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Capitolo 8:
Niccolò Machiavelli
Paragrafo 1: La vita e i tempi di Machiavelli
La personalità di Niccolò Machiavelli1 (1469-1527)
è quella del politico impegnato, espressione del carattere
concreto per cui il Rinascimento è detto naturalismo.
L'aspetto estetico, formalistico del Rinascimento è del tutto
estraneo a Machiavelli il quale incarna il suo pensiero nella
realtà e nella natura per conoscerne le leggi oggettive,
materiali e per studiare, di conseguenza, l'agire umano.
Egli vive in un periodo di crisi politica non solamente fiorentina
ma italiana e durante la quale le vicende italiane sono legate alla
storia delle grandi monarchie europee, soprattutto Francia e Spagna.
Dopo oltre mezzo secolo di predominio, nel 1494 i Medici sono
cacciati in seguito alla calata di Carlo VIII; succede la repubblica
la cui costituzione democratica è di spirito savonaroliano.
Dopo la morte di Savonarola (1498) Pier Soderini è eletto
gonfaloniere a vita e in quello stesso anno Machiavelli diventa
segretario della seconda cancelleria (interni e guerra) di una
repubblica in cui le vecchie forze economiche di origine
comunale-municipale rappresentavano la dirigenza politica dello
Stato che nelle cancellerie aveva gli organismi tecnici le cui
relazioni erano con l'interno, con i principati assoluti e le
repubbliche italiane, con le monarchie assolute straniere.
Nella fase di lotta di Francia e Spagna per l'egemonia in Europa, di
lotta per l'equilibrio degli Stati italiani minacciati dal papato,
Machiavelli compie la sua carriera e la sua esperienza fino al
ritorno dei Medici (1512) in seguito alla soccombenza dei francesi
in Italia e alla caduta della Repubblica fiorentina.
In quegli anni il segretario fiorentino fece parte come osservatore
di legazioni a Pisa che si era ribellata a Firenze, di legazioni a
Urbino e Senigallia (1502) presso Cesare Borgia, figlio di
Alessandro VI che allargava i suoi domini intorno a Firenze, a Roma
(1503) per l'elezione di Giulio II, tre volte in Francia presso la
corte di Luigi XII, in Tirolo (1507) presso l'imperatore
Massimiliano d'Asburgo. Da queste esperienze derivano le relazioni
Del modo di trattare i popoli della Valdichiana ribellati (1502),
Descrizione del modo tenuto dal duca Valentino nell'ammazzare
Vitellozzo Vitelli etc. (1503), Rapporto delle cose della Magna
(1508), Ritratti delle cose di Francia (1510) etc.
Lo sguardo di Machiavelli è rivolto alle monarchie europee in
cui si sviluppano le forze progressive borghesi e al Valentino che
elimina i signorotti feudali per avere il consenso di gruppi
produttivi più moderni (contadini e mercanti) ma nello stesso
tempo studia il modo di creare ordinamenti militari in funzione di
stabilità politica. In tutte le sue missioni Machiavelli
studia l'organizzazione di uno Stato forte che vinca l'anarchia
feudale (signorotti assoluti instabili, operanti su base personale e
familiare, politicamente incapaci per eccesso di avidità o di
immotivata violenza, «centauri» dotati della soli natura
ferina, non idonei a creare continuità di Stato), abbia
tranquillità interna e il consenso necessario per esercitare
l'egemonia.
Al di fuori di ogni astrazione e assolutismo teorico Machiavelli
pensava a un forte Stato in Italia che avesse i caratteri del
principato assoluto nella fase di formazione e di governo misto nei
successivi momenti della conservazione. Nel 1512 Machiavelli
è allontanato dall'ufficio, arrestato quale presunto
congiurato antimediceo sicché dopo la liberazione si ritira
all'Albergaccio, un possedimento presso S. Casciano.
