LABRIOLA, Arturo

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di Fulvio Conti

Nacque a Napoli il 21 genn. 1873 da Luigi, un piccolo artigiano, e da Matilde De Laurentiis. Compiuti i primi studi in scuole cattoliche, a quattordici anni prese a frequentare un circolo politico di orientamento repubblicano guidato da alcuni discepoli di G. Bovio, fra i quali L. Zuppetta e A. Angiulli.

Qui si concretò il suo precoce impegno politico volto a denunciare le condizioni di miseria e di arretratezza della sua città in un istintivo spirito di ribellione contro i responsabili di quello stato di cose e, più in generale, contro il ceto politico dominante. Più avanti, riandando col pensiero a quegli anni, scrisse: "A me quello spettacolo della mia adorata e insopportabile città natale suggerì un solo sentimento: darmi da fare per rimuoverlo. E così fra i quattordici e i quindici anni mi feci socialista […]. Non propriamente socialista, bensì repubblicano, ma la cosa non conta, ché a Napoli, allora, cioè fin verso il 1895, esser repubblicano, socialista o anarchico era su per giù lo stesso affare" (Spiegazioni a me stesso, Napoli 1945, p. 19).

In effetti le organizzazioni mazziniane conobbero in quegli anni un profondo travaglio, originato dalle critiche che i gruppi più vicini al movimento socialista muovevano al loro programma di azione politica ed economica. Proprio a Napoli, nel 1889, si tenne il XVII congresso delle Società operaie affratellate, al quale il L. partecipò in rappresentanza dell'ala repubblicano-collettivista che vi ottenne una prima significativa affermazione. Due anni dopo si costituirono nella città partenopea due circoli studenteschi, che ormai si definivano esplicitamente repubblicano-socialisti.

Uno di essi, quello della Gioventù operosa, delegò il L. a rappresentarlo al XVIII congresso delle Società operaie affratellate, che si svolse a Palermo nel 1892 e segnò il trionfo della corrente collettivista: l'ortodossia ideologica dei mazziniani uscì sconfitta e il principio della lotta di classe come strumento di azione politica e sindacale ottenne piena cittadinanza nel movimento operaio repubblicano.

Nel 1890 il L. si iscrisse alla facoltà di giurisprudenza dell'Università di Napoli, dove si laureò, nel 1895, con una tesi sulle dottrine economiche di F. Quesnay, che pubblicò nel 1897 (Le dottrine economiche di F. Quesnay, Napoli). Conseguì la laurea con un certo ritardo, dovuto al fatto che era stato sospeso per un anno dai corsi universitari per aver partecipato alle proteste contro la repressione dei Fasci siciliani.

La condanna a diciotto mesi di domicilio coatto si aggiunse a quella che gli era stata inflitta nel 1891 per aver organizzato a Napoli la manifestazione del primo maggio: cinque mesi di carcere con la condizionale, che peraltro non scontò mai.

Nel frattempo il L. aderì al partito socialista e cominciò a collaborare ad alcuni giornali e periodici di area democratico-socialista, fra i quali la rivista veneziana Socialismo popolare, la Rivista popolare di politica, letteratura e scienze sociali di N. Colajanni, e Critica sociale, in cui apparve il suo primo articolo nel 1891 e della quale divenne poi uno dei più assidui collaboratori. Nel 1893 fu tra i fondatori del Circolo socialista napoletano e in quello stesso anno fu designato tra i relatori al congresso socialista di Firenze sul tema relativo ai programmi massimo e minimo del partito.

La sua relazione però non fu discussa per le obiezioni sollevate da Anna Kuliscioff, che la definì una traduzione quasi letterale del programma di Erfürt della socialdemocrazia tedesca e ottenne che fosse riesaminata da un'apposita commissione.

In questi anni il L. cominciò a studiare il pensiero di K. Marx, al quale si avvicinò, in certa misura, attraverso la mediazione di A. Loria, che nelle sue opere teorizzava la dissoluzione della società capitalistica.

