
proprio Morgari. La numerosa direzione appariva assai più
rappresentativa delle precedenti per la sua espressione
regionale, Vi era l'impegno a ricondurre all'interno del
partito tutte le componenti — sindacali, cooperative, politiche —
del movimento socialista, ma di per sé non rappresentava
una soluzione per una effettiva direzione.
Le aree di diffusione dell'integralismo rimanevano
nel Piemonte, che dava circa il 22% dell'intera forza della
componente. Una buona presenza gli integralisti avevano in
Emilia-Romagna, dove era attestato oltre un terzo (36,6%) della
forza complessiva della corrente. Vero punto di forza
dell'integralismo era la Toscana. Erano integralisti Roma e il
Lazio (52,61%). Nel Sud e nelle isole il fenomeno integralista era
pressoché sconosciuto. Da rilevare la buona presenza
integralista nei centri urbani dell'Italia centrale, e in genere
nelle grandi città (dove raggiungevano il 55,4%). Erano
infatti integraliste Torino, Firenze, in parte Roma.
L'integralismo rappresentò una meteora abbastanza breve,
ed entrò rapidamente in crisi, impari a quegli obiettivi
di ricomposizione unitaria del movimento socialista che si era
prefissi: come posizione di raccoglimento e come istanza
unitaria favoriva il processo di riorganizzazione e consolidamento
del riformismo e di sfaldamento della possibile alternativa
sindacalista rivoluzionaria. I rapporti di forza all'interno del
Partito furono decisamente modificati a vantaggio del primo
dopo la scissione dei sindacalisti rivoluzionari nel 1907.
Allora agli integralisti venne meno il ruolo mediatore che si erano
attribuiti.
L'unitarismo del Morgari non poteva certo condizionare efficacemente
l'iniziativa politica dei riformisti, i quali del resto con la
costituzione della CGdL avevano riassorbito molti quadri sindacali,
Altobelli, Bussi, Garibotti, Quaglino, Rigola che al congresso
di Roma si erano pronunciati per l'integralismo.
Al congresso di Firenze del 1908 mentre molti della sua corrente si
presentano con i riformisti nella “concentrazione socialista” che
prevale con 18.000 voti, ribadisce di voler mantenere la mozione
“integralista” (che ottiene 6.700 voti pari al 21%) “anche se
sostanzialmente uguale nella lettera ma non nello
spirito”, mentre i voti ottenuti dall'odg Pescetti al
congresso di Modena del 1911 sul quale si riversarono i
consensi di molti ex-integralisti furono 1070 pari al 5%
12. La direzione dell'”Avanti!” (1908) e un primo "dialogo" coi
cattolici
Nel gennaio 1908 Enrico Ferri, avendo accolto l'invito a tenere
delle conferenze nel Sud America, aveva rassegnato le dimissioni da
direttore dell'«Avanti!»; gli subentrava Morgari, nella
sua qualità di leader della corrente che era prevalsa
al congresso. Il più importante centro di propaganda e di
orientamento politico rimaneva in mano agli
integralisti.
La direzione di Morgari era chiaramente transitoria: egli stesso,
nell'accettare la carica, avvertì che l'avrebbe tenuta fino
al successivo congresso; nel comunicare ai lettori di aver assunto
la direzione del giornale, rassicurò coloro che temevano che
I'Avanti! nelle sue mani divenisse un organo di esposizione
elementare del socialismo: «Accettando di portare una croce
che io non ho sollecitata né ambita, mi sono fatto
giaculatoria del principio secondo cui il portavoce dei malvestiti
deve camminare in redingote e cilindro".
Direttore dal 22 febbraio al 30 settembre 1908, quando gli
succedette Bissolati avendo i riformisti riconquistato
la direzione del partito al congresso di Firenze, la redazione
disponeva di collaboratori di alto livello come Bonomi, Francesco
Ciccotti, Galantara, Paoloni, Podrecca.
Durante la sua direzione condusse una campagna per la
legalità nelle manifestazioni: approfittando di una sua
assenza, Francesco Ciccotti aveva pubbicato sull'Avanti! del 3
aprile un violento editoriale per l’eccidio in occasione di una
manifestazione, suscitando la reazione di Bonomi che diede le
dimissioni ritirandole solo quando Morgari prese le sue difese,
conducendo una campagna di stampa, suggestivamente intitolata
“prendere il toro per le corna” (cioè i due corni del
dilemma: legalità o illegalità, da cui il
proletariato-toro era dilaniato) che prendeva decisamente posizione
contro i cortei che degeneravano in manifestazioni violente.
Pubblicò sull'Avanti una lunga lettera che due giovani
usciti dall'esperienza della Lega democratica nazionale e
avvicinatisi ai socialisti cristiani, Guglielmo Quadrotta[33] e
Felice Perroni, gli indirizzavano e che si concludeva con una
domanda esplicita
: « A chi professa i nostri ideali sono aperte oggi le file
del Partito socialista italiano? » La lettera[34]
suscitò una polemica nella quale intervennero, tra gli
altri, Bonomi, Turati, Zibordi, Paoloni, sostenendo diversi punti di
vista, ma questa apertura al mondo cattolico venne sconfessata al
congresso di Firenze con l'approvazione dell'OdG Bussi-Vella che
negava ai cattolici l'entrata nel PSI.
Morgari, che pure condusse dure battaglie contro la Chiesa[35]
e sostenne la battaglia per l'abolizione dell'educazione
religiosa nelle scuole condotta da Bissolati, era avverso
all'estremo anticlericalismo.Durante la sua direzione scomparvero
rubriche come “la cloaca clericale” e gli attacchi gratuiti alla
Chiesa.[36]
13. L' attività nel Parlamento e nel Paese 1907- 1911
Nelle votazioni per il Congresso di Firenze del
1908 i riformisti proclamarono l'opportunità di dare la
scalata all’amministrazione dello Stato e dei Comuni e su tale base
stesero il nuovo programma minimo che comprendeva: migliore
legislazione del lavoro (disciplina giuridica dei contratti,
estensione delle pensioni, leggi sulla maternità), abolizione
del dazio sul grano, laicità della scuola, opposizione agli
incrementi sulle spese militari, suffragio universale e suoi
corollari (proporzionale e indennità ai deputati),
concordandolo con quanti al Congresso precedente si erano presentati
integralisti.
Morgari non volle confluire nella nuova corrente, rinunciare alla
vecchia bandiera, e ripresentò la mozione “anche se
sostanzialmente uguale nella lettera ma non nello
spirito” in cui accentuava le sue riserve all' appoggio dei
socialisti al governo.
Neppure a Torino nel dibattito precongressuale l'azione di Morgari
era valsa a sottrarre la maggioranza dei suffragi a quegli esponenti
«sindacalisti riformisti», che, sotto la guida di
Rigola, esercitano un predominio incontrastato sulla sezione dopo
l'allontanamento dei sindacalisti rivoluzionari. Anzi, risultano
eletti nella direzione del partito, col Rigola, il Reina e il
Quaglino, i due piemontesi che gli sono più legati. E il
“Grido del Popolo” può cosi inorgoglirsi che «alla
testa del Partito socialista siano uomini nostri, cresciuti alle
nostre lotte, sperimentati alle nostre prove», e condannare la
«distinzione capziosa» di Morgari il quale lascia
frattanto la direzione dell'«Avanti!» a Leonida
Bissolati.
A Torino si continuerà per tutto il 1909 a correre
ancora molto lungo questa strada. La propaganda del partito sul
piano politico generale non conosce più che la solita nota
anticlericale, mentre da un punto di vista teorico l'identificazione
di «socialismo» con le più immediate riforme
della legislazione sociale è ormai totale.
Dopo la vittoria riformista al congresso di Firenze del 1908,
all'interno dell'area si delineò la spaccatura tra una
componente (i dirigenti confederali insieme con Bissolati e Bonomi)
che proponeva la creazione di un «partito del lavoro»
privo di connotazione ideologica e aperto a tutte le componenti del
movimento economico del proletariato, e la “sinistra
riformista” di Modigliani e Salvemini.
Al successivo congresso di Milano dell'ottobre 1910, in cui Turati
riesce a ottenere un'ampia maggioranza con la confluenza della
destra bissolatiana sulla sua mozione che ottiene 13.000 voti,
Morgari si accosta ai “riformisti di sinistra” Modigliani e
Salvemini presentado insieme a loro una mozione “intermedia” che
raccoglie 4.500 voti (quella intransigente presentata da
Lazzari ne raccoglie 6.000). rimanendo quindi sempre al centro dello
schieramento.
Morgari, che alle elezioni del 1907 era stato rieletto, votò
nel 1909 in favore del governo Sonnino; essendo il voto in contrasto
con I'opinione della direzione del Partito. diede le
dimissioni da propagandista.
Nel 1909, quando si cominciava a temere la guerra, presentò
alla Camera il seguente OdG: «La Camera da incarico ai governo
di farsi iniziatore di una conferenza per l'arbitrato e per il
disarmo». Sempre nel 1909 si tornò a parlare di una.
visita dello zar in Italia. Il Partito Socialista assunse di nuovo
un atteggiamento di aperta ostilità e Morgari riprese la sua
protesta attraverso discorsi, articoli e opuscoli. Fu creato un
"Segretariato nazionale antizaresco" e quando il 23 ottobre lo zar
giunse a Racconigi, Morgari riuscì a mantenere la promessa e
a fischiare l'ospite: il suo gesto entrò
nella leggenda. Le relazioni con gli emigrati socialisti russi di
varie tendenze molto numerosi sulla Riviera e a Capri, iniziate
almeno dal 1903, si andarono infittendo: è del 18
maggio 1908 una sua interrogazione – su sollecitazione dello
scrittore Gorki - su pacchi di giornali russi fermati alla dogana
cui Giolitti rispose prontamente. In effetti l'Italia venne usata da
Lenin in quel periodo come tappa intermedia per introdurre stampa
sovversiva in Russia.
I deputati socialisti si andavano sempre più orientando
verso il ministerialismo. Morgari, allora segretario del gruppo
parlamentare, vi si oppose ripetutamente. Il 10 maggio 1910
l'Avanti! pubblicò una sua lettera: "Perchè ognuno
assuma le proprie responsabilità": "Io che odio più di
ogni altra cosa al mondo I'ipocrisia dovunque l'incontro proruppi
quando mi accorsi che la mia tesi veniva elusa perché
molesta...Tace anche I' Avanti... Non protestai prima e tutte le
volte, e son decine, che non vidi registrato il mio pensiero nei
resoconti delle adunanze del gruppo socialista. Ora non sono
più disposto a farlo. Ho lavorato per degli anni per
spegnere Ia disgustosa ed esiziale lotta intestina delle tendenze,
sopportando le beffe dei sapienti e dei saccenti... Ora scongiuro
gli amici dell'Avanti! di non costringere proprio me a riaccenderla”
Alle elezioni suppletive del marzo 1910 dopo l'opzione di Nofri
per il collegio di Siena, la sezione torinese, contro il parere dei
riformisti favorevoli alla presentazione di Rinaldo Rigola, scelse
la candidatura di protesta del giornalista triestino Todeschini che
fu battuto dal candidato costituzionale. Questa sconfitta non
pregiudicò il rafforzamento in seno alla sezione del gruppo
intransigente guidato dal professor Temistocle Jacobbi che,
eletto segretario politico nel novembre 1909, diventò nel
1910 anche direttore del «Grido del Popolo». A Torino la
situazione più critica per il partito si verificò alla
Camera del lavoro: a luglio 1910 i socialisti furono messi in
minoranza in seno al consiglio generale. La commissione
esecutiva, controllata dai socialisti, rassegnò le
dimissioni dopo aver richiamato alla disciplina di partito gli
iscritti. Il consiglio generale, convocato il 7 agosto, decise di
nominare transitoriamente una commissione di studio con lo scopo di
preparare il futuro congresso camerale ma dei cinque eletti solo due
furono socialisti.
La sezione torinese tornò nel 1910 a identificarsi colle
posizioni di Morgari, facendo confluire i propri voti sulla
mozione Modigliani al congresso di Milano dell'ottobre.
L'indirizzo politico della sezione venne premiato sia alle
elezioni politiche che a quelle amministrative da un aumento
costante di suffragi.
I dirigenti locali non si curavano di definire criteri rigorosi di
discriminazione appagandosi del generico appoggio
dall'esterno alle iniziative del partito e della Camera del
lavoro, o della sporadica collaborazione giornalistica su soggetti
disparati. Oddino Morgari sintetizza in una lettera del 25
agosto 1913 a Gustavo Balsamo-Crivelli tale concezione dei rapporti
con i fuorusciti della borghesia: “[...] troppi intellettuali — e tu
ne sei davvero uno — ci lasciarono da qualche anno in qua: e [...]
deve possedere un nocciolo morale di natura profondamente buona
e disinteressata l'uomo che al par di te rimane dopo vent'anni nelle
nostre file quando per nascita, per ingegno aristocratico, per
l'ambiente in cui vive e per il quale come letterato scrive, per
tanti esempi che ha dinnanzi di uomini che perdettero l'antica fede,
per le diffidenze che sono intorno ai così detti
professionisti nel campo operaio, per la natura rozza del movimento
proletario, per i non rari suoi eccessi, per non avere avuto
gl'incarichi a cui il suo valore lo indicava — bene potrebbe
umanamente essere tratto a distaccarsi da noi"[37]
14. Con Salvemini per la questione meridionale
Salvemini aveva presentato al congresso di Milano del 1910, come
già a quello precedente di Firenze, la prima piattaforma
politica fondata non su schemi dottrinari ma su un’analisi storica
della società italiana e delle sue contraddizioni; il suo
piano era di contrapporre al blocco reazionario indutriale-agrario
l'alleanza degli operai del Nord e dei contadini del Sud.
E' in questa occasione che Morgari venne a contatto con la tematica
meridionalista salveminiana, aderendo alla mozione "intermdia",
firmata anche dal livornese G.E.Modigliani, ma il suo interesse per
i problemi del Sud risaliva agli inizi dell'impegno socialista
differenziandolo in ciò dal riformismo padano che, anche nei
suoi esponenti più illuminati come Turati, ha chiusure quasi
razziste nei confronti del meridione. Nel 1998 partì per
Palermo con Dino Rondani, entrambi deputati socialisti piemontesi
eletti l'anno precedente, per sostenere la locale sezione nella
lotta contro la mafia palermitana che garantiva l'elezione di
Crispi. La sera del 16 aprile i due deputati e un gruppo di
compagni vennero aggrediti dai crispini che spararono anche alcuni
colpi di rivoltella.
Nell'ottobre 1902 iniziò un ciclo di conferenze di propaganda
nel Sud; l'anno successivo condusse un'inchiesta su Gaetano
Alessandro, vescovo di Cefalù, noto nella zona quale persona
di dubbia moralità, usuraio e truffatore, pubblicando tra la
fine del 1903 e il 1904 sull'Avanti! una serie di articoli che
furono raccolti nell'opuscolo Un lupo in mitria già
ricordato. Nell'aprile 1904 si recò a Torre Annunziata in
occasione dello sciopero generale locale
Al congresso di Roma del 1906 vinto dagli integralisti fu
deciso di istituire nell'Italia meridionale e nelle isole
«segretari regionali ai quali sarà demandato il compito
della organizzazione politica ed economica": era investito
così il punto importante della questione meridionale, e
cioè l'esigenza di consolidare la struttura
politico-organizzativa del movimento operaio e contadino del Sud,
nel quale si individuava il protagonista principale della lotta per
la sua emancipazione, e nello stesso tempo un fattore di
riequilibrio dell'intera politica nazionale del partito
Nel 1909 Morgari si battè, con toni salveminiani, contro i
mafiosi e per il suffragio universale, che voleva ottenere con la
lotta popolare, contro i brogli e per l'elevazione delle plebi.
l'agitazione aveva un particolare significato per l'Italia del Sud;
la legge elettorale dava infatti diritto di voto a tutti i maschi
adulti che sapessero leggere e scrivere, e nel Mezzogiorno la
percentuale di analfabeti era ancora molto alta: praticamente tutta
la massa dei contadini e dei braccianti era esclusa dalla vita
politica; la compravendita di voti e la violenza toglievano poi ogni
significato ai pochi voti del Sud proletario. Sempre nel 1909 si
occupò dell'elezione di Vito de Bellis a Gioia del Colle e
condusse con De Felice, Bissolati e Ciccotti una indagine in
merito[38]. Avendo appurato che i metodi elettorali del de Bellis si
basavano essenzialmente sulle mazzette, quando l'elezione del
deputato meridionale venne convalidata, Morgari proruppe alla
Camera in un'aperta indignata denuncia dei brogli, delle
camorre, della violenza nelle elezioni.
Nel luglio 1910, durante le elezioni politiche ad Andria (Bari), i
seguaci del candidato governativo impedirono la
distribuzione dei certificati elettorali. Il 31, durante uno scontro
fra proletari, seguaci del candidato governativo e forze
dell'ordine, due contadini furono uccisi e 10 feriti. Venne
proclamato lo sciopero generale. Morgari, accorso sul posto, fece
un'inchiesta e inviò al Presidente del Consiglio un
telegramma[39]. In seguito, da numerosi comuni dell'Italia
meridionale, pervennero a Morgari richieste di occuparsi delle loro
amministrazioni. Nel 1910 la Direzione del Partito stanziò
8000 lire per la propaganda, che «nel Mezzogiorno
sarà essenzialmente curata da Oddino Morgari».
15. Il viaggio in Oriente e il congresso di Ancona (1911-14)
Il 23 novembre 1910 Morgari comunicò con una circolare le sue
dimissioni da segretario del gruppo parlamentare[40]. In una
lettera a Turati, ribadendo le sue dimissioni. Morgari scrisse:
”Sono un po' sindacalista [alludendo alla corrente di Arturo
Labriola, n.d.a] io pure, valuto più l'azione diretta del
socialismo nel paese che quella parlamentare. Visto che l'azione
parlamentare narcotizza e addomestica il maggior numero dei deputati
penso che giovi rinvigorire l'azione nel paese con una propaganda
orale e scritta volta a rimettere in onore il carattere avvenirista
dei movintenti che la destra si adopera a cancellare senza
strepiti».
Nell'agosto 1911, disgustato «dallo spettacolo della compagine
parlamentare socialista», accettò l'invito di Alfredo
Bertesi, deputato socialista di Carpi (nel 1912 seguirà
Bissolati e nel 1915 aderirà al fronte patriottico) e
fondatore di una cooperativa per la lavorazione del truciolo, di
recarsi in Estremo Oriente per studiare un particolare sistema
locale di lavorazione del truciolo, che si voleva introdurre in
Italia. Rimase via due anni facendo praticamente il giro del mondo
senza quasi far giungere sue notizie e solo nella primavera del 1912
l’Avanti! pubblicava una sua lettera da Manila. Nel 1913, a campagna
elettorale già iniziata, era ancora all'estero e il 29 agosto
il giornale cattolico torinese “Il Momento” ne approfittò per
accusarlo di trascurare il lavoro parlamentare e di viaggiare per
interesse, smentito da Bertesi che sul “Grido del Popolo” disse che
viaggiava senza diaria ma col semplice rimborso delle spese vive.
