Tomaso Monicelli

 

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di Daniele D'Alterio

Nacque a Ostiglia, in provincia di Mantova, il 10 febbr. 1883, da Ettore e da Caterina Simonelli, in una famiglia di commercianti ridotta a modeste condizioni economiche.

Appunto per le scarse disponibilità finanziarie dei suoi, nel frattempo trasferitisi a Milano, dopo il conseguimento della licenza ginnasiale, e dopo aver frequentato per un anno l'istituto tecnico per ragionieri, il M. – che pure era particolarmente portato alla scrittura e, nel 1898, aveva vinto un concorso indetto dal settimanale La Farfalla per la pubblicazione di un articolo in morte di Felice Cavallotti – fu costretto ad abbandonare gli studi e a cercarsi un lavoro; dopo qualche impiego saltuario, nel 1903 fu assunto dalla casa editrice Treves con mansioni amministrative.

Nei primi anni del Novecento i suoi precoci interessi letterari si intrecciarono con l’impegno politico, segnatamente con la militanza nel Partito socialista italiano (PSI), nel quale si schierò dapprima con la corrente «intransigente» capeggiata dal conterraneo E. Ferri, quindi con la frazione sindacalista rivoluzionaria, in quegli anni egemone nella Camera del lavoro e nella federazione socialista milanesi, e in particolare con il gruppo guidato da Arturo Labriola, radicato nel capoluogo lombardo.

Collaboratore dell’Avanguardia socialista  (dove spesso firmò i suoi articoli con lo pseudonimo «L’homme qui rit») e, in seguito, di altri periodici di area «rivoluzionaria», come Il Divenire sociale e Il Socialismo, il M. fu però tipico esponente d’un socialismo sostanzialmente «massimalista», più che organicamente «sindacalista», e quindi legato all’idea tradizionale d’un PSI inteso quale guida politica del proletariato e delle organizzazioni sindacali; non a caso egli fu – insieme con W. Mocchi, C. Lazzari e G. Marangoni – fra i maggiori rappresentanti del rivoluzionarismo milanese e, nel 1904, fra gli organizzatori del primo sciopero generale nazionale in Italia,  rimanendo sempre molto legato a Enrico Ferri.

Nel 1905 il M. si trasferì a Roma, dove divenne redattore dell’Avanti!, diretto appunto da Ferri, e dove, dopo un iniziale avvicinamento alle posizioni di Enrico Leone e dell’Azione diretta romana – più spiccatamente sindacaliste e critiche nei confronti del massimalismo ferriano e dell’avanguardismo milanese – finì con lo schierarsi nettamente con Labriola e Ferri.

Viste le divergenze politiche ormai insanabili all'interno delgiornale fra i redattori sindacalisti (oltre a Leone, M. Bianchi, P. Orano e P. Mantica) e il direttore Ferri, il M., pur avendo aderito ufficialmente alla «secessione» sindacalista, continuò tuttavia a collaborare con il giornale, anche se occupandosi prevalentemente di critica letteraria e teatrale. Questo suo atteggiamento, considerato ambiguo e smaccatamente opportunista da molti esponenti sindacalrivoluzionari, soprattutto dal gruppo romano di Leone e Mantica, diede luogo ad aspre polemiche che si riproposero nel 1906 in occasione dell’ «appoggio esterno» al ministero Sonnino assicurato dal gruppo parlamentare del PSI e sostenuto esplicitamente dall’Avanti! Anche in questo caso il M., con un articolo apparso il 12 marzo 1906 nel quotidiano socialista, ancora una volta si schierò apertamente con Ferri, attirandosi le velenose critiche di tutti i maggiori esponenti dell’Azione diretta italiana, che parlarono di lui come d’un «rinnegato» e di un «traditore».