Nei confronti dell'economista italiano il L. nutrì una sorta di infatuazione che durò per tutta la vita e non fu scalfita neppure dalla polemica del 1895 quando, sulle pagine di Critica sociale, egli contestò le critiche mosse da Loria alla teoria del valore di Marx.

Il L. sottopose poi l'opera di Marx a un'indagine più attenta e gli dedicò il lavoro: La teoria del valore di C. Marx: studio sul III libro del "Capitale", pubblicato a Palermo nel 1899, contemporaneamente a una traduzione della Critica all'economia politica, la prima apparsa in Italia dell'autore tedesco. In questo medesimo periodo ebbe inizio la polemica con F. Turati, cui il L. rimproverava la scelta tattica di accordarsi con i partiti democratici nelle elezioni amministrative e il rigido atteggiamento anticolonialista.

Fin dal 1895, infatti, anticipando una linea con cui sarebbe sempre rimasto coerente, il L. guardò con una certa indulgenza alle imprese coloniali italiane, convinto che la conquista di territori oltremare potesse alimentare flussi migratori e contribuire a risolvere alcuni dei problemi sociali del paese, specie delle regioni meridionali. Nel 1897, poi, fu tra i socialisti che partirono volontari alla volta della Grecia, nel corpo di spedizione allestito dall'anarchico A. Cipriani, per combattere a fianco dei Greci di Candia insorti contro la dominazione turca.

L'anno seguente fu tra gli organizzatori dei tumulti che scoppiarono a Napoli per protestare contro il rincaro del pane e contro la politica repressiva del governo. Per questo suo ruolo venne condannato a cinque anni di reclusione e a due di sorveglianza, pena alla quale si sottrasse riuscendo a fuggire in Svizzera. Qui venne accolto da M. Pantaleoni, che era stato relatore della sua tesi di laurea, e da questo presentato a V. Pareto, che gli commissionò la traduzione di alcune parti del Capitale. Espulso anche dalla Svizzera, nel settembre 1898, per i suoi rapporti con esponenti del movimento anarchico e socialista elvetico, si rifugiò in Francia dove rimase fino all'inizio del 1900, quando poté beneficiare dell'amnistia concessa ai condannati del 1898 e rientrare in Italia.

L'esperienza francese rappresentò una tappa molto significativa nella sua formazione politica, poiché gli consentì di entrare in contatto con vari settori del movimento socialista che stavano operando una revisione del marxismo in termini libertari. In particolare collaborò con la rivista Devenir social e intrattenne rapporti con A. Bonnet, P. Lafargue, H. Lagardelle e soprattutto con G. Sorel, "il solo uomo al quale l'iconoclasta Labriola abbia riconosciuto la qualifica di maestro" (Arfè, I socialisti…, p. 244). Tracce di questa nuova impostazione del suo pensiero si trovano negli articoli pubblicati fra il 1899 e il 1900 in Critica sociale, nella Rivista critica del socialismo di F.S. Merlino e nel Giornale degli economisti.

Il rientro a Napoli coincise con la fase più acuta della lotta intrapresa dai socialisti locali contro la corruzione dell'amministrazione comunale. La battaglia - che fu coronata dal successo e portò anche all'istituzione di una commissione d'inchiesta presieduta da G. Saredo - venne condotta dal settimanale La Propaganda, fondato nel maggio 1899, cui il L. collaborò assiduamente, facendone l'organo di diffusione delle sue embrionali idee di sindacalismo rivoluzionario.

Tali idee trassero pertanto alimento, oltre che dalla frequentazione dei revisionisti francesi, dalla concreta esperienza maturata durante la lotta dei socialisti napoletani e incentrata su una lettura della questione meridionale che conduceva a un atteggiamento antistatalista, antimilitarista e antiprotezionista, avverso alle tendenze verticistiche del partito e a ogni politica di accordo con le istituzioni monarchiche.