Morgari, ancora in viaggio, rendendosi conto delle critiche che gli
potevano essere mosse, scrisse a Torino chiedendo di non essere
più candidato: «Non è che io desideri ritirarmi
dalla vita pubblica. L'incarico del deputato, ora che il Gruppo
parlamentare si è fatto omogeneo e il partito ha dato in
sostanza ragione alla mia campagna integralista, tornerebbe a
piacermi. Ma si tratta di ben altro, si tratta dell'interesse del
partito danneggiato dalla mia lunga assenza... dalla parvenza che io
avrei di rientrare in Italia poco prima delle elezioni unicamente
per raccattare un'indennità”
Ma la sezione torinese rispose che aveva già cominciato
la campagna elettorale sul suo nome e attendeva con impazienza il
suo arrivo, Morgari giunse a Torino il 15 agosto accolto
trionfalmente. Nel discorso di saluto disse: "C'è stata nel
passato una deviazione verso destra, perciò è bene che
il partito si volga verso sinistra. Vogliamo combattere a fianco di
un proletariato il quale comprende che il fine del socialismo
è al di là delle riforme e delle stesse battaglie,
anche grandiose, delle organizzaioni operaie". Nell'ottobre venne
rieletto nel tradizionale secondo collegio anche per la XXIV
legislatura.
I colleghi vollero riaffidargli l’incarico di segretario del Gruppo,
e in tale veste al Congresso di Ancona del 1914 nella seduta del 28
aprile relazionò sull'attività del GPS. “La relazione
scritta era divisa in due parti, la prima si riferiva alla forza
interna del Gruppo (consistenza numerica, rapporti can gli altri
organismi del Partito, che furono definiti cordiali “vuoi nelle
questioni di massima, vuoi nei quotidiani rapporti fra
Segretariati”, studi e deliberazioni del Gruppo, cariche
parlamentari) e la seconda alla sua operosità (nella quale
veniva minuziosamente esposta la partecipazione ed il contributo del
Gruppo nel sua complesso e nei suoi componenti all'attività
parlamentare).
Sulla relazione presero la parola ”(…) tra gli altri: ”Niccolini che
dichiarò degna di elogi l'attività del Gruppo
parlamentare, ma raccomandò nello stesso tempo ai deputati a
non limitarsi ad una cura assidua degli interessi locali, ma ad
assumere la cura collettiva dei collegi affinché la divisione
del lavoro potesse avvenire secondo. le rispettive competenze,
Franco sulla necessità di frequenti viaggi dei deputati
socialisti settentrionali nelle regioni del Mezzogiorno nelle quali
i pubblici poteri rispettavano soltanto coloro che erano protetti
dall’immunità parlamentare (…) Ercole che accusò il
Gruppo parlamentare di avere, in occasione di una recente agitazione
di ferrovieri, favorito la Federazione gialla a scapito. del
Sindacato, ecc.” Rispose ai vari interventi trattando in particolare
della vertenza dei ferrovieri a proposito della quale espresse
l'augurio. che i lavoratori della categoria in primo luogo si
unifichino. e poi in secondo luogo unifichino se stessi col resto
del proletariato». Furono votati all'unanimità quattro
OdG di approvazione in vario grado, dall’incondizionata a quella con
riserva, dell’operato del GPS[41]
Riconfermato segretario del gruppo parlamentare, era membro di
diritto della direzione -unico a non far parte della
maggioranza intransigente - con Lazzari segeretario e Mussolini
direttore dell'Avanti!
Con quest’ultimo iniziarono a incrinarsi i rapporti all’interno
stesso della direzione: in occasione della Settimana Rossa il
direttore dell'Avanti! aveva assunto posizioni personali non
concordate col segretario e con la direzione che avevano dato luogo
a critiche, ma nella sessione della Direzione del 28-30 giugno, con
le sole astensioni di Morgari e Balabanoff, gli venne riconfermata
la fiducia, in considerazione anche del successo dell'Avanti e dell'
aumentato peso politico.
16. Lo scoppio della guerra
Ai congressi dell’Internazionale il dibattito sulle misure da
prendere per impedire la guerra diveniva sempre più frequente
in corrispondenza all’aggravarsi della situazione internazionale e
vedeva impegnati i grandi leaders europei: Huysmans, Jaurès,
Vaillant, Keir Hardie. Il PSI per chiusura provinciale
partecipò marginalmente al dibattito sull’imperialismo (se si
esclude qualche intervento di Lerda[42] e di pochi
altri) e i leaders preferivano non recarsi personalmente ai
congressi ma inviavano generalmente Morgari, che finì per
assumere la funzione di “ministro degli esteri”
Al congresso di Copenaghen del 1910 Morgari aveva presentato una
mozione che invitava i partiti socialisti aventi rappresentanza
parlamentare a proporre alle rispettive Camere una riduzione degli
armamenti: la richiesta avrebbe dovuto essere appoggiata da
dimostrazioni popolari. Tale mozione era stata respinta e nè
al congresso di Basilea del 1912, né a quello straordinario
del 1914 vennero deliberate misure concrete contro la guerra. Alla
riunione tenuta il 23-24 ottobre 1911 a Zurigo, intervenne dicendo
che “l’aggressione italiana alla Turchia sarebbe stata fronteggiata
dalla classe operaia con lo sciopero generale”[43]
Nel 1914 il congresso dell'Internazionale era previsto per
l'ultima settimana di agosto; ma quando il 23 luglio l'Austria
rivolse l'ultimatum alla Serbia, il Bureau Socialiste International
(BSI) convocò la riunione a Bruxelles il 29 e 30 luglio
quando già le truppe austro-ungariche avevano passato il
confine serbo.
Al meeting che si tenne la sera del 29 luglio al Cirque Royal
parlò anche Morgari, facendo appello ai valori comuni, alla
classe operaia, alla razza umana tutta intera. Nel clima di forte
tensione del momento le parole furono patetiche, commoventi, ma la
riunione si concluse con un nulla di fatto. Poi Jaurès venne
ucciso, le dichiarazioni di guerra si susseguirono.
I deputati socialisti francesi votarono per i crediti di guerra
e altrettanto, quando già era in atto l'invasione del
Belgio, fece la socialdemocrazia tedesca.
Il 27 luglio si era tenuta a Milano presso l'Avanti! una riunione
del gruppo parlamentare con l'intervento di 28 deputati (poco
più della metà) presieduta da Morgari con la
partecipazione di Mussolini e Ratti per la Direzione, che si chiuse
con una mozione che oltre a reclamare la “immediata convocazione
della Camera al fine di chiedere al governo dichiarazioni
impegnative...di neutralità assoluta” e a reclamare la rapida
riunione dell'IOS, invitava i lavoratori a “manifestare la loro
ostilità alla guerra e a tenersi pronti per quelle più
energiche misure che il partito intendesse adottare in vista degli
avvenimenti”[44]
La Direzione del Partito allargata alla Confederazione del lavoro,
Federterra, Sindacati Gente di mare e Ferrovieri si riunì
nuovamente a Milano il 3 agosto per sentire Morgari e Balabanoff che
riferirono sulla riunione dell’Internazionale (BSI) a Bruxelles cui
avevano partecipato. La sera del 4 agosto ad un comizio a Milano cui
erano accorse 40.000 persone, prese la parola con Lazzari, Della
Seta, e De Ambris (per l'USI)
All'assemblea del 9 e del 19 settembre della sezione socialista
milanese Mussolini e Morgari raccolsero la grande maggioranza per la
tesi della neutralità assoluta[45]
Altra Direzione del PSI a Bologna il 19-22 ottobre, dove si
aprì un contenzioso con Mussolini che proponeva la formula
della “neutralità attiva e operante” invece della
neutralità assoluta che era la posizione assunta dal
Partito. Dopo una giornata di discussioni per evitare la crisi,
Lazzari, Bacci, Della Seta e Morgari vennero incaricati di preparare
un manifesto che conciliasse le posizioni, ma Mussolini
rifiutò la mediazione; sulla questione Morgari
rilasciò un’intervista[46], cui rispose Mussolini con una
lettera pubblicata due giorni dopo.
17. L'incontro di Lugano (1914)
Il Partito Socialista Italiano e la socialdemocrazia svizzera,
pur tra incertezze, rimasero le sole
organizzazioni socialiste a battersi per la rinascita
dell'Internazionale e a mantenere fino in fondo una decisa
opposizione alla guerra.
Questo era il fine per cui il 27 settembre 1914 una delegazione del
PSI incontrò a Lugano alcuni socialisti svizzeri. Erano
presenti per l'Italia: Armuzzi, Balabanoff, De Falco, Lazzari,
Modigliani, Morgari, Ratti, Musatti, Serrati, Turati.
I convenuti esaminarono la situazione creata dalla guerra e
valutarono ciò che si poteva fare per abbreviarne il corso.
In quella sede venne decisa la convocazione di un congresso da
tenersi in Svizzera entro breve tempo: su questo punto tutti furono
d'accordo. I problemi sorsero invece sull'ampiezza da assegnare
alla conferenza
I congressisti desideravano infatti farvi partecipare anche i membri
dei paesi belligeranti: Grimm propose un incontro dei vari partiti
socialisti allo scopo di riconciliare la socialdemocrazia tedesca
con il Partito Socialista Francese. La Balabanoff, Turati e
Modigliani approvarono, Morgari ebbe dei dubbi: riteneva i due punti
di vista troppo divergenti perché potessero giungere ad un
accordo
Venne anche presa in esame la situazione del BSI ormai paralizzato
dalla guerra: si propose di trasportarne la sede in Svizzera o di
affidare al comitato direttivo del partito socialista svizzero
i compiti del Bureau stesso. Ci si rese però conto che la
conferenza di Lugano era priva di poteri, soprattutto in merito
a questioni di così vasta portata. Si temette inoltre che il
BSI potesse credersi illegalmente spogliato delle sue funzioni.
Grimm suggerì la costituzione di una «Centrale
d'Information Mutuelle», una specie di agenzia destinata
a durare quanto la guerra, con il compito di provvedere agli affari
correnti, e di preparare il terreno per una futura riconciliazione.
Morgari propose di costituire un bureau provvisorio
dell'Internazionale la cui costituzione, sempre per non urtare il
BSI, avrebbe dovuto essere adottata in una mozione separata.
Alla fine la proposta di Modigliani, approvata contro quella di
Morgari che proponeva di rompere definitivamente con l'ormai
inefficiente Bureau residente in Belgio e di istituire un nuovo
Ufficio internazionale provvisorio con sede in Svizzera, incaricava
il Partito socialdemocratico svizzero e il Partito Socialista
Italiano di riprendere i contatti con il B.S.I. onde ristabilire le
funzioni
I partecipanti alla riunione si separarono con l'impegno di
coordinare i loro sforzi e di non rivelare nulla di ciò che
vi era stato dibattuto. Poiché la riunione, che doveva
rimanere segreta, era divenuta di dominio pubblico, al termine della
giornata venne elaborato un comunicato in forma di appello, che fu
poi largamente diffuso dalla stampa socialista europea.
Le iniziative auspicate dalla mozione Modigliani si
svilupparono pochi mesi dopo. Per l'esecuzione del mandato di
Lugano, infatti, la Direzione del PSI e il direttivo del Gruppo
parlamentare socialista, nella riunione tenuta a Firenze dal 16 al
18 gennaio del 1915, incaricavano Oddino Morgari, nonostante questi
nel convegno di Lugano si fosse decisamente espresso per la
soppressione del vecchio B.S.I., di prendere contatti con i partiti
socialisti dei paesi europei belligeranti e neutrali
Nel gennaio 1915 si tenne a Copenaghen una conferenza dei partiti
socialisti scandinavi e olandesi. Egli annunciò la sua
partecipazione approfittando di una tournée europea che
doveva compiere come collaboratore dell'«Avanti!». Parti
quindi per la Danimarca ma non vi partecipò, affermando di
non essere giunto in tempo, ma successivamente, il 18 febbraio,
dirà al Comitato Direttivo del Partito socialista svizzero di
non aver preso parte alla Conferenza di Copenaghen sia perché
aveva inteso che la Svizzera non avrebbe inviato delegati, sia
perché Grimm lo aveva informato che vi potevano essere
sospetti di influenze tedesche sulla conferenza.
L'incontro di Copenaghen ebbe scarso successo. I partecipanti non
furono numerosi e, forse per timore di creare attriti, trattarono
solo argomenti secondari e si limitarono a chiedere al BSI la
convocazione di una conferenza non appena possibile e comunque prima
dell'inizio delle trattative di pace.
18. La «Missione Morgari». Parigi e Berna
Il suo compito era di raccogliere informazioni,
effettuare sondaggi presso i vari partiti per rendersi conto delle
reali loro disposizioni verso la promozione della pace e il
risveglio dell'Internazionale. Il mandato era abbastanza elastico e
anche l'itinerario non era ben precisato. Lo scopo principale, era
quello di gettare le basi su cui realizzare il programma di Lugano,
e cioè: trasferimento del Bureau in un paese neutro (di
preferenza la Svizzera) e convocazione urgente di una conferenza dei
partiti socialisti dei paesi non belligeranti.Prima di partire, in
febbraio, Morgari si recò in Svizzera ad esporre gli
obiettivi del suo viaggio e chiese di essere accompagnato nella sua
missione da un delegato del locale Partito socialista.
Gli svizzeri decisero di affidargli invece un messaggio scritto,
copia del quale venne inviata al BSI e ai partiti affiliati prima
ancora della partenza di Morgari. Ma per una serie di circostanze
egli non potè partire che ad aprile e in quei due mesi varie
situazioni erano evolute o cambiate.
In una serie di articoli dal titolo Che cosa
fare?, apparsi sull'Avanti! dal 20 al 22 aprile 1915, Morgari
espresse il suo punto di vista sulla necessità
improrogabile della convocazione di una conferenza internazionale
socialista. Dopo aver giustificato i socialisti che avevano aderito
alla guerra in quanto «l'opinione che il proletariato debba
associarsi alla difesa della patria circola da tempo nelle file
socialiste, è stata apertamente affermata in molteplici
occasioni, nella stampa e nei parlamenti, e non fu mai
sconfessata " esplicitamente " dai congressi», si
rivolgeva all'Esecutivo dell'Internazionale: «A questo
BSI noi rivolgiamo un caldo appello ad uscire dal suo presente stato
di aspettazione ed a riunire senz'altro
l'Internazionale».
A Parigi chiese la convocazione di una conferenza
internazionale al presidente del B.S.I.
Vandervelde, che non solo rifiutò di convocarla, ma
dichiarò che avrebbe impedito agli stessi svizzeri ed
italiani di farlo. Dal canto suo Morgari lo accusò di tenere
in ostaggio l'Internazionale, e il colloquio ebbe toni drammatici.
L'Avanti! pubblicò la relazione di Morgari sul viaggio a
Parigi e Vandervelde reagì cercando di modificare la propria
posizione: ma Morgari replicò che se le parole potevano non
essere esatte, la sostanza era quella da lui indicata: francesi e
belgi non volevano venire in contatto con i tedeschi ed erano per
la, guerra a fondo contro il militarismo germanico
Naturalmente i gruppi socialisti dissidenti che vedevano
nell'iniziativa italo-svizzera una rinascita dello spirito
internazionalistico accolsero Morgari a braccia aperte.A Parigi
strinse rapporti con Martov e Trotskij , il quale con la sua penna
satirica ne traccia questo pungente ritratto: “Morgari ha una natura
d'artista: è un politico e uno psicologo. I tratti del suo
viso giovanile recano il segno di un carattere bonario ed
indulgente.(...) rimprovera al marxismo la mancanza di realismo,
riconosce nella Storia la "molteplicità" dei fattori e tenta
di arrivare ad una concezione "integrale", sia nella pratica che
nella teoria. L'integralismo significa, in realtà, uno sforzo
per giungere ad un eclettismo "armonioso".(...) Sulla terrazza di un
caffè di uno dei grandi boulevards, avemmo una conversazione
con Morgari e alcuni deputati socialisti che per ragioni non molto
chiare si consideravano di sinistra. Sinché il colloquio non
andò al di là delle proclamazioni pacifiste e della
ripetizione di luoghi comuni sulla necessità di ristabilire
le relazioni internazionali, le cose andarono abbastanza bene. Ma
quando Morgari, con tono drammatico da cospiratore, cominciò
a parlare della necessità di procurarci falsi passaporti per
andare in Svizzera (era evidente che l'aspetto "carbonaro" della
faccenda lo attraeva) i signori deputati fecero il muso, e uno di
loro si affrettò a chiamare il cameriere e a pagare le
consumazioni. Sulla terrazza aleggiava il fantasma di
Molière, forse anche quello di Rabelais la cosa non
andò oltre.“[47]
Tuttavia, se il programma di Lugano era inaccettabile per il
socialismo ufficiale, per i dissidenti risultava insufficiente.
Essi infatti obiettavano che se si trattava di far cessare la guerra
una conferenza di neutri sarebbe stata inutile. A loro avviso si
dovevano invece adunare i dissidenti, gli elementi di opposizione
che nei paesi belligeranti si erano dichiarati contro la guerra e
contro la politica di union sacrée. Al termine dei colloqui
parigini Morgari aderì a quest'idea e, tornato in Italia, la
espose al Congresso di Bologna del 15 e 16 maggio 1915. Il Congresso
adottò la sua proposta; i socialisti italiani decisero
così, ignorando gli organi ufficiali dei partiti, di
convocare singoli o gruppi socialisti e sindacali di qualsiasi
natura, scelti secondo le convinzioni e appartenenti sia a paesi
neutri, sia a paesi belligeranti.
Pochi giorni dopo si recò a Berna per elaborare con
Grimm la realizzazione del progetto all’insaputa del Partito
socialista svizzero. Infatti, mentre il PSI aveva votato a
Bologna la decisione, assai più avanzata rispetto alle
posizioni di Lugano, di convocare le minoranze, il Partito svizzero
rimase legato all'idea di convocare soltanto i neutri.
Per questo il PSI trovò come interlocutore attivo non
già il comitato centrale del Partito socialista svizzero, ma
Grimm, che aveva assunto una posizione analoga a quella italiana. E
solo più tardi, in novembre, al Congresso di Aarau il Partito
socialista svizzero approverà l'operato di Grimm.
