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Alfred Firmin Loisy (Ambrières, 28 febbraio 1857 – Ceffonds,
1º giugno 1940) è stato un biblista e storico francese,
il più famoso dei modernisti, il più dotto e uno dei
più radicali.
Biografia
L'infanzia (1857-1868)
Alfred Loisy nacque il 28 febbraio 1857 nella casa che il bisnonno
Léger Sébastien aveva acquistato nel 1808
all'estremità del piccolo comune di campagna di
Ambrières, «con una vista molto piacevole sul corso
sinuoso della Marna e sui villaggi della valle». Alfred era il
secondo figlio di Charles Sébastien Loisy (1826-1895) e di
Marie Justine Desanlis (m. 1901), preceduto dal fratello Charles
Auguste (1852-1922), che aiuterà il padre, insieme con alcuni
garzoni di fattoria, nella coltivazione delle terre e
nell'allevamento degli animali. Il 7 gennaio 1861 nacque l'ultima
figlia, Marie Louise (m. 1932).
Come in tanti villaggi rurali, ad Ambrières si seguivano i
costumi patriarcali, e i grandi avvenimenti dell'anno consistevano
nella festa patronale, nel pellegrinaggio alla cappella di
Saint-Aubin, a Moëslains, e nella fiera di
Vitry-le-François. Il cattolicesimo era parte della
tradizione, anche famigliare, per quanto il padre fosse al riguardo
«di un'indifferenza perfettamente serena», e così
furono la madre Marie Justine, oltre a una giovane donna del paese,
di cui Charles Loisy era tutore, e al curato d'Ambrières,
l'abbé Jean-François Géant (1804-1871), a dare
ad Alfred un'educazione religiosa.
Nella scuola di Ambrières fece gli studi elementari, conclusi
nel 1868, primo dell'Istituto, e quell'anno ottenne anche due premi
in un concorso tenuto tra gli allievi delle scuole primarie del
dipartimento. La cerimonia di premiazione, tenuta davanti al
prefetto di Châlons e alle autorità accademiche della
regione, lo impressionò: «Quel che c'è di vano
in tutte queste cose sfugge allo spirito di un bambino. Quel giorno,
ebbi un vago sospetto della gloria alla quale possono condurre le
fatiche dello spirito», scriverà Loisy nel 1884.
Gli studi classici (1869-1874)
Mandato nel 1869 al collegio di Vitry-le-François, vi
restò solo un anno, a causa della guerra e dell'occupazione
prussiana. Nel 1871 prese lezioni private dal nuovo curato di
Ambrières, l'abbé Henri Munier (1843-1883). Anche la
cerimonia d'insediamento del nuovo parroco impressionò
fortemente il giovanissimo Alfred: da quel giorno, probabilmente,
«io fui orientato, quasi senza accorgermene, verso il
sacerdozio».
Dall'ottobre del 1872 tornò agli studi regolari nel collegio
di Saint-Dizier, diretto dagli ecclesiastici della diocesi di
Langres; «piccolo e mingherlino [...] pessimo nei giochi,
timido e maldestro», ispirava ai compagni sentimenti misti di
disprezzo per il suo scarso vigore e d'ingenua ammirazione per la
sua bravura di scolaro. Dimostrò anche una grande devozione
religiosa e le prediche del gesuita lorenese padre Jean-Baptiste
Stumpf (1817-1878), insieme, nel 1874, a una lunga e seria malattia
della sorella, fecero prendere in profonda considerazione a Loisy
l'idea di farsi prete: «la vita era dunque ben poca cosa. In
questo caso, perché non sacrificarla?». Promettendo di
dedicarsi al sacerdozio, era in qualche modo presente in lui la
volontà del sacrificio della propria vita in cambio della
salvezza di quella della sorella.
Sedotto altresì dall'idea di consacrarsi «a un servizio
disinteressato dell'umanità», la sua inesperienza della
vita non gli fece comprendere l'esistenza di tanti altri
«servizi di quel genere e che la Chiesa cattolica non ha il
monopolio della devozione». Fu così che, rinunciando
a conseguire il baccalaureato nel collegio di Saint-Dizier malgrado
la disapprovazione dei genitori e dei suoi professori, Loisy decise
di entrare immediatamente in seminario.
Gli studi in seminario e l'ordinazione sacerdotale (1874-1879)
« L'ortodossia è uno dei miti sui quali si
è fondato il cristianesimo tradizionale, e non si può
affermare che questo mito sia benefico. Illusione o preconcetto
teologico, che afferma l'immutabilità di una cosa variabile,
la quale si definisce incessantemente e si determina, muta
cioè indefinitamente, secondo il bisogno e
l'opportunità dei tempi »
(A. Loisy, Memorie, I, p. 23)
Loisy entrò nell'ottobre del 1874 nel Grand Séminaire
di Châlons, frequentato da una cinquantina di allievi per lo
più provenienti da povere famiglie di contadini e diretto da
padre Modeste Roussel (1810-1881), un uomo che dimostrò
sempre benevolenza per Loisy.
Il professore di morale, Sosthène Hémard (1831-1905),
fedele lettore del reazionario «L'Univers» di Louis
Veuillot, era «di stretta ortodossia e di focosa intolleranza.
Insieme a questo, volgarità e pretensione». Victor
Molard (1842-1905), insegnante di dogmatica, «ignorava
profondamente tutto ciò che supponeva di sapere»,
mentre Ernest Peuchot (1842-1917), professore di Sacra Scrittura che
non conosceva l'ebraico, era «lo spirito meno critico e meno
adatto allo studio». Il professore di filosofia Onésime
Ludot (1848-1905) «era il solo uomo che avesse una giusta idea
delle necessità dei tempi nuovi e degli enormi difetti
dell'insegnamento clericale». Proprio per questo motivo nel
1875 fu scartato dall'insegnamento attraverso la nomina a curato di
La Neuville-au-Pont.
La pur breve relazione che Loisy ebbe con lui, e la lettura di
Lacordaire produssero un primo effetto di emancipazione sul suo
spirito. Loisy studiò la Summa Theologiae di Tommaso d'Aquino
«fino a perdere la ragione. L'impressione che mi restò
fu che il grande edificio filosofico del Medioevo posava su
fondamenta in rovina» e suo malgrado finì col dubitare
«della realtà obbiettiva delle conclusioni metafisiche.
La base della mia fede era così compromessa».
Loisy apprese i fondamenti della lingua ebraica da un allievo
più anziano e poi continuò a studiare da solo. Avrebbe
dovuto ricevere la tonsura dopo due anni di seminario, nel 1876, e
invece l'ebbe, con gli ordini minori, il 24 giugno 1877. L'anno
dopo, il 30 giugno 1878, dopo una notte passata insonne, fu ordinato
suddiacono, cominciando l'obbligo del celibato e l'impegno perpetuo
nella Chiesa: «Ci prosternammo dinnanzi all'altare e sopra noi
si recitarono le litanie dei santi. Il grande errore della mia vita
era consumato».
Per due mesi, dalla fine d'ottobre, frequentò a Parigi
l'«École supérieure de théologie»,
appena istituita nel quadro delle Facoltà dell'Institut
catholique. Loisy era stato scelto appositamente dal direttore del
seminario, ma non fu soddisfatto dei corsi che vi si tenevano e, con
l'appoggio di Roussel, in gennaio poté rientrare in
seminario. Il 29 marzo 1879 fu consacrato diacono da Guillaume
Meignan, vescovo di Châlons e futuro cardinale, e il
successivo 29 giugno fu ordinato prete. Il giorno dopo
celebrò la sua prima messa, e il 6 luglio fu nominato curato
di Broussy-le-Grand, villaggio del cantone di
Fère-Champenoise, «notevole, dal punto di vista
religioso, per la sua profonda indifferenza».
Curato di campagna (1879-1881)
Broussy-le-Grand non aveva parroco da più di due anni e non
sembrava averne bisogno, dal momento che i suoi abitanti lo
chiamavano solo per amministrare l'estrema unzione e andavano a
messa solo il giorno dei morti. Roussel si preoccupò di
procurargli una parrocchia più confortevole e la trovò
a Landricourt, piacevole villaggio a meno di tre chilometri da
Ambrières, più rispettoso del suo curato e più
assiduo alla messa domenicale. Qui fu trasferito Loisy il 31 gennaio
1880, pochi mesi prima della morte del suo protettore.