Così, nel 1900, il L. prese a pretesto la partecipazione di un deputato socialista ai funerali di Umberto I per rinverdire la pregiudiziale repubblicana del partito e l'anno dopo attaccò duramente Turati e il gruppo parlamentare per la decisione di astenersi nel voto di fiducia al governo Zanardelli-Giolitti. In tale occasione pubblicò anche un opuscolo, in cui scagliò l'accusa di "ministerialismo" contro il gruppo dirigente del partito e avviò l'iter di gestazione di un nucleo di opposizione, che, nel 1902, si dotò di un proprio organo di stampa, l'Avanguardia socialista.

Stampato a Milano, il periodico fu diretto dal L., che negli anni seguenti proprio sulle sue pagine venne definendo i contorni della nuova dottrina del sindacalismo rivoluzionario. Essa poggiava su due assunti principali: che lo Stato e le istituzioni legali andavano abbattuti attraverso un mutamento violento, da realizzare mediante l'azione diretta e rivoluzionaria delle masse; che la guida del processo rivoluzionario spettava al sindacato e non al partito, cui restava l'unico compito di svolgere l'attività di propaganda e di gestire la partecipazione alle competizioni elettorali nella fase transitoria in cui la presenza socialista nelle istituzioni veniva ritenuta necessaria.

Il L. sostenne questa linea sia al congresso nazionale socialista di Imola del 1902 - dove presentò una relazione sul tema delle convenzioni ferroviarie -, sia a quello di Bologna del 1904, che vide l'affermazione dei sindacalisti rivoluzionari alleati con gli intransigenti di E. Ferri. Nel settembre 1904 fu ovviamente tra i fautori dello sciopero generale, il primo che si tenne in Italia, il cui fallimento lo indusse a intensificare gli sforzi per meglio definire le coordinate ideologiche della corrente sindacalista.

Essa si attestò progressivamente su una linea di crescente intransigenza di cui dette prova, nel 1906, con la decisione di restare estranea alla costituzione della Confederazione generale del lavoro, lasciata in mano ai riformisti, e, nel 1907, con quella, ancor più drastica, di uscire dal partito.

Quest'ultima scelta non fu però condivisa dal L., così come egli espresse un giudizio critico nei confronti dello sciopero agrario di Parma del 1908. In questa fase il L. cominciò a prendere le distanze dal gruppo sindacalista, nel quale stava emergendo una nuova leva di dirigenti con idee assai diverse rispetto a quelle del nucleo originario. Ne fu testimonianza, da parte del L., il precoce abbandono della collaborazione con due periodici: Lotta di classe, fondato nel 1907 per raccogliere l'eredità della cessata Avanguardia socialista, di cui fu condirettore con W. Mocchi, e Pagine libere, che si stampò a Lugano dal 1907 e che egli diresse, insieme con P. Orano, fino al marzo 1909.

Questa rivista, fra l'altro, nel 1908 ospitò la sua lunga polemica con G.V. Plechanov, l'esponente marxista che prese a bersaglio il L. individuando in lui uno dei principali teorici dell'eresia sindacalista e contestando vivacemente il suo volume Riforme e rivoluzione sociale: la crisi pratica del partito socialista (Milano 1904), che era stato oggetto di una doppia traduzione in russo.

Il L., che dall'agosto 1906 era tornato a Napoli per dedicarsi all'insegnamento dell'economia politica e alla professione di avvocato, nel 1908 dette alle stampe anche un saggio, Marx nell'economia e come teorico del socialismo (Lugano), in cui, attraverso l'esegesi del pensiero marxiano, tentava di riaffermare il diritto del sindacalismo rivoluzionario a considerarsi parte dell'ortodossia socialista. Proprio in quell'anno, invece, il congresso nazionale del Partito socialista italiano (PSI) a Firenze mise al bando tale dottrina, provocando l'uscita dal partito, per solidarietà con i sindacalisti, della sezione napoletana. Con questa il L. ebbe anche in seguito rapporti contrastati: per esempio nel 1910-11 si oppose alla decisione di partecipare alle elezioni amministrative di Napoli all'interno di una lista di blocco popolare. Fra il 1911 e il 1912, poi, il solco si allargò ulteriormente per la posizione assunta dal L. circa la guerra di Libia.

