Sigismondo Pandolfo Malatesta

 

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Sigismondo Pandolfo Malatesta, detto il lupo di Rimini (Rimini, 19 giugno 1417 – Rimini, 9 ottobre 1468), figlio di Pandolfo III Malatesta e dell'amante Antonia da Barignano, fu signore di Rimini e Fano dal 1432, mentre suo fratello Domenico Malatesta lo fu di Cesena.

Biografia

Venne investito del titolo di cavaliere dall'imperatore del Sacro Romano Impero, Sigismondo di Lussemburgo. Considerato dai suoi contemporanei come uno dei più audaci condottieri militari in Italia, lo ritroviamo in molte battaglie che caratterizzarono quel periodo. Fu più volte assoldato dai Papi, del quale era vicario, comandò le truppe veneziane nella campagna contro la Repubblica Ambrosiana e contro Francesco Sforza, nonché quella del 1465 contro l'Impero Ottomano. Aiutò anche i fiorentini nella resistenza all'invasione di Alfonso V d'Aragona, riuscendo a rompere l'assedio posto da questi a Piombino con una manovra che sorprese sia il nemico che gli alleati. Per questa azione gli fu concesso il trionfo a Firenze.

Questa azione tuttavia, gli portò contro l'ira del Re d'Aragona, che lo odiò per tutta la vita e diede il compito al figlio di distruggere lo stato malatestiano.

Questo odio nei suoi confronti lo riempì di difficoltà dalle quali non sempre riuscì a districarsi. Le sue condotte gli attirarono la fama di infido e menefreghista, come in occasione della condotta tenuta con la città di Siena, che ebbe ripercussioni per gli anni a venire. In realtà, la sua condotta non esemplare non era dovuta al suo carattere, ma al fatto che aveva da pensare anche, e soprattutto, al suo stato, che era sempre in guerra con quello dei Montefeltro, guidato da Federico da Montefeltro.

Resti del suo dominio li ritroviamo in tutto il territorio posto sotto il suo controllo. Numerose sono le rocche che controllavano il suo Stato, alcune delle quali erano: Sansepolcro, Rimini, Fano, Verucchio, Gradara, Mondaino, Montefiore, Montebello, Santarcangelo e tante altre, che costellano il paesaggio, dando un tocco pittoresco ad ogni collina del crinale marchigiano-romagnolo.

Fu anche poeta e patrono delle arti. A lui si deve la creazione di uno dei monumenti simbolo della città di Rimini e dell'intero Rinascimento: il Tempio Malatestiano di Leon Battista Alberti. Si sposò tre volte, nell'ordine con: Ginevra d'Este, Polissena Sforza che, a quanto pare, fu assassinata da lui stesso[senza fonte] e Isotta degli Atti. Solo il matrimonio con la terza, contratto nel 1456, non aveva fini politici. Infatti non ne trasse alcun vantaggio politico-militare, se non l'ufficializzazione della sua decennale relazione con Isotta, da cui aveva avuto anche un figlio e una figlia, Antonia, che sposò nel 1481 Rodolfo Gonzaga.

La sua storia finì in maniera drammatica, dopo la sua esclusione dalla Pace di Lodi, che sanciva la fine delle guerre in Italia e poneva pure in rilievo le potenze maggiori, quelle che si spartivano l'Italia. La sua marginalizzazione fu dovuta al Re d'Aragona, che dichiarò di volersi escludere dal patto qualora vi fosse stato incluso il Malatesta. Da questo momento iniziò la sua parabola discendente, che lo portò ad una lacerazione dei rapporti con la Chiesa, guidata da Papa Pio II, (al secolo Enea Silvio Piccolomini), senese di nascita ed avverso al Malatesta sin dai tempi del suo comportamento con la città Siena. Lo scontro col papa divenne più forte a seguito dell'invasione angioina del Regno di Napoli. La rottura completa si ebbe con la presa di alcuni castelli dati in pegno al papa, il quale aveva affermato che sarebbero stati ridati in premio al Malatesta quando questi avesse adempiuto agli obblighi dettatigli. Il papa aveva chiesto infatti al signore di Rimini di cedere alcuni castelli al suo eterno rivale Federico da Montefeltro e di dare al Re di Napoli un'ingentissima somma di denaro, dovuta a seguito di un fatto accaduto prima della campagna contro la Repubblica Fiorentina nel quale, come abbiamo visto, il Malatesta ebbe tanto successo nell'impedire ad Alfonso V d'Aragona di dilagare in Toscana. Offeso per il trattamento subito, Sigismondo prese iniziative che scatenarono le ire del Pontefice il quale, nel Natale del 1460, riunì un concistoro con un documento redatto dal Papa medesimo che lo accusava dei crimini più infamanti, in seguito al quale gli comminò la scomunica e lo condannò a essere bruciato in effigie.

L'ultima battaglia che lo vide vincitore fu quella di Nidastore, nella quale riuscì a sconfiggere un'armata papale composta dal triplo dei suoi effettivi. Dopo tale battaglia tuttavia, il Malatesta non volle infierire sui territori della Chiesa e preferì cercare forze per aiutare i suoi alleati angioini nella guerra che si stava combattendo nel meridione. Tali preparativi gli permisero di approntare un esercito con contingenti provenienti da buona parte della Romagna. Tuttavia, l'esercito papale, guidato da Federico da Montefeltro, fu sufficiente a farlo tornare sulla difensiva, in quanto, con tale spedizione, aveva sguarnito di difese le proprie terre. Tale scelta gli costò la fine dello Stato poiché, nella ritirata che lo avrebbe dovuto portare da Senigallia a Fano (seconda capitale del suo Stato che era diviso in due dallo Stato di Pesaro), venne sconfitto nella battaglia del Cesano nel 1462 dall'esercito dello papale a Pian della Marotta, sulle rive del fiume Cesano.

Da quel momento dovette assistere allo smembramento dei suoi territori, che cadevano sotto i colpi dell'esercito della Chiesa guidato dal suo eterno nemico.

Nel tentativo di risorgere, si pose al comando delle truppe veneziane per la guerra contro i Turchi. La guerra in Morea, non portò tuttavia la gloria che cercava. Al suo ritorno, il nuovo Papa Paolo II lo chiamò per dargli delle importanti comunicazioni. I suoi sogni di riottenere qualche territorio del suo vecchio Stato però si infransero quando il papa gli chiese di accettare un baratto di natura territoriale.

Si spense all'età di 51 anni. Il suo corpo venne sepolto nella tomba del Tempio Malatestiano, incompiuto, come il suo progetto di ingrandimento dello Stato e del suo innalzamento alla gloria immortale.

Le parti più dolci della sua storia, le ritroviamo nel libro Esperidi (Esperis) di Basinio parmense.

Ezra Pound lo ricordò come "il miglior perdente della storia".