Loisy ebbe però l'impressione che non sarebbe rimasto a lungo
a Landricourt. In novembre scrisse a Fréderic Monier
(1831-1912), direttore dell'Institut catholique di Parigi, e a Louis
Duchesne, professore di storia ecclesiastica, manifestando loro la
sua intenzione di voler frequentare l'Istituto per laurearvisi in
teologia. In effetti, nel marzo del 1881 il vicario generale Ulysses
Pannet (1824-1911) gli comunicò di doversi trasferire a
Fontaine-sur-Coole, e Loisy rifiutò.
Grazie all'intervento in suo favore di Monier e Duchesne, il vescovo
Meignan gli concesse il permesso di lasciare Landricourt, e il 12
maggio 1881 Loisy poté entrare all'Institut di Parigi. Loisy,
che non amava la grande città, contava di restarvi il tempo
necessario a ottenervi il lettorato in teologia per poi insegnare
nel seminario di Châlons una dottrina cattolica «che
tenesse soprattutto conto dei bisogni dei tempi nuovi».
«Maître de conférences» (1882-1890)
Nel giugno del 1881 Loisy divenne uditore magna cum laude e in
ottobre superò il primo esame di licenza. Leggeva intanto
l'edizione del Nuovo Testamento del Tischendorf, convincendosi che
quegli scritti «non erano esenti da contraddizioni, portando
tracce evidenti di tendenze personali dei loro autori.
L'autenticità di Matteo e di Giovanni mi parve molto
sospetta».
In dicembre gli fu affidato il corso di ebraico e preparando le
lezioni sul Pentateuco, credette di riconoscervi «una
collezione di racconti mitici o leggendari, la cui redazione
definitiva era molto posteriore a Mosé». Loisy dovette
perciò «cercare il modo di conciliare il dogma con i
risultati acquisiti dalla scienza moderna». Intanto, il
rettore monsignor Maurice d'Hulst (1841-1896), otteneva dal vescovo
Meignan che Loisy rimanesse a insegnare all'Institut catholique, e
il 23 giugno 1882 egli conseguì la licenza in teologia. In
attesa di ottenere il dottorato che gli assegnasse il titolo di
professore, Loisy poteva insegnare all'Institut catholique come
«maître de conférences».
Contemporaneamente, Loisy s'iscrisse all'École pratique des
Hautes Études per seguirvi i corsi di assiriologia e, per
breve tempo, di egittologia, e frequentò il corso di ebraico
tenuto da Ernest Renan al Collège de France, dove dal 1883 al
1885 seguì anche il corso di lingua amarica di Joseph
Halévy (1827-1917). Dal 1884 Loisy sostituì spesso
l'abbé Paulin Martin (1840-1890) alla cattedra di sacra
Scrittura dell'Institut catholique dove, dal 1886, iniziò a
insegnare assiriologia e, dal 1887, lingua amarica.
Sono gli anni in cui si consumava la sua crisi: «nell'inverno
1885-1886 ho preso netta coscienza di non poter mantenere la
posizione dell'ortodossia, o piuttosto mi sono reso conto di averla
totalmente abbandonata». Conoscendo bene il passato e il
presente della Chiesa, vedeva «le cose superate nella sua
disciplina, le pratiche del culto non in rapporto con i bisogni del
tempo, il senso materiale delle sue formule teologiche ogni giorno
meno sostenibile».
In quel periodo avrebbe anche perduto la fede nell'anima, nel libero
arbitrio, nella vita futura e nell'esistenza di un dio
personale: sincero con se stesso, Loisy non lo fu però
con gli altri, nascose il suo conflitto interiore e non
lasciò la Chiesa. Loisy affermava allora di considerare
ancora la Chiesa «un'istituzione necessaria, come pure quello
che di più divino vi sia sulla terra», e di pensare di
poter assolvere, al suo interno, «il grande apostolato di
umanità del quale pretende di essere investita», di
aver sperato che essa non si sarebbe opposta «all'opera di
tutti i ricercatori di verità [...] fra i quali intendevo
occupare il mio posto», e infine, di non aver voluto,
abbandonando la Chiesa, dare un grande dolore ai suoi genitori.
Quando, nel 1889, per la morte di Arthur Amiaud (1849-1889)
restò vacante la cattedra di assiriologia all'École
des Hautes Études, Loisy sperò di occuparla grazie al
sostegno del Duchesne, che all'École insegnava
antichità cristiane, ma questi non fece nemmeno il suo nome e
i loro rapporti si raffreddarono. Sperò ancora l'anno dopo
quando, scomparso Paulin Martin, rimase libera la cattedra di Sacra
Scrittura all'Institut catholique, che fu però assegnata al
professore del seminario Saint-Sulpice Fulcran Vigouroux
(1837-1915).
Histoire du Canon de l'Ancien Testament
In compenso, il 7 marzo 1890 Loisy conseguiva il dottorato in
teologia con una tesi sulla Storia del canone dell'Antico
Testamento. La cerimonia si concluse nella chiesa dei Carmelitani,
la cappella dell'Institut, dove Loisy dovette recitare l'antica
professione di fede di Pio IV. Dopo il passaggio «io l'ammetto
[la Scrittura] e non l'ammetterò e non l'interpreterò
che secondo il senso unanime dei Padri», Loisy sentì
«il bisogno di respirare un po'». Ma egli aveva
già posto nella sua tesi l'idea, la cui portata i suoi
esaminatori non sembrarono aver ben valutato, dell'ineguaglianza del
valore dei libri canonici: «Attraverso questa breccia, mi
proponevo di far passare tutta la critica biblica, nonostante quel
che la Chiesa insegna sulla divinità,
sull'autenticità, sulla veracità,
sull'integrità delle Scritture».
La storia del canone è la storia del processo di formazione,
di sviluppo e di definizione della raccolta canonica, in cui fu
decisiva la funzione della tradizione ecclesiastica. A un
periodo di formazione, durato fino al III secolo, subentrò
quello del dubbio sui libri deuterocanonici, finché il
canone fu fissato l'8 aprile 1546 dal decreto del concilio di Trento
De canonicis Scripturis.
Girolamo li aveva esclusi dal canone, non considerandoli nemmeno
«ispirati», ma utili solo all'edificazione dei
fedeli. Atanasio, Cirillo e Gregorio di Nazianzo considerano i
deuterocanonici ispirati, ma li escludono egualmente dal canone,
così attribuendo loro una minore autorità rispetto ai
protocanonici. Agostino, all'opposto di Girolamo, li considera
ispirati e canonici: secondo lui, «spetta alla tradizione e
non alla scienza decidere in materia di canonicità e di
ispirazione», mentre Girolamo «leggeva la tradizione
cristiana alla luce delle sue opinioni scientifiche».
Nel concilio di Trento, una minoranza avrebbe voluto distinguere i
libri «autentici e canonici, da cui la nostra fede dipende, da
quelli che sono soltanto canonici [...] come li distingue tra gli
altri S. Girolamo nel Prologus galeatus», ma prevalse la
decisione di accettare anche i libri deuterocanonici. Tuttavia, i
vescovi non negarono l'esistenza di un diverso valore tra i libri
dell'Antico Testamento, ma considerarono la determinazione delle
loro differenze «una questione di secondaria
importanza».
Professore all'Institut catholique (1890-1893)
La sua tesi - le critiche su «L'Univers»
dell'intransigente canonico di Soissons Aristide Magnier (1829-1906)
passarono quasi inosservate - era stato l'oggetto del suo corso
dell'anno 1889-1890, l'anno successivo le sue lezioni si occuparono
della Storia del canone del Nuovo Testamento e nel corso dell'anno
1891-1892 della Storia critica del testo e delle versioni
dell'Antico Testamento, tutte pubblicate in volume e prima ancora
nella rivista bimestrale «L'Enseignement biblique», da
lui diretta e fondata nel 1892.
Histoire du Canon du Nouveau Testament
Analogamente a quella del Vecchio Testamento, anche la storia del
canone del Nuovo Testamento di Loisy è soprattutto la storia
delle discussioni critiche, avvenute a partire dal II secolo, su una
collezione dei testi che la tradizione di diverse chiese cristiane
aveva ritenuto provenire direttamente dagli apostoli. Avvenne che al
nucleo costituito dai quattro vangeli, dagli Atti e dalle lettere
paoline, si aggiunsero successivamente le lettere di Pietro, di
Giovanni, di Giacomo, di Giuda e l'Apocalisse, mentre ne furono
escluse le epistole di Ignazio e di Policarpo, quella di Clemente e
il Pastore di Erma.