Egli infatti, come molti altri esponenti del sindacalismo rivoluzionario, si schierò in favore dell'impresa, rinunciando definitivamente al pacifismo come tratto distintivo dell'identità socialista e difendendo le ragioni dell'espansionismo italiano nel Mediterraneo. Il distacco dalla linea perseguita dal PSI non poteva essere più netto, mentre si profilavano notevoli affinità con i nazionalisti, che egli vedeva accomunati ai sindacalisti rivoluzionari dal rifiuto del parlamentarismo e dall'adozione di una prospettiva di rovesciamento del sistema politico vigente.

Nonostante la dichiarata fedeltà a un progetto di sovvertimento violento delle istituzioni, il L. era tuttavia ben consapevole della svolta radicale che stava avvenendo nel suo percorso politico, con un progressivo avvicinamento a posizioni più moderate. Essa si manifestò chiaramente nel 1913, allorché venne eletto deputato a Napoli come socialista indipendente in occasione delle prime elezioni a suffragio universale maschile. E ancora nel 1914, quando capeggiò e portò al successo, sempre a Napoli, la lista del Blocco popolare, che sconfisse la coalizione liberale-moderata guidata da B. Croce. Tale successo si rinnovò, quattro anni dopo, quando venne eletto prosindaco, anche se non poté essergli attribuita la carica piena, che rimase vacante, per incompatibilità con quella di parlamentare. Al febbraio 1914 risale pure la sua iniziazione alla massoneria, nella loggia Propaganda di Roma del Grande Oriente d'Italia, che raccoglieva gli esponenti più in vista del mondo politico, economico e culturale. Coerentemente con la linea sostenuta dalla massoneria, allo scoppio della guerra il L. si pronunciò in favore dell'intervento a fianco della Francia e dell'Inghilterra. Nel febbraio 1917 salutò con entusiasmo l'inizio della Rivoluzione russa.

Nel maggio di quell'anno accettò di far parte di una delegazione che il governo italiano inviò in Russia per incoraggiare i rivoluzionari a proseguire la guerra a fianco dell'Intesa. Qui acquisì gli elementi di conoscenza necessari per apprezzare i successivi sviluppi della rivoluzione e difendere, in una polemica con Turati, la politica seguita da Lenin dopo la vittoria dei bolscevichi.

Confermato deputato nel novembre 1919 nella lista dell'Unione socialista italiana, in cui confluirono socialisti riformisti e altri dissidenti usciti dal PSI, nel giugno 1920 fu chiamato a ricoprire la carica di ministro del Lavoro e della Previdenza sociale nel governo Giolitti. In tale veste dovette fronteggiare l'agitazione culminata nell'occupazione delle fabbriche del settembre 1920.

Favorevole a un ruolo attivo dell'esecutivo nel cercare una conciliazione fra le parti, si adoperò, prima che G. Giolitti avocasse a sé la responsabilità della vertenza, per il varo di un disegno di legge che introducesse forme di controllo operaio sulla gestione delle industrie. Sempre come ministro, il L. elaborò un progetto per l'istituzione di un Consiglio nazionale del lavoro e provvedimenti di riforma delle assicurazioni per invalidità e vecchiaia.

L'ascesa del fascismo, nelle cui file approdarono molti ex sindacalisti rivoluzionari, lo vide assumere all'inizio un atteggiamento di benevola attesa che fu comune a larga parte dello schieramento interventista. Già alla vigilia della marcia su Roma, tuttavia, mise in guardia Giolitti dall'avallare qualunque intesa dei liberali con un partito che disponeva di bande armate e che attraverso queste cercava di imporre la propria volontà. Nel corso del 1923, poi, si collocò apertamente fra gli oppositori di Mussolini, sia dando alle stampe il volume Le due politiche: fascismo e riformismo. Note (Napoli 1924), sia pronunciando in Parlamento un fermo discorso contro il progetto di riforma elettorale Acerbo.