In realtà, proprio a partire dal 1905, gli interessi letterari e teatrali del M. occuparono un ruolo sempre più significativo nell'ambito del suo lavoro giornalistico. Già attraverso la collaborazione all’Avanti della Domenica, supplemento settimanale dell’organo ufficiale del PSI, egli era entrato in contatto con personalità significative del giornalismo più specificatamente  letterario, quali U. Ojetti e G. Civinini, mentre in quello stesso anno aveva assunto per l'Avanti!  la responsabilità della critica teatrale. Di fatto, gli anni dal 1906 al 1913 sono quelli in cui più intensa fu la produzione come autore teatrale del M. – che nel frattempo, nel 1908, aveva lasciato la redazione del quotidiano socialista –,anni durante i quali rappresentò e pubblicò numerosi lavori tra cui i più significativi furono quelli che compongono la cosiddetta trilogia drammatica: Il viandante, Esodo, La terra promessa.

Un'effettiva catalogazione dell'opera drammaturgica del M., compresi gli inediti e le opere non rappresentate, non è stata a tutt'oggi compiuta: il suo primo lavoro rappresentato fu la commedia La sorella minore (Roma, teatro Argentina, 12 febbr. 1906); l'anno seguente andò in scena il primo dramma della trilogia, Il viandante (Milano, teatro Manzoni 24 aprile) rappresentato dalla compagnia Calabresi-Severi (il M. fu sentimentalmente legato all’attrice Elisa Severi, dalla quale ebbe un figlio), che fu insignito con il premio Giacosa da una giuria presieduta da B. Croce; seguirono nel 1908 la commedia Il Bivacco (scritta assieme a R. Forges Davanzati) ed Esodo; fra il 1910 e il 1911, con La terra promessa, fu completata la  “trilogia politica”, in cui le motivazioni sociali, i temi della lotta di classe e della crisi del mondo contadino, che determinano lo svolgersi del dramma, risentirono tuttavia dell'influsso del teatro di Ibsen.

Nel 1909 il M. aveva fondato a Milano il settimanale Il Viandante, del quale fu anche direttore. Contestualmente e progressivamente il M. abbandonò le idee socialiste per approdare a concezioni nazionaliste, antigiolittiane e filomonarchiche, caratterizzate da un acceso imperialismo e dall'insofferenza per il “parlamentarismo”.

Non a caso il periodico diretto dal M., in cui scrissero alcune illustri personalità della letteratura italiana, fra cui G. Gozzano, ospitò nel corso del 1909 un dibattito sull’opportunità d’una fusione organica tra sindacalismo e nazionalismo, ipotesi questa caldeggiata nello stesso torno di tempo anche da E. Corradini, oltre che da altri ex sindacalisti rivoluzionari, fra cui R. Forges Davanzati, M. Maraviglia e P. Orano.

Sono degli anni Dieci, inoltre, opere narrative che ebbero larga fortuna editoriale come Il viaggio d’Ulisse (Firenze 1915), la raccolta di novelle Aia Madama (Ostiglia 1912), mentre sempre in quel periodo il M. esordì nella letteratura per l’infanzia con la fiaba Nullino e Stellina (ibid. 1911), stampata nella tipografia di Arnoldo Mondadori, che era sposato con la sorella del M., Andreina.

Direttore, per la casa editrice Mondadori, della collana «La Lampada», il M. sposò nel 1913 Maria Carreri, dalla quale ebbe cinque figli, tra i quali Mario, futuro regista cinematografico. In quegli anni, fra il 1911 e il 1912, si era avvicinato, ma fu per breve tempo, al socialriformismo di Ivanoe Bonomi, anch’egli mantovano d’origine. In occasione della guerra di Libia, il M. fu però su posizioni nettamente interventiste e colonialiste, perciò sempre più organico ai gruppi nazionalisti e in feroce polemica con il fronte anti-interventista, capeggiato all’epoca da Benito Mussolini, conosciuto in precedenza dal M. come collaboratore dell’Avanguardia socialista e con il quale dunque nel 1912 dissentì aspramente.

