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Storico italiano (Camporgiano 1876 - Torino 1947); professore di
storia moderna nell'università di Torino, si occupò
prevalentemente di storia del Risorgimento. Tra i suoi lavori
migliori, pregevoli per il preciso controllo delle fonti, sono da
segnalare: La restaurazione austriaca a Milano (1902), La politica
estera di Carlo Alberto (1928), Carlo Felice (1931); di carattere
più ampio, Le origini del Risorgimento italiano 1748-1815
(1906).
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DBI
di Roberto Pertici
LEMMI, Francesco. - Nacque a Poggio di Camporgiano, in Garfagnana,
il 29 giugno 1876 da Pietro e da Teresa Musettini. Intorno ai dieci
anni si trasferì a Massa presso lo zio sacerdote Andrea
Musettini. Nel 1895, si iscrisse all'Istituto di studi superiori di
Firenze, dove studiò con P. Villari, orientandosi verso la
storia del Risorgimento.
Si trattava di una scelta insolita in un sistema universitario in
cui alla storia contemporanea non veniva riconosciuto uno statuto
"scientifico" ed è quindi significativo che la sua tesi di
licenza (presentata, cioè, dopo i primi due anni di corso) su
Nelson e Caracciolo e la Repubblica napoletana, venisse accolta, nel
1898, nelle gravi "Pubblicazioni" dell'Istituto.
Per la tesi di laurea (1899) iniziò gli studi sulla
restaurazione austriaca a Milano, che dovevano poi confluire nel
volume La restaurazione austriaca a Milano nel 1814, con appendice
di documenti tratti dagli archivi di Vienna, Londra, Milano…
(Bologna 1902). Dopo il diploma di perfezionamento in storia (1900),
intraprese la carriera di insegnante di scuola media, prima a
Firenze (1901-02), poi a Prato (1902-03), infine come titolare di
storia insegnò per oltre vent'anni nel liceo Cavour di Torino
(1904-26). Ottenne a Firenze la libera docenza in storia moderna il
14 luglio 1906 e poi, trasferitosi a Torino (31 marzo 1909), come
libero docente iniziò l'insegnamento universitario.
Il L. fu, quindi, fin da subito un "risorgimentista" e appartenne a
quella generazione di studiosi che, tra la fine dell'Ottocento e la
prima guerra mondiale, cercò di dare una nuova base a quegli
studi attraverso l'esame sistematico delle fonti archivistiche, non
solo italiane, ma anche austriache, tedesche e inglesi (per un
bilancio, cfr. la sua guida bibliografica Il Risorgimento, Roma
1926).
Il L. si ricollegò alla tendenza filologico-critica
inaugurata da A. Luzio, cui dedicò "con devoto affetto" La
politica estera di Carlo Alberto nei suoi primi anni di regno
(Firenze 1928). Tuttavia ebbe anche una notevole vocazione per le
trattazioni ampie di interi periodi storici, rivolte a un pubblico
"colto": V. Fiorini - F. Lemmi, Storia d'Italia dal 1799 al 1814,
Milano 1918 (del L., le pp. 289-1117); Storia contemporanea
(1748-1918), ibid. 1925.
Importante per lui fu anche la lezione di A. Franchetti, autore di
una pionieristica Storia d'Italia dal 1789 al 1799, di cui il L.
curò una seconda edizione riveduta e ampliata (ibid. 1907).
Da Franchetti apprese l'importanza decisiva che la Rivoluzione
francese aveva avuto nelle "origini del Risorgimento italiano": la
diffusione delle idee rivoluzionarie in Italia, l'impatto
dell'invasione napoleonica del 1796 (Diplomatici sardi del periodo
della Rivoluzione (1789-1796), in Miscellanea di storia italiana,
1922); la creazione delle Repubbliche "giacobine", la reazione
austro-russa del 1799 e il crollo della Repubblica napoletana
(Nelson e Caracciolo e la Repubblica napoletana, Firenze 1898;
Spigolature nelsoniane, Alessandria 1900; La polemica Mahan-Badham
su Nelson a Napoli nel 1799, in Revue Napoléonienne, III
(1903), pp. 430-449; Per la storia della deportazione nella Dalmazia
e nell'Ungheria, in Arch. stor. italiano, s. 5, XL [1907], pp.
310-348), il definitivo affermarsi dell'egemonia napoleonica in
Italia (Roma nell'Impero napoleonico, ibid., LXXIII [1915], pp.
119-142), la sua crisi (La Restaurazione in Italia nel 1814 nel
diario del barone von Hügel (9 dic. 1813 - 25 maggio 1814),
Roma-Milano 1910), l'azione politica di Gioacchino Murat e il
fallimento del suo tentativo "unitario" (Gioacchino Murat e le
aspirazioni unitarie nel 1815, in Arch. stor. per le provincie
napoletane, XXIV [1901], pp. 169-222; La fine di Gioacchino Murat,
in Arch. stor. italiano, XXXIII [1900], pp. 250-294) furono
così, per lunghi anni, i nuclei tematici dei suoi lavori.
