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Economista e patriota italiano (Vicenza 1841 - Bologna 1918);
partecipò alla spedizione dei Mille. Ingegnere, iniziò
gli studî economici a Ginevra, dove fondò la Revue
d'économie, d'histoire et de statistique, per divulgare i
principî della libertà economica e combattere il
socialismo. Dopo la pubblicazione della Storia dell'Internazionale
(1873) divenne prof. nella Scuola sup. di Venezia (1874) e dal 1884
al 1916 insegnò all'univ. di Bologna. Amico e collaboratore
di F. Ferrara, ne continuò il pensiero, derivando la teoria
dei costi di sostituzione da quella dei costi di riproduzione e
preludendo alla teoria dell'equilibrio economico, ma negò la
teoria malthusiana della popolazione, che Ferrara in parte accettava
(L'economia politica antimalthusiana e il socialismo, 1894). Tra le
altre opere: La moneta e gli errori che corrono intorno ad essa
(1883); L'imposta progressiva in teoria e in pratica (1895); La
economia politica e la odierna crisi del darwinismo (1912).
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DBI
di Gabriella Gioli
MARTELLO, Tullio. – Nacque a Vicenza il 13 marzo 1841 da una
famiglia della media borghesia. Il padre Carlo era impiegato di
livello superiore dell’amministrazione finanziaria lombardo-veneta e
la madre, Virginia Perelli, era figlia di un medico condotto. Nel
1847 si trasferì con la famiglia a Venezia e nel 1850 a
Padova, dove fu iscritto per la prima volta a una scuola pubblica.
Nel 1855 venne inviato in collegio a Venezia, ma tre anni dopo
dovette sospendere gli studi e raggiungere la famiglia a Treviso,
dove si iscrisse all’I.R. Istituto superiore di finanza.
Nel 1859, sensibile come tanti giovani alle aspirazioni patriottiche
e repubblicane, il M. seguì i gruppi di volontari veneti che
andavano ad arruolarsi nell’esercito piemontese e partecipò
alla seconda guerra di indipendenza. Nel 1860, poi, partì da
Livorno per raggiungere in Sicilia l’esercito di G. Garibaldi; prese
parte alla battaglia di Milazzo e si segnalò in numerosi
episodi di valore. Con Garibaldi avrebbe in seguito mantenuto
rapporti di stima e amicizia, testimoniati da numerose lettere.
Congedatosi dall’esercito garibaldino, si recò a Napoli,
dove, «con bagaglio di audacia certo superiore a quello della
scienza» (Bertolini, Vita aneddotica…, p. 15), si
presentò agli esami straordinari di laurea della
facoltà di matematica e riuscì fortunosamente a
superarli. Con questo titolo raggiunse Torino, dove si iscrisse alla
Scuola di applicazione per ingegneri. Non riuscì però
a portare a termine gli studi, perché nel 1863, pur non
avendo alcuna esperienza specifica, venne assunto da una compagnia
inglese come assistente ingegnere per la costruzione di linee
ferroviarie e partì per la Sardegna.
Le sue doti intellettuali e la sua capacità di lavoro
nell’incarico svolto gli procurarono buone referenze, grazie alle
quali, tornato a Venezia dopo la guerra del 1866 e la successiva
annessione del Veneto all’Italia, ottenne dal ministero delle
Finanze l’incarico di occuparsi dell’esproprio dei beni
ecclesiastici: operazione delicata che gli procurò una
quantità di nemici. Dopo breve tempo il M. decise di emigrare
in Svizzera per prendere contatto con un ambiente intellettuale che
era all’epoca fra i più vivaci e avanzati d’Europa. Nel
settembre 1867 partecipò così al primo Congresso per
la pace e la libertà, che si tenne a Ginevra, presidente ad
honorem Garibaldi.