L'11 luglio Morgari e la Balabanoff incontrarono a Berna in una
riunione preliminare: Zinoviev (per i boscevichi), Aksel'rod (per i
menscevichi), Warski e Waleki (polacchi) e Grimm. Dei partecipanti,
però, solo Morgari e la Balabanoff erano venuti dall'estero
con un mandato ufficiale; tutti gli altri erano già in
Svizzera come rifugiati. Fu a questa conferenza che si
fissò lo scopo e il carattere del convegno da tenersi in
settembre. Esso «non avrebbe avuto per nulla come scopo la
creazione di una nuova Internazionale, ma il suo scopo sarebbe
stato piuttosto di richiamare il proletariato a un'azione comune per
la pace, di creare un centro d'azione e di cercare di ricondurre la
classe operaia alla sua missione storica».
19. Nel Paese in guerra (1915-16)
In occasione delle "radiose giornate" del maggio 1915 a Torino
la pressione della base operaia spinse la sezione cittadina, assai
dubbiosa pur essendo diretta dagli intransigenti, a proclamare
lo sciopero per il 15. Nell'occasione Morgari non era presente
perchè a Bologna con Buozzi e Pastore. La tensione cresceva
da settimane e la giornata si concluse con un pesante bilancio: 14
feriti e un morto tra i dimostranti, occupazione della Casa del
popolo da parte dell'esercito, arresto di esponenti sindacali e
politici, che caratterizzano la situazione più grave
verificatasi in Italia alla vigilia dell'entrata in guerra.Rientrato
a Torino, con Casalini e Quaglino girò “4 o 5 ore per tutta
la città per persuadere gli scioperanti a riprendere il
lavoro". Mentre i componenti della Commissione Esecutiva della
Sezione torinese sono arrestati e rimangono in carcere più di
tre mesi, funziona una C.E. provvisoria, di cui fa parte anche
Morgari, che a luglio viene sostuita con elezioni che vedono
contrapposte due liste; in quella intransigente, con Barberis,
Boero, ecc., si colloca Morgari.
Pacifismo e internazionalismo erano aspirazioni sincere che espresse
in articoli, manifestazioni, comizi e nei due discorsi che tenne
alla Camera, ma non poteva dimenticare che molti in Italia, tra i
quali gli irredentisti del Trentino e della Venezia Giulia, avevano
voluto la guerra per motivi patriottici e ideali. Né
poteva dimenticare la «Lettera aperta» che Cesare
Battisti aveva inviato un anno prima[48]
Una crisi lo colpirà alcuni mesi più tardi, quando il
sentimento mazziniano e risorgimentale prenderà il
sopravvento sulle convinzioni antimilitariste. E’ del mese di
dicembre 1915, infatti, la polemica sorta intorno alla frase
«ti invidio» scritta da Morgari al suo amico Plinio
Gherardini, arruolatesi volontario; si parlò allora di un suo
prossimo arruolamento tra i garibaldini di Francia. La notizia,
smentita dall’Avanti e dal Grido, fu poi confermata dallo stesso
interessato in una lettera a Lazzari del 25 dicembre,
mettendolo in connessione con il particolare momento: «un
periodo nel quale ancora mi pareva possibile conciliare due cose
opposte: l'antimilitarismo e il fucile, quando cioè
procuravo di convincermi che - dopo fatto ogni sforzo per
impedire lo scoppio della guerra, dal punto di vista degli interessi
generali e dei nostri principi - un socialista potesse, senza
contraddizione seguire il proprio temperamento appena scoppiata la
guerra, in base al motto: "cosa fatta capo ha" ».
Ulteriore conferma troviamo nel discorso pronunciato alla
Camera da Morgari il 1 luglio 1916, che s'apriva con la
confessione della propria crisi: «persino chi parla ebbe negli
inizi un momento di esitanza e pregò un collega, che è
su questi banchi, di tenergli in serbo una camicia rossa»[49]
La guerra non era considerata unilateralmente come un
«portato degli interessi economici delle classi
dirigenti», ma anche come esigenza di «cause
ideali, sdegni generosi, fedi sincere». Fu anche
profetico: "se abbattiamo la Germania essa coverà la sua
rivicita, la coverà 20 anni ma la farà" e insiste
sullo scarso interesse a "annettere rupi trentine e caverne del
Carso",[50].
Serrati, in una breve introduzione al discorso sull'Avanti,
pur dissentendo «sia per ciò che si riferisce alle
origini e alle cause della guerra, sia per quanto riguarda la
condotta della guerra e sia anche e soprattutto quanto ha tratto ai
rimedi democratici contro la guerra», non mancherà di
elogiare il discorso «coraggiosissimo».
Il discorso gli procurò i feroci attacchi degli avversari, in
particolare dell'«Idea Nazionale» e gli elogi dei
giovani socialisti tra cui quello di Gramsci.
20. Da Zimmerwald a Kienthal
Il 5 settembre la conferenza venne finalmente convocata, nonostante
la tenace opposizione del presidente dell'Internazionale e
l'ostilità dei socialpatrioti. La località prescelta
è Zimmerwald, un paesino della Svizzera. L'organo del PSI
questa volta scriverà: «Gli sforzi entusiastici
del nostro Morgari — che gli scettici deridevano e i cattivi
calunniavano — sono stati coronati da pieno successo»
Le convocazioni per Zimmerwald vennero fatte segretamente e la
Conferenza si svolse all'insaputa di tutti, governo svizzero
compreso.
A Zimmerwald convennero 38 delegati di 11 paesi: le delegazioni
ufficiali dei partiti socialisti di Polonia, Italia, Bulgaria,
Romania e Svizzera e i rappresentanti dei gruppi di opposizione
di Germania, Francia, Olanda, Svezia e Norvegia. Il partito
socialdemocratico serbo, che pure aveva dichiarato la propria
neutralità, non potè inviare il proprio rappresentante
per la mancata concessione del passaporto al delegato. Dei russi in
esilio, parteciparono Lenin, Zinoviev, Axelrod e Trotzki. Per
l'Italia vi partecipò la delegazione del PSI e del GPS,
composta da Costantino Lazzari, Angelica Balabanof, Modigliani,
Serrati e Morgari.
Trotsky nella sua autobiografia descrive così la partenza dei
congressisti da Berna per Zimmerwald:« Noi ci pigiammo in
quattro carrozze e salimmo verso la montagna. La gente guardava con
curiosità quella strana carovana. I delegati scherzavano
sul fatto che mezzo secolo dopo la costituzione della prima
Internazionale tutti gli internazionalisti trovavano posto in
quattro carrozze. Ma nello scherzo non c'era alcuno scetticismo.
Accade molte volte che il filo della storia si strappi. Allora
bisogna annodarlo. E fu quello che si fece a Zimmerwald».
Fin dalle prime battute i delegati si divisero in « destra
» e « sinistra ». La prima, composta dalla
maggioranza dei convenuti, sebbene intransigente nella condanna
della guerra, confessava ancora fiducia nella Internazionale.
La sinistra, invece, riteneva che l'unione sacra e la politica
dilatoria del B.S.I. l’avessero definitivamente squalificata, e
poneva il problema della trasformazione della guerra militare
in guerra civile sviluppando le deliberazioni del congresso di
Basilea. Il «Manifesto», che non intendeva ripudiare la
2. Internazionale ma cercava di mutarne la direzione e si
pronunciava contro la guerra addossandone la
responsabilità alla cupidigia imperialistica di tutti i paesi
belligeranti, in Italia fu stampato alla macchia e
l'«Avanti!» lo pubblicò a dispetto della censura
il 14 ottobre grazie a un'abile manovra del direttore Serrati.
A Zimmerwald, nella firma del manifesto conclusivo, Morgari
rivelò non poche perplessità, in quanto non si
sentiva di avallare le affermazioni unilaterali sulle cause della
guerra[51] persuaso che la sua impostazione oscurasse le ragioni di
coloro che avevano combattuto la guerra non per interessi economici
ma unicamente per motivi morali
Morgari sintetizzò la portata de convegno in un'intervista
rilasciata al giornale La Sera, in cui affermava che «l'atto
pratico di Zimmerwald è quello di aver compiuto il nostro
dovere di socialisti, che era di riunirci internazionalmente ed
esprimere una parola concertata nei riguardi della guerra. Ma nello
stesso tempo pur volendo sfuggire alle responsabilità di
questa guerra, noi non diciamo ai soldati o di fuggire o di non
sparare”
La Conferenza costituì anche una «Commissione
socialista internazionale» con il compito
«facilitare le relazioni fra i partiti socialisti» e di
«informare le organizzazioni aderenti sugli avvenimenti e
lò svolgimento della lotta per la pace». A farne parte
furono chiamati Grimm, Naine, Morgari e la Balabanoff (in veste di
traduttrice). La commissione lavorò attivamente nonostante
l'entrata in guerra dell'Italia, ma i risultati furono scarsi.
Ciò non impedì ai giornali borghesi di sviluppare una
vasta campagna di stampa contro i socialisti italiani accusati di
svolgere, all'interno della Commissione di Berna, attività
antimilitare e antipatriottica.
Nel febbraio 1916, in una riunione internazionale tenutasi a Berna e
promossa dal PSI, venne decisa una nuova conferenza che si tenne poi
a Kienthal dal 24 al 30 aprile. I punti più importanti
all'ordine del giorno della conferenza erano: la battaglia per la
fine della guerra, l'attitudine del proletariato verso i problemi
della pace, la questione della convocazione del BSI a l'Aja.
Per l'Italia, con Lazzari, Prampolini, Modigliani, Musatti, Dugoni e
Serrati vi partecipò anche Morgari. In essa vennero
riaffermati i principi contenuti nel manifesto di Zimmerwald,
pur apparendo i termini del nuovo manifesto più decisi. Nel
testo programmatico che ad esso si accompagna, venne stabilita,
in 14 punti, la condotta che il proletariato doveva adottare di
fronte alla guerra e, fatto nuovo, la lotta per la pace fu
identificata con la lotta rivoluzionaria per il socialismo. I
testi di Kienthal furono votati all'unanimità dai
partecipanti alla conferenza. Anche se i gruppi presenti a Kienthal
erano sostanzialmente quelli di Zimmerwald, i delegati furono molto
più numerosi e ciò nonostante le autorità di
alcuni paesi belligeranti avessero ostacolato la partecipazione non
rilasciando i passaporti. A Kienthal si registrò anche un
netto spostamento a sinistra. Lenin non si trovò
più isolato. Dopo due anni di guerra, i delegati di Kienthal
non parlarono più di «pace senza annessioni e senza
indennità” ma di «conquista dei governi e della
proprietà capitalistica per parte dei popoli” e aggiunsero:
«la pace duratura sarà il frutto del socialismo
trionfante»
Il manifesto di Kienthal venne giudicato non sufficientemente
rivoluzionario dalla sinistra, mentre la destra ritenne troppo
assolute e pessimistiche alcune affermazioni. In questa
«destra » si inquadra anche Morgari che formulò
un emendamento votato anche da Modigliani Prampolini Dugoni
Musatti. Votarono le tesi senza riserve Serrati e Balabanoff.
Benché la condanna della guerra risultasse molto più
dura e circostanziata rispetto a Zimmerwald, il rapporto
ufficiale concluse con un generico invito all'azione delle masse.
21. La Missione Ford. Stoccolma
È nella mancanza di linearità con le tesi di
Zimmerwald e di Kienthal che va inquadrata la sua singolare
partecipazione alla Missione Ford. L'industriale americano Henry
Ford[52] aveva intrapreso una campagna per il ritorno della
pace in Europa fondando una istituzione che, abbondantemente
finanziata e composta di elementi danesi e svedesi , aveva la sua
sede a Stoccolma. Ford intendeva mostrare la
superiorità morale del capitalismo americano che non era
costretto favorire le guerre per realizzare profitti ma poteva
legittimarsi moralmente e politicamente attraverso il coinvolgimento
nei consumi delle masse popolari. Non su cannoni, ma su
automobili e su oggetti di consumo era in grado di puntare
l'industria americana.
Morgari fu colpito da questo capitalismo che sapeva
coniugare le esigenze del profitto con quelle della socialità
e della pace, e questa posizione di apertura ad un certo tipo di
imprenditoria ebbe sviluppi nell'immediato dopoguerra con la
collaborazione con Giovanni Agnelli e l'industriale tessile Franco
Marinotti nel tentativo di stabilire rapporti economici con la
Russia sovietica.
Ford aveva inviato il proprio segretario a Berna per
scegliere una commissione svizzera per il parlamentino pacifista che
avrebbe dovuto sedere in permanenza a Stoccolma. Fu a Berna che
agli inizi del 1916 Morgari conobbe, tramite il vecchio
internazionalista Enrico Bignami, il segretario di Ford. Invitato da
quest'ultimo a far parte della commissione permanente della
Missione, si consigliò con Grimm, Balabanoff, Serrati,
Lazzari e Vella. Vi si oppone la sola Balabanoff, gli
altri considerarono possibile
l'opera di Morgari purché
svolta a titolo personale, senza alcun mandato
Nel resoconto del viaggio di Morgari, l'Avanti! insiste
nel presentare la sua partecipazione alla Missione come un
fatto di iniziativa personale, escludendo
ogni copertura diretta del partito,
che ufficialmente non poteva essere data, basandosi la Missione Ford
esclusivamente sul contributo finanziario di un capitalista.
L'autonomia della iniziativa, in verità, è
riconosciuta dallo stesso Morgari in una lettera a Serrati del 15
giugno 1917 : «Più volte mi scrivesti
per invitarmi ad inviare articoli, notizie. Ma sai come la penso.
Invadere l'Avanti! con quelle tesi — posto pure che tu lo concedessi
— sarebbe un abusare dell'ospitalità politica, e un tentar di
scuotere la discreta e sufficiente concordia odierna del partito.
Scrivere senza avanzare tesi non vorrei. Notizie non ne ho; ne ho
meno di te, che leggi o fai leggere giornali in più
lingue »[53]
In una nota editoriale da attribuire a Serrati premessa al suo
articolo Le due Vittorie apparso su Scintilla e poi sull’ Avanti!,,
si legge: «Bella utopia, quella di ricercare nel mondo tutti
gli uomini buoni e generosi e stringerli in un fascio di forze
operanti contro la barbarie della guerra. Tanto bella questa utopia
che quando noi abbiamo visto Morgari tutto preso da questo nobile
sogno, non ci siamo sentiti di dissuaderlo e, pur dissentendo, lo
abbiamo quasi incoraggiato a correre pellegrino di pace per il mondo
alla ricerca degli uomini buoni......Mentre il pacifismo largamente
umanitario di Morgari conduce logicamente alla cessazione o, quanto
meno, alla attenuazione della lotta di classe, il nostro
determinismo economico ci chiama invece ad accentuare l'azione
indipendente ed autonoma del proletariato nei confronti di tutti i
dominanti »[54].
Morgari quindi accettò l'offerta del segretario di Ford
tacitamente confortato dal consenso dei compagni e nel maggio del
1916 intraprese il viaggio per Stoccolma.
Della Missione Ford faceva parte anche Hermann Greulich, che il 17
maggio 1915 aveva presentato alla direzione del PSI il sig. Nathan,
latore da parte di pacifisti americani di offerte finanziarie
categoricamente rifiutate dallo stesso Morgari, a nome della
direzione del partito, in un colloquio avuto a Bologna con il
pacifista americano. Fu allora che la stampa antisocialista e
interventista vide nelle offerte di Nathan al PSI il denaro tedesco
e identificò in Greulich un agente del governo imperiale.
Memore di tale polemica, Morgari invitò Greulich a dimettersi
da membro della commissione permanente della Missione Ford, per
fugare ogni possibile equivoco sulle reali intenzioni della
Missione.
Il parlamentino costituito da Ford a Stoccolma
rivestiva particolare importanza per Morgari, dopo i numerosi
tentativi falliti; per questo, incurante del vespaio di critiche
suscitato sulla stampa italiana, egli divenne uno dei maggiori
attori della iniziativa pacifista. A suo giudizio il problema
essenziale per il momento, al di fuori di ogni problematica
rivoluzionaria, era quello esclusivo di salvare la pace, anche se
tutto ciò comportava collaborazione con un capitalista. Ai
delegati della Missione Ford Morgari presentò un Plan d'une
grande campagne mondiale pour la paix prochaine et definitive,
preventivamente discusso dal gruppo scandinavo della Missione il 24
settembre 1916 e presentato nel novembre a tutti i componenti.
Stilato con la meticolosità che gli era propria, si
articolava in 78 punti ed era basato sul contributo finanziario di
cinquanta milioni di dollari da parte di Ford. Prevedeva una
campagna mondiale per la pace, della durata di 5 anni,
sostenuta da quotidiani, cartelloni, cinema, propagandisti
distribuiti in tutti i paesi. Si articolava in tre fasi di sviluppo:
1) «Avant l'armistice», per avvicinarlo e influenzare i
negoziati preparatori; 2) «Pendant l'armistice», per
influire sulle condizioni del trattato di pace; 3)
«Après la paix», per vincere quelle forze che si
opponevano a una completa instaurazione dei diritti delle genti.
Il piano prevedeva anche la fondazione di un quotidiano mondiale,
pubblicato in tre lingue, e l’adozione di una lingua mondiale,
l’Esperanto[55] - di cui Morgari fu un discreto conoscitore e attivo
divulgatore- per influire più facilmente e uniformemente
sull’educazione dei popoli al pacifismo.
Ma non se ne fece nulla: Ford in armonia con l'atteggiamento
del governo americano che aveva deciso l'intervento a favore
dell'Intesa, annunciò che non aveva più fiducia
nella buona volontà di pace dei dirigenti tedeschi e sciolse
definitivamente la sua missione il giorno della rottura dei rapporti
diplomatici tra Germania e Stati Uniti (2 febbraio 1917).
Il viaggio di Morgari provocò sulla stampa sarcasmi e accuse
di ingenuità se non di connivenza col nemico.
Iniziò l' Idea nazionale il 13 ottobre 1916, seguita dal
Corriere della Sera del 3 giugno 1917 che così commentava:
”L’importante è che l’affare si concluda subito per
merito suo, così il socialismo intasca in moneta elettorale
il prezzo della mediazione. Sua Eccellenza Morgari ha l’anima di un
viceplenipotenziario di Federico II o di Maria Teresa», e
dal Giornale d'Italia del 7 luglio. Morgari esprimerà la sua
delusione per il fallimento della Missione in un'intervista
rilasciata alla Stampa pochi giorni dopo il suo rientro in Italia.