Questo, infatti, venne da lui inquadrato non solo come un tentativo di affossare il regime rappresentativo basato sulla proporzionale, ma come un vero e proprio strumento per instaurare la dittatura di un partito.

Nel dicembre 1923, nell'intento di contribuire al compattamento delle forze antifasciste, chiese a Turati di essere ammesso nel Partito socialista unitario (PSU), che era stato costituito nel 1922 dai riformisti usciti dal PSI. Come esponente di questo gruppo fu rieletto alla Camera nelle consultazioni dell'aprile 1924 e il 29 maggio seguente tenne un importante discorso contro la proposta, avanzata da D. Grandi, di abrogare la costituzione dei gruppi parlamentari e le commissioni permanenti.

In tale occasione egli difese il valore delle strutture democratiche e, anticipando alcuni punti del famoso discorso che G. Matteotti avrebbe pronunciato pochi giorni dopo, denunciò esplicitamente i metodi violenti usati dal governo per perseguire i suoi scopi.

Dopo l'assassinio di Matteotti fece parte della secessione aventiniana, all'interno della quale si batté per l'adozione di una linea intransigente e osteggiò il pronunciamento del PSU per una soluzione della crisi che fosse un semplice ritorno alle condizioni del periodo prefascista. Più tardi espresse un severo giudizio critico sull'Aventino, esauritosi in una mera protesta morale, che aveva avuto, però, il merito di riavvicinare le varie correnti del socialismo, con l'eccezione dei comunisti.

Fu questa la strategia che egli cercò di perseguire specie a partire dal 1926, quando collaborò alla rivista Quarto Stato e individuò un elemento unificante per il movimento socialista nell'adozione di una chiara fisionomia repubblicana.

Vittima anch'egli delle violenze fasciste che si scatenarono in quell'anno, ebbe la casa devastata e le attività professionali limitate o inibite. Esonerato dall'insegnamento universitario a Napoli per essersi rifiutato di firmare una dichiarazione di estraneità alla massoneria, il L. non venne chiamato neppure dall'Università di Messina, dove era risultato vincitore di una cattedra di economia politica. Nel novembre 1926 la revoca del mandato parlamentare gli impose infine la scelta dell'espatrio, che si concretizzò nel giugno 1927 con una fuga avventurosa a bordo di un peschereccio, con il quale raggiunse la Corsica. Arrivato a Parigi, entrò nelle file del fuoruscitismo e partecipò all'attività della Concentrazione antifascista, alla quale pure non risparmiò qualche iniziale critica. Di essa condivise gli obiettivi principali, quelli cioè di tenere unite le forze antifasciste e di svolgere un'intensa azione di propaganda per creare all'estero un'opinione avversa al regime mussoliniano.

In tal senso la sua attività si rivelò preziosa: per esempio nel 1927 fu l'estensore dei messaggi inviati al congresso della Confédération générale du travail e al congresso degli universitari francesi, nei quali si esortavano gli operai e gli studenti d'Oltralpe a mobilitarsi per aiutare il popolo italiano nella lotta contro il fascismo; suo fu anche il messaggio firmato da undici deputati italiani in esilio, che venne spedito alla conferenza interparlamentare di Ginevra per protestare contro l'accoglimento in seno a essa dei deputati fascisti.

Nel dicembre 1927 si trasferì a Bruxelles, dove ottenne una cattedra all'Institut des hautes études e prese a collaborare con vari giornali, fra cui Soir e Peuple, organo del Parti ouvrier del Belgio. Nella primavera del 1928 si recò a New York, dove restò fino al mese di ottobre tenendo un ciclo di conferenze presso la Columbia University e assumendo la direzione del quotidiano Nuovo Mondo, organo dei socialisti italiani. L'anno seguente, e poi di nuovo nel 1930, fu invece in Argentina, dove tenne alcune lezioni all'Università di Buenos Aires, discorsi e conferenze, e collaborò ai giornali degli emigrati italiani, La Critica e La Patria degli Italiani.

