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di Antonella Parisi
MACCHIORO, Vittorio (Raffaele Vittorio).
Nacque a Trieste il 29 nov. 1880 da Davide, commerciante, e da Noemi
Lenghi. Iscrittosi alla facoltà di lettere
dell'Università di Bologna, attratto dal magistero di G.
Carducci, si formò alla scuola di V. Puntoni per la
letteratura greca, con G.B. Gandino per la letteratura latina e con
E. Brizio per l'archeologia. All'epoca degli studi bolognesi risale
l'amicizia con R. Serra e R. Soriga, futuro studioso del
Risorgimento. Il M. si laureò in storia antica con F.
Bertolini, il 26 giugno 1904, con la dissertazione L'impero romano
nell'età dei Severi, che la Rivista di storia antica
cominciò a pubblicare nel 1905 (n.s., X, pp. 201-235) e che
fu poi stampata separatamente con l'indicazione di Padova 1906, dopo
essere stata compresa in La biologia sociale e la storia (Camerino
1905).
Dal primo lavoro del M. emerge un metodo di ricerca ascrivibile a un
ambito di cultura positivista, che utilizza le fonti giuridiche come
base documentaria per la comprensione dei fenomeni economici e
sociali. Di medesima matrice culturale sono i contributi Il
sincretismo religioso e l'epigrafia (Revue archéologique, IX
[1907], pp. 141-157, 253-281) e Ricerche demografiche intorno ai
colombari (Klio, VIII [1908], pp. 282-301).
Dopo la laurea, insegnò storia in un liceo privato di
Camerino. Nel 1907 sposò Rosita Parra, una compagna di studi
romagnola, da cui ebbe i due figli Anna Luisa e Aurelio. Sempre nel
1907 vinse il concorso per un posto di conservatore del Civico Museo
di Pavia. L'incarico, che tenne dall'ottobre 1907 all'agosto 1909,
fu l'occasione per assecondare l'inclinazione verso l'archeologia e
per pubblicare i pezzi delle eterogenee collezioni del Museo.
In una testa colossale in marmo individuò una copia della
testa dell'Artemis Soteira di Cefisodoto, ricordata da Pausania
(Artemis Soteira di Cefisodoto, in Jahreshefte des
Österreichischen Archäologischen Institutes in Wien, XII
[1909], pp. 185-197), con un'attribuzione rimasta problematica. Lo
studio di un cratere a figure rosse, da lui ritenuto di fabbrica
cumana - ma attualmente attribuito alla produzione apula - fu il
primo di una serie di importanti contributi sulla ceramografia
italiota (Nuova rappresentanza vascolare del mito di Oreste, ibid.,
pp. 318-326); pubblicò poi un saggio sul significato
simbolico dell'arte sepolcrale romana (Il simbolismo nelle
figurazioni sepolcrali romane. Studi di ermeneutica, in Memorie
della R. Acc. di archeologia, lettere e belle arti di Napoli, I
[1911], parte 2, pp. 10-143).
Nel luglio del 1909 ottenne il trasferimento presso la
soprintendenza archeologica di Napoli e, quale ispettore presso il
Museo archeologico nazionale, si trovò ad affrontare il
problema della classificazione dell'enorme quantità di
ceramica delle necropoli della Magna Grecia.
Attraverso lo studio dei documenti inediti dell'archivio del Museo
ricostruì la provenienza dei vari pezzi, individuando, con
l'analisi stilistica, le diverse fabbriche di produzione. Critico
verso un'indagine di natura esclusivamente estetica, fu tra i primi
archeologi italiani a valutare storicamente la produzione vascolare
italiota. La sua classificazione, che intendeva correggere quella
ormai consolidata di G. Patroni, apparve in vari contributi: Per la
cronologia dei vasi canosini, in Mitteilungen des
Kaiserlich-Deutschen Archäologischen Instituts, XXV (1910),
Röm. Abt., pp. 168-196; Per la storia della ceramografia
italiota, ibid., XXVI (1911), pp. 187-213; XXVII (1912), pp. 21-36,
163-188; I ceramisti di Armento in Lucania, in Jahrbuch des
Deutschen Archäologischen Instituts, XXVII (1912), pp. 265-316.
Il suo sistema cronologico inizialmente apprezzato - non da Patroni
che espresse subito il suo scetticismo (Questioni vascolari. A
proposito di recenti scritti intorno alle antiche ceramiche(, in
Atti della R. Accademia dei Lincei. Rendiconti, cl. di scienze fis.,
mat. e naturali, s. 5, XXI [1912], pp. 549-606) - fu poi sottoposto
a revisioni e critiche.