L'Avanti! non commentò: a giustificazione riportò una
relazione letta a suo tempo da Morgari alla seziono di Torino. Il
carattere borghese dell'iniziativa di Stoccolma è
sottolineato dalle dure parole di critica che II Grido del Popolo
scrisse sull'iniziativa di Morgari: «Noi che abbiamo solo
fiducia nella lotta di classe e non crediamo né alla
efficacia, né alla sincerità di alcun pacifismo
borghese, saremmo mortificatissimi di aver perso tre mesi di
tempo in collaborazione con un qualsiasi Ford, presso qualsiasi
governo, presso una qualsiasi conferenza che non fosse stata una
conferenza di socialisti internazionalisti" .
Rimase tutto l'inverno in Svezia; fallita la Missione Ford, in
primavera partì per l'Olanda. All'Aja si fermò per
circa due mesi cercando di mettersi in contatto con Huysmans, per
spingerlo a convocare un congresso per la pace, ma Huysmans fu
irremovibile, e qui era stato raggiunto da un telegramma di Lazzari
che lo pregava di raggiungere Pietrogrado per prendere contatti con
i rivoluzionari russi e inviare notizie precise all'Avanti!.
Tentò di recarsi in Russia attraverso la Scandinavia, ma
inutilmente, a causa delle restrizioni degli imbarchi per la guerra
in corso. Ne diede notizia egli stesso in una lettera a Serrati, in
data 15 giugno 1917, dall'Aja: «Rimpatrio. Dopo quasi due mesi
di pratiche per ottenere il rimpatrio traverso il territorio
anglofrancese, ottenutolo infine il 21 aprile, ricevo il
telegramma di Lazzari incaricantemi di recarmi in Russia. Pensa
quanto siffatto incarico mi lusingasse e corrispondesse al mio
sentimento. Non profittai del permesso con pericolo di vederlo
decadere e insieme a un compagno esiliato russo e ad un
organizzatore che conosce i porti olandesi come tu l’Avanti!, feci
ricerche per trovare imbarco alla volta dellaScandinavia. Dopo
oltre un mese di vane pratiche, rinuncio »[56] . Così
nel luglio 1917 rientrò in Italia.
Morgari non potè partecipare alla conferenza di
Stoccolma. L'avvento al potere dei bolscevichi determinò
il ritiro della delegazione russa dal comitato di Stoccolma e
contribuì alla disgregazione del movimento zimmerwaldista, la
cui crisi era già manifesta dalla metà del 1917.
Morgari, costretto in Olanda dalla guerra, non partecipò
ai lavori preparatori né alle sedute della terza conferenza
di Zimmerwald.
22. Nel Paese in guerra (1917-18)
Rientrato in Italia a luglio da Stoccolma, ricevette
con Romita e Serrati il 13 agosto 1917 alla Casa del popolo di
Torino i rappresentanti dei Soviet di Pietrogrado che stavano
compiendo un giro di propaganda noi paesi dell'Intesa. Si tenne
anche un comizio affollatissimo, il primo dall'inizio della guerra.
Il 22 agosto scoppiò a Torino uno sciopero determinato
dalla carenza di generi alimentari, che assunse subito carattere
politico e si trasformò in aperta rivolta contro la guerra.
La sera stessa la sezione di Torino telefonò a Morgari
chiedendogli di precipitarsi a Torino. Dalla testimonianza resa al
processo per i moti dell'agosto dal segretario della CdL Dalberto,
egli si mise in contatto prima con Rigola a Biella che
rifiutò di intervenire, poi si rivolse ai deputati Casalini
in vacanza e Morgari a Roma, perchè rientrassero. II giorno
dopo giungeva nella città trasformata in un campo di
battaglia. Queste iniziative saranno considerate dal Tribale
Militare conferme dell’ipotesi che Morgari era uno dei promotori
dell'insurrezione
Nella notte tra sabato e domenica furono arrestati
quasi tutti i membri delle commissioni esecutive della sezione
socialista e della CdL, molti segretari di Leghe e Circoli e
parecchi altri compagni tra i più noti, che decisero di
affidare ai deputati socialisti torinesi (Casalini, De Giovanni,
Morgari) il compito di funzionare da direttivo provvisorio. La sera
del 23 con Romita e il corrispondente dell'Avanti! Leo Galetto
ebbe un colloquio col prefetto, il quale assicurò poi Roma
telefonicamente che Morgari “pare animato da buone intenzioni”. Il
26 presentarono per il visto al Comando del Corpo d'Armata, che
aveva assunto la tutela dell'ordine pubblico, il seguente
manifesto:"Lavoratori Torinesi:L'inefficienza del Governo Centrale,
l'ignavia dell' Amministrazione cittadina, le provocazioni
indicibili del potere politico locale, vi hanno fatto scattare
unanimi in un movimento di sciopero generale, meraviglioso, forte,
ammonitore ed esemplare. Scoppiato per la mancanza del pane,
esso si è subito tramutato in una decisa manifestazione
contro la guerra, che tanti lutti ha . seminato e tanto sdegno
suscita in ogni animo, in tutti i paesi. La forza brutale dello
stato borghese, la incoscienza da parte dei proletari vestiti in
divisa, la dolorosa impreparazione della nostra organizzazione
ad una azione risolutiva, ci costringono a consigliarvi a tornare
lunedì al lavoro. Non è consiglio di viltà
quello che vi diamo, ma di saggezza e di forza. Noi intendiamo che
non solo questo grandioso movimento proletario torinese sia
avvertimento serio e definitivo al governo monarchico borghese,
perchè cessi questa strage inutile e inumana, ma indichi
anche a tutti i proletari d'Italia ed all'Internazionale il dovere
di una più intensa e definitiva preparazione. Torniamo al
lavoro, o compagni, ma torniamo colla coscienza di aver
compiuto un atto coraggioso degno e fecondo senza dedizioni e senza
rinunzie. E’ stato sparso sangue proletario, ma non invano.
Salutiamo le vittime con una promessa di prossima, preparata
rivincita. Salutiamole al grido: "Viva lo sciopero generale. Viva la
pace. Abbasso la guerra!"
E poichè il nulla osta fu negato, consegnano il 27 al
generale Sartirana il testo di un nuovo manifesto assai più
moderato e breve: “Ai lavoratori torinesi Compagni! Avendo accettato
di rappresentare provvisoriamente le oprganizzazioni che per i noti
eventi non possono regolarmente funzionare....crediamo nostro dovere
avvertirvi che le nostre organizzazioni hanno delberato di invitarvi
a riprndere il lavoro lunedì corrente. Mandiamo intanto un
riverente saluto alle vittime cadute con quella fede che
rimarrà intatta nei nostri cuori”
Nel 1917 oltre alla rivolta di Torino si registrarono una
più vigorosa opposizione alla guerra e anche alcuni
atti di sabotaggio. La stampa borghese incominciò a parlare
di bolscevizzazione e di «pericolo di un sabotamento
proletario della guerra». Materiale di propaganda socialista
internazionalista e pacifista veniva distribuito
clandestinamente e talvolta giungeva anche fra le truppe al fronte
grazie «alle cassette di munizioni, sul cui fondo si
nascondono dei manifesti sediziosi» Le autorità
militari erano anche molto preoccupate per la frequenza con cui
andavano ripetendosi incidenti nei principali stabilimenti militari.
“noi siamo un partito che è costruito da trent’anni e da
trent’anni combattiamo la guerra...(...)...c’è il
patriottismo dei sign ori che crede possa la gloria e il benessere
della patria realizzarsi solo nell’espansionismo e vi è il
patriottismo della povera gente, il nostro, che cerca il benessere e
la glorua della patria nello sviluppo interno delle risorse
interne,. La guerra è il vero sabotaggio della guerra. Voi
sabotate la razza; è la distruzione dei giovani, dei validi
che imperversa”[57]
Il 21 dicembre 1917 presentò alla Camera un Od.G
:«La Camera invita il Governo a rivolgere alle potenze
alleate, nemiche e neutrali una proposta di pace generale e di
riordinamento della convivenza internazionale basata sull'abolizione
del diritto di dichiarare Ia guerra, finora riconosciuto negli
stati dal costume politico e dalle convenzioni interne». Dopo
il suo discorso alla Camera, come già nel 1916, Morgari fu
sommerso di lettere, in parte anche di lode, soprattutto da militari
al fronte o vedove di guerra. Anche Gramsci[58] e Serrati scrissero
a Morgari per congratularsi con lui. Discorso che passa per
"vergognosamete leninista" e contro il quale protesteranno numerosi
professori, da Mosca a Loria. Nell'esaltazione della rivoluzione
russa “che innalza la più grande bandiera che abbia mai
sventolato sulla faccia della terra” “Lenin non tiene abbastanza
conto della difficoltà di trasformare bruscamente una
società individualista in una collettivista, sebbene tale
trasformazione sia facilitata in Russia dal fondo mistico della
razza slava e ancor più dal fatto che quel paese è
uscito da poco dal comunismo primitivo della terra ....Lenin ha
fretta, vuole trasformare il suo Paese in una enorme società
cooperativa di produzione e di consumo...”
Il 1918 iniziò con una ventata di reazione antisocialista. Il
24 gennaio il governo ordinò l'arresto del segretario
politico del P.S.I. Lazzari e del vice-segretario Bombacci, per il
loro atteggiamento «in evidente contrasto con le
necessità della difesa nazionale». Già nel 1915
Lazzari aveva chiesto a Morgari di sostituirlo qualora fosse stato
arrestato. Lo sostituì ma tenne la carica per poco: il 18
giugno dello stesso anno diede le dimissioni. Era anche segretario
del gruppo parlamentare e il dissidio fra questo e la direzione
rendeva difficile la sua posizione. Come al solito riassunse il suo
pensiero in una circolare[59]
23. La Commissione di informazione e di azione internazionale
Circa un anno dopo il suo rientro dal Nord, Morgari riprese la
sua attività, come incaricato del partito all'estero,
partecipando al congresso del Partito socialista francese. Nella
riunione del 30 settembre 1918 la direzione del PSI aveva
deliberato che Morgari e Alessandri portassero il saluto e la
solidarietà dei socialisti italiani al congresso del Partito
socialista francese, che si tenne a Parigi dal 6 al 9 ottobre 1918.
In tale occasione, approfittando della presenza di molti delegati
stranieri e della vittoria al Congresso dei "minoritari" fu composta
una «Commissione socialista di informazioni e di azione
internazionale». La Commissione, dopo alcune sedute
preparatorie tenute da Morgari con il bolscevico Kemerer e con altri
delegati francesi e serbi nelle giornate dell'11-13 ottobre, venne
ufficialmente approvata il 14 nel corso di una riunione negli uffici
del Populaire, cui parteciparono il segretario Frossard, Longuet,
Loriot, Paul Faure, Rappoport, ecc; gli italiani Morgari, Alessandri
e Rubino, segretario della sezione socialista italiana in Parigi,
oltre a russi, serbi e greci
La nuova Commissione aveva il compito di «creare un centro
d'informazione e di azione a disposizione delle correnti di
sinistra (internazionalisti, intransigenti, zimmerwaldiani) dei
paesi dell'Europa occidentale e dell'America, in considerazione del
fatto che «la censura dell'Intesa era riuscita ad innalzare
un'insuperabile 'muraglia cinese' fra l'Europa occidentale (Italia,
Francia, Inghilterra, Spagna, Portogallo) e il rimanente d'Europa
(Imperi Centrali, Russia, Svizzera, Balcani, Scandinavia),
muraglia che durerà ancora a lungo per impedire il
propagarsi del bolscevismo dall'Est d'Europa all'ovest». La
Commissione intendeva inoltre sostituirsi alla Commissione
socialista internazionale costituita a Zimmerwald - trasferitasi,
nel frattempo, dalla Svizzera a Stoccolma e forzatamente
inefficiente - e al Bureau della II Internazionale «le
cui funzioni, rispettose degli statuti e di tutte le correnti che si
agitano nel socialismo mondiale, non potevano essere che neutrali, e
limitate a convocare imparzialmente i diversi partiti appena il
Congresso internazionale.sarà possibile».[60]
A Parigi patrocinò la proposta di convocare una
conferenza zimmerwaldista a Roma, da contrapporre alla
conferenza interalleata di Londra alla quale la direzione del
partito socialista italiano aveva rifiutato di inviare propri
rappresentanti. Morgari interpellò, a tal proposito, alcuni
membri della nuova direzione (ex minoritaria) del Partito socialista
francese e della nuova Commissione internazionale (tra i quali
Longuet, Faure, Frossard) ma questi opposero un netto rifiuto e gli
mossero il rimprovero di non aver partecipato alla conferenza di
Londra, dove i socialisti italiani neutrali avrebbero potuto
collaborare con i “minoritari”.
24. La Comune di Budapest
Dopo la sconfitta degli imperi centrali e l'abdicazione
di Carlo d'Asburgo, il presidente provvisorio dell'Ungheria Karolyi,
di fronte alle crescenti difficoltà e nella speranza di
attenuare l’ostilità delle potenze vincitrici, aveva
rassegnato le dimissioni affidando il potere al partito socialista
nato dalla fusione dei socialdemocratici col piccolo partito
comunista fondato da Bela Kun. Così iI 21 marzo del 1919
veniva proclamata a Budapest la Repubblica Ungherese dei Consigli.
In effetti l'Intesa mandò a Budapest un
suo rappresentante col compito di trattare l'accordo di pace. Fu un
successo per il governo dei Consigli non solo in Ungheria
(dove l'opinione pubblica lo appoggiò in uno spirito di
solidarietà nazionale) ma anche in Europa, alimentando
l'interesse intorno alla seconda rivoluzione socialista, attuata nel
cuore dell’Europa.
Il successo e i consensi dei primi giorni di vita
permisero al governo rivoluzionario di lavorare per l'edificazione
anche pratica del nuovo ordinamento sociale, economico e produttivo
del paese, esprimendosi con misure più massimaliste di quelle
attuate in Russia: il 26 marzo fu decretata la nazionalizzazione di
tutti gli impianti industriali, minerari e di trasporto con
più di venti operai, di tutti i beni immobili e gli istituti
finanziari; il 3 aprile si dichiarò il passaggio di tutte le
proprietà fondiarie a «proprietà dello Stato
proletario senza alcuna indennità di riscatto».
Quest'atto, sebbene in linea con la dottrina marxista e
soprattutto dettato dalla necessità di garantire la
continuità dei rifornimenti alimentari alla capitale e al
fronte, rappresentava una delusione per quei contadini poveri che
avevano sperato nella ridistribuzione fondiaria e nel possesso della
terra. Il sistema delle «cooperative di produzione» ,
spesso amministrate dagli ex proprietari, non fu di fatto accettato.
Frattanto l'Intesa favorì la creazione di
governi controrivoluzionari e aiutò gli attacchi militari
della Romania e Cecoslovacchia. La sorte della repubblica dei
Consigli sembrava già segnata quando alla metà di
aprile le truppe romene iniziano la loro offensiva militare se non
fosse stato per la mobilitazione popolare messa in atto dal governo
rivoluzionario con la creazione di un' Armata rossa a cui
affluirono per spirito patriottico anche ex ufficiali ed
elementi della inteIligenzia
I mesi di maggio e di giugno gli ungheresi recuperarono le posizioni
perdute aprendo possibilità per la sopravvivenza della
repubblica dei Consigli che attendeva a brevissima scadenza lo
scoppio di una rivoluzione in tutto il bacino centro-europeo
confortata dalle notizie provenienti dalla Baviera e dalla
ritenuta imminente saldatura delle truppe ungheresi con l'Armata
rossa sul fronte ucraino.
L'avvenimento suscitò viva impressione sulle masse popolari:
la rivoluzione sembrava estendersi a macchia d'olio In Italia, la
Direzione del partito socialista il 19 marzo 1919 aveva votato un
ordine del giorno di adesione all’Internazionale Comunista; ora,
dopo le novità provenienti dall'Ungheria e dalla Baviera, il
PSI nel manifesto del Primo Maggio rivolgeva un appello «La
classe lavoratrice dovrà infine affermare che è ormai
animata da chiara coscienza della propria forza e dei propri
destini, che è pronta a raccogliere e seguire gli
insegnamenti della Russia, dell'Ungheria, della Baviera dove il
potere politico ed economico è raccolto soltanto nelle mani
di chi produce, di chi lavora».
In Italia però le notizie giungevano confuse e allarmanti, la
stampa socialista era costretta ora ad accogliere ora a smentire le
più clamorose invenzioni giornalistiche come quella della
occupazione della capitale o della morte di Bela Kun.[61]
L’incertezza delle informazioni, l’esigenza di una presa di contatto
diretta, il desiderio di manifestare la solidarietà dei
socialisti italiani stanno alle origini della missione affidata
dalla Direzione del Partito a Morgari che si trovava allora a Monaco
di Baviera; vi si era recato dopo aver inutilmente tentato di
raggiungere Pietroburgo da Zurigo e da lì il 1. aprile aveva
inviato un messaggio a Mosca nel quale esprimeva la piena adesione
del PSI all'Internazionale Comunista e la solidarietà
dei socialisti italiani al governo dei Soviet.[62]
Il 19 maggio giungeva [63] a Budapest pieno di
curiosità e di interesse, disponibile all’entusiasmo, ma
insieme ansioso di registrare obiettivamente sulla base d’un
rigoroso metodo «scientifico» e
«sperimentale» quanto avrebbe visto. La tattica
consistente «nel registrare colle luci le ombre, le
lamentele, le deficienze, gli errori», spiegandone beninteso
le cause, equivaleva ai suoi occhi «ad aprire una scuola
pratica ad uso dei proletariati che non hanno ancora fatto la loro
rivoluzione. Frequentando tale scuola, conoscendo ogni passo del
calvario, salito dai fratelli che li precedettero nella
fatica gloriosa, apprenderanno ad imitare le cose
buone, a prevedere difficoltà, a prepararsi a vincerle e a
non ripetere gli errori, almeno nella misura che le circostanze
permetteranno»
Il 25 maggio l'Avanti! con un servizio da Budapest dava notizia
dell'arrivo del Morgari, della sua visita al più grande
complesso industriale della capitale, la Landmaschinen Fabrik,
del suo incontro con le truppe combattenti sul fronte
nonché dei colloqui da lui avuti con Bela Kun, con Vilmos
Bòhm e con Gyula Alpàry.
La corrispondenza, negando le esagerazioni delle agenzie
borghesi (la morte di Kun, l’occupazione di Budapest, lo
sciopero generale, la fame, il terrore), tendeva a dare un quadro
ottimistico della situazione: «Ieri visitammo con
Morgari il fronte a nord-est di Budapest, arrivando a un
chilometro di distanza dalle posizioni ceche di Miskolcz, ove
strisciammo a terra per osservare le posizioni sotto il fischio
delle cannonate. Miskolcz, fu presa nella notte stessa dagli
ungheresi, che fecero trecento prigionieri cechi e si impossessarono
di trenta mitragliatrici... Dovunque visitammo truppe riscontrammo
grande entusiasmo. Tutti marciavano compatti, uniti, sventolando
bandiere rosse,cantando la Marsigliese e l’Internazionale,
adornando cannoni, automobili e treni con simboli rivoluzionari e
accogliendo la nostra automobile con grida di evviva
all’Internazionale...Ad Harszay venne assalito dai soldati
l’automobile dello Stato maggiore, improvvisando una dimostrazione
di simpatia. Un soldato parlò a nome del suo reggimento,
pregando i capi dell’esercito di salutare in loro nome il
proletariato rimasto nelle fabbriche, nelle officine e nei
campi, raccomandandogli di lavorare tranquillamente all’interno, che
essi, proletari in divisa, faranno il proprio dovere alle
frontiere» [64].