Negli anni immediatamente precedenti la prima guerra mondiale, il M. pubblicò, fra l'altro, alcune commedie e l’opera nazionalista ed apologetica L'Italia più grande. Come abbiamo conquistato la Tripolitania e la Cirenaica (ibid. 1912). Nel 1913 si trasferì a Bologna, dove collaborò con Il Resto del Carlino. Nominato ben presto caporedattore di questo giornale (del quale divenne direttore nel 1923), allo scoppio della guerra il M. fu nettamente a favore dell’intervento dell’Italia nel conflitto mondiale e rafforzò la sua appartenenza al movimento nazionalista italiano, trasferendosi nuovamente a Roma, città nella quale collaborò assiduamente a L’Idea nazionale (di cui divenne direttore nel 1921 succedendo a Corradini) e al periodico interventista Il Fronte interno.

Nel 1916 il M. combatté sul fronte del Carso con il grado di sottotenente nell’81° reggimento dei Granatieri, distinguendosi in alcune azioni militari per le quali gli verrà conferita un’onorificenza al termine della guerra. Congedato alla fine del 1916, il M. rimase a Udine in qualità di corrispondente per L’Idea nazionale: furono di questi anni alcuni intensi reportage dal fronte, gonfi di retorica patriottica ma in egual misura sensibili alle drammatiche condizioni di vita dei soldati italiani nelle trincee.

Dopo la guerra, il M., che nel 1917 aveva fondato Penombra, la prima rivista italiana di cinema, accrebbe i suoi interessi in questa direzione e nel 1919 scrisse il soggetto del film La casa che brucia.

In quel periodo il M. era particolarmente vicino a Silvio D’Amico ma soprattutto a Gabriele D’Annunzio (con cui era in rapporti epistolari fin dal 1906 e che continuò a frequentare durante gli anni Venti nell’ “esilio” del poeta a Gardone), facendosi perciò sostenitore dell'impresa di Fiume.

Fra il 1921 e il 1923 il M. fu nettamente favorevole al fascismo, e nell'ottobre del 1922 partecipò all’adunata di Napoli, qualche giorno prima della marcia su Roma; proseguì, frattanto, la sua intensa attività giornalistica e culturale, pubblicando la raccolta di novelle Crepuscolo, assumendo la direzione del quotidiano Il Tempo e, insieme con G. Bottai, de Il Giornale di Roma.

È nel 1924 che il suo rapporto con il regime mussoliniano cominciò a incrinarsi, segnatamente dopo il delitto Matteotti, che accelerò l’involuzione totalitaria del fascismo. Il M., che soprattutto in qualità di direttore de Il Resto del Carlino aveva criticato apertamente gli eccessi del regime (in un suo articolo del 2 dicembre 1924 aveva scritto della necessità di «liquidare lo squadrismo, uscire dalla rivoluzione [fascista] per entrare nella legge, e dal partito per entrare nello Stato»), fu attaccato con durezza sulle pagine de L’Assalto, foglio della federazione fascista bolognese; nel 1925 la sede del Resto del Carlino fu devastata da un’azione squadrista, mentre nel corso di quello stesso anno il M. fu costretto ad abbandonare il giornale.

Tra il 1926 e il 1927 fu consigliere d’amministrazione della Società italiana autori editori (SIAE) e direttore dell’Istituto nazionale per la rappresentazione dei drammi di D’Annunzio, e mise in scena insieme con G. Forzano opere come La Figlia di Iorio, Francesca da Rimini e La fiaccola sotto il moggio. A partire dal 1928, tuttavia, il M. fu emarginato dal regime, andando incontro a un pesante isolamento politico e a serie difficoltà economiche. Mantenendo sporadici contatti con l’opposizione antifascista e in particolare con I. Bonomi, tra la fine degli anni Venti e i primi anni Quaranta il M. riuscì a sopravvivere grazie alla parentela con Arnoldo Mondadori e alla benevolenza di Bottai, che gli garantì un impiego presso la casa editrice Rizzoli. Si dedicò sempre più alla traduzione dei classici della letteratura, specialmente francesi, e nel 1945 fu nella rosa dei possibili nuovi direttori del ricostituito Ordine dei giornalisti, ma fu contestato da C. Malaparte e preferì ritirarsi.

Amareggiato da quest’esperienza e in preda a un forte esaurimento nervoso, il M. morì suicida a Roma il 25 maggio 1946.

