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Lattànzio ‹-z-›, Firmiano (lat. Lucius Caecilius [meglio che
      L. Caelius] Firmianus Lactantius). - Apologista cristiano
      (3º-4º sec.), di origine africana (Firmianus non significa
      "di Fermo"). Scrittore raffinato e dallo stile ciceroniano, sebbene
      pensatore modesto, è figura di notevole importanza
      soprattutto per il suo tentativo di  compiere, in ambiente
      latino, la fusione tra cultura classica e religione cristiana. Tra
      le sue opere si ricordano le Divinae istitutiones, ampia opera
      apologetica in cui la sistematica confutazione della religione
      pagana si accompagna con un'esposizione della fede cristiana
      piuttosto superficiale. 
      
      Vita
      
      Forse scolaro di Arnobio, fu insegnante di retorica latina a
      Nicomedia di Bitinia ove probabilmente si convertì; alcuni
      studiosi ritengono che L. abbia abbandonato Nicomedia durante la
      persecuzione rimanendone lontano dal 306, quando fu destituito, al
      311 o 313. Nel 317 fu chiamato da Costantino come precettore del
      figlio Crispo, in Gallia. 
      
      Opere e pensiero
      
      Sono andati perduti alcuni scritti, probabilmente del periodo
      d'insegnamento e anteriori alla conversione al cristianesimo
      (Symposium, Hodoiporicon in esametri, sul viaggio da Cartagine a
      Nicomedia, Grammaticus, due libri Ad Asclepiadem, quattro Ad Probum,
      ecc.); secondo alcuni apparterrebbe a questo periodo il poemetto De
      ave Phoenice, che altri (poiché la fenice è anche, nei
      monumenti figurati, simbolo di Cristo) ascrive al periodo
      successivo, ma che non tutti riconoscono come opera di L.; mentre
      certo non sono suoi i carmi De pascha o De resurrectione (di
      Venanzio Fortunato) e De passione Domini. Perduti sono pure gli
      altri scritti menzionati da s. Girolamo (raccolta di lettere; due
      libri Ad Demetrianum de providentia, due Ad Severum); un solo
      frammento ci è pervenuto del De motibus animi. Delle opere a
      noi giunte, il De opificio Dei (303-304) esalta la perfezione
      dell'organismo umano, composto di anima e corpo; le già
      citate Divinae institutiones ("manuale di religione": il titolo le
      contrappone alle "istituzioni" giuridiche e oratorie) in 7 libri (vi
      è anche una Epitome, rifacimento compendioso, posteriore al
      314) combattono scritti di un filosofo (difficilmente Porfirio) e di
      un magistrato (Ierocle), dimostrando che la vera filosofia è
      quella di Gesù Cristo e, per convincere di ciò i non
      credenti e istruirli, L. si fonda soprattutto sull'etica, e ricorre
      frequentemente ad autori pagani (specie Virgilio e gli Oracoli
      Sibillini), mentre nello stile imita Cicerone ("Cicerone cristiano"
      fu chiamato da G. Pico della Mirandola). Ma permangono in lui
      elementi di millenarismo, mentre certi passi dualistici e fortemente
      elogiativi di Costantino hanno dato origine a discussione tra chi
      sostiene trattarsi di interpolazioni posteriori e chi invece li fa
      risalire allo stesso autore. Il De ira Dei (circa 313-315), contro i
      filosofi che parlano di un Dio apatico o atarassico, mostra che Dio
      non è malvagio o iracondo, ma giusto, quando punisce i
      malvagi. In relazione con questo, appare logico riconoscere a L.
      anche il De mortibus persecutorum (di autenticità contestata
      da varî studiosi, ma di attendibilità storica
      generalmente riconosciuta entro certi limiti), posteriore alla morte
      di Diocleziano ma anteriore al 321 (per il silenzio sulla
      persecuzione di Licinio, che vi è invece lodato), in cui
      appare chiaramente la tesi che i sovrani persecutori del
      cristianesimo sono stati duramente castigati da quel Dio che con la
      sua provvidenza regge la storia. 
    
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Wikipedia
    
    Lucio Cecilio Firmiano Lattanzio (in latino: Lucius Cæcilius
    Firmianus Lactantius; Africa, 250 circa – Gallie, 327 circa)
    è stato uno scrittore, retore e apologeta romano, di fede
    cristiana, fra i più celebri del suo tempo.
    
    Biografia
    
    Nato da famiglia pagana, fu allievo di Arnobio a Sicca Veneria. Per
    la propria fama di retore fu chiamato da Diocleziano, su consiglio
    di Arnobio, a Nicomedia, in Bitinia, capitale della parte orientale
    dell'Impero e residenza ufficiale dell'imperatore, come insegnante
    di retorica (290 circa).
    