A Csòt Morgari si recò il 7 luglio per svolgere
un’inchiesta sull’allontanamento della compagnia italiana
del 2. Battaglione balcanico. I 71 volontari italiani dell’esercito
rosso erano stati accusati dal comandante di depredazioni e
internati a Csòt. Morgari, nella relazione inviata al
Commissario del Popolo per la guerra, affermò infondate le
accuse rivolte ai volontari italiani e ne chiese l’immediata
liberazione. Fece visita anche alla missione militare italiana,
l’unica dell’Intesa rimasta a Budapest, comandata dal maggiore
Romanelli.
Questi giunse a chiedere i “buoni uffici” di Morgari per convincere
Bela Kun a cedere il potere, sotto la garanzia dell’Italia, in
considerazione della tragica situazione in cui versava l’Ungheria,
in guerra con quasi tutti i suoi vicini e in previsione di un
probabile intervento dell’Intesa. Sembrò, in un primo
momento, che Kun si manifestasse disposto ad accedere alle proposte
del Romanelli. Ne da notizia un telegramma, spedito per corriere
diplomatico il 26 maggio: «Delegazione di Budapest informa che
l’on. Morgari ora Budapest per seguire movimento bolscevico, avvisa
nostra Missione essere Bela Kun disposto cedere potere attuale e
chiedere intervento Italia per garantire ordine. Bela Kun domanda
come Italia ricostituirebbe potere in Ungheria e se intervento
Italia a Budapest porterebbe conseguenza intervento altre truppe
Intesa..(....)... .se si potesse in qualche modo profittare a
vantaggio del nostro paese di questo... e prepararci ad una seria
influenza nostra per dopo, sarebbe certamente opportuno non
perdere tempo»
Ma dopo il 24 giugno, in seguito all'opera di difensore dei
contro-rivoluzionari da Romanelli[65] svolta, Morgari ruppe le
relazioni con la Missione italiana tanto da rifiutare nei momenti
della crisi della «Comune» l'ospitalità e la
protezione offertagli. Una polemica si sviluppò
successivamente: il Corriere della Sera, in polemica con
l'Avanti! che aveva attaccato la Missione italiana accusandola di
correità con i controrivoluzionari, aveva scritto che Morgari
doveva la sua liberazione dai soldati bianchi a Romanelli,
circostanza smentita dall'interessato. .
In una lettera a Kun scritta all'indomani del tentativo
controrivoluzionario del 24 giugno quando alcuni militari
dell'Accademia Ludovica cannoneggiarono la sede del governo,
consigliava di non ricorrere alla pena di morte sia per non
dare motivo alla Francia, cui era stato affidato il compito di
polizia dal trattato di armistizio, di intervenire, sia
perché metodi feroci di repressione avrebbero influito
“sul buon nome della rivoluzione proletaria in occidente”, e
soprattutto perchè «...se anche fosse vero che col
rinunciare al Terrore veniste incontro al voto dei compagni di
destra, questa sarebbe una ragione in più per rinunciarvi,
perché così cementereste quell'unione fra le due
correnti del proletariato ungherese che è tanto necessaria e
che è una delle ragioni di superiorità della
rivoluzione ungherese sulla russa ...L'obiezione più grave
pare questa, che la controrivoluzione del 24-25 corr. sia stato il
frutto di un regime dittatoriale non severo” . Concludeva
suggerendo che “imprigionare molti ribelli e cospiratori borghesi
equivale, come efficacia, ad ucciderne alcuni. Minore
l'intimidazione, ma in compenso maggiore la paralizzazione. Non
crudeltà, non vendetta, ma difesa recando il minor dolore
possibile.”
. Davanti all'ultimatum di Clemenceau, che intima agli ungheresi di
cessare le operazioni militari contro i cechi e i romeni, Kun
dovette cedere e far ritirare le truppe schierate su posizioni
avanzate. Questo gettò lo scompiglio nelle file dell'esercito
rosso ungherese, facendone precipitare il morale e la compattezza.
Il 1° agosto, mentre le truppe romene si apprestano a marciare
su Budapest, con la capitale accerchiata e con una controrivoluzione
sempre più attiva all'interno, il Consiglio del governo
rivoluzionario si dimette, e il 18 novembre entrava in Budapest
l'ammiraglio Horty instaurando un regime
controrivoluzionario.[66] Entrati i romeni a Budapest
tra il 7 e l'8 agosto, dopo aver assistito «ad una atroce
caccia all'uomo», era stato arrestato. Liberato, poi di nuovo
arrestato altre due volte, infine definitivamente liberato aveva
lasciato l'Ungheria il 15 agosto.
Dopo due mesi trascorsi a Vienna, il 10 ottobre aveva ripreso
la via dell'Italia. Ora ci si attendeva che parlasse, che
raccontasse quel che aveva visto. Ma preferiva tacere, anche a costo
di lasciar nascere supposizioni. Se prendeva la parola in pubblico,
quanto all'Ungheria si manteneva sulle generali e sorvolava sui
punti più controversi [67]
Da quanto possiamo desumere dalla lettera ai Cari compagni della
direzione del partito, l'esperimento comunista ungherese deluse
fortemente Morgari, soprattutto perché la fine era stata
causata non tanto dalle forze esterne, quanto «dallo stesso
voltafaccia della maggior parte dei lavoratori». La lettera
è un documento che ha un notevole valore politico e
biografico. Dopo aver premesso che «[...] se il viaggio
compiuto per vostro incarico e l'aver visto vivere e tragicamente
perire ben due Repubbliche dei Consigli, hanno modificato e
temperato le mie antiche prevenzioni contro la tattica bolscevica,
non le hanno però annullate », riferendosi
esplicitamente alle possibilità rivoluzionarie che alcuni
socialisti itaiani ritenevano esistenti in Italia e in altri paesi
d'Europa nel 1919 Morgari scriveva: «Non ho fede nelle energie
insurrezionali del proletariato in Italia e nel resto d'Europa, la
Russia esclusa, specie nei paesi usciti vittoriosi dalla guerra, nel
presente stato storico, né d'altra parte credo che la
situazione politico-economica dei paesi vittoriosi è
catastrofica da condurre gli istituti borghesi, a cominciare da
quello militare, ad uno sfasciamento che dia il potere al
proletariato non per la forza di questo, ma per il crollo
avversario». Per quanto concerneva specificamente l'Italia,
egli riteneva pertanto che il PSI «dovrebbe guardare la
verità nel bianco degli occhi; riconoscere che esso non
è ancora in grado di rovesciare le istituzioni
capitalistiche».
Le perplessità che la rivoluzione ungherese poteva suscitare
nella base socialista erano sui metodi che avevano caratterizzato la
gestione del potere nel periodo di dittatura del proletariato. Per
le tradizioni pacifiste e non violente del socialismo italiano,
l'argomento aveva una sua indubbia consistenza e non lo si poteva
accantonare tanto agevolmente. Il «socialismo» non
poteva essere costruito col «terrore»[68]: naturalmente
si dava certo che le descrizioni propalate dalla stampa borghese
peccassero per eccesso e fossero viziate dalla precisa
volontà di stravolgere fatti e situazioni per spirito di
parte. Ma il problema diventava allora sapere che cosa era veramente
successo, ricorrendo a testimonianze obiettive e sincere.
Fu solo il 22 dicembre, davanti a 72 deputati socialisti e a qualche
altro compagno fra cui Serrati, che finalmente ruppe il silenzio
tenendo una lunga relazione di quel che aveva veduto e appreso in
Ungheria. Riferendone due giorni dopo l'«Avanti!»[69]
negò che le conclusioni fossero cosi disastrose per i
massimalisti da consigliare una sorta di censura. Morgari, al
contrario, era stato invitato a stendere una relazione scritta
che sarebbe stata certamente diffusa «a meno che non vi si
oppongano ragioni di opportunità politica». Certo aveva
sottolineato anche gli aspetti negativi e il suggerimento che
si poteva ricavare da quanto aveva detto era «la
necessità d'una più stretta intesa, onde gli
avvenimenti non trovino impreparato il partito, per cui esso sia
sorpassato e sommerso da altri elementi, i quali, mossi solo da
interessi o personali o di gruppo, non vedendo le supreme
necessità del movimento d'insieme, potrebbero compromettere
cogli eccessi, il successo di quella rivoluzione sociale, che
è la finalità stessa del Partito socialista» .
Ma intanto altre versioni attribuivano al rapporto Morgari una
intonazione ben più dura. A stare al «Messaggero»
Morgari avrebbe addirittura dichiarato che «la dittatura
proletaria era passata come una rapida devastazione, che
l'attività dei comunisti di Ungheria era stata distruttiva e
la produzione nelle fabbriche era diminuita dal cinquanta al
settantacinque per cento», che i contadini s'erano rifiutati
di approvigionare le città, che la burocrazia,
«nonostante il regime comunista, era estremamente
corrotta», che i funzionari bolscevichi « si
arricchivano, compiendo, in nome del governo, requisizioni a proprio
vantaggio », che si erano commessi «atti di
brutalità» senza risparmiare «atti atroci di
repressione»
All'assemblea del 17 febbraio 1920 della Sezione socialista
milanese, Serrati sostenne che «noi non abbiamo alcuna ragione
per tenere nascosto quanto è avvenuto in Ungheria La
rivoluzione è quello che è, non si fa allegramente,
è irta di difficoltà, di incognite, di aspri
doveri». Proprio per questo si poteva analizzare senza paura
la rivoluzione ungherese, ben sapendo che al di là degli
errori o dei difetti essa sarebbe rimasta «una grande e
gloriosa pagina di storia dell'Internazionale comunista»
Ma Morgari preferiva tacere. E invano nel giugno 1920 la segreteria
della SFIO sollecitava l'invio d'una copia della sua ormai mitica
relazione. La richiesta appariva anzi come conferma che aveva fatto
bene a non pubblicar nulla. Gli incitamenti e le esortazioni a farlo
erano state numeroso, «ma — eccettuato per parte di Serrati —
sempre da destri o da avversari». Ora la richiesta dei
socialisti francesi aveva un analogo retroterra, «Vuol dire
che si cercano armi contro il massimalismo dei Loriot ecc.».
Morgari non voleva servire da arma di scissione. «Ora,
né io potrei scrivere in un rapporto la metà
solamente delle cose vedute, né potrei scriverle tutte,
ciò che varrebbe fornire argomenti taglienti ai nemici
del Partito e alla frazione di esso che non è quella alla cui
fiducia dovetti l'incarico del viaggio in Ungheria».
Ma non era solo questo il motivo di tanta resistenza. Al di
là del dissenso, che pure aveva preso forma, c'era un impegno
di solidarietà al quale non si poteva mancare nei confronti
di «quei compagni di fede, ora tutti dispersi per il mondo o
tragicamente periti» che avevano generosamente dato vita
all'esperimento d'Ungheria. Anche per questo il silenzio
rimaneva, nonostante tutto, la migliore consegna.
25. I viaggi in Russia e la valutazione del bolscevismo
Nel luglio 1922 era stato varato il «Comitato per le
iniziative italo-russe», costituito tra alcuni dei
maggiori rappresentanti della grande industria ed esponenti
autorevoli del socialismo riformista, cui avevano dato la loro
adesione tecnici come Alberto Beneduce.
Con Turati, Buozzi e D'Aragona si erano impegnati anche Baldesi.
Morgari, Colombino, Buozzi, la Cgl e i direttivi di federazioni
operaie e di leghe cooperative che tentarono di stabilire un
terreno di intesa con gli industriali per contrastarne
l’allineamento al movimento fascista e per ricostituire il
blocco di interessi del periodo giolittiano
La carta era quella di favorire un'apertura alla penetrazione
commerciale italiana sul mercato sovietico che consentisse di
alleviare il blocco delle esportazioni ma anche di alimentare canali
di rifornimento di materie prime svincolati dal monopolio
dell'Inghilterra e degli Stati Uniti.
In complesso, una grossa rappresentanza degli interessi del settore
meccanico, della navigazione, tessile e chimico dell’Italia
settentrionale aveva raccolto l’invito. Mai come in quel momento era
parsa consistente la prospettiva di una convergenza reciproca fra
industriali e sindacati. Ma questa politica aveva degli antefatti: i
riformisti avevano puntato le loro carte su Agnelli come
l'unico in grado di trascinare altri esponenti economici e
di avere l'appoggio di Giolitti e che soprattutto era andato
inseguendo l'obiettivo di ripristinare i rapporti commerciali
con la Russia fin dal 1920 quando emissari della Fiat avevano
compiuti dei sondaggi con Krassin e altri agenti sovietici in
Europa. «Per Buozzi Agnelli è la maggior forza che si
potesse avere con noi. È sicuramente il grande
industriale lungimirante capace di procedere per tre-quattro
anni per raggiungere uno scopo. Anche se collocasse in Russia
migliaia di auto e camion senza un centesimo di profitto,
avrebbe convenienza ad alimentare l'industria. È un
esportatore, unico a vendere nel mondo, ad essere il
più grande fabbricante di macchine»[70]
Finita la fase ascendente dell'ondata rivoluzionaria in
Europa, il governo sovietico aveva espresso agli ambienti economici
occidentali la sua disponibilità per una ripresa delle
esportazioni, secondo lo spirito della Nep di recente inaugurata.
Morgari all'arrivo nel marzo 1921 di una missione commerciale
russa conclusasi con la sottoscrizione di un trattato
commerciale provvisorio aveva ripreso le trattative per conto della
Fiat e poi, con il presidente del Consorzio operai metallurgici
Colombino, era stato a Genova, a sondare il terreno presso la
delegazione sovietica alla Conferenza apertasi il 19 aprile.
Le forti riserve sollevate da destra e
l'intervento del ministro degli Esteri in Consiglio dei
ministri erano valsi a rimettere in discussione la ratifica del
trattato con la Russia già sottoscritto a Genova il 24 maggio
che comportava il riconoscimento dello stato sovietico
cosicchè nell’estate si era creato un vuoto politico, sebbene
i rapporti tra la società italiana e il mondo russo si
fossero infittiti: l’Italia aveva risposto con grande slancio
all’«appello contro la fame» lanciato da Maksim Gor’kij
per combattere gli effetti della terribile carestia che alla fine
del 1921 aveva colpito molte regioni della Russia. Il partito
socialista aveva costituito il Comitato pro-Russia che all’inizio
del 1922 aveva inviato nel Mar Nero l’«Amilcare
Cipriani», con un carico di viveri e di medicinali.
Paradossalmente il rifiuto al riconoscimento della Russia
finiva per rivalutare la presenza di Morgari e dei suoi compagni nel
Comitato perchè rimanevano valide le prospettive di
natura economica e commerciale. Proprio su questa base il presidente
della Fiat aveva ritenuto opportuno mantenere in vita il
Comitato
In queste condizioni però l'attività dei
rappresentanti socialisti era destinata a scadere in un'opera
di pura e semplice mediazione commerciale in un momento in
cui era mutato profondamente il clima del Paese e
si era andato chiarendo il carattere illusorio di prospettive di
collaborazione fra costituzionali e riformisti, cui non era
servita nemmeno la scissione del partito socialista.
Morgari nel corso dell’estate aveva intessuto una fitta
rete di corrispondenza con industriali, cooperatori, autorità
governative, per far decollare un progetto di colonizzazione
agricola che espose al primo congresso italo-orientale e
coloniale, che si tenne a Trieste dal 12 al 15 settembre 1922,
gettando un ponte fra la politica dei «grandi» e dei
«piccoli» affari, invitando a considerare il commercio
italo-russo in funzione dell’importazione delle materie prime. Egli
si riferì alla Russia come all’unico paese che potesse
salvare l’Italia dall’isolamento e dall’accerchiamento economico e
si propose per andare in Russia come ambasciatore di questa
politica.
La sua perseveranza verrà premiata: alla fine del
1922. Agnelli e l'industriale milanese Marinotti lo inviarono a
Mosca, con l’incarico di essere il loro osservatore
commerciale; anche se non era ciò che Morgari aveva
desiderato, qualora la Fiat avesse deciso di impegnarsi seriamente
sul mercato russo si sarebbe trattato pur sempre di un contributo
alla «lotta contro il monopolio delle grandi potenze
industriali».
Egisto Pavirani, cooperatore e tecnico agrario socialista lo
aveva seguito per studiare la realizzazione di un progetto di
colonizzazione italiana nella Russia meridionale. "Mussolini in
persona si espresse favorevolmente all’impresa col Baldini" scrisse
Morgari[71] a Pavirani prima che questi, insieme a un compagno
comunista delegato dal PcdI si recasse nella Russia meridionale per
ispezionare la concessione.
In sostanza, dileguatosi l'ottimismo iniziale circa un proficuo
intervento in Russia di cooperative agricole socialiste, del
lungo lavoro portato avanti da Buozzi, D'Aragona e Turati,
rimarrà in piedi semplicemente il rapporto personale
stabilito da Morgari con Agnelli, ma senza alcuna concreta
rispondenza alle volenterose aperture verso la grande industria per
un rovesciamento dei suoi orientamenti politici di fondo.
Le sue valutazioni sul regime sovietico variarono nel corso deli
anni: nell’opuscolo Che cosa vogliono i socialisti
unitari, pubblicato nel 1923 condannò
il regime russo,
ponendolo sullo stesso piano di quello
fascista “oggigiorno in Russia, grazie al terrore,
dominano ancora i comunisti ma di socialismo non c'è quasi
più niente... Con la tattica della fretta non si ottiene
altro che di diffamare il socialismo »
Quando nel 1934, dopo il patto d'unità d'azione con i
comunisti, s'accenderà il dibattito sul pacifismo
socialista, fu il primo a far sua la parola d'ordine della difesa
dell'URSS che, riteneva, per la sua stessa natura sociale non
potesse impegnarsi in guerre d'aggressione.
Nel 1936-37 soggiornò nell'URSS e in particolare in Crimea
nel periodo delle "grandi purghe" e di queste dette all'inizio
un'interpretazione filostaliniana, cosa che non impedirà che
gli venissero confiscati al momento del rientro in Francia[72] i
materiali di studio costituiti da note e appunti che, come sua
consuetudine, egli diligentemente compilava e che erano
custoditi in due valigie, per cui non ci restano documenti su questo
soggiorno.