Vivendo privatamente scrisse il Principe (1513), i Discorsi sopra la
prima Deca di Tito Livio (1513-17), i Dialoghi dell'arte della
guerra (1516), la Vita di Castruccio Castracani (1520) e tenne
corrispondenze con l'amico Francesco Vettori, ambasciatore
fiorentino a Roma. Nel 1520 il cardinale Giulio dei Medici gli fece
avere l'incarico dallo Studio fiorentino di scrivere la storia di
Firenze (Istoria fiorentina, 1520-25) ma neanche dopo la nuova
cacciata dei Medici e il ristabilimento della Repubblica (1527)
poté riprendere il posto di segretario della cancelleria.
Paragrafo 2: Il problema dello Stato. La politica come scienza. Il
«Principe»
Machiavelli vive la crisi strutturale e istituzionale dell'Italia
«dove non è osservanza di religione, non di leggi, non
di milizia»; la vive in modo passionale, con la
vitalità caratteristica del temperamento e con la
lucidità dell'intelletto, come caos e anarchia, come
perpetuazione di irrazionalità; la vive anche nel confronto
con le situazioni delle grandi monarchie e dell'Impero e con la
propria esperienza di tecnico della cancelleria appartenente a una
classe dirigente che ha elaborato in uno Stato autonomo quale
Firenze una politica aperta ma che è certamente da liberare
dalle sopravvivenze medievali e da ricreare in un confronto con gli
Stati moderni.
Perciò egli non è puro scienziato, ma nella sua
ricerca del modo in cui la politica possa ordinare la società
agiscono motivi passionali e individuali che alla fine del Principe
gli fanno invocare non un principe ideale ma un condottiero reale
che ne sia la personificazione. Certamente il Principe nasce
dall'osservazione delle condizioni concrete dell'Italia, dalla
necessità di rendere autonoma la politica dalla religione e
dalla morale.
Il principio dell'autonomia della politica, della creazione delle
leggi che rendano la politica metodo scientifico è un
prodotto dell'umanesimo laico, è l'antitesi della concezione
medievale per cui l'agire politico è quello della religione.
Dietro la ricerca machiavelliana è l'umanesimo dei grandi
storici latini i quali avevano descritto una realtà regolata
dai rapporti di forza esistenti tra uomini che lottavano anche con i
vizi e il valore della loro natura.
La politica è scienza dell'uomo, criterio ordinatore dei
flussi sociali in base allo studio oggettivo della
«realtà effettuale» e della «natura»
dell'uomo. Machiavelli «speculatore» considera che per
perseguire l'utile politico è necessario guardare la
realtà così come essa è, senza travestimenti
né ottimismi né speranze né utopie né
presupposti religiosi o idealistici.
Alla «realtà effettuale» si contrappone la
«imaginazione di essa», la finzione dilettosa o evasiva
o estetica che non tiene conto delle forze, dei pesi, delle misure,
delle tensioni concrete. Molti scrittori di politica si sono
immaginati Stati ideali, principi virtuosi, sudditi devoti, hanno
scritto cioè pagine retoriche e utopistiche.
Per la prima volta nella storia Machiavelli indica nella
«realtà effettuale» il modo in cui devono operare
le forze storiche in relazione all'utile, al bene dello Stato;
può farlo perché egli pensa non a un modello di Stato
ma a una realtà concreta che deve essere, che deve
realizzarsi in Italia in quel momento.
Il «profeta disarmato» (Savonarola), gli utopisti
(Platone, Cicerone) non progettarono realtà congruenti alla
situazione oggettiva e materiale ma astrazioni pericolose o inutili.
Lo Stato per Machiavelli si costruisce creando equilibri più
avanzati alla realtà esistente e muovendo da questa. Il
principe prima di Machiavelli non esisteva nella realtà, era
soltanto un simbolo; con Machiavelli diventa guida storica che opera
servendosi dell'informe per farlo diventare volontà che
trionfa, attività che trasforma.
