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Con l'espressione Italia rinascimentale si
indica convenzionalmente l'insieme delle vicende politiche, sociali,
economiche e culturali che interessarono la penisola italiana fra i
primi decenni del XV secolo[1] e la metà circa del secolo successivo,
periodo definito col termine Rinascimento.
Indice
1 Il quadro politico
1.1 Italia settentrionale
1.2 Italia centro-meridionale
2 I conflitti quattrocenteschi
2.1 Le compagnie di ventura
3 Il Cinquecento: la fine della libertà italiana
3.1 La discesa di Carlo VIII in Italia
3.2 Carlo V e Francesco I
4 Le condizioni economiche e sociali
Il quadro politico
L'Italia nel 1494
Nel corso del Quattrocento, fase di passaggio dall'età medievale
all'età moderna, l'Italia era politicamente frammentata in un complesso
di Stati diversi per estensione territoriale e regime politico. Tale
assetto, sancito dalla Pace di Lodi del 1454 e garantito per tutta la
seconda metà del secolo dalla personalità autorevole di Lorenzo il
Magnifico, fu rimesso in discussione con la discesa in Italia (1494)
del re di Francia Carlo VIII, che diede avvio a quel periodo di
conflitti ricordati dalla storiografia come Guerre d'Italia.
Italia settentrionale
L'area settentrionale della penisola era divisa fra il Ducato di
Savoia, il Ducato di Milano, i domini di terraferma della Repubblica di
Venezia. A queste maggiori formazioni territoriali si aggiungevano
Stati di più piccole dimensioni: la Repubblica di Genova (che
comprendeva anche la Corsica), il Marchesato di Saluzzo, il Marchesato
del Monferrato, il Principato vescovile di Trento, il Marchesato di
Mantova, i Ducati di Modena e Ferrara.
Italia centro-meridionale
L'Italia centrale era divisa fra le repubbliche di Firenze, Siena e
Lucca (corrispondenti nell'insieme all'attuale Toscana) e i domini
dello Stato pontificio, costituiti grosso modo dalle attuali Lazio,
Umbria e parte delle Marche. A questi si aggiungevano realtà minori
come i Ducati di Urbino e Camerino e le signorie di Perugia,
Senigallia, Pesaro, Foligno, Rimini, Bologna, Faenza, Imola, Forlì,
Cesena e la Repubblica di San Marino.
Il Meridione peninsulare (odierni Abruzzo, Molise, Campania, Puglia,
Basilicata e Calabria) era unificato sotto il Regno di Napoli, mentre
Sicilia e Sardegna facevano parte della Corona d'Aragona.
I conflitti quattrocenteschi
Alla Pace di Lodi si pervenne dopo un lungo periodo di guerre che
interessò l'intera penisola e fu segnato dai ripetuti tentativi degli
Stati più forti di estendere la propria egemonia. Nell'area
centro-settentrionale i maggiori contendenti furono il Ducato di Milano
e le Repubbliche di Venezia e Firenze, impegnati in una politica di
espansione territoriale avviata già nel Trecento col progressivo
assoggettamento del contado da parte delle città.
Il regno di Napoli fu scosso da una lunga crisi dinastica iniziata nel
1435 con la morte dell'ultima regina angioina, Giovanna II, e
conclusasi solo nel 1442 con la vittoria di Alfonso V d'Aragona, che
ebbe la meglio sul rivale Renato d'Angiò. L'avvento della dinastia
aragonese dei Trastamara segnò anche la riunificazione de facto dei
regni di Napoli e Sicilia e l'avvio di un periodo di stabilità
dinastica destinato a durare fino alla fine del secolo.
Il dominio sui mari fu invece l'obiettivo che contrappose gli interessi
delle antiche repubbliche marinare: estromessa Amalfi già nel XII
secolo, lo scontro proseguì tra Pisa, Genova e Venezia. Genovesi e
Pisani combatterono ripetutamente per il controllo del Tirreno e nel
1406 Pisa fu conquistata da Firenze, perdendo definitivamente la
propria autonomia politica. Agli inizi del secolo la contesa era dunque
ridotta a un duello fra Genovesi e Veneziani. Resistevano intanto allo
strapotere veneziano le due repubbliche marinare adriatiche di Ancona e
di Ragusa. Per tutto il Quattrocento perdurò uno stato di
conflittualità tra le Genova e Venezia ma non si ebbero battaglie
decisive. La potenza di Genova andò affievolendosi nel corso del secolo
e Venezia si affermò come padrona dei mari, raggiungendo il culmine
della propria ascesa agli inizi del XVI secolo.
Col progressivo declino dell'Impero bizantino, l'altro grande rivale di
Venezia - la caduta di Costantinopoli data al 1453 - la Serenissima
poté interessarsi ad una politica di espansione territoriale sulla
terraferma che prese avvio proprio agli inizi del XV secolo. Le
iniziative militari veneziane entrarono in conflitto con gli interessi
del ducato di Milano, impegnato a sua volta in una politica
espansionistica guidata della famiglia Visconti. Nello scontro si
inserì anche la repubblica di Firenze, minacciata dall'aggressività
viscontea e alleatasi con i Veneziani. La Serenissima riportò una
vittoria decisiva nella battaglia di Maclodio del 1427, assumendo una
posizione egemone che allarmò i Fiorentini, i quali preferirono rompere
l'alleanza e schierarsi dalla parte di Milano. La guerra si protrasse
con operazioni di minore portata fino al 1454, quando le due rivali
siglarono a Lodi una pace destinata a stabilizzare l'assetto politico
della Penisola per quarant'anni: Venezia e Milano fissavano sull'Adda
il confine fra i rispettivi territori e rinunciavano ad ulteriori
tentativi di espansione, mantenendo in una condizione di equilibrio la
frammentata realtà politica italiana.