26. Nel movimento antifascista in Italia e in Francia (1922-44)
Rieletto nel 1919 e nel 1921, pur avendo chiesto di non essere
più candidato, come segretario del gruppo parlamentare
prospetta i pericoli della situazione politica e chiede la revisione
della linea di condotta del Partito. Il 2 agosto 1921 con Bacci,
Zannerini, Musatti per il Gruppo Parlamentare e la Direzione del
PSI, Baldesi, Galli, Caporali per la CgdL, firma il patto di
pacificazione con Mussolini, De Vecchi, Giuriati nello studio del
presidente della Camera De Nicola.
Nel dopoguerra la sua voce nei dibattiti interni del partito risuona
sempre meno: non interviene ai congressi di Roma (1918), Bologna
(1919), Livorno (1921), Milano (1921), Roma (1922), e nel corso di
quest'ultimo vota la mozione riformista aderendo al Partito
Socialista Unitario (PSU) di Turati, Treves, Matteotti come quasi
tutta la dirigenza piemontese del PSI con l'eccezione di Romita,
Barberis, Amedeo e pochi altri.
Scrive nel 1923 l'opuscolo II Partito socialista unitario per
illustrarne i princìpi; durante le elezioni del 1924
raccoglie le prove delle violenze fasciste e documenta i brogli e il
terrore delle camicie nere nel pamphlet La libertà di voto
sotto il regime fascista. Fa parte con altri sei (Caldara, ecc.)
della Direzione del Partito Socialista dei Lavoratori Italiani
(PSLI) che sostituisce nel 1925 il PSU sciolto all'indomani
dell'attentato Zaniboni.
Nel 1926 ripara in Francia dove con Baldini, Turati, Treves, Buozzi,
Modigliani e altri fuorusciti collabora alla ricostruzione
dell'organizzazione che prende il nome di Partito socialista
unitario del lavoratori italiani (PSULI) e che in quel momento
dispone di tre sezioni (Parigi, Tolosa e Lione), mentre i
massimalisti, più numerosi, ne avevano sette. L'impegno
maggiore è quello di fondarne altre nei più importanti
centri dell'emigrazione e di far uscire l'organo di stampa
"Rinascita socialista", come si desume dalla Circolare
sull'organizzazione che Morgari stila in data 1. maggio 1927
Il PSULI pur avendo un numero di iscritti inferiore a quello dei
massimalisti, poteva contare su dirigenti di notorietà
internazionale e godeva dell'appoggio del partito francese (SFIO) e
delle sovvenzioni dell'Internazionale socialista (IOS). Inoltre
erano in maggioranza riformisti i dirigenti della ricostituita CgdL
Collabora al «Corriere degli Italiani», fondato da
"popolare" Luigi Donati, risiedendo presso la redazione del giornale
[73].
Il "Corriere degli Italiani", sposando posizioni alquanto
critiche verso gli ambienti del fuoruscitismo offrì il
fianco alla provocazione fascista, ricevendo finanziamenti
addirittura dall'Ambasciata italiana: è questo, della
eccessiva credulità, un aspetto della personalità del
Morgari che si rivelò pericoloso in un ambiente
infiltrato di spie e provocatori quale quello dell'emigrazione
antifascista in Francia[74].
Fece parte del "Comitato per l'azione in Italia" costituito nel
1928, e nel 1929 della "Commissione per la propaganda in Italia",
presiedute entrambe da De Ambris.
Nel 1930 al 21. Congresso (primo dell'esilio) tenuto a Parigi il
29-30 luglio, che è anche il congresso della riunificazione
con il partito massimalista (o meglio con l'ala giudata da Nenni,
mentre una parte con Angelica Balabanoff ne rimarrà fuori)
è nominato segretario amministrativo (segretario politico Ugo
Coccia).[75]
Non risulta aver partecipato invece al 22. Congresso, tenuto
Marsiglia nell'aprile 1933. Con il 1933-34 la vita politica europea
subisce un'accelerazione cresente: in Germania arriva al potere
Hitler e viene inaugurata la politica dei fronti popolari. Per il
partito socialista furono gli anni dello scioglimento della
Concentrazione e della nascita del Centro Interno, del patto di
unità d'azione con i comunisti e dell'impegno in Spagna.
Il tradizionale pacifismo perde il carattere di intangibilità
per diventare oggetto di discussione: quando nel 1934, dopo il patto
d'unità d'azione con i comunisti, si accenderà il
dibattito sul pacifismo socialista, è il primo a far sua la
parola d'ordine della difesa dell'URSS che riteneva per la sua
stessa natura sociale non potesse impegnarsi in guerre d'aggressione
e propugna il «disfattismo rivoluzionario» da opporre ai
regimi fascisti in caso di guerra.
E' Morgari a iniziare la discussione con due articoli sul
"Fattore bellico nella politica dell'antifascismo" pubblicati dal
"Nuovo Avanti!” dell’aprile 1938, cui
rispose Modigliani richiamandosi
alla tradizionale agitazione socialista, che con la politica del non
intervento di Leon Blum strappa alla borghesia la bandiera del
pacifismo integrale, che in Francia è un fatto di massa,
con radici profonde nella grande guerra, nella «rivolta umana
contro la distruzione bestiale e la morte a comando”
Ma e poi? chiede Morgari, che non rinnega il suo precedente
pacifismo, ma ritiene antistorico riproporre il cliché di un
marxismo " unilaterale e semplicista", quando l'esperienza
insegna che "talune guerre hanno portato non reazione, ma
libertà (…) La stessa guerra mondiale del 1914-1918
partorì la rivoluzione d'Ottobre e ben dieci repubbliche
democratiche”
Gli interrogativi si affollano. E se la guerra scoppiasse
mentre noi stiamo svolgendo il nostro apostolato per la pace, cosa
dovremmo fare? Continuare la nostra missione, come se niente
fosse, per l'emancipazione del proletariato e rifiutare di
allinearci al blocco antifascista? Ma se questo
malauguratamente perdesse la partita e quindi di conseguenza il
proletariato fosse inabissato nella dittatura reazionaria per una o
due generazioni? «Collaboriamo con le altre forze progressive
del mondo a scongiurare la nuova guerra europea, ma se è
destino che si produca, prepariamoci spiritualmente, tatticamente e
organizzativamente a far si che questo nuovo spaventoso delitto del
fascismo si converta in una tomba per le camice nere, brune, verdi e
di ogni colore. Con tutti i mezzi, nessuno escluso!”
Al 23. Congresso (terzo dell'esilio) svoltosi a Parigi
dal 26 al 28 giugno 1937, un anno dopo la vittoria del Fronte
Popolare, è delegato della Federazione parigina. Nel corso
del 1938 interviene in comizi "unitari": parla, con Emilio Lussu per
Giustizia e Libertà e Giuseppe Di Vittorio per il PCI, il 5
aprile a Grenoble, e il 6, sempre con Lussu e con Giusppe Berti per
il PCI, a Lione. Collabora al periodico repubblicano "Problemi della
rivoluzione italiana" [76]
Nell'estate del 1939 il patto russo-tedesco mette in crisi
l’alleanza fra PSI e PCI e la segreteria di Nenni che ne era stato
fautore. In un’assemblea convocata nella sala di rue Meslay
nell’ottobre 1939 prende la parola per chiedere le dimissioni di
Nenni, che viene sostituito da un Comitato composto da Morgari,
Saragat e Tasca, con funzioni di segretari e di direttori del
giornale[77]
Morgari in due articoli del marzo 1940 pubblicati dal “Nuovo
Avanti!” dichiara di non aver rimorsi per "aver stretta la mano
pentita" che Mosca offriva nel 1934 e per aver polemizzato con
Modigliani Tasca e Faravelli a difesa dell'unità d'azione,
perché quella politica corrispondeva alle esperienze e agli
ideali socialisti: difendere l'Urss, mantenere la pace, impedire la
fascistizzazione dell'Europa. Ma ora che Mosca con il "turpe
abbraccio" con Hitler non lascia più dubbi sulle sue
intenzioni di scegliere la guerra per bolscevizzare l'Europa, egli
non ha remore «a cancellare risolutamente Stalin ed i
suoi seguaci» dalle alleanze socialiste, innanzi tutto
«"pregiudizialmente", per un motivo di incompatibilità
morale».La sua indignazione è al massimo. Definisce
Stalin "truffatore" e "giuda", chiama «il paese di Stalin, non
più Urss, come finora, ma bensì Russia quanto
all’aspetto geografico e Stalinlandia quanto al regime politico”
Fu questa del marzo 1940 la sua ultima presa di posizione
politica; il Comitato venne integrato da Buozzi e Faravelli e
quando i tedeschi entravano a Parigi, mentre gli altri membri si
trasferivano nel Sud, dove poi elaborarono le “Tesi di Tolosa”, si
trovava ricoverato in un ospedale. Verso la fine del 1940
all’aggravarsi del male ottenne di ritornare a Torino, dove rivide
amici e parenti che avevano persuaso le autorità a
concedergli di tornare e di potersi recare a Sanremo, dove si spense
nel novembre del 1944. in una modesta pensione.
L'11 novembre 1945 la salma venne trasferita a Torino, e
presso la sede provinciale del PSIUP fu commemorato dal socialista
alessandrino Paolo De Michelis.
27. Conclusione
Spariva con lui una figura tipica del socialismo
italiano di fine secolo. Nutriva una fede positiva nell'uomo ed era
convinto che i proletari si sarebbero riscattati da soli.
Riformista, non dimenticò mai l'obiettivo ultimo, anzi in
più occasioni lo additò ai compagni che
indulgevano al ministerialismo ma, convinto che la situazione non
fosse matura per la rivoluzione, optò
sempre per il quadro dei miglioramenti che la classe lavoratrice
può procurarsi oggi.
Con la svolta politica del 1901 intravvide la
possibilità di rafforzare l' alleanza con l'ala progressista
e radicale della borghesia, ma l'appoggio alle forze più
rinnovatrici della borghesia non ebbe nulla in comune con
l'acquiescenza al ministerialismo e al trasformismo giolittiano.
Fu dopo il 1907 una figura isolata a livello nazionale,
lontano dal massimalismo vittorioso nel 1912, ma anche distinto dal
riformismo lombardo-emiliano per alcuni elementi di
originalità, in primo luogo la particolare
sensibilità per i problemi del Mezzogiorno e l'insistenza con
cui si battè per il suffragio universale accanto a
Gaetano Salvemini e a Giuseppe E. Modigliani, mentre nella sezione
torinese non si preoccupò di crearsi un seguito personale.
La Grande guerra lo “rilanciò” ma il
dopoguerra, con i profondi mutamenti avvenuti (rivoluzione russa,
fascismo), lo vide appassionatamente partecipe ma ormai consegnato a
un ruolo di testimone di un’altra epoca, autorevole ma
sorpassato.
[1] A.M.Comanducci “I pittori italiani
dell’Ottocento. Dizionario critico e documentario”, Milano, 1992, ad
nomen
[2] R.Rigola “Rinaldo Rigola e il movimento
operaio nel biellese: autobiografia”, Bari, 1930, pag. 172-3
[3] Natta “Serrati. Vita e lettere di un
rivoluzionario”, Roma, 2001; A.Rosada “Serrati nell'emigrazione”.
1889-1911”, Roma, 1972; vedi anche G.Miccichè"Vincenzo
Vacirca : un socialista itinerante" , Ragusa, 1992
[4] D.Gnocchi “Odissea rossa. La storia
dimenticata di uno dei fondatori del PCI”, Torino, 2001
[5]"Come divenni socialista" in "Nuovo
Avanti!" di Zurigo del 27 luglio 1939
[6] “Grido del Popolo” del 18 ottobre 1913,
articolo che tratteggia la sua figura di candidato alle imminenti
elezioni politiche
[7] Come divenni socialista" in "Nuovo
Avanti!" di Zurigo del 27 luglio 1939
[8] Da ultimo M. Scavino, “Con la
penna e con la lima. Operai e intellettuali nella nascita del
socialismo torinese. 1889-1893”, Torino, 1999 (ma ancora
validi M.Grandinetti“Il tempo della lotta e dell' organizzazione:
linee di storia della CdL di Torino”, Milano, 1992; P.Spriano
“Storia di Torino operaia e socialista”, Torino, 1958; P.P.Bellomi
“Lotte di classe, sidacalismo e riformismo a Torino 1898-1910” in
“Storia del movimento operaio, del socialismo e delle lotte
sociali in Piemonte”, vol. 2., Bari, 1979)
[9] P.C.Masini “La giovinezza di Luigi Galleani”
in “Movimento operaio”, 1954 n.3; U.Fedeli “Luigi Galleani:
qurant'anni di lotte rivoluzionarie”, Cesena, 1956
[10] C. Finale: “Gli anni genovesi di Giovanni
Lerda e la polemica con Bernstein” in “Movimento operaio e
socialista”, 1962, n.1
[11] “Appuntamento con Oddino Morgari”, in “Nuovo
Avanti!”, 11 maggio 1940
[12] ”La Stampa”, 6.12.1899. Questo il
bilancio, poco simpatizzante, dei caratteri del primo movimento
socialista a Torino che traccerà un trentennio dopo, Piero
Gobetti:”La fisionomia del vecchio socialismo torinese fu data quasi
essenzialmente dall'esistenza dell'Alleanza cooperativa, grande
organismo economico che si rivelò capace di sostenere la
concorrenza del libero commercio nel provvedere alle esigenze del
consumo ma, in sede politica, fu scuola di collaborazionismo e di
spirito burocratico. Né alcuna corrente che divenisse
dominante nel partito ne potè prescindere, perché
questa era la vera base finanziaria del partito nella sua azione
locale. Nofri, tecnico del cooperativismo, nel quale
potè anche trovare il suo canonicato; Casalini, il
missionario dell'igiene, il medico dei poveri, che lavorando
nel suo Comune esauriva tutti i suoi ideali filantropici;
Morgari, l'apostolo popolare nella lotta contro i soprusi e i
privilegi, furono le figure eminenti e popolari nella
psicologia rudimentale delle masse. Il «marchese»
Balsamo-Crivelli, il raffinato dell'erudiziene, il Pastonchi degli
studi storici, e il «professore» Zino Zini recarono al
quadro i necessari colori romantici, con la loro adesione
aristocratica e filosofica alla causa degli umili e degli oppressi.”
[13] La frase pronunciata al processo “So che
sarò condannato e prometto che in qualunque luogo mi designi
la sentenza per scontare la pena del confino, se in quel luogo vi
sarà già il partito lo rafforzerò se non vi
sarà lo creerò” contribuì a creargli la fama di
apostolo intemerato
[14] ACS, Fondo Morgari, cit. in R.Allio “Oddino
Morgari socialista” in “Bollettino storico bibliografico subalpino”
1970, n.3-4
[15] Ibidem
[16]A. Maccarrone “L'attività politica di
Dino Rondani dalla nascita del PSI alla fine della prima guerra
mondiale”, 1995, tesi di laurea consultabile alla Civica di Biella.
Morgari schizza questo ritratto dell'amico "...sempre giovanissimo,
svelto, piccino, con gli eleganti baffetti neri, con braccia, gambe
e lingua in movimento perpetuo..." In "Fiori di maggio", Roma, 1905,
pag. 28.
[17] M.Pecoraro ”Alfredo Bertesi: la figura e
l'opera”, Modena , 1995
[18] Morgari scrisse la prefazione al libro di
Francesco Berutti “Le bande svizzere: episodio tipico dei moti di
maggio 1898”, Arona, 1904. Così Umberto Levra smonta la
leggenda (“Il colpo di stato della borghesia", Milano, 1975): “poco
più di duecento operai italiani abbandonano il lavoro e,
grazie a collette improvvisate, si dirigono senz'armi e senza
bagagli in treno alla volta del Sempione. Prima del confine
intervengono però le autorità cantonali, dirottano il
treno su un binario morto, arrestano gran parte dei componenti della
banda rimasti senza cibo e senz'acqua, li ammassano in un campo di
concentramento improvvisato e li caricano poi su un treno speciale,
dai cui finestrini spuntano malinconiche le bandiere rosse dei
rivoltosi e li trasferiscono sotto scorta fino a Chiasso dove li
consegnano a una compagnia di bersaglieri, tra le vivaci proteste di
gran parte dell'opinione pubblica svizzera colpita dalla procedura
indegna delle tradizioni liberali elvetiche (…) AI Sempione poche
decine di italiani sfuggono all'arresto in territorio svizzero,
disperdendosi sui monti; la maggior parte di essi torna indietro e
alcuni altri tentano di passare il confine a piccoli gruppi (…) Tre
sole guardie di finanza sono perciò sufficienti per
arrestare, senza incontrare resistenza, il 13, il 14 e il 15 maggio,
ben 49 "rivoltosi," privi di armi e spossati dalla fatica (…) Gli
arrestati, quasi tutti in età compresa fra i 15 e i 30 anni e
per lo più originari della provincia di Novara e, in
subordine, del Canavese, di Torino, di Milano e di Pavia, sono
immediatamente deferiti al tribunale militare di Milano con
ordinanza del 19 maggio del tribunale di Domodossola, il quale si
preoccupa, da un Iato, di "legittimare completamente l'operato della
truppa" che ha arrestato i 49 individui e, dall'altro, di far
risaltare con evidenza Ia connessione fra i fatti criminosi di
Milano e la formazione e marcia delle bande In discorso; uno era lo
scopo, la rivoluzione sociale; identici i mezzi, la rivolta armata
ai poteri dello Stato, il saccheggio, la distruzione. Quindi
è che qualunque è la denominazione giuridica a darsi
ai fatti attribuiti agli arrestati, e gli articoli del Codice da
applicarsi, sembra che tali fatti non possano non appartenere alla
competenza dell'Autorità Militare di Milano funzionante da
Tribunale Militare di Guerra, tanto per il proseguimento
dell'istruttoria quanto pel giudizio”. Il tribunale militare di
Milano, incurante delle testimonianze oculari di uomini d'ordine
elvetici e italiani, si atterrà alla versione delle
bande armate, coinvolgendovi anche il Rondani e il Vergnanini e gli
altri principali esponenti socialisti e repubblicani rifugiati a
Lugano
[19] La stessa validità giuridica del
decreto del 22 giugno era in questione: la Corte dei conti l'aveva
registrato con riserva in quanto ledente l'assoluta competenza del
potere legislativo, mentre sulla sua legittimità era stata
chiamata a pronunciarsi in maniera definitiva, la prima sezione
penale della Cassazione di Roma che il 20 febbraio 1900 emise una
sentenza che dichiarava l'illegittimità del decreto non
essendo stato approvato
[20] ; ACS, Fondo Morgari, b. 2, fase. 2,
sottofasc. 6; AGB, fase. Processo Bissolati - Prampolini - Morgari -
De Felice (atti istruttori, testimonianze raccolte dal giudice
istruttore, carteggi degli avvocati difensori);
[21] “Annuario Parlamentare” 1902-5 vol. ix, pag.