Il congresso, che segnò l’atto di nascita del moderno
pacifismo, aveva lo scopo di individuare le condizioni che, se
attuate, avrebbero permesso di mantenere la libertà, il
diritto e la pace in Europa. La presenza di personaggi illustri ma
di estrazione e con storie diverse (M.A. Bakunin, V. Hugo, A.I.
Herzen, A. e L. Blanc, J. Favre, J.S. Mill, J. Barni) fa capire come
potesse essere difficile conciliare le varie esigenze: socialisti,
cattolici, democratici, moderati, rivoluzionari, liberoscambisti e
rappresentanti dell’Internazionale operaia, pur partendo da
un’aspirazione comune alla pace, puntavano evidentemente a percorsi
e obiettivi assai diversi. Tuttavia, al di là dei risultati
concreti raggiunti, questo congresso rappresentò per il
giovane M. un’esperienza fondamentale, che lo mise in relazione con
i più importanti esponenti del movimento europeista e
pacifista e con figure di spicco della massoneria italiana. Il M.
continuò così a interessarsi attivamente di politica,
entrò a far parte del comitato centrale della Ligue de la
paix et de la liberté, si batté per l’istruzione
popolare, per la libertà economica e per le unioni doganali
secondo il modello dello Zollverein.
All’Università di Ginevra il M. frequentò le lezioni
di economia politica di Henri Dameth, e cominciò a leggere le
Prefazioni alla «Biblioteca dell’Economista» di F.
Ferrara (le prime due serie si pubblicarono a Torino dal 1850 al
1868), che tanta importanza avrebbero avuto nell’evoluzione del suo
pensiero. Il M. riprese così con passione gli studi
economici, scrisse numerosi articoli su temi politici e sociali e,
nel 1869, fondò a Ginevra la Revue d’économie,
d’histoire et de statistique.
Sostenuta da personaggi come Hugo, Ernest Naville, Barni, E.
Cernuschi, la rivista si prefisse lo scopo di fornire gli elementi
essenziali per l’interpretazione dei fenomeni sociali e politici e
per fare dell’economia un oggetto di studi alla portata di tutti. Di
qui l’importanza da lui attribuita alla storia e alla statistica: la
prima perché doveva narrare gli avvenimenti nel modo
più oggettivo, senza implicazioni moralistiche, la seconda
per la sua possibilità di misurare scientificamente il
progresso sociale.
Da questo lavoro il M. trasse lo spunto per le ricerche che
portarono alla sua Storia della Internazionale dalla sua origine al
Congresso dell’Aja (Padova-Napoli 1873), in cui si proponeva di
«rendere evidenti gli errori, le illusioni, gli equivoci e le
colpe del socialismo» all’interno dell’Associazione
internazionale dei lavoratori. Quest’opera attirò
l’attenzione degli studiosi e dei politici, il che gli
consentì, quando nel 1872 lasciò la Svizzera a causa
della morte del padre, di ottenere dal ministero di Agricoltura,
Industria e Commercio, su sollecitazione di L. Luzzatti, l’incarico
di scrivere una monografia sullo Stato attuale del credito in Italia
e notizie sulle istituzioni di credito straniere, che
pubblicò a Padova nel 1874 in collaborazione con A.
Montanari. Nel 1873, inoltre, il M. diventò segretario
particolare del presidente del Consiglio e ministro delle Finanze M.
Minghetti.
In questo periodo cominciarono a delinearsi in Italia due distinte
scuole economiche: l’una classica, smithiana e liberista, sostenuta
da Ferrara, e quindi dal M., che divenne presto membro del Cobden
Club; l’altra, detta degli «autoritari» o dei
«tedeschi», o ancora dei «socialisti della
cattedra», capeggiata da F. Lampertico e da A. Scialoja, L.
Cossa e L. Luzzatti. I primi dettero vita nel 1874 alla
Società Adamo Smith, gli altri, nel 1875, all’Associazione
permanente per il progresso degli studi economici in Italia.
