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Commedia in cinque atti
Autore - Niccolò Machiavelli
Lingua originale - italiano
Composto nel - 1512-1520
Personaggi
Callimaco
Siro
Messer Nicia
Ligurio
Sostrata
Frate Timoteo
Una donna
Lucrezia
Ninfe e pastori che cantano il prologo
Riduzioni cinematografiche
La mandragola, film del 1965 diretto da Alberto Lattuada,
La mandragola, film del 2009 diretto da Edoardo Sala
La mandragola di Niccolò Machiavelli è una commedia
considerata il capolavoro del teatro del ’500 e un inestimabile
classico della letteratura italiana. Composta da un prologo e cinque
atti, è una potente satira sulla corruttibilità della
società italiana dell'epoca, prende il titolo dal nome di una
radice cui vengono attribuite caratteristiche afrodisiache e
fecondative. Si è ritenuto a lungo che fosse stata scritta da
Machiavelli nel 1518, ma studi più recenti la retrodatano
agli anni 1514-15; venne pubblicata la prima volta nel 1524.
Trama
La storia si svolge a Firenze nel 1504. Callimaco è
innamorato di Lucrezia, moglie dello sciocco dottore in legge messer
Nicia. Con l'aiuto del servo Siro e dell'astuto amico Ligurio,
Callimaco, in veste di famoso medico, riesce a convincere messer
Nicia che l’unico modo per avere figli sia di somministrare a sua
moglie una pozione di mandragola (da qui il titolo della commedia),
ma il primo che avrà rapporti con lei morirà. Ligurio
trova presto una geniale soluzione: a morire sarà un semplice
garzone, cosa che tranquillizza parzialmente Nicia, il quale resta
comunque perplesso, visto che qualcuno dovrà andare a letto
con sua moglie. Naturalmente Ligurio ha pensato all'amico Callimaco,
che spasima per Lucrezia: infatti non vi sarà nessun garzone
come vittima predestinata, bensì sarà lo stesso
Callimaco a travestirsi da tale. In una famosa e molto divertente
scena, il garzone-Callimaco viene colpito e portato a casa di Nicia,
e poi infilato nel letto insieme a Lucrezia. Questa, che nel
frattempo è stata convinta a consumare il rapporto adulterino
da fra' Timoteo, accetta, e nel momento in cui scopre la vera
identità di Callimaco, acconsente alla fine a diventare sua
amante. Dopo la notte degli inganni, riassunte le sembianze del
medico, Callimaco ottiene dallo stesso Nicia, contento della futura
paternità, il permesso di abitare in casa sua e quindi,
inconsapevolmente, di godere delle grazie di Lucrezia.
Personaggi
Callimaco: Machiavelli lo presenta nel prologo
come un “amante meschino”.
Poi già nella I scena è lui che si presenta. È
nato a Firenze, ma essendo morti i genitori, viene mandato a Parigi
dai tutori a dieci anni (“avevo dieci anni quando da e mia tutori,
sendo mio padre e mia madre morti, io fui mandato a Parigi, dove io
sono stato venti anni”). Li resta per vent’anni, non solo
perché Li vive con una “felicità grandissima”, ma
anche per motivi di sicurezza. Infatti in quel periodo
“cominciarno…le guerre d’Italia” e Callimaco giudica di “potere in
quel luogo vivere più sicuro che qui” (Firenze). A Parigi si
dedica “alli studii, parte a’ piaceri e parte alle faccende” e
vivendo “quietissimamente” gli pare “d’essere grato a’ borghesi, a’
gentiluomini, al forestiro, al terrazzano, al povero, al ricco”
(riflette la condizione di Machiavelli: è gradito a tutti).
Si innamora per sentito dire di Lucrezia e decide di tornare in
Italia. Qui si rivolge ad un parassita affinché questi lo
aiuti a realizzare il suo desiderio. È preda della sua
passione, ma è anche intelligente e dunque conosce il suo
stato (“Meglio morire che vivere così. Se io potessi dormire
la notte, se io potessi conversare…”). Ha timore che Ligurio lo
inganni, o che non riesca ad aiutarlo. Anche perché è
convinto di avere ben poche possibilità e soltanto “la voglia
e il desiderio che l’uomo ha di condurre la cosa” lo fa ancora
sperare. Ma anche durante l’attuazione dell’inganno ha sempre paura
che qualcosa possa andare storto (atto IV “in quanta angustia sono
io stato e sto!”). E quando alla fine è quasi certo che tutto
vada a buon fine quasi non ci crede, si ritiene indegno di
così tanta fortuna (“per quali meriti io debba avere
così tanti beni?”). È preda di una passione che non
riesce a governare e che lo travolge moralmente (“se io potessi
conversare…”) e fisicamente (“le viscere si commuovono…”). È
continuamente in preda a sentimenti contrapposti come la speranza e
il timore, la felicità e la disperazione… Da una parte ha
paura che ottenuto ciò che desidera, ciò si riveli
deludente rispetto al desiderio (“non sai tu quanto poco bene si
trova nelle cose che l’uomo desidera, rispetto a quelle che l’uomo
ha presupposto trovarvi”), dall’altra l’ottenerlo lo considera una
fortuna troppo grande per lui. È un personaggio che porta
pregio e onor di gentilezza, ed è un amante meschino
(Prologo). È molto astuto (Lucrezia, ma non è molto
obiettiva, in quanto non sa che dietro l’inganno c’è
Ligurio).