891-23. Da allora Morgari fu un punto di riferimento per
l'emigrazione russa in Italia, anche per l'elargizione di piccoli
sussidi, fin oltre la rivoluzione d'ottobre, dopo la quale
tutelò anche socialisti che non aderivano al nuovo regime,
cfr. A.Venturi “Rivoluzionari russi in Italia, 1917-1921 “,
Milano, 1979, e A.Tamborra “Esuli russi in Italia dal 1905 al
1917”, Soveria M., 1977 e 2002
[22] “Critica sociale” 1903, n.18-19
[23] “Carteggio Giolitti”, Milano, 1962, 2. vol.
[24] “Sempre Avanti!”, 1. febbraio 1900
[25] Ora in appendice a R.Pisano “Il paradiso
socialista. La propaganda socialista in Italia alla fine dell'800”,
Milano, 1986. Sull’argomento anche F.Andreucci “Il marxismo
collettivo: Socialismo, marxismo e circolazione delle idee dalla
seconda alla terza Internazionale”, Milano, 1986; G.Turi “Editoria e
cultura socialista (1890-1910)”, in “A. F. Formiggini. Un editore
del '900”, Bologna, 1981
[26] “Arturo Frizzi, vita e opere di un
ciarlatano” a cura di A.Bergonzoni, Milano, 1979
[27] Vedi A. Nesti “Gesù socialista.
Una tradizione popolare italiana.(1880-1920)” Torino, 1974
[28] F.Pedone “Il Partito socialista nei suoi
congressi”, vol.2., Milano, 1961
[29] Contemporaneamente la CdL di Milano
conta 34.000 iscritti, 28.000 quella di Genova e 6.000 Bologna
[30] G.B.Furiozzi,
“Francesco Paoloni e il socialismo integrale, 1892-1917”, Firenze,
1993
[31] Resoconto stenografico del IX congresso
nazionale, Roma, 1907, p. 64
[32] G. Arfè, Storia dell'Avanti. Vol. 1,
1896-1926. Milano-Roma, 1963, p. 71
[33] Nel dopoguerra divenne seguace di Bonomi;
curò il volume “Il colloquio di un secolo fra cattolici e
socialisti: 1864-1963”, Roma, 1964
[34] l'Avanti!, 17 luglio 1908, "Possono i
Socialisti cristiani iscriversi al nostro partito? riportata anche
in A.Luciani “Socialismo e movimenti popolari in Europa”, vol.
2,t.2, Venezia, 1985" «On. Morgari, Ella gentilmente c'invita
nell'Avanti! di alcune sere fa ad esporre le idee che hanno condotto
noi e numerosi nostri amici democratici cristiani, aderenti alla
Lega democratica nazionale, a fare una professione di fede
socialista; e il suo invito è cosi cortese, ed è un
indizio cosi indubbio di una serenità che molti si ostinano a
non vedere fra i socialisti, che noi non possiamo sottrarci a
quest'atto di "coraggiosa sincerità", come Ella lo chiama.
Ella sa, onorevole Morgari, come un nostro ordine del giorno
sull'indirizzo sociale che avrebbe dovuto assumere la Lega
democratica nazionale nel prossimo Congresso, ordine del giorno
esplicitamente socialista, abbia diviso in due frazioni la sezione
romana della Lega stessa. Dall'una parte la nostra corrente;
dall'altra quella dei democratici-cristiani vecchio stile, la quale
crede conformemente all'antico programma sociale-cristiano di
rimediare alle ingiustizie della società attuale
cercando soltanto di infonderle un nuovo spirito morale, e
ritoccandone alquanto le istituzioni, ma mantenendole nella loro
struttura fondamentale..(...).La nostra adesione al socialismo, on.
Morgari, ha radice nelle nostre convinzioni religiose. La religione
per noi non è una credenza intellettuale in certi principi
astratti od un cerimoniale, cioè un insieme di pratiche
cristallizzate, come la predicano e la sentono i seguaci della
tradizione. La religione è anzitutto e soprattutto un
atteggiamento pratico e vitale di fronte al problema dell'essere e
della vita: è l'atteggiamento dell'uomo che sente la propria
insufficienza individuale, e cerca di completare ed integrare la
propria esistenza entrando in comunione di vita con una potenza
superiore, di cui egli sente essere una parte. La vita religiosa
è una vita di effusione, di allargamento per cui all'uomo
vecchio fatto di egoismo sottentra l'uomo nuovo assetato di amore e
di giustizia. Nulla quindi di più contrario alla religione
dello spirito individualista, sia esso morale od economico, per cui
l'uomo considera se stesso come centro e fine delle proprie azioni e
subordina gli altri ai propri desideri. Duto questo concetto della
vita religiosa, per cui essa non viene concepita come una forma
particolare di vita contrapposta a quella morale, economica, ecc.,
ma come un orientamento di tutta la vita, era naturale che noi dalle
dispute filosoicho e teologiche, scendessimo alla
considerazione dei problemi sociali. E di fronte alla società
presente, che della conquista della ricchezza fa una guerra atroce
fra uomo e uomo, e crea un dualismo gravido di lotte e di odii tra
capitale e lavoro, fra produttore e consumatore, noi ci siamo
domandati: corrisponde questa società al nostro ideale
religioso? Perché il principio cristiano della
solidarietà e della cooperazione deve rimanere un principio
morale astratto e non può, incarnandosi in una
società, divenire la legge della produzione e dello scamblio?
Perché mai questa vita a doppia partita? Ed allora noi
abbiamo profondamente sentito la bontà dell'ideale
socialista; noi abbiamo sentito che oggi il socialismo non
rappresenta soltanto un esercito di sfruttati, spinti
dall'insofferenza del giogo padronale verso la conquista di
un'esistenza migliore, ma rappresenta l'umanità nelle sue
più nobili aspirazioni di giustizia e di solidarietà,
aspirazioni che il proletariato ha l'alta missione storica di
realizzare....Sulle labbra di Cristo suonarono i più forti
accenti di speranza che mai abbia udito l'umanità, e il
Cristianesimo sorse come una grande speranza nell'avvento di un
regno che non era già quello dell'oltretomba, ma un regno
terreno di giustizia e di amore, Solo durante i secoli da speranza
sociale che esso era, divenne speranza individuale, una partita
personale fra l'uomo e Dio. Ma il nostro cristianesimo non solo ci
ha convinti della bontà e della verità delle
aspirazioni socialistiche, ma ci dà pure la speranza e la
fiducia ch'esse possano pienamente trionfare. Se il socialismo per
attuarsi richiede una forte trasformazione psicologica
dell'individuo, una trasformazione delle tendenze egoistiche e
particolariste in tendenze altruistiche, chi meglio di noi che
abbiamo cosi profonda fiducia nell'energia creatrice dello spirito
umano e siamo gli umili ma consapevoli rappresentanti di una
religione che fu detta di liberazione, appunto perché ammette
le ampie possibilità di trasformazioni e di adattamenti
dell'uomo, chi meglio di noi potrà avere fede e speranza nel
divenire della società socialista? Del resto la storia
costituisce una luminosa riprova della verità della nostra
convinzione: tutte le volte che il cristianesimo è stato
profondamente vissuto e sentito, esso non si è rivelato
soltanto come movimento religioso, ma come movimento sociale.(...).
Se quelle idealità cristiano-comunistiche non si
realizzarono, si deve più tosto al fatto che i
rappresentanti di esse non seppero accoppiare all'alta visione
ideale quello spirito critico e quel senso realistico della vita
politica e sociale che è carattere proprio del socialismo
attuale. Anche l'Avanti! on. Morgari, accennava recentemente in una
corrispondenza americana ad un grande movimento del clero umericano
verso il partito socialista, al quale avevano aderito vescovi e
sacerdoti numerosi; il Congresso pan-anglicano, teautosi in
questi giorni a Londra, ha dimostrato quale formidabile corrente in
favore del socialismo vi sia nel clero anglicano; parecchi clergymen
hanno fatto delle dichiarazioni socialiste nel più largo
senso della parola, tra applausi fragorosi dell'assemblea: in
Francia e nel Belgio, Jaurès e Vandervelde, tra i socialisti,
hanno mostrato di capire tutto il vantaggio che alla causa
socialista potrebbe venire dal rinnovamento del cristianesimo; in
Inghilterra i socialisti hanno inaugurato delle cosi dette Chiese di
lavoro ...Noi sentiamo le difficoltà che in Italia si
oppongono ad un movimento simile, ma nutriamo profonda speranza che
progressivamente si possa attuare un'intesa fra le persone
sinceramente cristiane e la democrazia socialista. E
concludiamo, onorevole Morgari, con una domanda :a chi professa i
nostri ideali sono aperte oggi le file del Partito socialista?
»
[35] Si veda il contradditorio con il cattolico
triestino Antonio Pavissich (1851-1913) sostenuto a Monza il 10
febbraio 1901, così come gli articoli di stampa contro il
vescovo di Cefalù poi raccolti in “Un lupo in mitria:
requisitoria contro sua accellenza rev.ma monsignore dott. don
Gaetano D'Alessandro,vescovo e parroco di Cefalù in
Sicilia”, Corigliano calabro, 1905
[36]Intervistato dal “Grido del popolo” il 20
settembre 1907, ammoniva “l'anticlericalismo, col prendere forma
parolaia, quarantottesca, di vecchio stile democratico, costituisce
un vero danno al nostro movimento di classe sviandone l'attenzione
dai problemi del socialismo”
[37] Archivio G.Bergami”, Carte BalsamoCrivelli,
cit. in “Gramsci e i lineameti idali del socialismo torinese”, in
“Storia del movimento operaio...in Piemonte”, 2. vol., cit
[38] Del caso si occupò Salvemini in
un articolo sull'”Avanti!”, ristampato in “Il ministro della
malavita”, Firenze, 1910
[39]«Esaminata situazione, ritengo che ove
Governo pensasse prendere occasione avvenimenti Andria per
iniziare radicale opera rigenerazione Mezzogiorno, dovrebbe
sciogliere amministrazione comunale Andria, aprire processo per
associazione a delinquere che non arrestisi davanti eventuali
responsabilità dominatori comune e deputato Bolognese:
sottrarre istruttoria giudice Macchia da tempo, per varie
prove, legato ai responsabili dei fatti, ricercare probabili
conniventi vari funzionari, specie delegato Damiani e
sottoprefetto, e loro eventuale destituzione; incriminare
carabinieri e soldati, che invece di limitare il fuoco contro autori
vari spari che non causarono scalfittura alcuna militi, spararono su
quanti curiosi fuggenti transitavano via Carmino, ingigantendo
conflitto; sciogliere corpo guardie notturne e campestri in cui
attendono pregiudicati; disperdere con mezzi legge aggruppamenti
malavita andriese, che acquiescente polizia costituisce braccio
esecutivo dominatori comune e deputato collegio; sussidiare
famiglie morti e feriti. Qualora anche questa volta Governo,
traverso sua inchiesta istruttoria eludesse obbligo porre fine
malavita locale, inciterò 9000 contadini leghe, più
volte vittime violenza suddetta malavita dispederla
direttamente violenza».
[40] Questo il testo integrale: "Non posso
adempiere ad un incarico senza passione, senza fede. Orbene io mi
sono andato accotgendoche la maggioranza del gruppo ha bisogno di un
segretario abile Un uomo di cararattere, che resta un
socialista è ormai di impaccio alla maggioranza suddetta,
fattasi delifinitivamente incapace di tenere alla Camera
l'atteggiamento e il linguaggio che a socialisti convengono. E
non alludo con ciò all' appoggio che si
è dato e che si continuera a dare al Ministero
Luzzatti. AI contrario io penso che si potrebbe appoggiare un
gabinetto per molto meno quando però il Gruppo mantenesse ad
un tempo quella fìerezza politica e ripetesse quelle
affermazioni promgrammatiche con cui soltanto - nel contatto con
uomini d' altri partiti, specie se cinici e bacati in larga parte --
si può impedire che I'involuzione delle dottrine,
l'addomesticamento progressivo, l'arrivismo Io scetticismo penetrino
in noi e nelle masse che ci guardano operare. A più riprese,
ma invano, tentai galvanizzare la spenta fede nell'animo di molti
colleghi...e d'altro canto mi domando se a un segretario compete
questa funzione di mentore o se non piuttosto ha l'obbligo di
seguire !' indirizzo della maggionza od altrimenti di andarsene. lo
me ne vado, ormai ritengo che non convenga applicarsi a irrobustire
le enerie fattive e il prestigio politico del Gruppo che
spenderà poi questi valori in modo che io ritengo deleterio:
intendo dire in un non lontano m inisterialismo coi giolittiani
anche più sporchi, ciò toglierà a! gruppo la
rispettabilità morale nel preparare con sapiente lentezza e
non nella forma fanciullesca del Ferri, la partecipaz.ione dei
socialisti al governo; e nel tagliare un dopo l'altro i ponti col
passato, accentuando per gradi il proprio rinsavimento dalle
utopie» originarie, vuoi col fare su di esse il silenzio
sistematico, vuoi col retrocedere a volgarità di monarchici
nazionalisti e militaristi selihene di scartamento ridotto, vuoi col
porre a riposo l'ultima caratteristica di un partito che voglia
conservarsi il carattere di sovversivo sul terreno sociale, dico la
lotta di classe, per limitarsi a domandare in tono melenso
amichevolmente le riforme alla benigna condiscendenza delle classi
dirigenti e del governo
[41] F.Pedone “Il PSI attreverso i suoi
congressi”, vol.2, cit
[42] ; G.Are “La scoperta dell'imperialismo. Il
dibattito nella cultura italiana del primo novecento”, Roma, 1985
M.Degli Innocenti “Il socialismo italiano e la guerra di Libia”,
Roma, 1976
[43] C.Pinzani “Jaurès, l’internazionale e
la guerra”, Bari, 1970
[44] Avanti, 28 luglio 1914 e Ambrosoli, cit ,
pag. 323
[45] L.Valiani “Il PSI nel periodo della
neutralità. 1914-15”, Milano, 1963, pag. 40
[46] O.M., in Avanti!, 25 ottobre
1914: “Mussolini parve a tutti noi che fosse venuto a Bologna con la
ferma intenzione di non andare d’accordo con la Direzione:
perché un uomo della sua intelligenza non poteva supporre che
13 persone che sono a dirigere un partito di quasi 60.000 uomini,
avessero potuto da un momento all’altro cambiare opinione…solo
perchè uno solo, per quanto apprezzabilissimo, era in un
nuovo ordine d’idee”
[47] L.Trotskij “La mia vita”
[48] La Stampa, 27 settembre 1914. La lettera
è stata riprodotta in C. Battisti: Scritti politici e
sociali, Firenze, 1966, p. 470-476. . In essa Battisti in
risposta all'affermazione dell'indifferenza delle masse operaie
italiane d'Austria per l'irredentismo sottolineava lo stato
d'oppressione in cui l'Austria-Ungheria teneva le sue
nazionalità, il che ne avrebbe sicuramente determinato lo
sfacelo a seguito della guerra, il gravissimo malessere, materiale e
morale del Trentino, e il fatto che gli italiani d'Austria
già versavano il loro sangue sui campi di battaglia per una
causa che detestavano, e scriveva: «Invano io ho cercato sino
ad ora sulI'Avanti! " e negli altri periodici socialisti le ragioni
pratiche, tangibili della neutralità adatta a persuadere
anche chi non ha dimestichezza con Engels e con Marx. Vi ho trovate
lunghe disquisizioni filosofiche sulla collaborazione e sulla lotta
di classe, disquisizioni che mi hanno fatto l'effetto di un
predicozzo sulle cause della miseria a chi, avendo fame, chiede pane
e lavoro».
[49] Atti parlamentari, Camera del
deputati, tornata del 1. luglio 1916. Il collega è il
repubblicano Eugenio Chiesa
[50] « [...] non parlo dal punto di vista
socialista dottrinale, il quale contiene una verità profonda,
ma unilaterale. La interpretazione materialista della storia spiega
sempre ad un modo 11 fenomeno della guerra. Per essa la guerra
è sempre il portato degli interessi economici delle classi
dirigenti. Ogni guerra altro non è che una bassa e criminosa
manovra del capitalismo. Vi è del vero in questa tesi, ma non
vi è tutta la verità ».
[51] A. Balabanoff: “Ricordi di una
socialista”, Roma, 1946, p. 104 «Tutto ad un tratto
dallo scanno occupato dalla delegazione italiana, si sentì un
" non posso votare ". Era il delegato italiano Morgari, che
già all'esordio della lettura del manifesto aveva fatto segni
di diniego.
[52] Così l'Avanti! del 23 luglio
1917:"Nel marzo de1 1916 a Berna l'on. Morgari conobbe
per il tramite del vecchio internazionalista
Enrico Bignami il segretario del pacifista Enrico Ford ......Ford
è un uomo speciale, entusiasta, ingenuo, che in un convegno
con Wilson aveva dichiarato di essere disposto a dare tutto il
suo patrimonio (750 milioni) per abbreviare d'un giorno
la guerra. Aveva qualificato la guerra degli Stati Uniti contro il
Messico come un episodio di pirateria capitalistica,
usando, inconsapevomente, un linguggio quasi marxista. Invitato da
una pacifista ungherese, si decide a fare una spedizione in
Europa per determinare una pressione dei neutri per por
fine alla guerra. Morgari pensa che sarà possibile dare un
contenuto concreto a questa attività ideologica e sterile di
per sé . Zimmerwald disponendo di sole
tremila lire ha fatto un lavoro enorme: cosa potrebbe fare se
disponesse di maggiori mezzi? ......Egli voleva proporre a Ford di
assegnare 50 milioni per fare attraverso 10 quotidiani opera
antibellica, per rafforzare le minoranze antiguerraiole, per
spezzare l'anello di ferro che le polizie e le censure aveva stretto
attorno a Zimmerwald...."
[53] Istituto Gramsci, Archivio Serrati,
viii/83-83 bis
[54] O.Morgari “Le due Vittorie” in
”Avanti!”, 6 novembre 1917
[55] Morgari scrisse un opuscolo: "La più
internazionale delle internazionali " pubblicato nel 1915,
apparso a puntate anche sull'Avanti! del 19-20-21-22-24-26 agosto. A
proposito della «questione esperantista», che polemiche
abbastanza vivaci suscitò in campo socialista sembra
opportuno sottolineare la posizione di Gramsci, decisamente avversa
alla diffusione di una lingua unica internazionale come mezzo
per facilitare i rapporti intemazionali e far comunicare gli operai
dei diversi paesi. «Le spinte linguistiche avvengono solo dal
basso in alto; i libri poco influiscono sul cambiamenti delle
parlate: i libri fanno opera di regolarizzazione, di conservazione
delle forme linguistiche più diffuse e più
antiche». Di conseguenza i socialisti dovevano opporsi
ai sostenitori dell'esperanto, preoccupandosi soltanto
dell'«avvento del collettivismo e dell'Internazionale» i
quali soltanto avrebbero potuto portare a un «conguagliamento
delle lingue ario-europee».