Nel 1910 si dedicò alla riflessione teorica sulla storia
dell'arte, criticandone l'impostazione "evoluzionistica" che
lasciava in ombra le scuole "minori" (Questioni di metodo, in Atene
e Roma, XIII [1910], coll. 293-302). Allo studio delle collezioni
vascolari intanto affiancava l'indagine sul territorio (Notizie
degli scavi di antichità, s. 5, VIII [1911], pp. 327-331; Le
terme romane di Agnano, in Monumenti antichi pubblicati per cura
della R. Acc. dei Lincei, XXI [1912], pp. 224-283). Dalla fine del
1912 si dedicò, con L. Correra, alla cura della rivista
Neapolis, che sarebbe divenuta l'organo ufficiale della Commissione
archeologica comunale.
Accanto al M., che si concesse ampio spazio, vi scrissero studiosi
di fama italiani e stranieri (P. Orsi, A. Maiuri, M.I. Rostovcev, A.
Reinach).
Nel giugno del 1913 conseguì la libera docenza in archeologia
nell'Università di Napoli. Gli anni napoletani furono
importanti per la crescita professionale del M., che si mostrava
studioso ambizioso e incline alla polemica; e tale rimase nel corso
di tutta la sua carriera, segnata da continui dissidi.
Scoppiata la prima guerra mondiale partì come volontario
arruolandosi, il 31 ott. 1915, nell'81( reggimento di fanteria di
stanza a Roma.
Aveva maturato tale scelta in un clima d'aperta ostilità
perché sospettato di sentimenti antitaliani e di spionaggio a
favore dell'Austria: triestino, bilingue, membro corrispondente
dell'Istituto austriaco di archeologia di Vienna, frequentava gli
austriaci raccolti intorno alla libreria Detken. Fu anche inserito
nell'elenco dei sospetti della prefettura di Napoli e sottoposto a
vigilanza. In risposta alle accuse (duri attacchi ebbe dal giornale
L'Idea nazionale), scrisse articoli d'intonazione patriottica e
l'opuscolo Lettere agli Italiani (Napoli 1915).
Nel marzo 1916 fu inviato al fronte, sul Col di Lana; disperso e
scampato fortunosamente alla morte per assideramento, nell'agosto
1916 fu ricoverato all'ospedale di Andraz, quindi congedato il 4
novembre di quell'anno.
Rientrato in servizio, avrebbe voluto tornare nella sede di Napoli
ma, essendo la sua presenza in quella città ancora vista con
sospetto, il 16 marzo 1917 fu trasferito d'ufficio alla direzione
della Galleria Estense di Modena. Destinato, dal 1º giugno
1918, alla soprintendenza agli scavi di Torino, fu infine richiamato
a Napoli il 1º genn. 1919 e, dal 1º aprile di quell'anno,
assegnato alla soprintendenza ai monumenti, con sede nel Palazzo
reale. Nel 1921 tornò alla sovrintendenza archeologica, dove
rimase fino al 1936. Dal novembre 1923 all'agosto 1929 prestò
servizio presso l'Ufficio per l'esportazione artistica di Napoli.
Nell'ambito dell'attività scientifica gli anni del dopoguerra
furono segnati dai mutati interessi del M., il quale dopo l'episodio
occorsogli durante il conflitto - da lui interpretato come segno di
un intervento divino - si era orientato verso la storia delle
religioni, in particolare verso le diverse forme del misticismo
antico, oggetto che più si confaceva alle sue inclinazioni
verso l'astrazione.
Una serie di scritti s'inquadra nel nuovo campo d'indagine: Orphica.
Quesiti di ermeneutica vascolare, apparso in più riprese
nella Rivista indo-greco-italica di filologia, lingua,
antichità (I [1917], 4 - [1918], 1, pp. 69-88; II [1918], 2
pp. 43-63; II [1918], 3-4, pp. 73-94); Dionysiaka, in Atti della R.
Acc. di archeologia, lettere e belle arti di Napoli, VI (1918), 2,
pp. 1-60; Dionysos Mystes, in Atti della R. Acc. delle scienze di
Torino, LIV (1918), pp. 126-138, 222-238; Il rito funerario orfico,
in Arch. stor. per la Sicilia orientale, XVI-XVII (1919-20), pp.
127-135; Orfismo e cristianesimo, Napoli 1920.
Il lavoro di maggior impegno e che gli diede fama fu tuttavia una
storia dell'orfismo, Zagreus: studi sull'orfismo (Bari 1920).
L'opera - che riflette l'influenza del pensiero modernista cattolico
sulla linea tracciata da E. Buonaiuti - prende l'avvio dall'esegesi
delle pitture della villa dei Misteri di Pompei, interpretate come
la rappresentazione di una "liturgia orfica". Dopo un'analisi
dell'orfismo, delle sue origini, manifestazioni e diffusione, il M.
ne illustra le influenze sul pitagorismo, sulle filosofie eraclitea
e platonica e sul cristianesimo che, nella visione del M., avrebbe
avuto "il medesimo sostrato mitico o teologico".
I suoi studi successivi dedicati all'orfismo (Eraclito. Nuovi studi
dell'orfismo, Bari 1922; Orfismo e paolinismo. Studi e polemiche,
Montevarchi 1922; L'origine orfica della cristologia paolina, ibid.
