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    di Fulvio Conti
    
    Nacque a Firenze il 28 ott. 1839 da Carlo e da Ernesta Mocenni.
    
    Il padre, ingegnere ferroviario originario di Prato, uomo di vasti
    interessi culturali e scientifici, nutriva sentimenti liberali e
    patriottici. Vicino al cenacolo intellettuale che faceva capo a G.P.
    Vieusseux, fu amico, tra gli altri, di S. Pellico, G. Giusti, A.
    Vannucci, R. Lambruschini, P. Thouar e G. Mazzoni. La madre era
    stata cresciuta ed educata dalla zia paterna Quirina Mocenni
    Magiotti, la «donna gentile» di U. Foscolo. Il ricco
    fondo di manoscritti foscoliani da lei posseduto, lasciato in
    eredità a Carlo Martelli (che nel 1849, a Firenze, per i tipi
    di Le Monnier, provvide a sue spese alla prima edizione de L’inno
    alle Grazie), nel 1884 fu venduto dal M. alla Biblioteca nazionale
    di Firenze.
    
    Fu in questo ambiente familiare, ricco di fermenti ideali, che il M.
    trascorse i suoi primi anni di vita, finché nel 1851
    entrò nelle scuole degli scolopi di S. Giovannino, a Firenze,
    dove ebbe come compagni di studi G. Carducci, E. Nencioni, T.
    Signorini e G. Uzielli, con i quali strinse duraturi legami di
    amicizia. Nel 1856 si iscrisse alla facoltà di scienze
    naturali dell’Università di Pisa, dove conobbe F. Martini e
    G. Chiarini, ma già l’anno seguente abbandonò gli
    studi, che avrebbe poi ripreso in modo intermittente senza mai
    portare a compimento. Sempre nel 1856 fu introdotto dal pittore A.
    Gatti, al quale il padre lo aveva affidato perché ricevesse
    anche un’educazione artistica, nel fiorentino caffè
    Michelangelo, abituale luogo di ritrovo di giovani artisti e
    letterati, attenti soprattutto alle novità culturali che
    provenivano dalla Francia, i quali si riconoscevano in una profonda
    istanza di rinnovamento che investiva sia i canoni pittorici
    (attuatasi poi con la nascita del movimento dei macchiaioli) sia i
    riferimenti culturali e politici (con l’adesione ai valori del
    positivismo, del materialismo e del socialismo umanitario di P.-J.
    Proudhon). In ogni caso, nel 1859, allo scoppio della seconda guerra
    d’indipendenza molti di quei giovani subirono il forte richiamo
    patriottico e non esitarono a partire come volontari per il fronte.
    Così fece anche il M., che il 4 maggio si arruolò nel
    real corpo di artiglieria, raggiungendo gli amici Signorini, O.
    Borrani, L. Bechi e R. Sernesi. Il 30 luglio, colpito da una
    oftalmia purulenta, fu però ricoverato nell’ospedale militare
    di Modena, dove rimase fino al mese di ottobre.
    
    Il 30 luglio 1861, alla morte del padre, il M. entrò in
    possesso di una cospicua eredità, oltre 1000 ha di terreni e
    fabbricati distribuiti fra le province di Pisa e Livorno,
    comprendenti quella fattoria di Castiglioncello, che egli elesse
    subito a sua dimora preferita ospitandovi per lunghi periodi gli
    amici pittori G. Fattori, Signorini, S. Lega, Borrani, G. Abbati,
    Sernesi, F. Zandomeneghi, M. Gordigiani e altri. Costoro,
    approfittando già dal 1861 del generoso mecenatismo del M.,
    durante i loro soggiorni ritrassero in numerosi dipinti le bellezze
    naturali del luogo e scene di vita quotidiana, contribuendo a quella
    stagione di creatività del gruppo macchiaiolo, che la critica
    ha comunemente indicato come Scuola di Castiglioncello.
    
