L'Italia Letteraria
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L'Italia Letteraria è il titolo di una rivista pubblicata in
Italia sotto il fascismo, tra il 1929 e il 1936. L'espressione
è tuttavia entrata nell'uso per indicare il contributo della
letteratura italiana alla costruzione dell'identità
nazionale.
La rivista
"L'Italia letteraria" continuava "La Fiera Letteraria", rivista
fondata a Milano il 13 dicembre 1925 sotto la direzione di Umberto
Fracchia. Il cambio di nome seguì lo spostamento da Milano a
Roma, avvenuto nel 1928 sotto la direzione di Giovanni Battista
Angioletti e Curzio Malaparte. Come "La Fiera Letteraria" si
ispirava, nel nome e nei metodi, alla Frusta letteraria, la rivista
fondata da Giuseppe Baretti nel 1763, così "L'Italia
letteraria" s'ispira al Giornale de' Letterati, la rivista fondata
da Francesco Nazzari nel 1668, che fu uno dei primi periodici
italiani. L'ambito è quello della rivendicazione del primato
letterario dell'Italia sulle altre nazioni. Fu diretta, tra gli
altri, da Corrado Pavolini e Massimo Bontempelli. Tra i suoi
collaboratori ci furono i poeti Libero De Libero, Sandro Penna e
Giuseppe Ungaretti, e gli scrittori Corrado Alvaro, Arnaldo Bocelli,
Tommaso Landolfi e Alfredo Panzini. Ospitò disegni e
caricature di Gino Bonichi, detto Scipione.
La tradizione
"L'Italia letteraria" non era tuttavia un nome nuovo nel panorama
delle riviste italiane. Già nel 1862 Angelo De Gubernatis
aveva fondato una rivista con questo nome, subito confluita in "Le
Veglie Letterarie". In seguito, nel 1897 a Milano nacque, nello
stabilimento tipografico di Carlo Aliprandi, sotto la direzione di
Gustavo Chiesi, un settimanale con lo stesso nome, durato solo un
anno. Nel 1899 a Bologna preso la Tipografia militare veniva
riproposto lo stesso titolo, che raggiungeva 18 numeri nel giro di
un anno, ma non durava oltre. Tra il 1923 e il 1925 l'editore
Vallecchi di Firenze pubblicava a sua volta una rivista con lo
stesso titolo.
Il giudizio di Gramsci
La rivista ebbe una clamorosa stroncatura nelle note dei Quaderni
del carcere di Antonio Gramsci, che ebbe a scrivere: "«La
Fiera letteraria» divenuta poi «L'Italia
letteraria» è stata sempre, ma sta diventando sempre
più un sacco di patate. Ha due direttori, ma è come se
non ne avesse nessuno e un segretario esaminasse la posta in arrivo,
tirando a sorte gli articoli da pubblicare. Il curioso è che
i due direttori, Malaparte e Angioletti, non scrivono nel loro
giornale ma preferiscono altre vetrine. Le colonne della redazione
devono essere Titta Rosa ed Enrico Falqui, e dei due il più
comico è quest'ultimo che compila la Rassegna della Stampa,
saltabeccando a destra e a sinistra, senza bussola e senza idee.
Titta Rosa è più ponteficale e si dà arie da
grande pontefice disincantato anche quando scrive delle baggianate.
L'Angioletti pare abbastanza ritrosetto a lanciarsi in alto mare:
non ha l'improntitudine di Malaparte. È interessante notare
come l'«Italia letteraria» non si arrischi a dare
giudizi propri e aspetti che abbiano parlato prima i cani grossi.
Così è avvenuto per gl'Indifferenti di Moravia, ma
cosa più grave per il Malagigi di Nino Savarese, libro
veramente saporoso, che fu recensito solo quando entrò in
terna per il premio dei trenta, mentre non era stato notato nelle
pagine della «Nuova Antologia». Le contraddizioni di
questo gruppo di graffiacarte sono veramente spassose, ma non vale
la pena di notarle. Ricordano i Bandar Log del Libro della Jungla:
«noi faremo, noi creeremo», ecc. ecc." (Letteratura e
vita nazionale).
La nuova Italia Letteraria
Nel 1952 la formula dell'Italia Letteraria venne ripresa a Bergamo
con la rivista "La nuova Italia Letteraria", che durò fino al
1962 con il n. 2 del X anno. Tra i collaboratori ebbe Fausto
Pirandello, che partecipò al dibattito sull'astrattismo.
L'Italia letteraria e l'identità nazionale
L'espressione è stata riproposta recentemente da un libro di
Stefano Jossa, L'Italia letteraria, pubblicato da il Mulino nel 2006
nella collana "L'identità italiana" fondata e diretta da
Ernesto Galli della Loggia. Sulla scia degli studi precedenti di
Carlo Dionisotti, Alberto Asor Rosa ed Ezio Raimondi, il libro punta
a riportare la letteratura al centro del discorso pubblico italiano,
poiché storicamente l'Italia è stata costruita su base
letteraria piuttosto che etnica, religiosa, politica, economica o
militare. Jossa ripercorre tutti i luoghi del dibattito letterario -
da Dante fino a Italo Calvino, passando per Girolamo Tiraboschi e
Francesco De Sanctis - in cui è stato ribadito il rapporto
tra letteratura e nazione per svincolare l'identità
letteraria da una prospettiva nazionalistica e restituire alla
letteratura il suo valore civile. Jossa individua cinque grandi
costanti nello sviluppo della letteratura italiana: la dialettica,
irrisolta, spesso strumentalizzata a fini di potere, tra tradizione
e rivoluzione; la ricerca di fondazione di una comunità
intellettuale; il discorso sulla storia; il discorso sull'amore;
l'osmosi con le altre letterature. Subito recensito su tuttolibri,
l'inserto culturale di La Stampa, da Giorgio Ficara il 18 marzo
2006, discusso sul Corriere della sera del 6 aprile 2006 da Dario
Fertilio, e sullo stesso giornale da Pierluigi Battista il 10 aprile
2006, in seguito segnalato anche da Andrea Cortellessa su Alias
(giornale), il settimanale culturale de Il manifesto, e da Piero
Gelli su Linus (rivista), il libro di Jossa è stato
variamente interpretato, sia come ritorno alla tradizione, sia come
apertura di orizzonti. Intervistato a Fahrenheit, la trasmissione
culturale di Radio3, da Marino Sinibaldi, l'autore ha tuttavia
dichiarato di voler ribadire un principio di dialogo, la funzione
della letteratura come luogo di socialità, terreno d'incontro
e confronto, in opposizione alla politica intesa come mera gestione
del potere. L'idea è stata riproposta più di recente
ancora una volta da Alberto Asor Rosa nella sua Storia europea della
letteratura italiana, da Giulio Ferroni nella sua Prima lezione di
letteratura italiana e da Enrico Malato in Quale Italia (tutti del
2009).