Come non pochi storici della sua generazione, il L. cercava di
cogliere le "origini dell'Italia contemporanea" e li scorgeva nel
trentennio 1789-1815 (Le origini del Risorgimento italiano
1789-1815, Milano 1906): più tardi allargò la sua
visuale a tutta la seconda metà del Settecento, al periodo
dei Lumi e delle riforme (Le origini del Risorgimento italiano
(1748-1815), 2ª ed., ibid. 1924).
Tuttavia egli non era un filoilluminista o un "giacobino". Il
Risorgimento italiano si inseriva - a suo modo di vedere - in un
processo epocale, la "fine del Medio Evo" (oggi diremmo dell'ancien
régime), che aveva visto l'introduzione del modello
costituzionale-rappresentativo di origine anglofrancese nei
principali paesi europei. Questa fase era stata aperta dalla
politica dei principi illuminati e dalla Rivoluzione francese, che
avevano esercitato un'influenza decisiva anche sul processo unitario
italiano: con l'Unità infatti, erano state introdotte anche
in Italia le istituzioni liberali, ma prive di una base effettiva
nella società nazionale e, quindi, singolarmente deboli e
fragili.
L'unico forte elemento di continuità era stato il Piemonte
sabaudo, che già alla fine del Settecento, nella sua
opposizione alla Rivoluzione francese e all'invasione napoleonica,
aveva sviluppato un forte legame fra dinastia, aristocrazia e
popolo.
L'interesse che sempre il L. nutrì per J. de Maistre è
rivolto all'aristocratico savoiardo, fedele servitore del suo re e
nemico dell'imperialismo rivoluzionario (G. De Maistre in Sardegna,
in Fert, n.s., III [1931], pp. 240-268; G. De Maistre, in Rass.
mensile municipale "Torino", febbraio 1935, pp. 1-11; G. De Maistre
a Losanna, in Fert, n.s., VIII [1936], pp. 182-215; nonché,
postumo, G. De Maistre, in Boll. storico-bibliografico subalpino,
LXV [1967], pp. 9-46).
Nella visione del L. avanti il 1915 una concezione "sabaudistica"
del processo unitario coesiste, quindi, con il pieno riconoscimento
della centralità della Rivoluzione francese e del periodo
napoleonico nella storia italiana: nel manuale pubblicato nel marzo
1915 (Manuale di storia moderna, dalla pace di Aquisgrana ai giorni
nostri, per le scuole superiori e per le persone colte, Città
di Castello), non nasconde "qualche punta nazionalista" e
soprattutto insiste sulla "nostra missione nel Mediterraneo e [sul]
culto delle nostre tradizioni senza ombra di feticismo per il
forestierume introdotto nelle nostre istituzioni politiche dalla
rivoluzione francese" (il L. a P. Villari, 24 apr. 1913). Ben altra
solidità e forza ha raggiunto la nazione tedesca, che ha
costruito uno Stato possente, seguendo il suo genio nazionale e
rifiutando modelli stranieri: il L. si mostra così (ancora
nel 1915) un fervente germanofilo e triplicista.
Tale visione della storia recente corrispondeva alle posizioni
politiche del L. nell'età giolittiana: un'informazione del
prefetto di Torino del dicembre 1930 lo avrebbe definito "ascritto"
al partito nazionalista fino al 1915 e, dopo di allora, lontano
dalla politica.
Come insegnante, si iscrisse alla FNISM (Federazione nazionale
insegnanti scuola media), ma ne uscì disgustato dopo il
congresso di Roma del settembre 1904 (il L. a P. Villari, 5 ott.
1904). La guerra di Libia gli sembrò di "grande importanza
per il nostro avvenire", in quanto aveva rivelato "una coscienza
nazionale di cui tutti un po' dubitavamo" (a Villari, 27 dic. 1911).
Nell'estate del 1914, fedele al suo triplicismo e alla sua
ostilità verso l'"imperialismo" franco-inglese, avrebbe
auspicato (come altri nazionalisti) l'ingresso in guerra a fianco
degli alleati della Triplice. Dopo la dichiarazione di
neutralità, non sostenne l'intervento con l'Intesa e si
atteggiò a neutralista: fu in questi mesi che si
consumò il suo rapporto col nazionalismo. Anche se per breve
tempo indossò, a quarant'anni, il grigioverde come
volontario, il L. non condivise mai il mito della Grande Guerra.
Questa estraneità comportò una lontananza originaria
dal movimento che della vittoria si considerava l'unico erede, il
fascismo.