    Nel novembre 1862 il M. intraprese il suo primo viaggio a Parigi,
    dove entrò in contatto con diversi esponenti del mondo
    artistico e culturale. Anche questo viaggio contribuì ad
    affinare le scelte ideali del M., che si riconobbe in un
    razionalismo positivista dalle vivaci tinte anticlericali, rimasto
    sempre un elemento distintivo del suo pensiero, e in una partecipe
    sensibilità per le condizioni delle classi popolari e per le
    loro istanze di riscatto sociale e politico. Non a caso, di
    lì a poco aderì alla loggia massonica «Il
    Progresso sociale», di cui fu segretario N. Lo Savio che,
    attraverso il giornale Il Proletario, introdusse nell’ambiente
    democratico fiorentino le prime idee socialiste (il M. restò
    membro della loggia fino al settembre 1871, quando si dimise dalla
    carica di segretario in polemica con la linea troppo moderata dei
    vertici massonici). Risale poi a quegli anni la minuta autografa,
    che si conserva fra le sue carte (Firenze, Biblioteca Marucelliana,
    Martelli, D.XIV [IV], ins. 27), del programma di un giornale dal
    titolo rivelatore, Il Satana, dal quale ben emerge la sua adesione
    ai principî del libero pensiero. Il principale punto di
    riferimento ideologico del M. fu Proudhon, del quale lesse sia il Du
    principe de l’art et de sa destination sociale (Paris 1865),
    facendone la base dei suoi primi scritti artistici, sia le opere
    politiche, orientandosi verso un socialismo libertario e
    democratico, fortemente autonomista e mai classista, che avrebbe
    dovuto affermarsi non con una rivoluzione violenta, bensì
    attraverso la conquista di riforme graduali e progressive.
    Soprattutto, comunque, continuò a credere nella
    necessità di completare il processo di liberazione e di
    unificazione nazionale, e la terza guerra d’indipendenza, nel giugno
    1866, lo vide nuovamente partire per il fronte, arruolato nel 4°
    reggimento volontari.
    
    Al ritorno il M., che già da qualche anno aveva preso a
    collaborare con alcuni giornali fiorentini (fra i quali La Nazione,
    Lo Zenzero, Il Progresso e L’Avvenire) e altri ne aveva progettati
    senza esito, fu assorbito da un’importante iniziativa, Il Gazzettino
    delle arti del disegno, che, da lui ideato, finanziato e diretto,
    con la collaborazione di Signorini e M. Angioli, si pubblicò
    a Firenze dal 26 gennaio al 7 dic. 1867.
    
    Il periodico rappresentò «la prima concreta espressione
    dell’appoggio critico di Martelli al giovane movimento dei
    Macchiaioli» (D. M., l’amico dei macchiaioli e degli
    impressionisti [catal., Castiglioncello], a cura di P. Dini - F.
    Dini, Firenze 1996, p. 14), di cui difese l’innovativo stile
    pittorico, efficace espressione della vita contemporanea,
    contrapponendolo ai logori e ripetitivi schemi proposti dalle
    accademie. Il Gazzettino, che offrì ai lettori biografie di
    artisti contemporanei italiani e stranieri, rassegne di esposizioni,
    dibattiti e cronache varie, si qualificò da un lato come
    strumento di aggregazione delle diverse scuole realiste che erano
    sorte in varie parti della penisola sul modello di quella toscana,
    dall’altro come mezzo per far conoscere ai pittori italiani le nuove
    correnti artistiche internazionali.
    
    Nel giugno 1869 il M. compì un secondo viaggio a Parigi, dove
    visitò il Salon; fu quindi brevemente a Londra e a Monaco,
    dove si incontrò con Julius Meyer, redattore del Allgemeines
    Künstler-Lexikon, edito a Lipsia da W. Engelmann, con il quale
    definì i termini della sua collaborazione per la stesura
    delle biografie di pittori e scultori italiani. Nei primi mesi del
    1870 scrisse numerosi articoli per La Rivista europea, finché
    il 29 maggio partì per il suo terzo soggiorno parigino,
    questa volta accompagnato da Teresa Fabbrini, una ex prostituta da
    lui conosciuta nel 1863 e rimasta poi come sua compagna per il resto
    della vita. A Parigi, oltre a interessarsi dell’Esposizione e a
    frequentare gli amici italiani colà residenti (G. De Nittis,
    V. D’Ancona, G. Mochi, E. Vieusseux e A. Cecioni), fu in relazione
    con M. Desboutin, G. Lafenestre e R. Jacquemin. Fu costretto a
    rientrare in Italia verso la fine di agosto, pochi giorni prima
    della sconfitta di Sedan, che pose fine alla guerra franco-prussiana
    e segnò la caduta di Napoleone III.
    
    I primi anni Settanta furono per il M. un periodo operoso di studio
    e di attività letteraria: pubblicò alcuni volumetti di
    racconti (Primi passi. Fisime letterarie… illustrate all’acquaforte
    da Telemaco Signorini, Firenze 1871; Lucio Domizio Nerone Claudio
    imperatore, baloccaggine fiorentina, ibid. 1872; Una brutta storia.
    Novella, Pisa 1874; Fornicazioni di fra’ Mazzapicchio edite per cura
    di D. M. fiorentino ed illustrate da Telemaco Signorini, ibid. 1875)
    e collaborò a giornali e riviste come Arte in Italia,
    L’Italia nuova, Eco del Tirreno, Gazzetta d’Italia, Giornale
    artistico, Corriere dell’Arno e Rivista italiana. Si impegnò
    inoltre nell’acquisto di alcuni terreni confinanti con la sua tenuta
    di Castiglioncello e in altre onerose attività speculative,
    che si rivelarono azzardate, costringendolo a contrarre mutui e
    prestiti e segnando l’inizio di una lunga fase di difficoltà
    economiche, culminata nel 1889 nella decisione di vendere le
    fattorie del Pastino e di Castiglioncello.
    