1923), confluirono in una seconda edizione di Zagreus (Firenze
1930), di oltre 600 pagine. L'interpretazione dell'orfismo proposta
dal M. non trovò sempre unanimi consensi, in particolare tra
gli storici francesi delle religioni; tuttavia più
recentemente è stata ribadita l'importanza dell'opera del M.
nella storia di quegli studi (M. Detienne, Les chemins de la
déviance: orphisme, dionysisme et pythagorisme, in Orfismo in
Magna Grecia. Atti del XIV Convegno( sulla Magna Grecia, Taranto(
1974, Napoli 1976, p. 50).
Nel 1928 pubblicò Roma capta
(Messina), un saggio sulla decadenza della religione di Stato dei
Romani.
Intanto la sua fisionomia di studioso veniva mutando. Ebreo
(proveniva da una famiglia di ebrei sefarditi), convertito al
cattolicesimo ai tempi dell'università, avvicinatosi al
protestantesimo nei primi anni Venti, si dedicò alla
scrittura di testi d'argomento religioso (L'Evangelio, Firenze 1922;
Teoria generale della religione come esperienza, Roma 1922; Lutero,
ibid. 1924), in adesione al movimento neoprotestante. Accolto nella
comunità valdese di Napoli, collaborò a Conscientia
(settimanale della Chiesa battista di Roma), Bilychnis e Fede e
vita. Nel 1921, con l'amico A. Renda, fondò la rivista
Gnosis.
Ormai noto in campo internazionale soprattutto grazie agli studi
sull'orfismo, il M. stabilì una corrispondenza con lo storico
delle religioni rumeno Mircea Eliade, che lo ebbe in grande stima.
Nel 1929 tenne conferenze a Berlino, Heidelberg, Francoforte, Praga,
Vienna, Graz; nello stesso anno fu chiamato alla Columbia University
di New York, dove si trattenne tutto il 1930, per inaugurare un
ciclo di lezioni di storia delle religioni. Fu poi a Chicago per un
corso di perfezionamento di religione e mistica greca e, nel 1932,
in università della Virginia e del Nebraska. Durante il
soggiorno americano scrisse corrispondenze per Il Mattino e fu in
seguito collaboratore anche della Gazzetta del popolo e del Resto
del carlino. Tornato a Napoli, nel dicembre 1933 accolse la proposta
del console generale italiano a Calcutta, G. Scarpa, di compiere una
missione culturale in India come visiting professor.
L'iniziativa rientrava nel quadro della politica estera del governo
fascista che, sostenendo il nazionalismo indiano in funzione
antibritannica, promuoveva scambi culturali e commerciali con
l'India. Le conferenze tenute dal M. a Benares, Delhi, Calcutta,
nelle università e presso la Young Men's Christian
Association (YMCA), inizialmente incentrate sull'orfismo e sulla
religione greca passarono poi a illustrare storia, letteratura e
arte italiane, nonché l'azione politica di B. Mussolini; il
M. entrò quindi in contatto con rappresentanti del partito
nazionalista e con alcuni membri del governo angloindiano.
La missione, punteggiata da progetti falliti, deluse in definitiva
le aspettative del M., che nel 1935 tornò amareggiato a
Napoli. Nel 1936 fu trasferito a Trieste, presso la soprintendenza
della Venezia Giulia, dove diresse lo scavo del teatro romano di
Trieste (Le statue del teatro romano di Trieste, Trieste 1938) e
dell'area del foro di Zuglio (Jahrbuch des Deutschen
archäologischen Instituts, LIII [1938], pp. 629-632). Nel 1938
fu costretto al pensionamento dall'entrata in vigore delle leggi
razziali. Questa data segnò un nuovo punto di svolta nella
vita del M. che, da quel momento, abbandonò deliberatamente
ogni attività scientifica per dedicarsi alla sua vocazione
letteraria.
Il M. non era nuovo alla scrittura creativa: aveva già
pubblicato il poema drammatico La città del sole (Bologna
1902), una raccolta di Odi e sonetti (ibid. 1904) e il poema Orfeo,
una tragedia mitica (Firenze 1929). Adottando il nome di Benedetto
Gioia, scelto in polemica con Benedetto Croce, si dedicò alla
scrittura di romanzi, spesso d'ispirazione autobiografica, costruiti
nella dimensione dell'occulto. La sua religiosità infatti si
era andata trasformando, deviando verso lo spiritismo, il satanismo,
la cartomanzia, fino a toccare le soglie della psicopatologia.
Pubblicò Il gioco di Satana (Bari 1938), La grande luce
(ibid. 1939) e Elisabetta Sanna serva di Dio (Roma 1946).
Collaborò, sempre sotto pseudonimo, con l'Osservatore romano.
Dopo la guerra, durante la quale fu internato in un campo di
concentramento, fu reintegrato in servizio e destinato alla
soprintendenza archeologica di Roma (1946). Si congedò
definitivamente nel 1947.
Il M. morì a Roma il 27 nov. 1958.