La politica come attività autonoma che è diversa dalla
religione e dalla morale e lo studio della «realtà
effettuale» sono due principi che modificano la cultura del
tempo di Machiavelli, principi rivoluzionari in quanto spezzano le
ideologie tradizionali e liberano la nuova forza che acquista
caratteri suoi, moderni e attivi, per operare contro l'agire
politico caotico, moralistico, utopistico, religioso, immaginario.
Machiavelli scrive per dare coscienza e intelletto politici alle
forze che sono, in quanto più avanzate e concrete di
Savonarola, capaci di creare il tecnico della politica e delle armi,
il nuovo principe riformatore dello Stato, principe necessariamente
«golpe e lione», Centauro mezzo uomo e mezzo bestia,
vezzeggiatore e spegnitore di uomini nella prima fondazione dello
Stato. L'autonomia della politica e l'esame della realtà
esaltati da Machiavelli suscitarono, da parte degli amatori della
finzione, un secolare odio contro il segretario fiorentino.
Alla necessità di dare alla politica leggi proprie
Machiavelli aggiunge la necessità di scoprire le leggi della
natura umana, il loro modo di operare nella realtà. In
opposizione alla visione trascendente che vede l'uomo perfettibile
Machiavelli rinascimentale, osservatore della realtà,
è razionalmente pessimista. Nei suoi comportamenti politici
la natura umana è mossa dalle passioni che rendono gli uomini
ingrati, volubili, simulatori e dissimulatori, fuggitori de'
pericoli, cupidi di guadagno; e mentre fai loro bene, sono tutti
tua, offerenti el sangue, la roba, la vita, e' figliuoli […] quando
il bisogno è discosto, ma quando ti si appressa, e' si
rivoltano.
L'uomo come aggregato fisico e psicologico ha tali caratteri
costitutivi della sua essenza individuale che gli servono a
conservare se stesso; il modo di operare di queste naturalità
costituisce la legge del suo reale manifestarsi, né tale
legge è stata mai modificata: sempre eguali a se stessi nei
loro comportamenti gli uomini «nacquero, vissero e morirono,
sempre con un medesimo ordine». Essi non conoscono altro bene
che l'utile privato e «si dimenticano più presto la
morte del padre che la perdita del patrimonio».
Ogni idealismo sulla natura umana (tutta energia terrestre, con
elementi selvatici e ferini) allontana dall'esame oggettivo:
«Gli uomini non operano mai nulla bene se non per
necessità».
Sarebbe preferibile vivere in un mondo pacifico e leale ma le
passioni naturali non lo consentono e chi compie un'analisi
sbagliata delle forze reali, dei comportamenti e delle leggi
è destinato a cadere:
È tanto discosto da come si vive a come si dovrebbe vivere,
che colui che lascia quello che si fa per quello che si dovrebbe
fare impara piuttosto la ruina che la preservazione sua:
perché un uomo che voglia fare in tutte le parti la
professione di buono, conviene rovini infra tanti che non sono
buoni.
Questo meccanicismo naturalistico è il fondamento da
conoscere per sviluppare l'azione politica, per mutare la
realtà e organizzarla. Colui che ha questa conoscenza, il
principe, ha la conoscenza dell'agire ma per potere operare
occorrono la «virtù» e la Fortuna. La
virtù è la capacità individuale, la somma di
qualità d'intelletto, di esperienza, di deduzione logica e di
intervento politico che il principe deve avere per superare i limiti
condizionanti della situazione storica: l'«occasione»,
cioè le condizioni particolari che in una situazione
consentono l'intervento, rivela nel principe la grande
personalità, gli consente di fare eccellere la virtù
individuale.
Il punto di partenza è sempre la conoscenza della
realtà, quello di arrivo la concreta organizzazione politica.