    Nel 1876 il M. abbandonò le tesi astensionistiche professate
    in gioventù e si presentò candidato alle elezioni
    politiche nel collegio di Lari, dove fu sconfitto da C. Panattoni
    con 365 voti contro 186. Da allora mise definitivamente da parte la
    pregiudiziale istituzionale, che impediva all’estrema repubblicana
    di partecipare al voto, e dette una valutazione indulgente della
    monarchia sabauda, che a suo giudizio aveva contribuito allo
    sviluppo dei principî liberali. Il M. presentò poi
    nuovamente la sua candidatura a deputato nel collegio di Firenze III
    nel 1880 e in quello di Firenze II nel 1882, nel 1884 e nel 1886, ma
    sempre con esito negativo, sopraffatto dagli esponenti del fronte
    governativo e incapace di raccogliere i consensi di tutta la
    Sinistra democratica di opposizione.
    
    Nel 1877 le questioni artistiche tornarono al centro dell’attenzione
    del M., che pubblicò un opuscolo sull’annoso problema
    dell’utilità delle accademie di belle arti (Dell’ordinamento
    degli studi artistici in Italia. Pensieri e proposte, ibid. 1877) e
    tenne una conferenza a Livorno, nella quale, muovendo da una
    prospettiva evoluzionistica, tracciò una sua personale
    visione dello sviluppo dell’arte dall’antichità preistorica
    fino all’età contemporanea, che si concludeva con un cenno al
    movimento impressionista, la cui prima esposizione collettiva
    risaliva appena al 1874 (Dell’arte antica e moderna. Lettura fatta
    al Circolo filologico di Livorno il 20 maggio 1877, in A. Boschetto,
    Scritti d’arte di D. M., Firenze 1952, pp. 38-50).
    
    Nell’aprile 1878 il M. si recò per l’ultima volta a Parigi,
    dove si trattenne per un anno finanziando il proprio soggiorno con
    le corrispondenze sull’Esposizione universale e sulla vita artistica
    della capitale francese che inviò ad alcuni periodici
    italiani, fra i quali Il Risorgimento di Torino, La Sentinella
    bresciana, la Gazzetta d’Italia, La Rivista europea e La Vedetta -
    Gazzetta del Popolo di Firenze. Fu un periodo esaltante e assai
    proficuo per il M., che a Parigi, oltre a incontrarsi con i pittori
    italiani S. De Tivoli, De Nittis e Zandomeneghi, ebbe modo di
    conoscere e frequentare assiduamente artisti come C. Pissarro, E.
    Manet, E. Degas, l’editore G. Charpentier e scrittori quali
    É. Zola, E. e J. Huot de Goncourt, L.E.E. Duranty. Introdotto
    al caffè Nouvelle Athènes di place Pigalle, luogo di
    ritrovo delle avanguardie artistiche e culturali parigine, visse da
    vicino quella stagione di grande creatività del movimento
    impressionista, nel quale intravide non poche affinità con i
    macchiaioli. Anche per sottolineare tali punti di contatto
    cominciò ad allestire a Parigi una sua personale raccolta di
    dipinti italiani e francesi. Non solo: convinse Pissarro a inviare
    due suoi quadri all’esposizione della Promotrice fiorentina e si
    adoperò, in questo caso invano, per realizzare una mostra di
    pittura francese all’interno dell’Esposizione nazionale di Torino
    del 1880. Prima di ripartire da Parigi, nell’aprile 1879, il M. ebbe
    modo di visitare la quarta mostra collettiva degli impressionisti,
    appena apertasi, e nel gennaio 1880 avrebbe loro dedicato quella
    conferenza (Gli impressionisti. Lettura data al Circolo filologico
    di Livorno, Pisa 1880), che offrì al pubblico italiano un
    primo sguardo organico sulle avanguardie pittoriche francesi e che,
    per l’acuta lettura critica di quel movimento artistico, viene
    considerata «il suo maggior contributo alla storia dell’arte
    moderna» (D. M., l’amico dei macchiaioli…, cit., p. 24).
    