Origene rilevò le divergenze esistenti nella tradizione e,
riconoscendo la non autenticità della Lettera agli Ebrei,
l'attribuì a un discepolo di Paolo. Eusebio
classificò i testi in tre diverse categorie, le Scritture non
contestate od omologoumene, quelle contestate o antilegomene -
divise ancora in due classi a seconda del maggiore o minor numero di
testimonianze a loro favore - e le apocrife. Tra le contestate a
vario titolo, finiscono per lui l'epistola di Giacomo, di Giuda, di
Barnaba, la II di Pietro, la II e la III di Giovanni, le apocalissi
di Giovanni e di Pietro, gli Atti di Paolo, il Pastore di Erma, la
dottrina degli Apostoli e il vangelo degli Ebrei.
In questo dibattito, Girolamo distingue l'autenticità divina
dello scritto, che lo rende canonico, dall'autenticità
storica: così la lettera agli Ebrei può non essere di
Paolo, ma è ispirata e va inserita nel canone. Girolamo
«non pensa minimamente di contestare l'ispirazione dei libri
che la Chiesa impiega come Scrittura, ma tratta le questioni di
autenticità con una serena indipendenza. I dati della
tradizione non gli sembrano avere il rigore di affermazioni
dogmatiche, ma piuttosto presentare la flessibilità di
opinioni storiche: li esamina, li discute, capisce che si può
dissentire, non invoca regole di ortodossia».
Il concilio di Trento confermò il canone tradizionale, ma la
dichiarazione del decreto De canonicis Scrupturis mantenne, secondo
Loisy, la distinzione tra canonicità e autenticità
degli scritti, ponendo la prima come verità di fede e
l'autenticità come doctrina tuta, «nel senso teologico
in cui doctrina tuta non è sinonimo di doctrina
certa»: non potendo definire canonici scritti di dubbia
autenticità, la dichiarazione conciliare è
«proporzionata ai bisogni dei tempi; sembra, per certi
aspetti, una misura disciplinare che può essere allentata se
le circostanze non sono più le stesse»..
La distinzione tra storia e teologia, affermata da Loisy nei suoi
due scritti sulla storia dei canoni delle Scritture, anticipa,
se già non afferma, la sua volontà di emancipare
l'esegesi scientifica da ogni tutela dogmatica.
Le lezioni di Loisy pubblicate sull'Enseignement venivano recensite
dalla domenicana «Revue biblique» con poca simpatia e il
giovane professore dell'Institut, l'abbé Paul Pisani
(1852-1933) non aveva mancato di rimproverare il rettore d'Hulst di
scarsa vigilanza nei confronti del giovane professore. In
realtà monsignor d'Hulst «sapeva cosa succedeva nei
corsi di Loisy e quali riflessioni fossero scambiate tra i suoi
sostenitori e i suoi avversari. Lui difendeva Loisy come Duchesne,
cioè lo sosteneva pur attaccandolo, perfino, tra il serio e
il faceto. È un piccolo Renan, diceva di lui, a volte,
nell'intimità; ma è chiaro che se l'avesse realmente
pensato, non l'avrebbe mantenuto nella cattedra».
L'esegesi di Loisy, che era al corrente dei recenti risultati della
ricerca biblica, specie tedesca, le sue «arditezze», la
«verve irriverente» con la quale egli trattava gli
autori cattolici, quell'apparente «gioia nel trovare in
difetto il testo sacro», erano presenti a Henri Icard
(1805-1893), vicario dell'arcidiocesi di Parigi e superiore generale
della Compagnia di Saint-Sulpice, che dall'ottobre del 1892 non
mandò più i suoi seminaristi a seguire le lezioni di
Loisy. Questa decisione urtò monsignor d'Hulst che tuttavia,
in un articolo sul «Correspondant» del 25 gennaio 1893,
intitolato La questione biblica, ammise l'esistenza di due scuole di
esegesi biblica, quella cattolica tradizionale, anticritica e
apologetica, che egli definiva «scuola stretta o di
destra», e quella rappresentata dalla moderna critica storica,
definita «scuola larga o di sinistra»: occorreva, a suo
giudizio, mantenere un giusto mezzo tra le due.
L'articolo fece scandalo e Loisy fu indicato a torto essere il suo
ispiratore nonché il rappresentante della «scuola
larga». In aprile d'Hulst fu chiamato a Roma e, al suo
ritorno, il 18 maggio comunicò a Loisy, «non senza un
certo imbarazzo, di non poterlo difendere contro la crescente
opposizione al suo insegnamento», e che avrebbe mantenuto le
cattedre di ebraico e d'assiro, ma lasciato la cattedra di Sacra
Scrittura. Il suo posto sarebbe stato preso da Claude Fillion
(1843-1927), uno che «ornava la Bibbia di commenti pii e
prendeva ogni tanto la penna per confutare i Tedeschi».
A dicembre anche la creatura di Loisy, «L'Enseignement
biblique», cessava le pubblicazioni. Loisy vi aveva pubblicato
in settembre l'ultima sua fatica, Les Evangiles synoptiques, dove,
con scandalo dell'abbé Paul de Broglie (1834-1895), tutti i
vangeli venivano datati a dopo l'anno 70 e quello di Marco era reso
anteriore a quello di Luca.
Nell'ultimo numero del 10 novembre, a chiarimento delle sue
posizioni, Loisy vi pubblicò l'articolo La questione biblica
e l'ispirazione delle Scritture nel quale, premesso di accettare il
dogma dell'inerranza della Bibbia e ricordando che da più di
un secolo la critica razionalista e protestante discuteva delle
origini della Bibbia, affermava che il problema dell'esegesi non era
quello di stabilire «se la Bibbia contiene degli errori, ma di
sapere ciò che la Bibbia contiene di verità».
Egli indicava alcune prime conclusioni scientifiche del lavoro
critico sulla Bibbia:
« Il Pentateuco [...] non può essere l'opera di
Mosè. I primi capitoli della Genesi non contengono una storia
esatta e reale delle origini dell'umanità. Tutti i libri
dell'Antico Testamento e le diverse parti di ogni libro non hanno lo
stesso carattere storico. Tutti i libri storici della Scrittura,
anche quelli del Nuovo Testamento, sono stati redatti secondo
procedimenti più liberi di quelli della storiografia moderna,
e una certa libertà d'interpretazione è la conseguenza
logica della libertà che regna nella composizione. La storia
della dottrina religiosa contenuta nella Bibbia mostra uno sviluppo
reale di questa dottrina in tutti gli elementi che la costituiscono:
nozione di Dio, del destino umano, delle leggi morali. C'è
appena bisogno di aggiungere che, per l'esegesi indipendente, i
Libri sacri, in tutto ciò che riguarda la scienza della
natura, non s'innalzano al di sopra delle opinioni comuni
dell'antichità, e che queste opinioni hanno lasciato le loro
tracce negli scritti e anche nelle credenze bibliche »
Dopo aver letto quest'articolo, il cardinale arcivescovo di Parigi,
François Richard, dichiarò che «la permanenza
del professore era ormai impossibile». Il 15 novembre, di
fronte ai vescovi protettori dell'Institut catholique riuniti in
assemblea, monsignor d'Hulst, reso omaggio «al valore
eccezionale del giovane professore, erudito di marca, molto stimato
all'estero», propose di offrire a Loisy l'alternativa tra la
cessazione delle pubblicazioni della rivista e le sue dimissioni. Il
vescovo di Chartres François Lagrange (1827-1895) e i
cardinali Langénieux e Richard chiesero però le sue
dimissioni senza condizioni, e tutti i vescovi si allinearono alla
proposta dei due cardinali.
Conosciuta la decisione dei vescovi, il 18 novembre 1893 Loisy
presentò la lettera di dimissioni dall'Institut, nella quale
rimproverava monsignor d'Hulst di essere responsabile dell'accaduto,
avendolo compromesso con il suo articolo sul
«Correspondent». E aggiungeva: «Voi volete avere
allievi, molti allievi, e per questo fate sacrifici, sacrificio
delle vostre opinioni personali, sacrificio di uomini che dite di
stimare e di amare. A che pro? Pensate di preparare l'avvenire
girandogli le spalle?».
Due giorni dopo moriva Henri Icard, grande accusatore di Loisy.
Quando la notizia fu portata alla chiesa dei Carmelitani,
l'abbé Duchesne, che si preparava a celebrare la messa,
commentò: «È morto di gioia».
Cappellano delle domenicane di Neully (1894-1899)
Quello stesso 18 novembre Leone XIII pubblicava l'enciclica
Providentissimus Deus, che ribadiva la tradizionale posizione della
Chiesa sui Libri sacri i quali, «scritti sotto l'ispirazione
dello Spirito Santo, hanno Dio per autore e come tali sono stati
affidati alla Chiesa», cui spetta l'ultima parola sulla loro
interpretazione. La critica razionalista era condannata, insieme con
coloro che «vorrebbero passare per teologi, cristiani ed
evangelici, cercando così di coprire sotto un nome specioso
la temerarietà di un insolente ingegno».