Ma nella realtà esistono forze non prevedibili, esterne al
volere dell'uomo, oltrepassanti i suoi limiti (avvenimenti fortuiti,
contingenti, improvvisi, esplosioni passionali, mancamenti che
avvengono in un preciso momento), determinati da quella che
Machiavelli chiama Fortuna: di fronte ad essa occorre sapersi
adattare alle circostanze impreviste ma anche mettere in opera la
virtù come creatività artistica ed eroica che superi i
limiti, e gli ostacoli.
Al di sopra di ogni interesse è quello dello Stato in cui la
natura umana è corretta e ordinata; il principe in quanto
organizzatore dello Stato non può fare «in tutte le
parti professione di buono» perché andrebbe in rovina
«infra tanti che non sono buoni» sicché seguendo
la realtà effettuale non si dovrà preoccupare
«di incorrere nella infamia di quelli vizii, senza quali e'
possa difficilmente salvare lo stato»: il principe deve saper
sacrificare la bontà all'interesse dello Stato, essere temuto
piuttosto che amato perché «il timore è tenuto
da una paura di pena che non ti abbandona mai», non curarsi
«della infamia di crudele, per tenere li sudditi sua uniti e
in fede» («era tenuto Cesare Borgia crudele; nondimanco
quella sua crudeltà aveva racconcia la Romagna, unitola,
ridottola in pace e in fede»).
Machiavelli quando fornisce questi consigli distingue la sfera
privata e quella politica; nella sfera politica occorre superare
l'opera meccanica della natura: «Quanto sia laudabile in uno
principe mantenere la fede e vivere con integrità e non con
astuzia, ciascuno lo intende» ma
sendo uno principe necessitato sapere bene usare la bestia, debbe di
quello pigliare la golpe e il lione […]. E, se gli uomini fussino
tutti buoni, questo precetto non sarebbe buono; ma, perché
sono tristi e non la osservarebbero a te [la fedeltà], tu
etiam non l'hai ad osservare a loro.
Principe «necessitato», principe «nuovo»
debbono guardare anzitutto alla realtà effettuale e usare i
mezzi adatti che saranno sempre ritenuti giusti perché gli
uomini giudicano le azioni dall'esito che esse hanno.
Il principe che sa ordinare lo Stato, salvarlo nel pericolo,
governarlo con la «maestà della dignità
sua» (mostrandosi «amatore delle virtù»,
onorando «li eccellenti in una arte», consentendo la
pratica della mercatura e dell'agricoltura, premiando chi cerca di
migliorare lo Stato e tenendo «occupati e populi con le feste
e spettaculi» nei momenti convenienti) è un eroe come
lo furono Mosé, Ciro, Teseo, Romolo, dotati di virtù
superiore perché anzitutto furono uomini politici.
Se tutto deve essere sacrificato allo Stato il sacrificio deve
essere assoluto quando lo Stato è in guerra. Machiavelli
propugna l'adozione di milizie cittadine in luogo di quelle
professionali o mercenarie avendo l'occhio a uno Stato nazionale in
cui la forza militare sia in funzione dell'organizzazione politica e
della difesa delle istituzioni. Da qui deriva l'insistenza di
Machiavelli sui problemi dell'arte della guerra in un'epoca in cui
mantenimento o perdita dello Stato, per il mutarsi degli equilibri
di forza, dipendevano dalla forza militare non meno che
dall'esperienza e dalle alleanze politiche.
L'idea delle milizie cittadine per chi guardava a uno Stato
nazionale e alle monarchie straniere non era del tutto utopistica ma
connaturata al modello da creare (anche se nella pratica le milizie
cittadine organizzate nel 1512 da Machiavelli fornirono cattivi
risultati contro le milizie spagnole e pontificie). Per la migliore
difesa dell'istituzione politica statale Machiavelli proponeva che
le milizie fossero soprattutto del contado in modo da salvare
politicamente città e campagna.
