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      È noto come legge Casati il regio decreto legislativo 13
      novembre 1859, n. 3725 del Regno di Sardegna, entrato in vigore
      nel 1860 e successivamente esteso, con l'unificazione, a tutta
      l'Italia. La legge, che prese il nome dal Ministro della Pubblica
      Istruzione Gabrio Casati e fece seguito alle leggi Bon Compagni
      del 1848 e Lanza del 1857, riformò in modo organico
      l'intero ordinamento scolastico, dall'amministrazione
      all'articolazione per ordini e gradi ed alle materie di
      insegnamento, confermando la volontà dello Stato di farsi
      carico del diritto-dovere di intervenire in materia scolastica a
      fianco e in sostituzione della Chiesa cattolica che da secoli
      deteneva il monopolio dell'istruzione.
      
      La legge si ispirò al modello prussiano sia nell'impianto
      generale che nel sistema organizzativo fortemente gerarchizzato e
      centralizzato. Si propose, inoltre, di contemperare diversi
      principi: il riconoscimento dell'autorità paterna,
      l'intervento statale e l'iniziativa privata. A tal proposito, la
      legge sancì il ruolo normativo generale dello Stato e la
      gestione diretta delle scuole statali, così come la
      libertà dei privati di aprirne e gestirne di proprie, pur
      riservando alla scuola pubblica la possibilità di
      rilasciare diplomi e licenze.
      
      Storia
      
      L'elaborazione della legge avvenne in un periodo storico che
      vedeva il Regno di Sardegna impegnato nelle vicende inerenti alla
      seconda guerra di indipendenza. Per questo motivo la norma non fu
      discussa in parlamento ma, grazie ai poteri straordinari dallo
      stesso conferiti al Governo del Re, venne stesa interamente da una
      commissione di cui faceva parte Angelo Fava, esule veneto che,
      specie nell'ordinamento della scuola elementare, portò le
      esperienze introdotte da anni nel Regno Lombardo-Veneto.
      
      Con l'Unità, la Destra storica, di fronte ai gravissimi
      problemi del nuovo stato, scelse di mantenere la legge Casati,
      abbandonando l'idea di una nuova riforma scolastica. In seguito
      furono apportate delle modifiche alla legge che, tuttavia, rimase
      in vigore fino al 1923, quando intervenne la riforma Gentile.
    
Contenuti della legge
      
      La legge Casati era costituita da numerosi articoli ordinati in
      cinque titoli:
      
          il Titolo I "Dell'Ordinamento della Pubblica
      Istruzione" definiva l'organizzazione della scuola a livello
      centrale e locale, stabilendo le attribuzioni di ogni organo ed
      istituendo a livello centrale il Consiglio superiore della
      pubblica istruzione;
          il Titolo II "Dell'Istruzione Superiore"
      dettava norme in materia di studi universitari ed accademici;
          il Titolo III "Dell'Istruzione Secondaria
      Classica" istituiva e regolava il ginnasio ed il liceo;
          il Titolo IV "Dell'Istruzione Tecnica"
      istituiva e regolava le scuole tecniche e gli istituti tecnici;
          il Titolo V "Dell'Istruzione Elementare"
      istituiva e regolava le scuole elementari.
      
      Sistema scolastico
      
      La legge era ispirata ad una concezione dell'educazione
      essenzialmente elitaria, nella quale veniva dato ampio spazio
      all'istruzione secondaria e superiore (universitaria) ma scarso
      risalto a quella primaria (non a caso la legge iniziava con la
      disciplina dell'istruzione superiore e non, come sarebbe stato
      più logico, con quella dell'istruzione elementare).
      Tracciava inoltre una netta separazione tra la formazione tecnica,
      volta a formare la classe operaia specializzata, da quella
      classica, di stampo umanistico, volta a formare le classi
      dirigenti. D'altro canto, riconosceva una certa parità fra
      i due sessi riguardo alle esigenze dell'educazione.
      
      L'istruzione elementare, a carico dei comuni, era articolata in
      due cicli: un ciclo inferiore biennale, obbligatorio e gratuito,
      istituito nei luoghi dove ci fossero almeno 50 alunni in
      età di frequenza, e un ciclo superiore, anch'esso biennale,
      presente solo nei comuni sede di istituti secondari o con
      popolazione superiore a 4.000 abitanti.
      
      L'istruzione secondaria classica, l'unica che consentiva l'accesso
      a tutte le facoltà universitarie, era articolata nel
      ginnasio, di cinque anni, a carico dei comuni, seguito dal liceo,
      di tre anni, a carico dello Stato, presenti in ogni capoluogo di
      provincia.
      