Forse Loisy cercò di blandire la vanità del papa
inviandogli una lettera e una memoria sull'enciclica, nella quale
testimoniava la sua «perfetta sottomissione agli insegnamenti
della Santa Sede». La risposta del cardinale Rampolla, il
31 dicembre, riferiva della soddisfazione di Leone XIII, ma,
«considerando i fatti avvenuti», lo invitava «a
coltivare più particolarmente qualche altro campo della
scienza».
Finalmente, il 4 settembre 1894, fu trovato un nuovo incarico per
Loisy, quello di cappellano del collegio delle domenicane di
Neully-sur-Seine. Loisy accettò, dopo aver rifiutato
l'offerta del nuovo direttore della Compagnia di Saint-Sulpice,
Arthur Captier (1828-1903), a cappellano della chiesa nazionale
francese di San Luigi, a Roma, che avrebbe dovuto rappresentare un
intermezzo in attesa di riprendere l'insegnamento all'Institut
catholique.
Nel collegio di Neuilly studiavano un centinaio di bambine e ragazze
dell'alta borghesia parigina e il suo compito consisteva nel dire
messa, confessare, predicare e insegnare catechismo alle allieve.
Continuò tuttavia a collaborare con diverse riviste: il
«Bulletin critique», la «Revue critique d'histoire
et de littérature», la «Revue des
Religions», la «Revue biblique» e la «Revue
Anglo-romaine». Nel 1896 Loisy fondò con l'abbé
Paul Lejay (1861-1920), professore di letteratura latina
all'Institut catholique, la «Revue d'histoire et de
littérature religieuse», chiamandovi a collaborare
personalità di sicura ortodossia, come Alfred Baudrillart e
il gesuita Eugène Griselle (1861-1923). Da parte sua,
«per non attirare l'attenzione», Loisy preferiva quasi
sempre firmare i propri articoli con diversi pseudonimi «che
in effetti depistarono per qualche tempo gli inquisitori».
L'enciclica Depuis le jour, datata 8 settembre 1899 e indirizzata da
Leone XIII al clero francese, ribadiva il primato della teologia
scolastica e condannava quegli scrittori cattolici che, «sotto
lo specioso pretesto di togliere agli avversari della parola
rivelata l'uso di argomenti che sembravano irrefutabili contro
l'autenticità e la veracità dei Libri santi, hanno
creduto fosse molto abile prendere quegli argomenti per loro conto.
In virtù di questa strana e pericolosa tattica, essi hanno
lavorato con le loro proprie mani a fare brecce nelle mura della
città che avevano la missione di difendere».
Lo stesso giorno che la lesse, il 20 settembre, Loisy ebbe uno
sbocco di sangue, e le sue condizioni di salute si aggravarono nei
giorni successivi. Il 23 settembre presentò le sue dimissioni
da cappellano di Neuilly al cardinale Richard, che le accolse
immediatamente. Loisy si ritirò a Bellevue, presso
Versailles, mantenendosi con i proventi ricavati dai suoi articoli e
da una modesta indennità riservata dalla diocesi ai preti
infermi.
Libero docente alla Sorbona (1900-1904)
Il suo tentativo di riformare l'esegesi cattolica operando
all'interno della stessa istituzione cattolica era destinato a
essere scoperto e represso. Il suo commento all'ultima enciclica
papale, pubblicato il 1º giugno 1900 sulla «Revue du
Clergé Français» sotto lo pseudonimo di Isidore
Després, fu definito dal gesuita Julien Fontaine (1839-1917),
che rivelò in Loisy l'autore dell'articolo, «un
programma che egli sa irrealizzabile». Il 15 ottobre Loisy
pubblicò sulla stessa rivista e con lo pseudonimo di A.
Firmin la prima parte di uno studio su La Religion d'Israël che
provocò l'intervento del cardinale Richard, il quale
proibì la stampa del seguito dello studio, dichiarato
contrario alla costituzione Dei Filius del Concilio Vaticano e alle
regole dettate dall'enciclica Providentissum Deus.
Loisy rispose restituendo all'arcivescovo la pensione che gli era
stata assegnata l'anno precedente. L'anno dopo fece stampare in
volume La Religion d'Israël che inviò il 12 maggio 1901
al domenicano Alberto Lepidi (1838-1925), consultore del
Sant'Uffizio, che aveva aperto un'inchiesta, probabilmente su
denuncia del cardinale Richard. Nel frattempo, grazie
all'interessamento dell'amico Paul Desjardins, gli era stato
concesso dall'Ecole pratique des Hautes Etudes della Sorbona di
tenere un corso libero nella sezione delle scienze religiose, ed
egli aveva esordito il 12 dicembre 1900 con I miti babilonesi e i
primi capitoli della Genesi. L'anno dopo Loisy vi trattò
delle Parabole del vangelo e raccolse le sue lezioni nel volume
degli Studi evangelici, pubblicato nel 1902.
Dovette essere una sorpresa ricevere dal principe Alberto I di
Monaco, il 26 gennaio 1902, la richiesta di assenso alla candidatura
ad amministratore apostolico del Principato, ruolo che equivaleva
alla sua nomina a vescovo. Loisy accettò e in ottobre anche
il governo francese lo candidò all'episcopato, sia pure con
scetticismo. La candidatura fu infatti ritirata poco dopo,
mentre quella avanzata dal principe Alberto fu rifiutata da Roma.
L'Evangile et l'Eglise
« Gesù annunciava il Regno, ed è la Chiesa che
è venuta »
(A. Loisy, L'Evangile et l'Eglise, 1902, p.
111.)
Leone XIII, per combattere il razionalismo dilagante, la moderna
esegesi protestante e gli stessi fermenti presenti in parte degli
studiosi cattolici, con la lettera apostolica Vigilantiae aveva
costituito in Vaticano, il 30 ottobre 1902, la Pontificia
Commissione biblica, incaricata di vigilare sull'ortodossia dei
risultati degli studi biblici. A farne parte fu chiamato anche il
professore dell'Institut catholique Fulcran Vigoureux, ben noto a
Loisy, che lo definì «scialbo sia nei misfatti che
nello stile».
A novembre apparve un nuovo libro di Loisy, L'Evangile et l'Eglise,
presentato come una confutazione dell'Essenza del Cristianesimo del
teologo protestante tedesco Adolf Harnack, il quale aveva sostenuto
che la sostanza del cristianesimo consisteva nell'annuncio, fatto da
Gesù, che Dio è il padre di tutti gli esseri umani e
Gesù ne è la coscienza filiale. Il sistema di Harnack
si fondava però sulla tradizione cristiana e non su un
insegnamento personale di Gesù, secondo Loisy, per il
quale invece l'essenza del cristianesimo stava nel messaggio di
Gesù dell'imminente realizzazione del Regno di Dio. Soltanto
dopo la sua morte e la vana attesa della venuta del Regno, i seguaci
di Gesù si erano organizzati fondando una Chiesa con le sue
strutture gerarchiche, i suoi riti e i suoi dogmi:
« Non ammettevo che Cristo avesse fondato la Chiesa né
i sacramenti; professavo che i dogmi si erano formati gradualmente e
che non erano immutabili; analoghe considerazioni esprimevo in
merito all'autorità ecclesiastica, alla quale attribuivo la
funzione di un apostolato d'educazione umana, senza riconoscerle in
alcun modo un diritto assoluto, illimitato, sull'intelligenza e
sulla coscienza dei credenti. Non mi limitavo dunque a criticare
Harnack, ma insinuavo pure con discrezione, ma con efficacia, una
riforma essenziale dell'esegesi ricevuta, della teologia ufficiale,
del governo ecclesiastico in generale. »
(A. Loisy, Memorie, I, pp. 466-467.)
Presto si levarono le critiche degli ambienti dell'ortodossia
cattolica. Cominciò il 31 dicembre l'abbé Hippolyte
Gayraud (1856-1911) dalle colonne de «L'Univers»,
seguito dal cardinale Richard, che il 17 gennaio 1903
condannò ufficialmente il libro in quanto, oltre a essere
privo di imprimatur, era di «natura tale da scuotere
gravemente la fede dei fedeli sui dogmi fondamentali
dell'insegnamento cattolico». Seguirono il 20 gennaio
monsignor Pierre Batiffol (1861-1929) sul «Bulletin de
littérature ecclésiastique» e il 6 febbraio il
cardinale Adolphe Perraud, che qualificò di «sfuggente
e nebuloso» il metodo di Loisy, chiedendosi se l'autore avesse
voluto «dire in ogni pagina una tal cosa o la sua
contraria».