    Fu costretto a lasciare il suo ufficio nel 303 a causa delle
    persecuzioni contro i cristiani, alla cui religione si era
    convertito. Lattanzio abbandonò quindi la Bitinia nel 306,
    per farvi ritorno cinque anni dopo, in seguito all'editto di
    tolleranza di Galerio. Nel 317 Costantino I lo chiamò a
    Treviri, in Gallia, come precettore del figlio Crispo. Probabilmente
    morì a Treviri qualche tempo dopo.
    
    Per il suo stile elegante e il periodare articolato si
    guadagnò il soprannome di "Cicerone cristiano" da parte dei
    più importanti uomini del Rinascimento, come Angelo Poliziano
    e Pico della Mirandola.
    
    Opere
    
    Le opere pervenute sono:
    
        De opificio Dei (L'opera di Dio), sulla
    Provvidenza divina in rapporto all'uomo;
        De ira Dei (L'ira di Dio), contro la tesi
    dell'impassibilità di Dio;
        De mortibus persecutorum (Le morti dei
    persecutori), sulla morte violenta degli imperatori persecutori del
    Cristianesimo, da Nerone a Massimino Daia: pone le condizioni per la
    nascita di una storiografia cristiana;
        Divinarum institutionum Libri VII o Divinæ
    institutiones (Istituzioni divine), in sette libri, delle quali
    stese anche un'epitome (compendio): primo tentativo di sintesi
    dell'insegnamento cristiano, alla confutazione del paganesimo segue
    l'esposizione delle dottrine cristiane nel tentativo di delineare
    una continuità tra sapere antico e moderno.
    
    Sono perdute le opere del periodo pagano e le lettere, è
    incerta l'attribuzione a Lattanzio del poemetto in ottantacinque
    distici De ave phœnice (L'uccello fenice), dove il mito della fenice
    è assimilato alla passione, morte e resurrezione di Cristo.
    De opificio Dei
    
    In quest'opera, composta negli anni 303-304 d.C., Lattanzio
    polemizza con le tesi delle filosofie ellenistiche e soprattutto con
    quelle degli epicurei, sostenendo la grandezza della Provvidenza
    divina e l'intervento di Dio anche nella costituzione fisiologica
    dell'uomo, che è sufficiente già di per sé a
    mostrare la perfezione del disegno di Dio.
    
    De ira Dei
    
    Questo scritto, affine ai due precedenti per tono e argomento, fu
    composto intorno al 313. In esso Lattanzio, contrapponendosi alla
    tesi degli stoici e degli epicurei, sostiene che è
    ammissibile la collera divina, come espressione di opposizione e
    rifiuto del male, e che Dio punisce l'uomo colpevole e peccatore
    dinanzi all'eterna giustizia divina, mirando attraverso ciò a
    ripristinare l'ordine compromesso dall'insorgere e dal prevalere del
    male.
    
    De mortibus persecutorum
    
    Di attribuzione incerta, scritto probabilmente tra il 318 e il 321,
    affronta il problema delle persecuzioni da parte degli imperatori
    contro i Cristiani. Gli imperatori si sono rivelati malvagi e poco
    onorevoli anche per la storia di Roma, ma prima o poi tutti sono
    stati colpiti dalla punizione divina e hanno concluso in modo
    tragico od inglorioso la propria vita, costituendo per i posteri un
    monito chiaro ed esemplare.
    
    Divinæ institutiones
    
    Il De divinis institutionibus adversus gentes, stampato a Subiaco
    nel 1465 da Konrad di Schweinheim e Arnold Pannartz
    
    Quest'opera, composta tra il 304 e il 313 in sette libri, da cui
    più tardi egli stesso ricavò un'epitome in un solo
    libro, polemizza con i pagani, confutando i fondamenti ed il culto
    della loro religione ed espone in maniera sistematica la dottrina
    cristiana. Al primo scopo Lattanzio dedica i primi tre libri del
    trattato (De falsa religione, De origine erroris, De falsa
    sapientia), all'altro suo intento i rimanenti quattro (De vera
    sapientia et religione, De justitia, De vero cultu, De vita beata).
    Lattanzio chiarisce esplicitamente la finalità dell'opera
    quando dice di scrivere:
        « Ut docti ad veram sapientiam dirigantur
    et indocti ad veram religionem »
    
    Particolarmente apprezzabile è il suo tentativo di recuperare
    e inglobare i valori della cultura e della civiltà antica, le
    stesse speculazioni filosofiche, nella nuova verità
    cristiana.
    
    Stile
    
    Dal punto di vista letterario, è stato osservato come
    Lattanzio sia essenzialmente un retore: convertitosi anche a lui,
    come Arnobio, in età adulta, al pari del suo maestro è
    ancora strettamente legato a schemi argomentativi e teorici della
    cultura classica, in particolare neoplatonica. Il suo stile è
    comunque fluente e l'argomentare è stringente e segue sempre
    un preciso filo logico, come vogliono i dettami della retorica. Il
    tentativo di assimilazione della cultura pagana in quella cristiana
    emerge anche nell'imitazione stilistica di Cicerone.