Nicia: Machiavelli lo presenta nel prologo come
“un dottore poco astuto”. Nella I scena ci viene descritto da
Callimaco, ma è solo nella II scena che compare di persona.
È “ricchissimo”, “non è giovane…ma non al tutto
vecchio” e si lascia governare dalla moglie (Lucrezia), molto bella
e savia. Ma nonostante tutto a un certo punto, ripensando al fatto
di non avere avuto figli, quasi rimpiange d’averla sposata (“s’io
credevo non avere figliuoli, io arei preso più tosto per
moglie una contadina”). Vuole far sembrare ciò che non
è (è molto sicuro di sé e alla sola
insinuazione che sia lui impotente subito si definisce: “el
più ferrigno e il più rubizzo uomo in Firenze”):
Fa il dottore, ma nonostante “‘mparò in sul Boezio legge
assai”, “è el più semplice e el più sciocco omo
di Firenze” (quando gli viene presentato Callimaco nelle vesti di
dottore gli parla in latino per testare la sua scienza “Bona dies,
domine magister”. Anche se poi di fronte alla superiore sapienza di
questi lui stesso si considera inferiore “ho cacato le curatelle per
imparare due hac”). Utilizza un linguaggio che vuole apparire
sofisticato, ma in realtà riprende proverbi e modi di dire
del fiorentino (“non sanno quello che si pescono”). Non si allontana
volentieri da Firenze (“non ci vo’ di buone gambe”), ma si vanta di
aver viaggiato moltissimo da giovane (“quando io era più
giovane io son stato molto randagio”), anche se in realtà i
luoghi che nomina sono tutti all’interno della Toscana. Alla fine
risulta essere l’unica vittima della beffa. E non ne ha nessun
sospetto, anzi è talmente grato a Callimaco che lo invita a
pranzo e ingenuamente gli offre pure la chiave della propria casa.
Cerca di apparire quello che non è, anche perché
è convinto di esserlo. È talmente ingenuo che di
fronte alla resistenza della moglie si secca, (“Io vorrei ben vedere
le donne schizzinose, ma non tanto; ché ci ha tolta la testa,
cervello di gatta!”), mentre di fronte al cambiamento del
comportamento della stessa, non più remissiva, si mostra
compiaciuto. È dunque l’unica vittima della beffa, e non lo
intuisce nemmeno lontanamente. Il suo linguaggio è volgare e
basso, tenta di ornarlo e renderlo più elegante nel tentativo
di adeguarsi ad una condizione sociale di cui non è un degno
esponente: manca delle qualità intellettive e morali
necessarie a integrarlo nella classe del potere. Nicia è un
personaggio poco astuto (Prologo). Non c’è uomo più
sciocco di costui (Ligurio-Timoteo-Lucrezia), è un pazzo
(Ligurio), ha poca prudenza, ancor meno animo (Ligurio) ed è
semplice (Callimaco).
Ligurio: Machiavelli lo presenta nel prologo come
“un parassita di malizia el cucco”(un parassita figlio prediletto
della malizia). Nella I scena ci viene descritto da Callimaco (“fu
già sensale di matrimoni, dipoi s’è dato a mendicare
cene e desinari…piacevole uomo…”), ma è solo nella II scena
che compare di persona. È un parassita, molto astuto, che
utilizza questa qualità per guadagnarsi da vivere, che parla
con linguaggio del ragionamento, dell’ironia e del doppio senso. Ma
è anche senza scrupoli (infatti non si fa problemi a tradire
Nicia, con il quale “aveva una certa dimestichezza”, per aiutare
Callimaco sotto pagamento). Rappresenta l’astuzia distinta dalla
passione (Callimaco), e in grado dunque di osservarla e giudicarla
con distacco. Callimaco invece la governa dall’esterno. Lo aiuta non
solo per motivi economici, ma anche perché in fondo si sente
affine al giovane (“’l tuo sangue si affà al mio”).