Con lettera del 3 febbraio Loisy scrisse a Richard di
«inchinarsi» davanti al giudizio dato «secondo il
suo diritto episcopale», e di condannare gli errori che erano
stati trovati nel libro, «per quanto chi lo ha interpretato si
sia posto su un piano completamente differente da quello in cui mi
ero dovuto porre e mi ero posto per scriverlo». Si trattava in
effetti di una sottomissione più apparente che reale, ma il
cardinale non sembrò comprenderlo, e in ogni caso
l'organo dell'arcidiocesi parigina, la «Semaine
religieuse», pubblicò la lettera sopprimendone la parte
finale, così che la posizione di Loisy sembrò una
completa sottomissione.
Il 20 luglio morì Leone XIII e il 4 agosto gli succedette Pio
X. Il 5 ottobre apparvero nelle librerie quattro libri di Loisy: la
seconda edizione de L'Evangile et l'Eglise, aumentata di due
capitoli, Autour d'un petit livre, che ne era l'apologia, Le
Quatrième Evangile e Le Discours sur la Montagne.
Autour d'un petit livre
Autour d'un petit livre (Intorno a un piccolo libro) è
articolato in sette lettere. Nella prima Loisy affermava che
«Dio non è una figura della storia» e che
«Gesù non è entrato come Dio ma come uomo nella
storia degli uomini»; nella seconda sosteneva che la critica
erudita doveva mantenersi indipendente dal controllo teologico;
nella terza Loisy spiegava come e perché il contenuto dei
vangeli, soprattutto quello del quarto, non potesse essere
considerato un testo di storia; nella quarta lettera si esponeva la
fissazione della cristologia ortodossa. La fede in Gesù quale
messia ebraico era stata adattata alla mentalità dei credenti
provenienti dal paganesimo: «Il Cristo storico,
nell'umiltà del suo "apostolato", è abbastanza grande
per giustificare la cristologia, e non occorre che la cristologia
sia stata esplicitamente insegnata da Gesù per essere
vera».
Nella quinta lettera Loisy sottolineava come i vangeli attribuiscano
la fondazione della Chiesa a Cristo risorto. Dunque la Chiesa non fu
istituita dal Gesù «vivente in carne e ossa», ma
nacque dalla fede nel Cristo glorificato. Da qui Loisy derivava che
la natura dell'autorità, della Chiesa ma anche dello Stato,
non poteva consistere in un potere assoluto, ma in un apostolato
d'educazione sociale.
La sesta lettera criticava l'idea che i dogmi siano immutabili, idea
contraddetta dalla stessa storia dei dogmi, così come
«la verità fondamentale della religione, ossia la fede
in Dio, ha una storia infinitamente complessa» e l'idea della
divinità si è incessantemente modificata nella storia
del cristianesimo. «La relativa insufficienza e la relativa
perfettibilità delle formule dogmatiche sono attestate dalla
storia» e oggi - notava Loisy - esiste una frattura tra la
conoscenza che gli individui hanno dell'uomo e del mondo e quella
fornita dalla dottrina cattolica.
Nella settima lettera, che trattava dei sacramenti, Loisy spiegava
come persino i riti sicuramente attestati nelle primitive
comunità cristiane, il battesimo e la cena eucaristica, non
fossero stati istituiti da Cristo. I decreti del concilio di Trento
avevano semplicemente stabilito un'interpretazione, elevata a dogma,
dell'istituzione sacramentale, non corrispondente a reali atti di
Gesù né al pensiero della Chiesa degli apostoli.
Dato il grande scandalo prodotto dal libro, Il quarto Vangelo fece
meno rumore, pur giungendo a conclusioni inaudite per l'esegesi
cattolica del tempo. Il vangelo non poteva essere attribuito
all'apostolo Giovanni, né la dottrina che vi era contenuta
poteva essere riferita a Gesù: quel vangelo non era una
relazione della sua vita e della sua predicazione, ma un prodotto
della mistica cristiana.
La condanna del Sant'Uffizio
« Dal punto di vista romano, teologico e scolastico, la
verità non è altro che un formulario di cui
l'autorità pontificia regola a piacimento le modalità
[...] Le persone che hanno questa mentalità cosiddetta
cattolica, che vivono personalmente con un patrimonio formato in
questo modo, non sanno che cosa voglia dire l'acquisizione
sperimentale della conoscenza delle cose e dei fatti per mezzo dei
metodi scientifici e della critica storica »
(A. Loisy, Memorie, II, p. 82.)
Il 16 dicembre 1903 il Sant'Uffizio prescrisse la messa all'Indice
di sette libri, due del prete modernista Albert Houtin e cinque di
Loisy: La Religion d'Israël, Etudes évangéliques,
L'Evangile et l'Eglise, Autour d'un petit livre e Le
Quatrième Evangile. Il decreto della Congregazione
dell'Indice fu firmato il 23 dicembre e ufficialmente comunicato
all'arcidiocesi di Parigi il 30 dicembre, insieme alla lettera del
segretario di Stato vaticano Merry del Val scritta al cardinale
Richard, nella quale si indicavano sommariamente «gli errori
gravissimi che rigurgitavano» in quei volumi.
Il 31 dicembre il cardinale Richard informò Loisy del decreto
e della lettera di Merry del Val, augurandosi che l'«auctor
laudabiliter se subjecit», ossia la sua sottomissione, e Loisy
gli rispose il 5 gennaio 1904, informandolo che avrebbe mandato al
segretario di Stato «l'atto della mia adesione alla sentenza
delle SS. Congregazioni». Richard si affrettò
allora a far pubblicare il 9 gennaio sulla Semaine religieuse la
notizia della sua «sottomissione», che Loisy dovette far
smentire il giorno dopo dai quotidiani Le Temps e L'Eclair.
L'11 gennaio Loisy scrisse al cardinale Merry del Val. Premesso di
accogliere con rispetto il decreto e di condannare anch'egli quanto
di riprovevole poteva esservi nei suoi scritti, aggiungeva:
«la mia adesione alla sentenza delle SS. Congregazioni
è d'ordine puramente disciplinare. Riservo il diritto della
mia coscienza e non intendo né sottopormi al giudizio
pronunciato dalla S. Congregazione del S. Uffizio, né
abbandonare e né abiurare le opinioni da me enunciate in
qualità di storico e di esegeta critico [...] esse sono la
sola forma nella quale posso rappresentarmi la storia dei Libri
sacri e quella della religione».
Evidentemente Loisy non aveva ritrattato nulla e aveva anche
«evitato intenzionalmente la fraseologia ossequiosa, untuosa e
ampollosa che è d'uso in circostanze simili». Fu
pertanto convocato il 23 gennaio presso il cardinale Richard che gli
lesse la risposta di Merry del Val. Questi esigeva, a nome di Pio X,
la ritrattazione, immediata e senza condizioni, del contenuto dei
cinque libri posti all'Indice, pena la scomunica. Loisy rispose a
Merry del Val il 26 gennaio. Scrisse di non aver pensato che gli
«si potesse chiedere la ritrattazione pura e semplice di tutto
un complesso di idee che [...] si riferisce a molteplici ordini di
conoscenze su cui il magistero ecclesiastico non si esercita
direttamente». E concludeva: «Accetto, Monsignore, tutti
i dogmi della Chiesa e [...] condanno anch'io ciò che
può esserci di riprovevole, in quei libri, nel piano della
fede».
Ancora una volta Loisy non aveva fornito la ritrattazione richiesta
dalla Santa Sede, ed egli stesso ne era consapevole, così
come aveva scritto la parola accetto «a bella posta per non
dire: credo fermamente». L'8 febbraio il cardinale Richard
riferiva a Loisy di una nuova lettera di Merry del Val, del 5
febbraio, nella quale si diceva che l'ostinazione di Loisy aveva
«accresciuto il dolore del Santo Padre» che tuttavia,
non volendo «ancora disperare di lui, lo faceva ammonire per
la seconda volta». La risposta di Loisy a Richard, del 10
febbraio, era questa volta molto chiara: «Non potrei
effettuare con sincerità una ritrattazione pura e semplice
che implicasse l'abbandono delle mie opinioni di storico».
Il cardinale Merry del Val
A una nuova lettera, molto moderata, scrittagli il 21 febbraio
dall'arcivescovo di Parigi per esortarlo a «sottomettersi
puramente e semplicemente», Loisy rispose brevemente il 23
febbraio di poter solo ribadire quanto aveva già scritto al
cardinale Merry del Val. Poi, il 28 febbraio, Loisy decise di
scrivere direttamente a Pio X:
« [...] Voglio vivere e morire nella comunione della Chiesa
cattolica. Non voglio contribuire alla rovina della fede nel mio
paese. Non ho il potere di distruggere in me stesso il risultato dei
miei lavori. Nella misura in cui dipende da me, mi sottometto alla
sentenza emanata contro i miei scritti dalla Congregazione del S.