Nell’orbita della Società Adamo Smith fu fondato a Firenze il
7 maggio 1874 (sul modello dell’inglese The Economist) il
settimanale L’Economista (proprietario e direttore l’avv. G.
Franco). Ben presto il gruppo dei collaboratori si ampliò
fino a comprendere gli economisti A. Marescotti, G. Bruno, J.
Virgilio, G. Todde, V. Pareto e lo stesso M., nonché
esponenti del moderatismo toscano come U. Peruzzi, L.G.
Cambray-Digny, P. Bastogi. Il M. partecipò con passione al
dibattito fra le due scuole di pensiero. Per il gruppo liberista,
cui apparteneva, i principî economici smithiani costituivano
le basi indiscutibili della scienza economica, mentre erano da
respingere sia la politica di protezione doganale sia i sussidi
statali ai settori più deboli dell’economia, che in quegli
anni erano invece caldeggiati da economisti come Luzzatti e
Scialoja.
Nel 1874 Ferrara offrì al M. la cattedra di economia politica
nella R. Scuola superiore di commercio di Venezia, da lui diretta.
L’anno seguente il M. sposò una giovane nobildonna veneta,
Fosca Pascottini, da cui ebbe una figlia e due figli, uno dei quali
morì in tenera età e l’altro, Carlo, a 23 anni, quando
sembrava avviato a una carriera di scrittore e di economista come il
padre (cfr. Sulla tomba di mio figlio Carlo Martello, 18 apr. 1901,
anniversario della morte di lui, Bologna 1901).
Il M., che dal 1877 insegnò anche storia dei trattati,
restò a Venezia per dieci anni, periodo che consacrò
la sua fama e che fece della scuola un vero centro di riferimento
del liberismo economico.
Con Ferrara dichiarò la sua ostilità al sistema dei
trattati di commercio (cfr. Il libero scambio e i trattati di
commercio, Venezia 1878), che si trovavano a dover conciliare
esigenze e interessi diversi: industria, agricoltura, commercio,
pressioni tributarie, lavoro e capitale. Il M. criticava inoltre la
durata spesso troppo lunga di un trattato, che avrebbe impedito a
qualunque paese di adeguarsi al rapido mutamento delle condizioni
economiche. Anche la clausola della nazione più favorita
sembrava fatta, a suo avviso, per togliere ogni libertà
d’azione (cfr. Lo Zollverein italo-francese e gli Stati Uniti
d’Europa, Bologna 1905).
Nel 1876 il M. si candidò alle elezioni politiche, ma fu
sconfitto; analoga sorte avrebbe avuto un secondo tentativo fatto
nel 1883 in una tornata di elezioni suppletive nel collegio di
Treviso (cfr. Discorso elettorale pronunciato nella sala del
Consiglio comunale di San Donà di Piave il 22 ott. 1876,
Venezia 1876; Biografia e programma politico: 1° collegio
elettorale di Treviso, del prof. T. M., Treviso 1883).
Nel 1881 il M., che l’anno prima aveva ottenuto la libera docenza
per l’economia politica nell’Università di Padova,
presentò la sua candidatura alla cattedra di economia
politica nell’Università di Bologna e vinse il concorso.
Tuttavia, per l’ostilità sia dell’ambiente universitario sia
di quello ministeriale (in particolare A. Depretis fu fermo nel suo
veto), la sua nomina venne bloccata con vari pretesti e soltanto nel
1884 poté prendere finalmente servizio nella facoltà
di giurisprudenza dell’ateneo bolognese, dove dal 1888
insegnò anche scienza delle finanze.
Nel 1887 frattanto era nata a Bologna un’associazione di professori
con lo scopo di attirare l’attenzione sulle condizioni precarie
dell’Università, per costringere il potere legislativo a una
riforma radicale del sistema. Organo dell’associazione era il
periodico L’Università, cui anche il M. collaborò.