Il suo linguaggio è ponderato, accuratamente calcolato, ricco
di allusioni anche sarcastiche, mirato e diversificato per forgiare
il pensiero e la volontà degli interlocutori. È
Malizioso (Prologo); è un piacevole uomo, perché
prende in giro Nicia (Callimaco); è pazzo, triste e diavolo
(Timoteo).
Lucrezia: Machiavelli la presenta nel prologo
come ”una giovane molto accorta”. Callimaco la definisce subito come
una donna bellissima (aspetto fisico), ma anche “onestissima e al
tutto aliena dalle cose d’amore” e con una grande influenza sul
marito (carattere), nonostante tutto ciò si basi sulla fama
della donna. Per Ligurio infine è “bella donna, savia,
costumata e atta a governare un regno”. È in grado nel corso
della commedia di adattarsi alle circostanze e di mutare con esse.
Prima restia, per onestà e rettezza morale, a compiere
l’adulterio impostole dalla madre, dal marito e dal Frate, (“Padre,
no. Questa mi pare la cosa più strana che udissi”), una volta
che vi è stata costretta, prende per mano la situazione e
relega per sempre il marito in quella parte che si era scelta per
una notte (“quello che ‘l mio marito ha voluto per una sera, voglio
ch’egli abbia per sempre”). Molti critici hanno notato in lei
qualcosa del principe dello stesso Machiavelli, soprattutto nella
sua capacità di respingere le ipocrisie e le mezze misure (o
si è del tutto buoni, come lei cerca di esserlo all’inizio, o
si è del tutto e “onorevolmente” cattivi, come finisce con
l’essere alla fine) e di adattarsi alle circostanze, mutando con
esse. La sua decisione finale si può spiegare attraverso la
sua capacità di adeguarsi alle circostanze diverse, imposte
dalla fortuna. Un altro elemento che chiarifica l’affinità
col principe machiavelliano. È Accorta e costumata (Prologo);
savia atta a governare un mondo prudente (Ligurio); è dolce e
facile (Nicia); buona (Timoteo) e prudente e dura (Callimaco).
Frate Timoteo: è un prete corrotto, pronto
a mentire e a ingannare sotto compenso, anche se poi cerca di
convincere l’ascoltatore, ma in fondo anche se stesso, che agisce
così per fare del bene (“ditemi el munistero, la pozione e,
se vi pare, codesti danari, da potere cominciare a fare qualche
bene”). Pur di convincere Lucrezia mente, spiegando che l’adulterio
non è tale se non se ne ha l’intenzione cattiva, e che
ciò è ribadito pure dalla Bibbia (“quanto all’atto che
sia peccato, questa è una favola…”). È avido, ma
possiede comunque un po’ di coscienza, che però non gli
impedisce di fare ciò che sente (“Dio sa che io non pensavo
ad iniuriare persona…”). Agisce spinto dal desiderio di ricevere un
compenso, ma non è totalmente libero dall’idea che in quanto
uomo di Chiesa non dovrebbe peccare. Ed è come se volesse
convincere di questo gli altri, ma anche se stesso, affermando che
ha acconsentito in quanto tentato da una prima novella, ma che se
gli fosse stata presentata subito la vera ragione della richiesta di
aiuto non avrebbe mai acconsentito. La scelta del nome Timoteo da
parte di Machiavelli non è casuale. Le considerazioni fatte
dal frate nel suo monologo rivelano le sue capacità di
ragionare freddamente in termini di solo calcolo economico. Le
stesse qualità morali di Lucrezia saranno utilizzate a fini
morali. Si assiste qui al rovesciamento già implicito nel
contrasto fra il nome del frate e il suo comportamento pratico:
Timoteo significa infatti “colui che onora Dio”(Τιμή cioè
rispetto e Θεόσ cioè Dio). In effetti Timoteo ha un solo Dio,
i soldi, e a questa divinità piega anche la religione.
Ciò risulta chiaramente anche quando si serve di argomenti
religiosi per raggiungere obiettivi che non hanno niente a che fare
con la religione. La religione è ridotta unicamente a
ipocrisia: serve a Timoteo come cinico paravento dietro cui
ripararsi per badare meglio ai propri affari. È trincato,
astuto (Ligurio); tristo (Lucrezia) e un frate malvissuto (Prologo).
Sostrata: è la madre di Lucrezia e aiuta
il frate a convincere la figlia, un po’ perché non è a
conoscenza dell’inganno e un po’ forse anche per turpe compiacenza.
Ha paura che la figlia una volta morto il marito molto più
vecchio di lei, se senza figli, possa rimanere “abandonata da
ognuno”. Le parla dunque anche in veste di madre preoccupata, ma
anche ritenendo una gran fortuna poter tradire il proprio marito con
il suo consenso (“C’è 50 donne in questa terra che ne
alzerebbono le mani al cielo!”).