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Gilbert Keith Chesterton

La Nuova Gerusalemme


È il resoconto del viaggio in Terrasanta compiuto nel 1919, ma non solo; una ottima occasione per riflettere su questioni religiose e politiche. Sempre con il suo tipico stile serio ma umoristico, pieno di buon senso provocatorio. GKC partì da Londra nel periodo natalizio per intraprendere un viaggio che non fu solamente nello spazio. Percorse “a ritroso la storia fino a giungere nel luogo di origine del Natale. Spesso, infatti, è necessario ritornare sui propri passi, come chi, dopo aver smarrito la strada, ripercorre a ritroso il proprio cammino fino a un cartello che gli indica la via”.

Ben consapevole della confusione spirituale novecentesca, si fece pellegrino per i contemporanei: “L’uomo moderno è simile a un viandante che non ricorda più il nome della sua meta e deve ritornare nel punto da cui proviene per scoprire dove è diretto”.

Dalla Gran Bretagna, allora principale potenza mondiale, si recò nella Parigi capitale del giacobinismo che ha plasmato il mondo moderno, scese nella Roma papale, imperiale e repubblicana, attraversò l’ombra delle piramidi Egiziane, fino a giungere nella Terra Promessa dei Patriarchi biblici. È un viaggio nella storia che pone una domanda fondamentale sull’evoluzione della libertà umana: “Che cosa era accaduto tra l’ascesa della Repubblica romana e l’ascesa della Repubblica francese? Perché i cittadini con pari diritti della prima diedero per scontato la presenza degli schiavi?”. Ovviamente la risposta va cercata in Palestina: è stata la buona novella predicata da Gesù, l’incarnazione di Dio in un uomo, che ha dato dignità a tutti e reso intollerabile la schiavitù dell’epoca pagana.

Riflessioni  interessanti contenute nel diario di viaggio anche sulle Crociate. Chesterton si scaglia contro l’idea, già allora pesantemente radicata, che quelle spedizioni medioevali fossero state vergognose imprese coloniali: “Quando si sostiene che le Crociate non sono state null’altro che una violenta scorribanda contro l’Islam, forse si dimentica curiosamente che lo stesso Islam fu soltanto una violenta scorribanda contro l’antica e ordinata civiltà”. Anzi il cavaliere crociato aveva “buoni motivi per nutrire dei sospetti nei confronti del musulmano”. È la storia stessa ad insegnare che “era già un vecchio nemico”. Inoltre la Prima crociata ebbe la particolarità di essere democratica: “la massa non vi aderì, ma lo capeggiò”.
A differenza di come accadde prima della la Rivoluzione Francese “fu l’ignorante che istruì il colto. La Crociata non fu evidentemente concepita da alcuni filosofi che suggerirono per primi alcune idee poi perorate dai demagoghi della democrazia”.

Un tale elogio delle Crociate non può essere disgiunto da una visione del Medioevo opposta a quella fanatica degli Illuministi. Tutt’altro che secoli bui, la situazione è più complessa: “La società medievale non era il luogo giusto, era soltanto la direzione giusta. Era la strada giusta, o forse solo il suo inizio. Il Medioevo fu ben lungi dall’essere un periodo in cui tutto andò per il verso giusto. Sarebbe più corrispondente al vero, per come la penso io, ammettere che in quel periodo tutto andò per il verso sbagliato. Fu l’epoca in cui le cose avrebbero potuto evolversi bene, ma invece si svilupparono male. O anzi, per essere più precisi, fu l’epoca in cui stavano procedendo bene, ma poi mutarono in peggio”.

L’età di mezzo non fu perfetta, dunque, ma fu “un’età di progresso. Forse fu l’unica vera età di progresso in tutta la storia. Gli uomini sono passati di rado con tale rapidità e unità dalla barbarie alla civiltà così come fecero dalla fine dei Secoli Bui all’epoca delle università e dei parlamenti, delle cattedrali e delle gilde”.

Chesterton non è troppo tenero con i musulmani. Trova un “elemento abbastanza logico e coerente, nel credo molto logico e coerente chiamato maomettanesimo”: il “vandalismo”, ovvero lo scarso senso artistico tipico di una religione che considera un peccato rappresentare Dio e blasfema la sua incarnazione. Respinge le accuse di antisemitismo invocando la nascita di uno stato ebraico: “Se questo è antisemitismo, allora sono un antisemita. Sembrerebbe più razionale chiamarlo semitismo”. Giunto in Terrasanta sentì comunque di essere “in quella patria al di là della patria per cui tutti proviamo nostalgia. Il suo ricordo perduto fa nascere al tempo stesso la fede e la fiaba”.