Nel 1889 il M. tenne la prolusione per l’inizio dell’anno
accademico, cui dette un titolo emblematico (La decadenza
dell’Università italiana: discorso inaugurale del professore
Tullio Martello alla solenne apertura degli studi nella R.
Università di Bologna, Bologna 1890) e nella quale accusava
lo Stato di trascurare vergognosamente i problemi degli atenei. Il
discorso fece scalpore sia per il tema sia per i toni usati e questo
stimolò il M. a dare vita a un altro giornale, La Riforma
universitaria, che iniziò le pubblicazioni nel 1890 e divenne
più tardi La Riforma dell’insegnamento superiore.
Oltre a queste battaglie civili, deve esser sottolineata
l’importanza dei suoi lavori didattici e scientifici. Il pensiero
del M. è raccolto in una quantità notevole di articoli
e interventi, frutto di una lunga carriera accademica, che si
caratterizzano tutti per chiarezza e originalità
d’impostazione, anche se il punto di partenza teorico, il liberismo
economico ereditato da Ferrara, non venne da lui mai messo in
discussione.
Fra le sue opere più importanti si rammentano: La moneta e
gli errori che corrono intorno ad essa (Firenze 1883), che trattava
un tema quanto mai dibattuto nell’Italia postunitaria (specie dopo
l’introduzione del corso forzoso nel 1866) e sul quale il M. aveva
pubblicato, nell’Economista, diversi articoli in cui si
evidenziavano gli errori che l’arbitrio governativo stava
commettendo nella politica monetaria. Anche in questo caso il
principio da cui muoveva il M. era quello della libertà,
essendo la moneta nient’altro che una delle merci coinvolte nel
processo di scambio. Per la chiarezza e la completezza
dell’esposizione l’opera fu considerata fondamentale anche da
Pareto, che ne fece grandi elogi; L’imposta progressiva in teoria e
in pratica (Venezia 1895), in cui il M. dimostrava «l’equivoco
democratico dell’imposta progressiva, assurda in teoria e
impossibile in pratica». Infatti una forte
progressività dell’imposta finiva per assorbire interamente i
redditi colpiti, mentre se «la scala [era] lenta» essa
non avrebbe risposto ai bisogni dell’Erario. Il M. difendeva
perciò il principio dell’imposta proporzionale dal momento
che l’imposta progressiva diventava, alla fine, il fondamento di uno
Stato retto su privilegi di tipo feudale; L’interesse del capitale
monetario (Modena 1899), in cui il M. chiariva quale fosse la legge
economica del valore in generale e delle oscillazioni del tasso di
interesse in particolare, che egli vedeva determinato non dal
rischio dell’investimento, ma soltanto dalla legge economica, che
comprendeva in sé tutti gli elementi del valore, secondo la
definizione data da Ferrara. Lo Stato non doveva dunque in alcun
modo intervenire a determinare il saggio di interesse; infine
L’economia politica e la odierna crisi del darwinismo (Bari 1912),
una sorta di apologia dell’economia classica, compendio di una serie
di scritti apparsi, tra l’altro, anche nel Giornale degli economisti
a partire dal 1890. Il M. discuteva la teoria generale
dell’evoluzione, confutando l’idea che la differenza tra l’animale e
l’uomo fosse soltanto di grado e non di natura. In questa piccola
differenza stava, a suo avviso, la ragion d’essere della scienza
economica. E qui il M. riprendeva e consolidava la legge del costo
di riproduzione di Ferrara, da lui chiamata legge del costo di
sostituzione: in ogni scambio si sostituisce un sacrificio a un
altro sacrificio, un’utilità a un’altra utilità, per
ottenere con un sacrificio minore un’utilità maggiore, e
questo è proprio dell’uomo e non degli altri animali, i quali
operano per istinto, non per libera scelta o per calcolo economico e
non conoscono né il valore né lo scambio.
Il M. morì a Bologna il 10 febbr. 1918.