      L'istruzione secondaria tecnica era invece articolata nella scuola
      tecnica, di tre anni, gratuita ed a carico dei comuni, seguita
      dall'istituto tecnico, di tre anni, a carico dello Stato;
      l'istituto tecnico era diviso in sezioni, una delle quali, la
      sezione fisico-matematica, consentiva l'iscrizione alla
      facoltà di scienze matematiche, fisiche e naturali,
      
      Per la formazione dei maestri elementari furono istituite le
      scuole normali (quelle pubbliche erano 18, 9 maschili e 9
      femminili) di durata triennale, alle quali si accedeva a 15 anni
      per le femmine e a 16 per i maschi. Il reclutamento dei maestri
      elementari, demandato a comuni spesso privi di adeguate risorse
      finanziarie e destinatari di disposizioni di legge che la stessa
      non sanzionava, sarebbe risultato uno dei punti deboli in sede di
      attuazione della legge, tanto che sovente la loro preparazione
      lasciava a desiderare. Anche per questo motivo, oltre che per una
      mentalità che le portava a mantenere le distanze dalle
      altre classi sociali, le famiglie delle classi più agiate
      disdegnarono la scuola elementare, preferendo istruire
      privatamente i loro figli come, del resto, la legge consentiva
      (era la cosiddetta scuola paterna: l'insegnamento era impartito
      dagli stessi genitori o dal precettore incaricato dalla famiglia;
      l'allievo doveva poi sostenere un esame di stato).
      
      Quanto all'università, alle tre facoltà di origine
      medioevale - teologia (soppressa nel 1873), giurisprudenza,
      medicina - se ne aggiunsero due nuove: lettere e filosofia e
      scienze fisiche, matematiche e naturali; a quest'ultima venne
      annessa la scuola di applicazione per la formazione degli
      ingegneri, della durata di tre anni, alla quale si accedeva dopo
      aver frequentato il biennio della facoltà.
      
      Tra le materie era prevista la "dottrina religiosa" il cui
      insegnamento era affidato nelle scuole elementari al maestro sotto
      il controllo dal parroco, nelle scuole secondarie tecniche e
      classiche ad un direttore spirituale nominato dal vescovo (abolito
      nel 1877) e nelle scuole normali, dove costituiva materia d'esame,
      ad un docente titolare di cattedra (norme abolite nel 1880); fu
      però data alle famiglie la possibilità di chiederne
      l'esonero.
      Amministrazione scolastica
      
      La legge disegnò un'organizzazione dell'amministrazione
      scolastica nettamente accentrata, secondo quel principio
      centralistico e unificatore che pervadeva all'epoca tutta la
      politica del Regno.
      
      L'intera amministrazione scolastica faceva capo al Ministero della
      Pubblica istruzione (istituito nel 1847), sebbene al Ministero
      dell'Agricoltura e Commercio fosse stata demandata la formazione
      tecnica e al Ministero dell'Interno spettassero alcune competenze
      in materia. Il Ministro della Pubblica istruzione era affiancato
      dal Consiglio superiore delle Pubblica istruzione, composto da 21
      membri di nomina regia.
      
      Organi locali erano il rettore per l'università
      nonché, in ogni capoluogo di provincia, il provveditore
      agli studi per l'istruzione secondaria e l'ispettore scolastico
      per l'istruzione elementare. In ogni provincia era inoltre
      istituito un consiglio provinciale scolastico presieduto dal
      provveditore agli studi e composto dall'ispettore scolastico, dal
      preside del liceo, dai direttori del ginnasio e delle scuole e
      istituti tecnici nonché da membri nominati dalla
      deputazione provinciale (attuale giunta provinciale) e dal comune
      capoluogo di provincia.
    
Obbligo scolastico
      
      La legge sancì l'obbligatorietà e la gratuità
      del primo biennio dell'istruzione elementare; peraltro, pur
      minacciando pene a coloro che trasgredivano tale obbligo, non
      specificò quali fossero queste pene, né lo fece il
      codice penale, con il risultato che le disposizioni sull'obbligo
      scolastico furono ampiamente disattese in un paese nel quale
      l'evasione scolastica era molto diffusa, soprattutto nelle regioni
      meridionali (secondo i dati ISTAT nel 1861 l'analfabetismo
      maschile era del 74% e quello femminile del 84%, con punte 95%
      nell'Italia meridionale). Va però tenuto presente che: "la
      lentezza del processo di alfabetizzazione della popolazione
      italiana non fu dovuto solo all'attribuzione ai Comuni del
      compimento di provvedere all'istruzione e al mantenimento delle
      scuole elementari, ma anche alla struttura del sistema economico e
      sociale dell'Italia di allora, caratterizzata da una forte
      prevalenza del settore primario (nel 1861 il 69,7% della
      popolazione attiva era dedito all'agricoltura), da una rigida
      stratificazione sociale, da fortissime resistenze di gruppi
      reazionari, da una domanda di istruzione proveniente dalle
      famiglie ancora molto limitata, in relazione alle miserevoli
      condizioni di vita delle classi sociali inferiori".
      
      Per una prima effettiva sanzione dell'obbligo scolastico si
      dovrà attendere il 1877, con la legge Coppino che
      elevò la durata del grado superiore dell'istruzione
      elementare a tre anni e sancì l'obbligo dai sei a nove anni
      di età.