Uffizio. Per attestare la mia buona volontà e per
riappacificare gli animi, sono pronto ad abbandonare l'insegnamento
che professo a Parigi e sospenderò parimenti le pubblicazioni
scientifiche che ho in preparazione [...] »
Il papa rispose al cardinale Richard con una lettera in italiano che
l'arcivescovo, convocato Loisy il 12 marzo, gli tradusse a voce.
Papa Sarto premetteva che la lettera di Loisy, che si rivolgeva al
suo cuore, «non proveniva dal cuore»; riteneva comunque
positive le intenzioni che Loisy vi aveva espresse, «ma tutte
queste dichiarazioni vengono cancellate dall'affermazione esplicita
di non poter rinunciare al risultato delle sue ricerche».
Giudicava pertanto «assolutamente necessario che, nel
confessare i propri errori, egli si sottometta, pienamente e senza
restrizioni, alla sentenza pronunciata dal S. Uffizio contro i suoi
scritti». Concludeva che la Chiesa non gli imponeva il
silenzio, ma lo invitava a continuare a scrivere nella difesa della
tradizione, secondo il precetto dato da San Remigio a Clodoveo:
«Succende quod adorasti et adora quod incendisti».
Loisy racconta dell'indignazione provocatagli dalle parole del
pontefice, che pretendeva che egli difendesse per vero quello che
riteneva falso e combattesse come falso quello che riteneva vero. Il
colloquio con il cardinale fu concitato: Loisy spiegò a
Richard che era assurdo chiedergli di ritrattare «duemila
pagine stampate, di argomenti così diversi» e che i
risultati dei suoi studi erano semplici elenchi di fatti e insiemi
di deduzioni, non delle tesi dogmatiche, mentre per il cardinale,
Loisy era invasato dall'orgoglio dello storico che non teneva conto
degli effetti «perniciosi» dei suoi scritti.
Tornato nella sua casa di Bellevue, nel pomeriggio Loisy fu
raggiunto dall'amico François Thureau-Dangin, assiriologo del
Louvre, già suo allievo all'Institut catholique. Convennero
insieme di scrivere un'ultima lettera, senza esprimere alcuna
riserva riguardo agli errori da condannare. La lettera, che fu
consegnata dal Thoureau-Dangin all'arcivescovado quel giorno stesso,
era molto breve: «Dichiaro a Vostra Eminenza che, per spirito
di obbedienza verso la Santa Sede, io condanno gli errori che la
Congregazione del Sant'Uffizio ha condannato nei miei
scritti».
Loisy si pentì di questa «letterina», che
considerò «un monumento di sciocchezza» e che lo
umiliò, ma che comunque gli evitò la scomunica,
per quanto il Sant'Uffizio non considerasse sincera la sua
sottomissione. Il 22 maggio il quotidiano Le Siècle
riferì di una dichiarazione del papa, secondo il quale
«Loisy aveva voluto passare per martire, ma io ho deciso che
non lo sarebbe stato».
Il ritiro in campagna (1904-1908)
La vicenda ebbe una grande risonanza, non solo in Francia, e per
mesi le lezioni di Loisy richiamarono alla Sorbona una grande folla
che riempiva l'aula e perfino i corridoi, durante le quali egli
mantenne sempre una notevole freddezza, non facendo mai cenno al suo
caso. Ma ora era deciso ad abbandonare i corsi e la casa di
Bellevue. L'amico Thureau-Dangin gli offrì una casa di
campagna, vicina al suo castello che sorgeva presso la foresta di
Dreux, nel villaggio di Garnay, e qui nel luglio del 1904 si
stabilì Loisy.
Soltanto nel 1905 riprese il lavoro, pubblicando articoli sulla sua
Revue d'histoire et de littérature religieuse che
riunì poi nel volume dei Morceaux d'exégèse.
Uno di questi, Le message de Jean-Baptiste, svalutava il rapporto
tra il Battista e Gesù e fu segnalato all'Indice, ma il papa,
pur dichiarandosi scandalizzato, non volle dar seguito alla
denuncia.
Pio X aveva del resto problemi molto più gravi con la
Francia: aveva protestato presso i governi europei per la visita del
presidente francese Émile Loubet a re Vittorio Emanuele III,
e per reazione il governo francese aveva rotto le relazioni
diplomatiche. Era così caduto il vecchio regime concordatario
voluto da Napoleone e il progetto di separazione tra Stato e Chiesa,
già avviato all'Assemblea Nazionale dalla commissione Briand,
prendeva vigore e veniva approvato il 3 luglio 1905 dall'Assemblea e
il 6 dicembre dal Senato.
Mentre ebrei e protestanti accolsero con favore la legge, la
reazione cattolica fu violenta: «Quando vidi che tutti gli
sforzi della politica romana non tendevano che a creare
un'agitazione che poteva degenerare in guerra civile [...] disperai
dell'avvenire del cattolicesimo nel nostro paese e mi sentii felice
di non essere più romano per essere ancora, e maggiormente,
del tutto francese».
Mentre attendeva ai suoi Vangeli sinottici, Loisy scriveva articoli
sulla propria rivista, sulla «Revue critique», in cui
combatteva l'assolutismo pontificio, sulla «Revue de
l'histoire des religions», dove prendeva di mira i dogmi
cattolici, e sulla «Revue historique», nella quale
lodò il Manuel d'histoire ancienne du christianisme dello
storico radicale Charles Guignebert: «credo che niente di
più ardito sia ancora mai stato scritto in francese sulla
carriera di Gesù e sui racconti della
resurrezione». In una lettera a padre Semeria, il 22
aprile 1906, scrisse che «l'invariabilità del dogma e
l'infallibilità della Chiesa non sono la stessa cosa della
religione cristiana. Avranno sempre più l'aspetto di concetti
teologici che vanno perdendo ogni rapporto con la realtà e
che sono diventati un ostacolo a ogni progresso
intellettuale».
Il 2 novembre ebbe una grave e lunga malattia che fece temere per la
sua vita. Poiché egli viveva isolato nel villaggio di Garnay,
il medico gli consigliò di stabilirsi dove avrebbe potuto
essere soccorso in caso di necessità. Loisy acquistò
una casa a Ceffonds, un villaggio presso il comune di
Montier-en-Der, dove viveva la famiglia della sorella Marie Louise,
e vi si trasferì il 18 aprile 1907.
La scomunica
Il 15 aprile 1907 la Chiesa sospese a divinis Romolo Murri, il 17
aprile Pio X attaccò in concistoro i modernisti, l'11 maggio
il cardinale Steinhuber, prefetto della congregazione dell'Indice,
chiese la soppressione della rivista dei cattolici liberali
«Il Rinnovamento», il 24 maggio il cardinale Pietro
Respighi proibiva il Dogme et critique di Edouard Le Roy, che il 28
maggio fu condannato anche dal cardinale Richard insieme con la
Revue d'histoire et de littérature religieuse di Loisy.
Il motivo dell'iniziativa era costituito dalla pubblicazione di
alcune Cronache bibliche «irriverenti, temerarie e
pericolose» del Loisy e da tre articoli sul concepimento
verginale di Gesù «contrari al dogma cattolico»
che l'abbé Joseph Turmel vi aveva pubblicato sotto
pseudonimo.
Loisy scrisse il 2 giugno al cardinale Richard, precisando che la
rivista non era «un organo d'insegnamento dogmatico, con un
programma dottrinale che vincoli tutti i suoi collaboratori»,
ma era «una raccolta di lavori scientifici ai quali non si
chiede altro che essere veramente scientifici». Quanto al
«pericolo» costituito da quelle pubblicazioni, Loisy si
dichiarava convinto che «un pericolo non minore e fors'anche
più incalzante» derivasse da quegli insegnamenti e da
quelle idee «che gli odierni intelletti non possono più
sopportare».
Egli scrisse anche al cardinale Steinhuber per difendere l'amico
barone Friedrich von Hügel e al cardinale Merry del Val, nella
sua qualità di membro del Sant'Uffizio, il 14 giugno
contestò la validità del decreto della Pontificia
commissione biblica che il 29 maggio aveva proclamato
l'autenticità apostolica del quarto vangelo: «la mia
lettera contestava il principio stesso di quelle decisioni, che
pretendevano d'imporsi alla scienza e che riposavano su un postulato
teologico». In quel mese Loisy sostenne altre polemiche
epistolari con il giornale cattolico L'Univers, con l'abbé
Joseph Bricout, direttore della Revue du Clergé
français e con i vescovi Henri Bougouin e Pierre Dadolle, che
avevano appoggiato i decreti di condanna del cardinale Richard.