Fra le opere del M., oltre a quelle citate, si segnalano: La maggiore organizzazione operaia d’Italia: la Camera del lavoro di Milano, s.l. né d.; I miei professori: monologo per signorina, Milano 1899; Come l’Italia andò a Roma: pagine di storia per gli alunni delle scuole elementari, Ostiglia 1911; Signori, signore e signorine… Commediole e passatempi, ibid. 1913; Scintille: corso di letture per le scuole primarie italiane, ibid. 1912 e Roma-Milano 1922; Pagine scelte di Giosue Carducci, Milano 1930; La regina Marmotta, Verona 1956.

Fonti e Bibl.: Bibliografia del socialismo e del movimento operaio italiano, I, Periodici, Roma-Torino 1956, ad ind.; II, Libri, ibid. 1964, ad ind.; La stampa nazionalista, a cura di F. Gaeta, Bologna 1965, ad ind.;S. Zeppi, Il pensiero politico dell’idealismo italiano e il nazionalfascismo, Firenze 1973, ad ind.; A. Riosa, Il sindacalismo rivoluzionario in Italia e la lotta politica nel partito socialista dell’età giolittiana, Bari 1976, ad ind.; G.B. Furiozzi, Il sindacalismo rivoluzionario italiano, Milano 1977, ad ind.; O. Majolo Molinari, La stampa periodica romana dal 1900 al 1926, Roma 1977, ad ind.; F. Gaeta, Il nazionalismo italiano, Roma-Bari 1981, ad ind.; I nazionalisti, a cura di A. D’Orsi, Milano 1981, ad ind.; F. Perfetti, Il movimento nazionalista in Italia, Roma 1984, ad ind.; M. Antonioli - M. Bergamaschi - L. Ganapini, Milano operaia dall’Ottocento ad oggi, Bari 1993, ad ind.; A. Staderini, Combattenti senza divisa: Roma nella Grande Guerra, Bologna 1995, ad ind.; G.B. Furiozzi, Dal socialismo al fascismo: studi sul sindacalismo rivoluzionario italiano, Napoli 1998, ad ind.; A. Roccucci, Roma capitale del nazionalismo (1908-1923), Roma 2001, ad ind.; Da Oriani a Corradini: bilancio critico del primo nazionalismo italiano, a cura di R.H. Rainero, Milano 2003, ad ind.; D. D’Alterio, Vincenzo Cardarelli sindacalista rivoluzionario. Politica e letteratura in Italia nel primo Novecento, Roma 2005; M. Antonioli - J. Torre Santos, Riformisti e rivoluzionari: la Camera del Lavoro di Milano dalle origini alla Grande Guerra, Milano 2006, ad ind.; T. M. sessant’anni dopo. Un protagonista della cultura e della storia italiana del primo Novecento, a cura di A. Andreoli e F. Chiavegatti, Mantova 2007; Leggendo M.: Ostiglia 2005-2006, a cura del Centro culturale “Il Dialogo” di Ostiglia, Mantova 2007; T. M. Un protagonista della cultura e della storia italiana del primo Novecento, Atti del Convegno, Ostiglia..., 2007, a cura di F. Chiavegatti, Mantova 2010; Archivio biografico italiano, I (667, 331), II (393, 304-309), III (283, 323-326).

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Wikipedia

Tomaso Monicelli (Ostiglia, 10 febbraio 1883 – Roma, 25 maggio 1946) è stato un giornalista e drammaturgo italiano, padre del famoso regista Mario Monicelli.

Biografia

Di modeste origini familiari, lasciò gli studi preferendo aderire al movimento operaio, dapprima da socialista rivoluzionario, poi come sindacalista rivoluzionario. Parallelamente avviò un'intensa attività pubblicistica e giornalistica. Dal 1903 al 1907 collaborò all'Avanti! con articoli di critica letteraria e teatrale, rimanendovi anche dopo la rottura dei sindacalisti con la direzione del giornale nel 1905. Fu direttore a Milano nel 1904 della "Gioventù socialista", organo della Federazione giovanile socialista. Fu assiduo collaboratore della stampa sindacalista rivoluzionaria, in particolare della milanese "Avanguardia socialista".