Il principe doveva avere, perciò, in modo precipuo le
qualità tecniche del militare, del condottiero di eserciti
perché nell'ultimo capitolo del Principe ormai il personaggio
assume sembianza concreta di «redentore» di un'Italia
«più stiava che gli Ebrei, più serva che e'
Persi, più dispersa che gli Ateniesi, senza case, senza
ordine, battuta, spogliata, lacera, corsa».
Capitolo 8: Niccolò Machiavelli
Paragrafo 3: «Discorsi», «Dialoghi dell'arte della
guerra», «Istorie fiorentine»
I Discorsi sopra la prima Deca di Tito Livio in tre libri sono delle
considerazioni sul testo liviano che trattano del governo interno
dello Stato, dell'organizzazione militare e dell'espansione dello
Stato, della stabilità e della decadenza politica. Il
fondatore dello Stato è un signore assoluto ma la
conservazione si ha preferibilmente con il governo libero,
repubblicano, che abbia il consenso popolare e con una forma mista
in cui il potere regio sia moderato da nobili e popolo.
In quest'opera non c'è l'urgenza appassionata che il principe
prenda le armi per porre fine al «barbaro dominio», il
tono è quello dello studio delle «cose del mondo»
e delle varie etiche politiche del passato che non esclude una
società civile secondo l'esempio delle repubbliche antiche e
di quella elvetica moderna. Ma anche qui il fine supremo dello Stato
assoggetta ogni altra considerazione, compresa quella religiosa.
La religione strumento di governo fu tra «le prime cagioni
della felicità» di Roma perché rese ubbidiente
il popolo ma seppe anche in esso suscitare l'amore della gloria
mondana mentre il cristianesimo con la mortificazione e la
rassegnazione ha spento tale amore. Dal punto di vista politico
Machiavelli assegna alla chiesa romana la colpa di non avere ridotto
l'Italia a monarchia e di avere impedito che altri lo facesse.
Anche in quest'opera Machiavelli esalta l'uso delle milizie
cittadine, tema fondamentale dei sette libri di Dell'arte della
guerra (1519-20) dialoghi che si immaginano tenuti a Firenze negli
Orti Oricellari (giardini dei Rucellai) nel 1516 e che hanno come
interlocutore anche Fabrizio Colonna il quale esprime le idee
dell'autore. Machiavelli non soltanto per eliminare la corruttela
militare professionale ma soprattutto per unire politica ed
esercito, per fare di questo un elemento di forza sostanziale,
politica, dello Stato, è sostenitore delle milizie cittadine,
come aveva fatto con l'«ordinanza» del 1512. Non pochi
temi dei dialoghi derivano dal mondo classico, soprattutto romano.
Della legione romana, rammodernata dagli esempi svizzeri e spagnoli,
deriva il «battaglione» di fanteria elemento decisivo
sul campo mentre la cavalleria è utile per inseguimenti,
ricognizioni. I dialoghi trattano anche della scelta,
dell'istruzione dei soldati, dell'ordinamento degli eserciti, dei
combattimenti, delle fortificazioni. Scarsa importanza dà,
stranamente, Machiavelli alle armi da fuoco, forse per la loro
imperfezione. Tuttavia nel 1512 a Ravenna esse erano state
largamente sperimentate, e principi e capi di Stato fabbricano in
quegli anni colubrine e bombarde.
Ma ciò che importa nello studiare Machiavelli è
l'unità del pensiero e del metodo di indagine del segretario
fiorentino. Quando egli scrive le Istorie fiorentine non sempre
fornisce notizie accertate e le fonti sono raramente controllate ma
i fatti sono, per la prima volta in un'opera storica, coordinati
secondo un disegno e sono fatti derivare dalle condizioni reali e
dalle passioni degli uomini. L'opera in otto libri, dedicata a
Clemente VII, nei primi quattro libri tratta la storia di Firenze
fino al 1434, quando si instaura il potere mediceo, e negli altri
quattro libri (fino alla morte di Lorenzo il Magnifico) le guerre e
le cause che condussero alla servitù.
