Jannaccone, Pasquale

 

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Nacque a Napoli, il 18 maggio 1872, da Nicola e da Elisa Winspeare.

Il padre, direttore del Banco di Napoli, fu inviato in Italia settentrionale per aprire le filiali di Milano, Genova e Torino, e in quest'ultima città si stabilì rimanendovi fino al termine della sua vita.

Lo J. si laureò nel 1893 presso la facoltà di giurisprudenza dell'Università di Torino, discutendo una tesi in economia politica, sul contratto di lavoro, con S. Cognetti De Martiis.

Negli anni giovanili lo J. dimostrò interesse per la letteratura angloamericana, pubblicando anche saggi di critica letteraria su E.A. Poe e W. Whitman - L'estetica di Edgardo Poe, in Nuova Antologia, 15 luglio 1895, pp. 322-354; La poesia di Walt Whitman e l'evoluzione delle forme ritmiche, Torino 1898 -, argomenti presto abbandonati per l'economia politica, cui si erano indirizzati i suoi studi universitari. Al di là del valore obiettivo dei contributi letterari dello J., è da sottolineare l'importanza che ebbe per lui la formazione umanistico-letteraria come elemento costitutivo del bagaglio culturale alla base del suo pensiero economico.

A indirizzarlo verso la ricerca fu proprio Cognetti De Martiis, una fra le figure di maggior rilievo nel processo di rinnovamento del pensiero economico italiano, ideatore e fondatore, nel dicembre 1893 - presso l'istituto di economia politica da lui diretto e in collaborazione con il Museo industriale di Torino -, del Laboratorio di economia politica, di cui lo J. fu segretario, insieme con L. Albertini.

Come si legge dal "manifesto" programmatico (cfr. Il Giornale degli economisti, gennaio 1894), il Laboratorio si era proposto di indagare "lo stato obiettivo dei fenomeni della vita economica, con il sussidio dei documenti ove sono raccolti i dati dell'esperienza […] un lavoro di scienza che ha carattere essenzialmente sperimentale. Si lavora in mezzo ai fatti economici, osservandone e comparandone le forme e ricercandone le norme". A partire dal metodo storico-empirico la scienza economica si apriva al nuovo indirizzo teorico e astratto del marginalismo di C. Menger, A. Marshall, M. Pantaleoni e V. Pareto; a questa scuola si formò un'intera generazione di economisti, e da qui si indicarono le linee di maturazione di una nuova classe dirigente, che ebbe probabilmente in L. Einaudi la figura più rappresentativa. Ai giovani studiosi furono affidate ricerche che rispecchiavano le finalità e le ambizioni del Laboratorio e nei diversi interventi furono approfonditi potenzialità e limiti di funzionamento di una democrazia economica in senso moderno, in collegamento con le prospettive riformatrici offerte dal decennio giolittiano. La scienza economica assumeva così una valenza di impegno civile, alla cui impostazione di fondo lo J. rimase poi sempre fedele.

Lo J. sviluppò il tema de Il contratto di lavoro (Milano 1897; estr. da Archivio giuridico, LIII [1894]), già oggetto della sua tesi di laurea, primo suo scritto a stampa, cui si aggiunsero negli anni successivi diversi contributi sullo stesso argomento, usciti per lo più su La Riforma sociale.

Conseguita la libera docenza nel 1898, nel 1900 lo J. vinse il concorso per la cattedra universitaria di economia politica a Cagliari. In questa città tenne anche, per incarico, l'insegnamento di scienza delle finanze. Nel 1901, dopo la morte di Cognetti De Martiis, gli successe nella direzione della quarta e quinta serie della Biblioteca dell'economista; dal 1907 iniziò la collaborazione con il quotidiano La Stampa; quindi, l'anno successivo, entrò nel comitato di direzione della Riforma sociale.

In questi anni il pensiero economico dello J. andò acquisendo natura di maggiore astrattezza e generalizzazione, sviluppando il rapporto con la metodologia della statistica e delle scienze sociali. Un punto di svolta è rappresentato dall'impianto interpretativo dello studio su Il costo di produzione (in Biblioteca dell'economista, s. 4, IV [1904], parte III, pp. 3-367), nel cui ambito di analisi rientrava anche il problema della valutazione statistica del costo del lavoro. In particolare, nel 1906, in La Riforma sociale, intervenne nel dibattito sul problema della misurazione del costo degli scioperi, introdotto da F. Coletti, invitando, in polemica con quest'ultimo, a misurarne anche i vantaggi per il sistema produttivo in generale e sviluppando, sul terreno della statistica economica, la posizione di G. Montemartini ed Einaudi. Il momento più alto della riflessione su questo nodo problematico è rappresentato dal suo saggio Questioni controverse nella teoria del baratto (in La Riforma sociale, XIII [1907], pp. 645-675).