Finalmente, il 3 luglio, avvenne quello che molti da tempo si
aspettavano: il papa emanò il decreto del Sant'Uffizio
Lamentabili sane exitu, che fu pubblicato sull'Osservatore romano il
17 luglio. Definito dall'opinione pubblica un nuovo Sillabo, esso
condannava 65 proposizioni che alteravano i dogmi della Chiesa con
il pretesto d'interpretare le Scritture secondo la critica e la
storia. Loisy ne lesse un'analisi sul giornale Le Matin il 18 luglio
e il 19 luglio scrisse a von Hügel che «questa
pubblicazione è il colpo decisivo di Pio X contro il
modernismo», di non avere intenzione di aderire al sillabo e
di voler comunicare il suo dissenso direttamente al papa o al suo
segretario di Stato.
Non ne ebbe il tempo, perché già l'8 settembre veniva
firmata l'enciclica Pascendi Dominici gregis, pubblicata il 18
settembre, nella quale il modernismo era definito un'eresia. Secondo
i teologi vaticani, il modernismo sarebbe un derivato della
filosofia di Blondel e di Laberthonnière, della filosofia
dell'immanenza, del quietismo, della teologia di George Tyrrell,
della critica storica e della teoria evoluzionistica del
cristianesimo e dei suoi dogmi, delle quali ultime dottrine poteva
essere considerato responsabile proprio il Loisy, per quanto egli
non venisse esplicitamente citato. A fondamento di tutta questa
miscela di dottrine, l'enciclica poneva l'agnosticismo, ispiratore
della critica della Bibbia e della storia della Chiesa.
Il 29 settembre Loisy scrisse al segretario di Stato Merry del Val,
esponendogli la sua critica sui punti essenziali dell'enciclica.
Quello che nel documento è definito agnosticismo, è
per Loisy un fatto di carattere generale: negando implicitamente la
realtà dei miracoli e delle profezie registrate nelle
Scritture, egli scrive che «non si è mai realmente
rilevato un fenomeno nel quale si possa discernere senza il minimo
dubbio un intervento particolare e personale di Dio, sia nel mondo,
sia nella storia».[82] Rispondendo sui principi della
trasfigurazione e dello sfiguramento dei fenomeni - due termini con
i quali l'enciclica aveva descritto le trasformazioni dei fatti e
delle persone storiche introdotte dalla fede - Loisy ribadiva la
legittimità della critica storica di indagare i fatti reali,
distinguendoli da quelli leggendari.
L'arcivescovo Léon Annette
Criticava l'esposizione compiuta dall'enciclica dell'opera della
critica storica: per Loisy, questa deve determinare il senso storico
dei fatti, diversamente dall'esegesi teologica e pastorale, che si
propone invece l'edificazione delle anime. E concludeva:
«Poiché mi si accusa ora di malafede
nell'interpretazione critica della Bibbia, protesto con tutto il
cuore, protesterò fino all'ultimo mio respiro contro
un'imputazione così odiosa e dichiaro, Monsignore, che
ciò è falso».
Il 18 gennaio 1908 il vescovo di Langres Sébastien Herscher
(1855-1931), su istruzioni da Roma, gli chiese per lettera di
aderire al decreto Lamentabili, «affinché il Santo
Padre non sia costretto a prendere i provvedimenti necessari a
sopprimere lo scandalo del quale la sua permanenza nella Chiesa
è causa». Loisy rispose il giorno dopo, dichiarando che
il decreto aveva travisato il senso di molte delle proposizioni
condannate, così come l'enciclica Pascendi aveva distorto la
natura della critica storica. Pur precisando di non riconoscersi
nemmeno in alcune delle teorie condannate dall'enciclica, Loisy
rifiutava comunque di aderire alla condanna del modernismo,
poiché essa equivarrebbe «alla confessione che non
esiste più in me alcuna idea consistente e che sono
attualmente fuori d'ogni senno [...] il mio spirito sarebbe incapace
di vivere nell'atmosfera del decreto Lamentabili e dell'enciclica
Pascendi, come i miei polmoni sarebbero incapaci di respirare in
fondo al mare».
Il 31 gennaio uscirono le sue Semplici riflessioni sul decreto e
l'enciclica, e i due grossi volumi de I vangeli sinottici. Il
radicalismo critico di Loisy fece molta impressione: si disse che
tutta la tradizionale esegesi evangelica vi veniva distrutta, molto
più di quanto non avesse fatto lo stesso Renan, e che la
divinità di Gesù vi era negata. All'amico arcivescovo
di Albi Eudoxe-Irénée Mignot, preoccupato per le
reazioni suscitate, Loisy rispose che i dogmi «come la
concezione verginale e la resurrezione di Cristo, proprio
perché sfuggono a ogni dimostrazione storica, sfuggono pure
alla realtà della storia; né la tradizione, né
la Scrittura possono farci nulla. Bisogna ricercarne, semmai, il
significato morale». Les Évangiles synoptiques e le
Simples réflexions furono prontamente condannati il 14
febbraio dal nuovo arcivescovo di Parigi, Léon-Adolphe
Amette.
Il vescovo Herscher - su istruzioni del cardinale Merry del Val -
gli scrisse nuovamente il 21 febbraio, scongiurandolo di
«eliminare con una sottomissione pronta, franca, filiale, la
terribile pena» della scomunica, e Loisy gli rispose
brevemente due giorni dopo che gli era «impossibile compiere
onestamente, con sincerità, l'atto di ritrattazione e di
sottomissione assolute» voluto dal papa. Sabato 7 marzo 1908,
festa di San Tommaso, il Sant'Uffizio si riunì ed emise il
decreto, pubblicato quel giorno stesso in latino dall'Osservatore
romano:
« [...] apertamente constando la sua
confermata contumacia, dopo le formali canoniche ammonizioni, questa
Suprema Congregazione della Santa Romana ed Universale Inquisizione,
onde non manchi al suo ufficio, per espresso mandato del SS.mo
Signor Nostro Pio P. P. X, pronuncia la sentenza di scomunica
maggiore nominatamente e personalmente contro il sacerdote Alfred
Loisy, e lo dichiara colpito da tutte le pene dei pubblicamente
scomunicati, e perciò essere egli uno scomunicato vitando, e
che da tutti deve essere evitato »
Il decreto di scomunica, che fu affisso sulle principali chiese
della diocesi di Langres, imponeva ai parroci di non celebrare riti
in presenza dello scomunicato e ai credenti di non frequentarlo. Non
avrebbe avuto diritto a funerali religiosi e «la presenza del
suo cadavere sarebbe una causa di profanazione per il
cimitero». Un paio di volte Loisy fu insultato per strada
da qualcuno «che aveva sulla coscienza più vino che
indignazione», e la sua domestica si lasciò convincere
dal parroco di Ceffonds a lasciare il servizio, ma tornò due
mesi dopo, quando il sarto aveva ormai trasformato gli abiti talari
dell'ex-abbé in pastrani. Ebbe del resto numerosi
attestati di solidarietà, e se la scomunica gli
«restituiva la libertà», avrebbe però
potuto compromettere la sua posizione sociale e professionale.
Professore al Collège de France (1909-1932)
Il 6 maggio 1908 morì Jean Réville, professore di
storia delle religioni al Collège de France di Parigi, e tre
suoi colleghi si fecero subito promotori della candidatura di Loisy
alla cattedra rimasta vacante. La candidatura fu appoggiata anche
dalla marchesa Marie Louise Arconati Visconti, figlia del senatore
Alphonse Peyrat e influente benefattrice del Collège, ed ebbe
l'autorevole avallo del filosofo Henri Bergson. Loisy
accettò, e la proposta fu resa pubblica alla fine di maggio,
suscitando i commenti scandalizzati della stampa cattolica.
Il 31 gennaio 1909, superando la concorrenza di altri sette
candidati, Loisy ottenne la maggioranza dei voti dei professori del
Collège. Secondo la prassi, nel merito doveva pronunciarsi
anche l'Accademia di Scienze Morali, che il 27 febbraio
confermò Loisy. Il decreto di nomina fu pubblicato il 2 marzo
sul Journal Officiel. Un breve comunicato della Semaine religieuse
del 13 marzo riferiva che l'arcivescovo di Parigi aveva il
«doloroso dovere di ricordare ai fedeli» che era loro
vietato di assistere alle lezioni di Loisy.