Eliminato ogni elemento provvidenziale Machiavelli insiste sulla
necessità che un personaggio dotato di forte
individualità fondi lo Stato sul danno che l'Italia ha avuto
dal governo temporale della chiesa, dalle compagnie di ventura,
dalla mancanza di veri capi suscitatori e organizzatori del popolo.
In questa storia civile Machiavelli, poco curante dei particolari,
mira a tracciare le linee generali che derivano da principi del
passato validi per il presente.
Anche nella Vita di Castruccio Castracani, signore di Lucca morto
nel 1328, Machiavelli derivò i particolari da fonti incerte e
attribuì a Castracani fatti e detti riferiti da Diodoro
Siculo e Diogene Laerzio a personaggi antichi. La biografia
è, così, il ritratto ideale di un principe accorto e
valoroso, un modello di eroe del Trecento valido per il principe del
Cinquecento.
Paragrafo 4: Le opere minori; la «Mandragola»; la prosa
di Machiavelli
Radicato profondamente nella tradizione culturale fiorentina delle
novelle beffarde, dei canti carnascialeschi a doppio senso, del
mondo degli scherzi e delle arguzie, il Machiavelli delle opere
letterarie esprime la conoscenza dell'uomo e della natura e una
visione acre della realtà. Anzitutto i suoi componimenti in
versi non sono da leggere liricamente ma nella loro nativa
discorsività, quale comunicazione bizzarra e umoristica;
inoltre essi hanno carattere letterario disinteressato, sono una
sorta di otium contemplativo.
Così è nei Canti carnascialeschi in cui i romiti
invitano le donne a salvarsi dal diluvio sulle montagne o gli
«spiriti beati» venuti sulla terra invitano ironicamente
i cristiani ad alzare le mani con zelo di pietà davanti a
Turchi perché non siano loro interdette le vie del cielo o
gli «uomini che vendono le rime» alzano il loro canto
ricco di doppi sensi. Non manca il tono idillico-umanistico nei
versi per la donna amata in villa a S. Casciano o per la cantatrice
e ballerina Barbera Salutati amata negli ultimi anni.
I due Decennali in terzine sono un compendio degli avvenimenti dal
1494 in avanti. I pubblici avvenimenti sono cantati in questi lunari
politici al modo in cui facevano gli araldi della Signoria ma di
quando in quando, come in tutti gli scrittori minori, si avverte la
zampata del leone quando Machiavelli riflette sulla cecità di
chi regge lo Stato e lancia delle sentenze in cui lo speculatore
politico e lo scrittore dall'estro idiomatico-umoristico si danno la
mano.
Autobiografico-allegorico è il poemetto che imita il Grillo
di Plutarco, Dell'asino d'oro (scritto dopo la fine della
cancelleria per il ritorno dei Medici) in cui certamente i temi
satirico-burlesco, erotico-giocoso, realistico-quotidiano non
riescono a fondersi ma in cui proprio gli acerbi trapassi danno
ragione del carattere non puramente formalistico dell'arte di
Machiavelli: lo scrittore più vicino a Machiavelli è
qui Luigi Pulci per gli accenti popolareschi, plebei,
sostanzialmente pessimistici. I Capitoli, pur collegandosi con i
temi della fortuna, dell'occasione, dell'ambizione, al pensiero
politico, sono troppo discorsivi, raffreddati da distinzioni, manca
in essi proprio l'ictus caratteristico del moralista e del
polemista.
La vocazione novellistica di Machiavelli si rivela nella Favola
(detta di Belfagor arcidiavolo) in cui, dopo un concilio di
prìncipi infernali sulla dannazione degli uomini per colpa
delle mogli, l'arcidiavolo Belfagor esperimenta il matrimonio a
Firenze ma infine preferisce ritornare all'inferno. La tristizia
degli uomini (Belfagor è ingannato da un villano,
perseguitato dai creditori, sopraffatto dalla moglie) domina nella
commedia in prosa La mandragola in cinque atti che fu rappresentata
a Firenze, a Roma nel 1520. Nel prologo della commedia Machiavelli
si scusa di aver trattato materia «non degna»
(perch'altrove non have
dove voltare el viso:
ché gli è stato interciso
monstrar con altre imprese altra virtue,
non sendo premio alle fatiche sue)
ma l'impegno dello scrittore, deluso di non poter essere adoperato
nel trattare politica dai Medici, non è inferiore a quello
delle grandi opere politiche.