In questo lavoro lo J. avanzò lo schema astratto del "monopolio bilaterale" che teorizzava e interpretava il mercato del lavoro costituito dall'associazione degli imprenditori, da un lato, e dall'associazione dei lavoratori dall'altro. In particolare egli indagò e definì gli elementi strutturali che caratterizzano gli spazi e i limiti della "zona di contratto" e della "zona di arbitrato".

In questi anni lo J. collegò in modo particolare la sua attività di studio al riconoscimento della funzione della statistica da parte dello Stato. Tra il 1910 e il 1912, poi, fu segretario generale dell'Istituto internazionale di agricoltura, creato nel 1905, il più importante organismo internazionale di statistica economica mondiale, sulle cui basi, nel secondo dopoguerra, avrebbe preso corpo la Food and Agriculture Organization (FAO).

Nel suo breve mandato lo J. diede un contributo significativo all'organizzazione degli uffici statistici, tenuto conto che in questi anni la statistica andava acquisendo un ruolo di primo piano nel quadro della riforma dello Stato in senso moderno, con relativa crescita dei compiti di regolamentazione e di governo dei processi economici e sociali. Nel quadro generale il ruolo specifico dell'Istituto internazionale di agricoltura va messo in diretta relazione con l'istituzione di organismi statistici da parte dello Stato, in primo luogo l'Ufficio del lavoro, fondato e diretto da Montemartini.

Lo scritto di maggior respiro teorico dello J. nel periodo prebellico fu lo studio sulla Teoria e pratica del "dumping", uscito in La Riforma sociale nel 1914 (poi in Prezzi e mercati, Torino 1936).

Lo J. evidenziò, con notevole anticipo, il legame tra politica di dumping - cioè di discriminazione dei prezzi sul mercato internazionale rispetto a quelli praticati all'interno onde ottenere un allargamento del mercato estero -, praticata particolarmente dalla Germania a vantaggio del suo settore siderurgico, e creazione di sistemi di monopolio a danno delle libertà economiche. Dopo aver riconosciuto l'impossibilità, o l'enorme difficoltà, di un dumping attuato da parte di una o più imprese per escludere i rivali da un mercato aperto, osservò non fosse possibile arguire che un dumping in differenti condizioni non esistesse o costituisse fenomeno di tutt'altra specie. Esisteva, ma il suo scopo era alquanto diverso: non l'eliminazione delle industrie rivali ma la costituzione di un sindacato internazionale. Analogamente, osservava lo J., "parecchie guerre, massime fra le grandi potenze, non hanno per scopo di sterminare un popolo o di conquistare tutto il territorio occupato, ma di costringere il vinto a seguire una certa condotta politica voluta dal vincitore; onde l'apparente paradosso che l'effetto immediato della guerra è la formazione d'una alleanza fra i due belligeranti" (in Prezzi e mercati, pp. 25 s.). Era, questa, un'analisi capace di cogliere le novità del nuovo ordine mondiale, quale si veniva sviluppando fra le grandi potenze nel corso del XX secolo; e in tale argomentazione risiede l'ultima significativa discussione, prima dello scoppio della guerra, in materia di concentrazioni industriali e dazi protettivi, e i relativi legami con il protezionismo.

Per quanto riguarda la carriera universitaria dello J., questi, dopo aver trascorso un triennio a Cagliari, era passato a Siena - dove nel 1904 aveva vinto la cattedra di economia politica - e successivamente, dal 1909 a Padova con il medesimo insegnamento cui, dal 1913, si era aggiunto quello di statistica. Dal novembre del 1916 tornò a insegnare a Torino presso la cattedra di statistica della facoltà di giurisprudenza.

La scelta dello J., pur provenendo egli da economia politica, fu motivata sia dal fatto che poteva vantare un'elevata produzione scientifica in materia di statistica, sia per aver ricoperto incarichi di governo quale tecnico, intendendo tali funzioni nel senso più moderno del termine. È quanto emerge dal verbale della riunione del consiglio di facoltà, che sostiene la sua chiamata alla cattedra di statistica, oltre che per meriti strettamente scientifici, per "aver avuto modo di sovrintendere ad ampie e delicate rilevazioni statistiche come segretario generale dello Istituto internazionale di agricoltura, che è il massimo istituto pubblico di statistica esistente per accordo tra i governi dei principali paesi del mondo" (Roma, Arch. centr. dello Stato, Ministero della Pubblica Istruzione…, b. 50).