Al rientro in Europa, nel 1930, assunse la carica di gran maestro del Grande Oriente d'Italia in esilio, che mantenne fino al novembre 1931, dimostrando la solidità dei suoi legami con il mondo massonico italiano e internazionale. Le sue dimissioni da questa carica coincisero con l'ingresso nella Concentrazione del gruppo di Giustizia e libertà e con l'inizio di una fase di revisione della linea fin lì seguita dal movimento dei fuorusciti.

Il L., la cui milizia antifascista cominciava a vacillare, intervenne nel dibattito con alcuni articoli nei quali ribadiva la sua sfiducia nella democrazia legalitaria e parlamentaristica e tornava a esaltare la natura rivoluzionaria della guerra. Espresse in modo articolato queste idee in un libro, L'État et la crise. Étude sur la dépression actuelle (Paris 1933), che venne duramente criticato in seno al movimento antifascista.

Dal movimento antifascista egli decise di uscire in modo clamoroso nel 1935. La guerra di Etiopia gli parve infatti una ripresa di quella politica espansionistica dell'Italia che lo aveva da sempre entusiasmato e lo indusse, nel dicembre 1935, a rientrare in patria.

Il suo voltafaccia, che Mussolini ricompensò con l'offerta di un impiego per lui e per il figlio Lucio, rispettivamente al Banco di Napoli e alla Montecatini, suscitò un'ondata di indignazione fra i fuorusciti. Tale risentimento crebbe quando il L. cominciò a collaborare con due giornali italiani stampati in Francia, Il Merlo e poi La Tribuna d'Italia che, sotto la direzione di A. Giannini, ebbero come principale bersaglio polemico proprio gli antifascisti in esilio. Egli, tuttavia, non occupò ruoli di primo piano nel regime né aderì al Partito nazionale fascista.

Allo scoppio della guerra abbandonò momentaneamente l'attività pubblicistica e si dedicò allo studio e alla stesura del già ricordato libro di memorie, Spiegazioni a me stesso. All'impegno politico e giornalistico tornò dopo il 25 luglio 1943, scrivendo per Il Giornale di Napoli e Il Tempo di Roma, e combattendo quello che definì "il fascismo degli antifascisti". Escluso dalla Consulta (organo composto di diritto dagli ex deputati aventiniani) proprio per i suoi trascorsi filofascisti della seconda metà degli anni Trenta, risultò eletto alla Costituente in una lista del Blocco nazionale, che nella circoscrizione di Napoli raccolse soprattutto liberali, demolaburisti e indipendenti di varie tendenze (insieme con il L. furono eletti, fra gli altri, B. Croce, F.S. Nitti ed E. Corbino).

Sciolta la Costituente, dove si distinse per alcuni interventi in difesa della natura laica dello Stato e contro la ratifica del trattato di pace, nel 1948 fu nominato senatore di diritto in considerazione delle sue cinque legislature in Parlamento.

Al Senato pronunciò numerosi discorsi schierandosi all'opposizione e avvicinandosi progressivamente ai partiti di sinistra, con i quali condivise la battaglia contro l'adesione dell'Italia al Patto atlantico e quella contro la riforma elettorale del 1953. Insieme con G. Porzio presentò anche una proposta di "legge speciale" per Napoli, che prevedeva l'erogazione di 250 miliardi di lire in favore della città e che non venne approvata.

Nel 1952 fu eletto consigliere comunale di Napoli capeggiando una lista di indipendenti di sinistra e, sempre da indipendente, si presentò l'anno seguente alle elezioni per il Senato, rimanendo però sconfitto. Si dedicò allora a tempo pieno all'attività di consigliere comunale e nelle elezioni amministrative del 1956, che lo videro guidare la lista del Partito comunista, fu confermato in tale carica.

Il L. morì a Napoli il 23 giugno 1959.

In precedenza aveva dato alle stampe i suoi due ultimi libri, La crociata anticomunista (Firenze 1955) e Negazione. Appunti sul problema dell'ateismo (ibid. 1958), nel secondo dei quali ribadì la propria adesione ai soli principî cui era rimasto fedele per tutta la vita: l'ateismo e l'anticlericalismo.