Argomento è l'inganno che il parassita Ligurio ordisce al
vecchio messer Nicia desideroso di avere un figlio; l'astuzia di
Ligurio è assecondata dal giovane Callimaco innamorato di
Lucrezia, moglie di Nicia, da fra' Timoteo per amor di guadagno, da
Sostrata accomodante madre di Lucrezia, sicché questa alla
fine cede a Callimaco con un risentimento che è la strada di
una amara spregiudicatezza:
Poi che l'astuzie tue, — dice Lucrezia a Callimaco — la sciocchezza
del mio marito, la semplicità di mia madre e la tristizia del
mio confessore mi hanno condotta a fare quello che mai per me
medesima arei fatto, io voglio iudicare che e' venga da una celeste
disposizione che abbi voluto così...
La tristizia si rivela nell'incapacità degli uomini di essere
grandi nel bene e nel male. Essi sono mediocri, strumenti che
Ligurio adopera sfruttando le loro debolezze per il suo gioco che
non ha nulla di onorevole.
Il pessimismo del Principe a proposito della natura umana si
riverbera anche qui con lucidità amara: le cose vanno secondo
il piano inclinato della mediocrità, Machiavelli è
impassibile di fronte allo svilupparsi serrato dell'epilogo, il
«vulgo» che è nella natura umana si dispiega
nelle sue variazioni senza che alcuno cerchi di innalzarlo e di
mutarlo. Nella sfera politica il principe deve «vezzeggiare e
spegnere», in quella privata la natura si compie secernendo
gli acri umori che l'uomo ha dentro di sé.
L'altra commedia, la Clizia che si richiama alla Casina di Plauto,
accoglie molti elementi della farsa dell'originale e la beffa che la
moglie Sofronia prepara a Nicomaco invaghitosi della fanciulla
Clizia si colora di compatimento perché il marito si ravveda
e ritorni l'uomo «grave, re-soluto, respettivo» che era
prima dell'infatuazione amorosa.
Se nelle opere minori Machiavelli adopera uno stile ora discorsivo
ora idiomatico fiorentino (sostenitore egli fu della lingua
fiorentina) ora idiomatico umoristico, sempre attento alle cose da
dire e caratteristico di chi è a conoscenza delle
«cose» degli uomini («in sulla strada,
nell'hosteria, — scriveva nel 1513 a Francesco Vettori — parlo con
quelli che passano, domando delle nuove de' paesi loro, intendo
varie cose, et noto vari gusti et diverse fantasie
d'huomini»), nel Principe crea una prosa moderna logica,
scarna, scientifica.
Dopo essersi sprofondato «nelle cogitazioni di questo
subietto» Machiavelli tende alla dimostrazione in modo
razionale, assiomatico, sviluppando incisivamente ipotesi, dilemmi,
obiezioni. È lo stile di chi progetta cose essenziali e
solide, di chi costruisce per un futuro stabile essendo sicuro della
storia antica e del metodo cancelleresco moderno. La
«varietà della materia e la gravità del
subietto» lo tengono lontano dalla prosa del diplomatico, da
quella dell'umanista formalista, tutta la tensione è verso la
creazione del principe nuovo, uomo d'azione, di guerra, che quando
diventa persona storica diventa un «redentore».
Allora la prosa è appassionata perché il principe
è sentito nella sua fusione con il popolo come in esso la
personalità culturale popolana di Machiavelli si fonde con
quella del politico impegnato.