Davanti a trecento ascoltatori, il 3 maggio tenne la sua prolusione,
dedicata al programma che egli intendeva svolgere nel corso del
prossimo anno accademico. Avrebbe trattato il sacrificio, la
divinazione, la profezia, la preghiera, la morale e le credenze
religiose, il sacerdozio e le iniziative riformatrici che diedero
origine alle grandi religioni universali. All'uscita, lo attendeva
una folla di sostenitori e qualche contestatore, tenuto a bada dal
servizio d'ordine. Il 6 ottobre Loisy prese alloggio in un
appartamento vicino al Collège, in rue des Écoles 4
bis.
In giugno era apparso nelle librerie il suo libro sulla Religione
d'Israele. Nella prefazione scriveva che la preoccupazione di
adattare il cattolicesimo allo spirito moderno era ormai estranea al
suo spirito, e perciò si sarebbe astenuto da ogni
considerazione «che tendesse a interpretare l'insegnamento
della Chiesa secondo le esigenze del pensiero contemporaneo».
E nella conclusione vi era un'eco delle polemiche degli ultimi anni:
« È pressoché inutile chiedersi se il giudaismo
avrebbe potuto compiere esso stesso l'opera del cristianesimo [...]
non ci si immagina le autorità del giudaismo, preti e
dottori, sacrificare la lettera della Legge, sopprimere le
osservanze tradizionali e trasformarsi in Chiesa universale per
ricevere i pagani senza imporre loro il marchio della circoncisione.
Una tale metamorfosi sarebbe apparsa equivalente al suicidio
dell'antica religione. Un gruppo sociale non può voler
effettuare un suicidio di questo genere, quand'anche fosse una
condizione indispensabile e certa di resurrezione [...] la massa dei
credenti non comprende questa necessità; le autorità
non osano né vogliono discuterla »
(A. Loisy, La Religion d'Israël, 1908, p.
295)
Il problema delle origini cristiane (1911-1913)
Il problema critico delle origini del cristianesimo si era posto con
forza dal 1863, quando fu pubblicata la Vita di Gesù di
Ernest Renan, quando gli storici non apologeti ritenevano di poter
scrivere una biografia di Gesù fondandosi su fatti certi
ricavati dagli Evangeli. Agli albori del nuovo secolo si
tentò di ricostruire un proto-vangelo di Marco e raccogliere
dei detti attribuibili con qualche certezza a Gesù, i Logia,
finché gli studiosi si divisero in mitologi, che negarono
l'esistenza stessa di Gesù, e in storicisti, ed entrambi
analizzarono i testi per definire lo stato dei riti e delle credenze
delle comunità cristiani primitive e individuarvi gli
influssi delle idee ebraiche e pagane del tempo.
A quest'ultima corrente appartenne Loisy, che nel gennaio del 1910
riprese le pubblicazione della «Revue d'histoire et de
littérature religieuse» e, ormai libero da ogni
preoccupazione di ortodossia, riprese le sue analisi sulle origini
del cristianesimo pubblicando Jésus et la tradition
évangelique, dove considera autentica la predicazione sul
prossimo avvento del Regno e la sua morte in quanto agitatore
messianico. Nel 1911 apparve A propos d'histoire des religions, dove
sostiene che «l'oggetto proprio, ultimo, della religione
è una realtà - se è pure una realtà -
invisibile, impalpabile, inattingibile, si può dire
inconcepibile [...] un oggetto chimerico», prevedendo
altresì una «decadenza irrimediabile» e non
passeggera del cattolicesimo in Francia.
Nel 1913 pubblicò le Choses passées, ripercorrendo
tutta la sua vita fino alla scomunica. Questa sua prima
autobiografia era già comparsa a puntate dall'ottobre del
1912 al maggio del 1913 sulla rivista «Union pour la
verité», fondata e diretta da Paul Desjardin. La
confessione della sua lontananza dalla fede cristiana, testimoniata
dalla pubblicazione di estratti del suo diario del 1904, dove si era
definito «piuttosto panteista-positivista-umanitario che
cristiano», dichiarato «pura impossibilità»
l'immortalità umana e «strana ingenuità o
insensato orgoglio» l'idea che Dio conti sull'uomo «per
ornare il suo cielo», fece gridare allo scandalo la stampa
cattolica.
La guerra (1914-1918)
La guerra lo sorprese nella casa di Ceffonds, dove ospitò i
famigliari sfollati da Ambriéres nei cui pressi infuriava la
battaglia della Marna. A dicembre riprese le lezioni, dedicate alla
storia del sacrificio e alla lettera ai Galati di Paolo. I suoi
corsi negli anni di guerra trattarono nel loro complesso gli Atti
degli Apostoli, la figura di Paolo e il cristianesimo giudaizzante.
Non rimase estraneo alle riflessioni che la grande strage della
guerra sollecitava negli spiriti. Avendo sospeso le pubblicazioni
della sua Revue, Loisy fu invitato a collaborare agli Entretiens des
non-combattants pendant la guerre di Paul Desjardins, e nel marzo
del 1915 pubblicò l'opuscolo Guerre et religion.
Per ragioni di opportunità, non vi espresse interamente il
suo pensiero sul rapporto tra la guerra e la religione, che nella
pubblica opinione veniva ora ridotta a sostegno per la vittoria
militare. Il Dio dei cristiani non avrebbe dovuto fare distinzioni
tra i popoli, ma Nicola II invocava la protezione di un «Dio
della Russia» e Giorgio V ordinava preghiere per
«incoraggiare il Dio degli Inglesi e del loro immenso impero a
difendere i suoi adoratori».
Il Dio della fede mistica dei primi cristiani, che salvava dal
peccato e dalla morte eterna, è ridotto a dio nazionale,
segno del «fallimento di tutte le religioni», ma i
combattenti non si fanno ammazzare «né per Cristo
né per il cielo», ma per la vecchia patria francese e
per l'avvenire della Francia nell'umanità. Da qui, dal
culto della patria, che ora è dominante a causa della guerra,
occorrerà passare e scoprire una religione nuova, una
religione dell'avvenire, veramente universale e fondata sulla
nozione di umanità, della società di tutti gli esseri
umani: «il dovere di ciascuno è dedicarsi interamente
alla società che lo ha allevato [...]. La nozione morale
dell'umanità ha un valore profondo, un valore di
realtà e nello stesso tempo un valore mistico, un valore
religioso».
Anche l'opuscolo Mors et Vita, scritto nel 1916 in polemica con i
reazionari Ernest Psichari e Paul Bourget, opponeva ai valori
tradizionali del nazionalismo e del cattolicesimo una nuova fede
nella pratica del dovere sociale e umanitario. Tesi sviluppata nel
libro La religione, definita il sentimento di reverenza «che
l'uomo ha provato dinnanzi alle cose, agli altri uomini e alla sua
propria personalità» Pur tenuta distinta dalla
morale, che determina gli obblighi, la religione dà alle
regole della morale il carattere del sacro ed entrambe tendono a
«essere una stessa cosa, una stessa perfezione
d'umanità».
Loisy scrive di volre credere «all'avvento dell'umanità
una, santa, universale, vera Chiesa dello spirito», un giorno
trionfante dalla condizione di sofferente in cui ora si trova.
Anche questa religione dell'umanità, come tutte le altre,
avrà un giorno i suoi riti, le sue commemorazioni, i suoi
atti simbolici. Loisy volle concludere poeticamente la sua fede
nella religione dell'avvenire:
« Un immenso fiume di oblio ci trascina in una voragine
senza fondo. O abisso, tu sei il Dio unico. Qui tutto è solo
simbolo e sogno. Gli dèi passano come gli uomini, né
sarebbe bene che fossero eterni. La fede che si è avuta non
deve mai essere una catena. Da essa ci si è liberati quando
la si è avvolta con cura nel sudario di porpora dove dormono
gli dèi morti. »
Il 2 dicembre 1918, a guerra finita, Loisy iniziò il nuovo
anno accademico con una lezione sulla pace e sulla religione
dell'avvenire, citando l'esclamazione d'Isaia, «È
caduta, è caduta Babilonia!». L'imperialismo russo era
stata la prima Babilonia temporale a cadere con la guerra, e
«l'imperialismo ecclesiastico, Babilonia spirituale», si
avvicinava anch'esso, secondo Loisy, all'abisso. Rendeva omaggio al
presidente americano Wilson e al suo popolo che avevano reso
possibile il trionfo della pace universale garantita dalla
federazione dei popoli liberi: «il presidente degli Stati
Uniti ha parlato come mediatore della nuova alleanza e come papa
dell'umanità».