[56]Questo il resto della lettera«Mi trovo
'imbottigliato' in Olanda. Quale italiano non posso traversare la
Germania. Quale zimmerwaldiano e pacifista, non l'Inghilterra e
la Francia. Una pratica avviata da questo nostro R° Ministro con
i due ambasciatori dell'Aja attraverso Sonnino non ha dato ancora
alcun frutto decisivo. Avrei potuto rimpatriare facendo un giro
lungo, per la Spagna o... per New York ma dal 1° febbraio,
cioè dall'inizio della guerra sottomarina rinforzata, nessun
piroscafo per passeggeri è più partito dall'Olanda. La
Germania pretende che non tocchino l'Inghilterra, questa
pretende di visitarli in un porto inglese e le negoziazioni
durano da due mesi, né se ne vede la fine. Resta libero
– per modo di dire – un ' canale ' che dall'Olanda,
teoricamente, conduce in Scandinavia: largo 20 miglia, con campo di
mine inglese a destra e tedesco a sinistra, qualche cannonata per
sbaglio e sottomarini tedeschi di guardia che, se visitano la nave
che mi porta ... mi portano prigioniero in Germania.Non è
tutto. Occorre essere accettato a bordo, e di regola i
cittadini dei paesi belligeranti sono respinti. Ma supponiamo
che io sia riuscito a sbarcare in Scandinavia. Mi si
permetterà l'ingresso in Russia? Il governo provvisorio
è ... interventista quanto l'inglese e il francese. Non si
esigerà come di regola un visto italiano precedente? E questo
mi sarà concesso? Vero è che io mi recherei
laggiù tuttaltro che per consigliare una pace separata. Mai
la chiedemmo in Italia. Noi vogliamo la pace tutta, non un
miserabile ritirarsi d'uno dei combattenti che, tradendo gli
alleati, mette al sicuro la pancia. Ma chi sa queste cose? Noi
tutti passiamo per germanofili, quando non per venduti. (Aggiungi
che una pace separata russo-tedesca porterebbe a questo, che gli
Imperi Centrali, vittoriosi, accetterebbero più tardi
l'invito che la borghesia russa loro farebbe di accorrere a salvarla
dalla marea socialista. Ne conseguirebbe lo schiacciamento dei
nostri, la sostituzione della repubblica con un nuovo tzarismo
moderatamente costituzionale e una nuova Santa Alleanza, a parte poi
il trionfo del militarismo e dell'imperialismo nelle loro forme
più brute). In breve io raccomanderei di riprendere la
proposta Wilson senza cessar di combattere.Tornando a noi
tenterò questo viaggio (...)»
[57] In Avanti!, 10 novembre 1917
[58]A nome della sezione socialista torinese, in
una lettera datata Torino 29 dicembre 1917
[59]“Mi nominaste segretario
del partito neIlo
scorso febbraio per plausibili
motivi: 1.Motivi tecnici: occorreva sostituire il posto lasciato
vacante da Lazzari con persona sperimentata, ed io ero in quanto
segretario del gruppo Parlamentare da anni e come tale membro deIla
direzione de! Partito pure da anni; 2.Motivi politici, perche la
situazione faceva credere che una sola forma d’azione fosse rimasta
al partito, quella parlamentare, cosicché appariva utile che
i due segretariati fossero, fin quando quella situazione durava,
riuniti nella stessa persona, ugualmente affiatata con i due gruppi,
a loro volta in quell’epoca sufficientemente d’accordo nell’unico
programma di far fronte alla guerra e alla reazione.
L’unicità del segretariato permetteva alla Direzione di
trasmettere ne! Gruppo, più direttamente ed efficacemente il
proprio consiglio di energica tenace ed intransigente battaglia . 3.
Motivi di sicurezza, perché la minaccia di scioglimento e di
arresto ne! partito e nella direzione suggerìvano
l'espediente di garantire la continuazione di vita di quegli
organismi con l'usbergo della medaglia parlamentare, eleggendo a
segretario un deputato e immillando un comitato di novi; deputati il
prendere le redini del partito nel caso che la direzione fosse
arrestata. Senonché i rapporti tra il gruppo e la
Direzione dopo d'allora mutarono, la mia posizione di segretario
unico divenne difficile e discutibile, specie a proposito di due
vertenze: quella per la partecipazionone alle Commissioni
governative pel dopo guerra e quella per una tattica parlamentare
per volgere verso la pace nella qua!e io stesso non mi trovai
d'accordo con la direzione. Come potevo continuare ad essere
il portavoce della direzione nel gruppo o anche solo
il trait-d'union, ugualmente dai
due lati benvisto, se in queste
questioni di capitale imporitanza parteggiavo
per il gruppo direzionale? Avrei dovuto
già allora dimettermi da segretario, ma me ne distolsero
varie ragioni: l'imminenza del congresso, l'arresto di Serrati, e
quello probabile di Bombacci. La neutraità
dei rapporti personali il timore che
a molti le mie
dimissioni apparissero come un
ritirarsi da una
carica pericolosa, l'inizio
di un preoccupante
sessionamento, la coscienza
di contribuire ad attutire
i contrasti in un periodo in cui
tutti auspicano che il partito resti uno». Dichiarato
che la situazione era tale da dimostrare l'impossibiltà di
un segretario unico, proseguì: "mi era parso da
principio che lasci voi in un conflitto nel quale sono d'accordo con
voi e non col gruppo, ma già nella mia prima lettera ho
spiegato che non mi sarei sentito l'animo di sostenere il pensiero
della direzione fino a scindere il gruppo e dimettermi anche
da suo segretario se il voto non fosse stato quello che fu. Se prima
non mi fossi liberato dal sospelto che su tanto mio attaccamento
alla direzione influisse lo stipendio e il bisogno di assicurarmi le
spalle nel collegio..”. In altro parole sono venute a cessare le
condizioni che resero possibile la mia nomina nello scorso
febbraio. Anche il pericolo
è cessato, non
per le singole
persone ma per gli eventi.
Resta la difficoltà
di sostituirmi nel posto,
ma si può risolvere. In primo
luogo io mi sento inferiore al duplice mandato per esaurimento,
stanchezza, abitila irrimediabili, ormai lo vedo. Inoltre Bombacci
ha dato prova di possedere tutte le doti di esperienza ingegno e
carattere necessarie per degnamente tenere le redini di un partito
di proletari. Si risparmierebbo spesa e si otterrebbe maggiore
e più snella produzione affiancando il Bombacci con un
giovane socialista intelligente e svelto, messo a sua
disposizione... Se poi Bombacci fosse arrestato la Direzione
esaminerebbe la nuova situazione nata»
[60]In alcuni suoi appunti scrisse al
riguardo: "Questa commissione fu costituita per principale
spinta dello scrivente... pensando che ciò avrebbe
altresì preparato le basi di quel congresso zimmerwaldiano
che era desiderato dalla direziono del P.S.I., considerato che la
censura dell'Intesa era riuscita ad innalzare una insuperabile
muraglia cinese fra l'Europa occidentale (Italia, Francia.
Inghilterra. Spaglia, Portogallo')e il rimanente d'Europa (Imperi
Centrali, Russia, Svizzera, Balcani, Scandinavia) muraglia che
durerà ancora a lungo per impedire il progresso del
bolscevismo dall'Est d'Europa all'Ovest; (che per tale fatto la
Commissiono Socialista Internazionale (zimmervaldiana') di Stoccolma
era e rimane praticamente inesistente nei riguardi dell'Europa
occidentale e dell'America, che quanto a questi paesi, non si poteva
affatto utilizzare il Comitato Esecutivo sorto dalla Conferenza
interalleata di Londra, interventista o socialpatriotta, o che
neppure si poteva utilizzare il Bureau Socialiste International
dell'antica Internazionale avente per segretario Huysmans, le cui
funzioni rispettose degli statuti e di tutte lo correnti elusi
agitano nel socialismo mondiale non potevano essere che neutrali o
limitate a convocare imparzialmente i diversi partiti appena il
Congresso Internazionale sarà possibile, che
dunque per l' Europa occidentale e per l'America
era necessario creare un centro d'informazione e di
azione a disposizione delle correnti di sinistra
(internazionalisti, intransigenti, zimmervaldiani)
nei suddetti paesi. Per i motivi su esposti, dopo riunioni
preparatorie tenute nei giorni 11-12 e 13 ottobre tra Io scrivenite,
Kemerer e 3-4 francesi e serbi, il 14 ottobre la Commissione veniva
costituita in un'adunanza negli uffici del Populair.
Criteri: Attivita modesta ma
immediatamente iniziata. La Commissione sara composta di
personalità e non di delegati ufficiali per risparmiare tempo
ma sopratutto per non mettere nell'imbarazzo certi partiti (ad es.
Il francese, nonostante la recente vittoria dei minoritari ). Si
chiederanno successivamente le ratifiche dei
diversi partiti. Roma 8 gennaio 1919.
[61] II 5 maggio l'Avanti! pubblicava una
nota d'agenzia col titolo:«La fine del Governo sovietista
ungherese?». Il 9 maggio Genosse (Gustavo Sacerdote)
informava sulle trattative di armistizio con la Romania e smentiva
recisamente l'occupazione di Budapest: «La notizia,
evidentemente, è falsa. Noi stiamo ancora in diretta
comunicazione con Budapest (...). L'esercito rosso continua a
battersi con accanimento».
[62] La breve lettera di solidarietà
“scritta su piccoli ritagli di carta come si faceva ai tempi
zaristi” fu citata da Lenin in un discorso tenuto a Mosca il 17
aprile: Ved.Lenin Sul movimento operaio italiano, pag. 109
[63] «Fra Vienna e Budapest. La rivoluzione
ungherese resiste», Avanti!, 20 maggio 1919.
[64] «Le menzogne della borghesia»,
siglato I. S., l'Avanti!', 26 maggio 1919
[65] G.Romanelli,”Nell’Ungheria di Bela Kun e
durante l’occupazione militare romena”. Udine, 1964, p. 69-73.;
nuova edizione dell'Ufficio Storico Militare, Roma, 2002
[66]Pezzi di colore ricavati da appunti scritti
nel mese di maggio furono pubblicati dall’Avanti il 4,5,10,15
agosto. Dal 10 giugno al 15 agosto coprono gli appunti autografi
del”Diario ungherese”, in ACS, Mostra Rivoluzione Fascista, b. 130;
Alcuni estratti in G. Calciano, “Appunti e documenti
sull’attività internazionale di Oddino Morgari” in “Rivista
storica del socialismo”, 1967, n. 32
[67]Cfr. il resoconto del comizio tenuto alla
Casa del popolo nell'«Avanti!» edizione torinese, 19
novembre 1919, “Morgari parla in Borgo Vittoria”
[68] Il deputato socialista Osvaldo Maffioli si
trovava in Ungheria allo scoppio della rivoluzione. Nel
giugno aveva avuto un colloquio con Kun, cui non aveva
risparmiato riserve sull'esperimento di dittatura del proletariato
realizzato in Ungheria. Il colloquio fu pubblicato con grande
rilievo sul «Secolo» del 22 giugno, a firma del
giornalista Luciano Magrini, al quale Maffioli aveva fatto delle
confidenze. La pubblicità data da tutta la stampa
provocò le ire disciplinari dell'«Avanti!», alle
quali Maffioli replicò il 27 luglio invocando il giudizio
della sezione milanese e rinunciando alle cariche che ricopriva.
Morgari era presente al colloquio
[69] “Avanti!”, 24 dicembre 1919,
“Gli insegnamenti di una rivoluzione”.
[70] Nota del 22 febbraio 1921,
Fondo Morgari, busta 3413, in ACS
[71] "Diario di Mosca" Fondo Morgari, busta
3413, 16 nov.1922
[72] Episodio che rievocherà anni
dopo con toni molto critici sul Nuovo Avanti, 5 agosto 1939 ”Alla
ricerca della città del sole”, significativamente dopo la
crisi con l’Urss e i partiti comunisti provocata dal patto con
Hitler
[73]Così lo ricorderà Marzo
(G.B.Canepa), in “Le cronache di una vita”, Genova, 1983, che,
costretto ad espatriare, era stato indirizzato a Morgari:
“abitava con la moglie, la Sofia, in una specie di «
dépendance » del giornale: un ammezzato composto di una
cucina-soggiorno, e una camera da letto attigua a un
bugigattolo ricavato dal sottoscala che serviva da ripostiglio.
Mi accolse con grande affabilità…..Non solo, ma quando
gli dissi ch'ero stato espulso dalla Francia e dunque che sarebbe
stato imprudente alloggiare in albergo, propose di sistemarmi
in quel sottoscala, e io subito accettai, senza preoccuparmi degli
inconvenienti che avrebbero potuto verificarsi a causa della
coabitazione in un ambiente tanto ristretto…..I compiti che mi
vennero assegnati erano fin troppo modesti: di buon mattino
m'affrettavo a compilare la rassegna stampa per i due direttori;
quindi dovevo riordinare gli appunti che Morgari aveva lasciato
sul tavolo e ricopiarli per benino perché poi, al suo arrivo,
potesse più agevolmente correggerli e ampliarli. Questo
lavoro di copiatura dovevo ripeterlo più d'una volta, fino
alla stesura finale dell'articolo: un lavoro manuale, dunque, da
semplice scrivano, ma lo facevo con grande scrupolo, pago della
fiducia che m'era stata accordata. Ed era una fiducia piena,
perché quando Morgari doveva comunicare agli altri membri
della Concentrazione notizie o documenti riservati e importanti, a
me soltanto veniva affidato il compito di recapitarli. Mi si
presentò così l'occasione di intrattenermi con
personaggi politici famosi: ad esempio con Gaetano
Salvemini…..Nenni, Modigliani, Claudio Treves... Più spesso
però, e regolarmente, dovevo recarmi da Francesco Saverio
Nitti, che ….(…)..m'incuteva un rispetto pieno di deferenza.
Cosicché ogni qual volta sosteneva una caduta del regime
fascista, in conseguenza dell'inevitabile crisi economica che
ben presto avrebbe costretto Mussolini a dimettersi, mi guardavo
bene dal sollevare dei dubbi, ma l'ascoltavo come se fosse un
oracolo. I dubbi li sollevava poi Morgari che, quando gli riferivo
quelle previsioni, si affrettava a smorzare il mio entusiasmo
dicendo che la caduta del fascismo basata esclusivamente su delle
leggi economiche, era opinabile, essendo le previsioni in tale
materia il più delle volte destinate a restare un pio
desiderio. Morgari era un uomo di indubbio buon senso, e
l'esperienza che feci nel periodo in cui rimasi al suo fianco
contribuì non poco a costituire il sustrato ideologico
della mia futura vita politica. E' dal suo insegnamento infatti che
appresi a considerare l'anticlericalismo che mi animava, e
ch'era diffuso non solo nei repubblicani ma anche nei socialisti, un
atteggiamento destinato a ostacolare il conseguimento della pace
sociale; e così pure il settarismo che avevo riscontrato in
tantissimi compagni quando ritenevano fascisti coloro che
militavano in altri partiti...Anche per questo suo insegnamento
conservo il suo ricordo con particolare riconoscenza e
affetto.”
[74] A.Garosci "Storia dei fuorusciti", Bari,
1953, pag. 18 "..il buon Oddino Morari...il quale viveva poveramente
dormendo in una branda alla sede del "Corriere" era rimasto
così candidamente fanciullesco da condurre, ignaro, a
visitare il giornale e gli archivi il viceconsole di Nizza, Spetia,
che era anche commissario di polizia"
[75] Questo il ricordo di Vera Modigliani che lo
frequentò negli anni ’30, in “Esili”, Milano, 1946 “Una
grossa testa calva: appena una corona di capelli ancora scuri
gl'incorniciava il basso della nuca e discendeva sul collo forte.
Aveva gli occhi vivi sotto le sopracciglia folte, quando, raramente,
li sollevava sull'interlocutore. Ma li teneva di preferenza
abbassati, quasi a guardarsi dentro, nell'anima, in quel lavorio
d'introspezione, di autocritica ansiosa, che non lo abbandonava
mai e che faceva spesso di lui un esitante e talora un
contraddittore di se stesso. Ho visto a volte quegli occhi
accendersi nell'ira e nello sdegno, ed allora anche la voce,
che era di solito piana, quasi sommessa, si levava in uno
scatto, e le parole si rincorrevano affannose. Ed anche, ma di
rado, li ho visti illuminati da un sorriso. Un grosso naso dava
a quel viso, che avrebbe potuto sembrar severo, un’impronta di
bonarietà. Una barbetta breve, appena grigia, gli copriva il
mento. Tutti i suoi atteggiamenti erano semplici, cortesi e
improntati a un. desiderio di non mettersi in mostra. Eppure
non era modesto. Aveva precisa in sé la nozione del proprio
valore, e quel suo fare riservato, quasi ritroso, era dovuto
forse al desiderio di veder chiaro in se stesso, di districarsi
nel numero infinito dei «pro e contro». L'ho visto,
per ore e ore, assistere ai dibattiti delle riunioni, quasi mai
partecipandovi attivamente, apparentemente impassibile, con un
immobilità di Budda, l'eterna pipa nell'angolo delle
labbra, sempre cogli occhi abbassati, prendendo instancabilmente, su
ritagli di carta, appunti ed appunti. (Minuta calligrafia di
uomo che predilige il dettaglio…). era un'anima mistica di un
santo, ma un santo cosciente della propria santità….. Da
giovane doveva esser stato robusto e tarchiato:
conservava ancora un po' quella sagoma. Ma ora gli abiti vecchi e
trasandati gli si afflosciavano sul corpo dimagrito. Aveva quasi
sempre al fianco la sua Sofia, più giovane di lui, ma anzi
tempo appassita. La trattava come una bambina di scarso
discernimento; lei, però, sentiva la grandezza morale del suo
Oddino e gli tributava un'assistenza se non sempre riposante, sempre
devota e premurosa.”
[76] O.M. "Il trionfo del fascismo. Di chi la
colpa?", in "Problemi della rivoluzione italiana" , 2.
serie, n.6, settembre 1938
[77] S.Merli “I socialisti, la guerra, la nuova
Europa : dalla Spagna alla Resistenza, 1936-1942”, Milano, 1994