    Nel 1878 il M. conobbe a Parigi il deputato radicale A. Bertani, al
    quale prospettò l’opportunità per la Sinistra di avere
    a Firenze un proprio organo di stampa, che fungesse da stimolo al
    governo e l’aiutasse a contrastare l’egemonia della consorteria
    moderata. Il progetto si concretizzò soltanto nel luglio
    1881, quando, grazie anche ai finanziamenti ministeriali offerti da
    A. Depretis, vide la luce a Firenze il giornale La Patria. Diretto
    dal M., che nell’agosto 1879 era stato eletto consigliere
    provinciale di Pisa e nel 1880-81 aveva collaborato al giornale La
    Lega della democrazia, il quotidiano si batté soprattutto a
    sostegno della riforma elettorale promossa da Depretis, ma, dopo
    aver assunto un atteggiamento sempre più radicale e critico
    verso il governo, nel dicembre 1881 fu costretto a cessare le
    pubblicazioni.
    
    Il M., ormai divenuto uno fra gli esponenti più noti della
    Sinistra democratica fiorentina e toscana, continuò le sue
    battaglie politiche, avversando il trasformismo e riconoscendosi
    nelle posizioni dei radicali come Bertani e dell’opposizione
    pentarchica di A. Baccarini e F. Crispi, con i quali fu in relazioni
    epistolari. Quando Crispi assunse la guida del governo, nel 1887, lo
    salutò carico di speranze, ma dopo la svolta autoritaria che
    seguì alla prima stagione di riforme promosse dallo statista
    siciliano non esitò a prenderne le distanze e condivise anzi
    la vibrante campagna anticrispina di F. Cavallotti, di cui divenne
    amico. Nell’ottobre 1889 il M. fu eletto consigliere provinciale e
    comunale di Firenze (carica che tenne solo fino al dicembre 1890) e
    con il suo voto contribuì alla formazione della giunta
    guidata dal sindaco F. Guicciardini, la prima del periodo
    postunitario che fosse espressione delle forze democratico-liberali.
    In tale veste prestò particolare attenzione ai problemi
    sociali della città, adoperandosi, fra l’altro, per risolvere
    la questione delle abitazioni popolari, per privilegiare le
    cooperative nell’affidamento dei lavori comunali, per la costruzione
    di nuove scuole e per la parità di trattamento economico fra
    maestri e maestre. In quegli stessi anni aderì al movimento
    pacifista democratico, stringendo feconde relazioni di
    collaborazione e di amicizia con E.T. Moneta e con V. Pareto, che
    del comitato fiorentino fu uno dei membri più attivi. Si
    batté perciò per la costituzione di istituti di
    arbitrato internazionali che scongiurassero il ricorso alle guerre e
    si oppose alle prime iniziative coloniali dell’Italia. In nome del
    rifiuto di ogni forma di violenza, infine, contestò alcune
    tendenze anarchiche che ancora allignavano nelle organizzazioni
    socialiste e sindacali.
    
    Negli anni Ottanta e nei primi anni Novanta continuò a tenere
    conferenze e a collaborare con alcuni giornali e periodici (in modo
    più assiduo al Fieramosca, a Il Corriere italiano, a La
    Commedia umana), ai quali affidò soprattutto articoli su
    questioni artistiche e politiche. Pubblicò poi altri opuscoli
    letterari e scritti d’occasione (Una brutta storia o Un buon papa
    all’antica. Novella, Firenze 1886; I partiti dello straniero.
    Pensieri, Colle d’Elsa 1889; In memoria dei fratelli Alinari,
    Firenze 1890), fra i quali ebbe una certa eco quello, pieno di
    scanzonata ironia, che il M. dedicò alla nuova facciata di S.
    Maria del Fiore, inaugurata nel 1887 (Di S. Maria del Fiore non che
    delle mattaccinate che il popolo ed il Comune hanno fatto per
    raggiungere il fine desiderato di una facciata, Pisa 1887).
    
    Amareggiato dalle crescenti difficoltà economiche, che lo
    costrinsero a vendere larga parte delle sue proprietà, il M.
    si ritirò progressivamente dall’impegno politico e non
    accettò le candidature a deputato che gli vennero offerte da
    più parti.
    
    Addolorato dalla scomparsa della sua compagna Teresa, avvenuta il 19
    ott. 1895, il M. morì a Firenze il 20 nov. 1896.
    
    Nel testamento stabilì di lasciare tutte le sue opere d’arte
    alla città di Firenze (accolte inizialmente in Palazzo
    Vecchio, nel 1924 trovarono collocazione nella nuova Galleria d’arte
    moderna di Palazzo Pitti, di cui rappresentano uno dei nuclei
    più significativi) e la sua corrispondenza, i suoi
    manoscritti e i suoi libri alla Biblioteca Marucelliana, dove ancora
    oggi si conservano.