Nel dopoguerra si venne dedicando prevalentemente alla storia del
Regno di Sardegna (Il processo del principe della Cisterna (1821),
in La rivoluzione piemontese dell'anno 1821, I, Torino 1923, pp.
1-99; Intorno al gen. Ramorino, in Il Risorgimento italiano, XVI
[1923], pp. 289-346) e della dinastia di Savoia, in particolare dei
suoi re ottocenteschi: Carlo Felice, cui dedicò una
monografia (Torino 1931), e soprattutto Carlo Alberto (Carlo Alberto
e Francesco IV: lettere inedite, in Il Risorgimento italiano, XX
[1927], pp. 305-373; La politica estera di Carlo Alberto nei suoi
primi anni di Regno, cit.; Censura e giornali negli Stati sardi al
tempo di Carlo Alberto, Torino 1943).
Il L. tuttavia non aderì all'indirizzo sabaudistico
fortemente promosso dal quadrumviro C.M. De Vecchi e la sua varia
produzione carloalbertina non mostrò gli spiccati intenti
apologetici che allora contraddistinsero la storiografia su quel
sovrano.
Nel 1926 venne bandito dall'Università di Milano quello che
fu - a livello nazionale - il primo concorso per cattedre di storia
del Risorgimento: il L. riuscì vincitore e fu chiamato nella
facoltà di lettere di Torino (1° genn. 1927). Quando,
dopo la morte di P. Egidi, l'insegnamento di storia moderna fu
distinto da quello della storia medievale e si fuse con la storia
del Risorgimento, il L. divenne titolare di questa cattedra (1930).
Allorché esso venne nuovamente sdoppiato (1936), cedette a R.
Quazza la storia del Risorgimento e rimase a storia moderna. Con G.
Falco e F. Cognasso il L. subentrò allo scomparso Egidi anche
nella direzione della Rivista storica italiana, fino al momento in
cui questa fu lasciata nelle mani, politicamente più
affidabili, del solo Cognasso (1931).
Il suo ingresso "ufficiale" in facoltà fu avvertito come una
ventata d'aria nuova ed ebbe, anche politicamente, un significato di
non totale ortodossia. Il L. non era fascista: iscritto precocemente
all'Associazione professori universitari fascisti, aveva tardato a
chiedere la tessera del partito e quando lo aveva fatto, al momento
della riapertura delle iscrizioni nel 1932, si era visto respingere
la domanda "per dubbia fede fascista". Nel 1931 aveva prestato il
giuramento richiesto ai professori universitari, mettendo in chiaro
che vi era costretto dalla propria situazione economica. Negli anni
Trenta, la polizia più volte intercettò nella posta a
lui diretta materiale di propaganda antifascista proveniente dalla
Francia e dal Belgio, ma il prefetto di Torino si fece a più
riprese garante della sua condotta politica. Tuttavia non mancarono,
forse anche per proteggersi le spalle, momenti di ossequio (anche
ostentato) al regime e ai suoi uomini (cfr. A. D'Orsi, La cultura a
Torino tra le due guerre, Torino 2000, p. 318; F. Lemmi, Lettere e
diari d'Africa, Roma 1937; 2ª ed., ibid. 1938). Per tutti
quegli anni intensissima fu la sua collaborazione con l'Enciclopedia
Italiana, soprattutto con voci di storia risorgimentale (fra cui
quella su Cavour) e di storia della Rivoluzione francese (da
Robespierre a Vandea).
Dopo il 1935, il L., ormai accademicamente un "modernista",
cominciò a inoltrarsi in un campo nuovo, che stava suscitando
grande interesse in Italia (F. Ruffini, B. Croce, A. Casadei, F.
Chabod, D. Cantimori): quello della storia religiosa del
Cinquecento, della Riforma in Italia e degli eretici italiani esuli
per l'Europa. Un primo frutto di queste ricerche è il volume
antologico La Riforma in Italia e i riformatori italiani all'estero
nel secolo XVI (Milano 1939), che meritò un giudizio positivo
anche da parte di Cantimori (in Politica e storia contemporanea, a
cura di L. Mangoni, Torino 1991, pp. 672 s.). Il manoscritto di
un'opera ben più ponderosa fu distrutto durante un
bombardamento aereo del 1943. Proprio per questi nuovi interessi,
che sembra provenissero anche da un suo personale approfondimento
della tematica religiosa, ebbe, nel 1944, nella facoltà
torinese pure l'incarico di storia delle religioni. All'indomani
della liberazione della città, anche in riconoscimento della
sua condotta politica durante il regime, fu nominato commissario e
poi eletto preside della facoltà di lettere (24 settembre -
18 dic. 1945) e vicerettore dell'Università.
Il L. morì a Torino il 24 sett. 1947.