In quegli anni fu pure autore delle opere di stampo socialista che compongono la cosiddetta trilogia drammatica (Il Viandante - 1907 -, Esodo - 1908 -, La terra promessa).

Progressivamente, Monicelli si allontanò dal sindacalismo. Nel 1909 e 1910 fondò e diresse a Milano "Il Viandante", settimanale politico-culturale pluralista che invitava ad un riaccostamento dei sindacalisti con i socialisti, ma non alieno da tematiche nazionaliste. Assieme all'amico sindacalista Roberto Forges Davanzati, Monicelli approdò a concezioni nazionaliste e antigiolittiane, partecipando nel 1910 alla fondazione dell'Associazione Nazionalista Italiana.

Conobbe Arnoldo Mondadori nel 1912, ad Ostiglia, ed insieme crearono quella che poi divenne la grande casa editrice. La sorella, Andreina, si sposò con lo stesso Mondadori nel 1913.
Nel 1913 sposò Maria Carreri, dalla quale ebbe quattro figli, tra i quali Mario, futuro regista cinematografico. Nello stesso anno si trasferì a Bologna, dove collaborò con Il Resto del Carlino, il principale quotidiano della città.

Fu interventista sia nella Guerra di Libia sia nella Prima guerra mondiale. Allo scoppio della Grande guerra si trasferì a Roma, dove collaborò a «L'idea Nazionale», quotidiano vicino al movimento nazionalista. Nel 1916 si arruolò volontario; combatté sul fronte del Carso con il grado di sottotenente nell'81º Reggimento dei Granatieri.

Nel 1917 fondò «Penombra», la prima rivista italiana di cinema[2]. Dopo la fine della guerra fu richiamato a Roma, dove diresse «L'idea Nazionale» (1918-1920), poi il "Giornale di Roma" (1921-1922, insieme con Giuseppe Bottai), "Il Tempo" (1922). Terminata l'esperienza romana (a causa della chiusura de Il Tempo) Monicelli ritornò a Bologna, dove fu direttore del Resto del Carlino (agosto 1923).

Acceso nazionalista, Monicelli fu inizialmente uno strenuo sostenitore del movimento fascista. Nel 1924, però, il delitto Matteotti segnò un netto cambiamento d'opinione. Monicelli iniziò a criticare il regime. Fu costretto dopo poco tempo a lasciare la direzione del quotidiano felsineo (febbraio 1925).

Nel 1926 fu nominato consigliere d'amministrazione della Società Italiana Autori Editori (SIAE). Ma l'incarico finì l'anno dopo. Negli anni seguenti Monicelli avvertì che il regime lo aveva isolato ed incontrò serie difficoltà economiche. Fu grazie alla benevolenza di Bottai (che gli garantì un impiego presso la casa editrice Rizzoli), che poté sopravvivere dignitosamente.

Oltre che drammaturgo, fu scrittore, traduttore, direttore dell'Istituto per i drammi di D'Annunzio. Fra i suoi libri, pubblicò Aia Madama e Nullino e Stellina. Tradusse vari titoli, tra cui Il Viaggio di Ulisse.

Ebbe quattro figli che portarono avanti l'eredità letteraria e artistica del padre: Mario, famoso regista e padre della commedia all'italiana, Giorgio, traduttore ed editore anche per conto della stessa Mondadori, Mino, giornalista e inviato speciale, Furio, scrittore e insegnante al Conservatorio di Milano.

In un'intervista pubblicata nel numero di "Vanity Fair" del 7 giugno 2007 (pagina 146) Mario Monicelli parla del suicidio del padre, nel 1946: "Ho capito il suo gesto. Era stato tagliato fuori ingiustamente dal suo lavoro, anche a guerra finita, e sentiva di non avere più niente da fare qua. La vita non è sempre degna di essere vissuta; se smette di essere vera e dignitosa non ne vale la pena. Il cadavere di mio padre lo ho trovato io. Verso le sei del mattino ho sentito un colpo di rivoltella, mi sono alzato e ho forzato la porta del bagno. Tra l'altro un bagno molto modesto". Anche Mario Monicelli morirà suicida, il 29 novembre del 2010.