Nel primo dopoguerra, lo J. intensificò il suo rapporto di collaborazione con il ministero delle Finanze, guidato da A. De Stefani, chiamato a tale incarico nel dicembre 1922 da B. Mussolini. In particolare, fu incaricato di contribuire all'elaborazione di un progetto per il riordino del sistema tributario e finanziario dello Stato. Nello stesso periodo fu nominato dalla Fondazione Carnegie, con Einaudi e U. Ricci, membro del prestigioso Comitato italiano per le pubblicazioni di studi economici sulla guerra. Inoltre, tra il 1925 e il 1930, prese parte ai lavori del Comitato dei trasferimenti dei pagamenti di riparazioni di guerra della Germania, con sede a Berlino, per l'applicazione del piano Dawes per il risanamento economico-finanziario della Germania (1924).

Nel corso degli anni Trenta, tuttavia, il ruolo dello J. andò restringendosi prevalentemente ad attività di studio e all'impegno in istituzioni di natura strettamente scientifica quali l'Accademia torinese di scienze e lettere, di cui era socio dal 1922, l'Accademia dei Lincei, il Consiglio superiore di statistica (1923-36), e l'Institut international de statistique; nel novembre 1930, per i suoi alti meriti scientifici, era stato eletto accademico d'Italia. Intensa fu anche in questi anni la collaborazione a riviste scientifiche come, in primo luogo, La Riforma sociale, di cui fu membro del comitato direttivo fino allo scioglimento, nel 1935. Sempre nei primi anni Trenta, dedicò particolare attenzione allo studio dei riflessi della depressione mondiale sull'economia e sulla moneta e alle relative ricadute sulla politica dei mercati e dei prezzi.

Nel luglio 1932 fu chiamato alla cattedra torinese di economia politica, succedendo ad A. Loria, da cui ereditò anche la guida del Laboratorio di economia politica. Dal luglio 1936, nel quadro della politica di fascistizzazione del sistema universitario, l'insegnamento di economia politica divenne insegnamento di economia politica corporativa, ma tale provvedimento non avrebbe influenzato l'indirizzo dei corsi, come emerge dai testi delle lezioni raccolti e ripubblicati nel secondo dopoguerra.

L'11 nov. 1942, al termine della sua lunga carriera universitaria, il consiglio di facoltà votò la sua nomina a professore emerito, nonostante le opposizioni suscitate dal fatto che lo J. non avesse mai preso la tessera del Partito nazionale fascista.

Dopo la caduta del fascismo e la fine della guerra, fu sottoposto a provvedimenti di epurazione quale accademico d'Italia. Decisivo, in tale circostanza, l'intervento in suo sostegno di Einaudi presso gli organi responsabili del Comitato di liberazione nazionale (CNL) piemontese.

Nel secondo dopoguerra partecipò alla discussione sui criteri di applicazione degli aiuti internazionali e del piano Marshall; in questo contesto rientra anche la pubblicazione del volume Moneta e lavoro (Torino 1946) e l'attività a favore di un rinnovamento del pensiero economico in Italia, con la traduzione degli scritti dei moderni economisti liberali come L. Robbins (La teoria della politica economica nella economia politica classica inglese, ibid. 1956).

Negli ultimi anni di vita fu a capo dell'Accademia delle scienze di Torino (1949-55) e dal 1954 fino alla morte fu vicepresidente dell'Istituto della Enciclopedia Italiana. Il 1° dic. 1950, per volontà di Einaudi, divenuto presidente della Repubblica, fu nominato senatore a vita per alti meriti scientifici.

In Senato si iscrisse al gruppo misto, prese parte ai lavori della V commissione (Finanze e tesoro) e intervenne sui principali temi relativi alla ricostruzione economica e all'avvio della politica di integrazione europea. Basti qui accennare agli interventi - raccolti nel volume Scritti e discorsi opportuni e importuni 1947-1955 (ibid. 1956) - sul piano Schuman (11 e 14 marzo 1952), sulla "legge truffa" (10 marzo 1953), circa l'assicurazione dei crediti di esportazione (18 nov. 1953) e a sostegno del piano Vanoni (25 apr. 1955). L'ultimo discorso di ampio respiro da lui pronunciato suonò come un monito indirizzato alla nuova classe dirigente: "Per una politica finanziaria chiara e coerente" (26 giugno 1956).

Lo J. si spense a Torino il 22 dic. 1959.