Le compagnie di ventura
Le campagne militari furono dominate dalle cosiddette compagnie di
ventura, formazioni di mercenari guidate da condottieri esperti che
mettevano le proprie armi al servizio dei regnanti e delle città. Tali
compagnie, attive in Italia fin dalla fine del XIII secolo,
combattevano sotto le insegne del miglior offerente, che poteva
cambiare più volte nel corso di un conflitto, determinando frequenti
ribaltamenti di alleanze ed esiti militari imprevisti. I soldati di
ventura non avevano legami di fedeltà e obbedienza, né erano animati da
sentimenti patriottici o da interessi di difesa delle proprie terre e
dei propri beni, ma agivano sulla base di un vincolo contrattuale
fondato sul denaro. Per questo motivo tendevano generalmente ad evitare
di mettere a rischio la propria vita durante i combattimenti e le
battaglie finivano spesso col trasformarsi in lunghe operazioni
d'assedio o in scontri non risolutivi, più simili a tornei che a vere e
proprie guerre.
Il massiccio impiego di compagnie di mercenari fu stigmatizzato da
molti politici e trattatisti dell'epoca. Niccolò Machiavelli additò
questa pratica come una delle cause dell'inferiorità militare dei
principi italiani, che di fronte all'arrivo di un esercito organizzato
e fedele al proprio sovrano come quello francese avevano finito col
soccombere.
Il Cinquecento: la fine della libertà italiana
Per approfondire, vedi la voce Guerre d'Italia del
XVI secolo.
Il 1494 segna la fine della politica dell'equilibrio e l'inizio di quel
lungo periodo di conflitti che va sotto il nome di guerre d'Italia.
Secondo una fortunata formula storiografica, questa data coincide con
la fine della libertà italiana: la Penisola cade sotto l'egemonia delle
potenze straniere (prima la Francia, poi la Spagna e infine l'Austria),
una soggezione dalla quale si libererà solo nel 1866 con gli esiti
vittoriosi della terza guerra di indipendenza.
La discesa di Carlo VIII in Italia
La riapertura delle ostilità dopo il quarantennio di pace seguito agli
accordi di Lodi scaturì dall'iniziativa del re di Francia Carlo VIII,
che discese in Italia alla testa di un esercito di venticinquemila
uomini con l'obiettivo di riconquistare il regno di Napoli, sul quale
vantava diritti in virtù del legame dinastico con gli Angioini. La
conquista del reame napoletano rappresentava per Carlo la premessa
indispensabile per estendere il proprio controllo all'intera penisola e
per affrontare direttamente la minaccia turca.
La spedizione del re francese incontrò il favore di molti principi
italiani, che intendevano approfittare della sua potenza per conseguire
obiettivi propri: il duca di Milano Ludovico il Moro ottenne grazie
all'appoggio di Carlo VIII la cacciata del nipote Gian Galeazzo Maria
Sforza, che insidiava il suo potere; a Firenze gli avversari dei Medici
aprirono le porte della città ai francesi costringendo alla fuga Piero
il Fatuo e restaurando la repubblica sotto la guida di Savonarola.
Anche i cardinali romani ostili ad Alessandro VI Borgia puntavano alla
sua deposizione, ma il papa spagnolo scongiurò colpi di mano garantendo
al re il passaggio attraverso i territori pontifici e offrendo suo
figlio Cesare come guida in cambio del giuramento di fedeltà.
Il 22 febbraio 1495 Carlo VIII entrò a Napoli, sostenuto da buona parte
dei baroni del regno che si erano schierati dalla sua parte contro
Ferdinando II d'Aragona. Ma la conquista non poté essere consolidata,
vista l'avversione che la sua impresa aveva suscitato anche da parte di
coloro che inizialmente l'avevano favorita: Milano, Venezia e il papa
costituirono una lega antifrancese, alla quale diedero il proprio
appoggio anche l'imperatore Massimiliano e la Spagna dei Re Cattolici.
Carlo fu costretto a risalire la penisola e a incontrare le truppe
della lega a Fornovo sul Taro nel luglio del 1495. Anche se non
sconfitto, il sovrano dovette riparare in Francia.
Le ostilità ripresero nel 1499 con la discesa in Italia di Luigi XII,
successore di Carlo. Il nuovo sovrano conquistò il ducato di Milano in
forza dei diritti ereditati dalla nonna Valentina Visconti e nel 1501 i
francesi occuparono Napoli, ma furono sconfitti dai rivali spagnoli
nella battaglia sul Garigliano del 1503.
Fra il 1499 e il 1503 si colloca anche la folgorante carriera militare
di Cesare Borgia, il figlio del papa Alessandro VI. Con l'appoggio
della Francia e grazie ad una politica violenta e spregiudicata, il
Duca Valentino (così soprannominato in quanto investito del ducato di
Valentinois) conquistò un dominio a cavallo fra le Marche e la Romagna
che non gli riuscì di consolidare ed espandere a causa della morte del
pontefice nell'agosto del 1503: la rovina dei Borgia travolse anche il
fragile regno del Valentino, che morì sotto le mura della città di
Viana, in Navarra, nel 1507, combattendo a difesa del cognato Giovanni
III d'Albret.
Carlo V e Francesco I
Per approfondire, vedi la voce Rapporti tra Carlo V
e Francesco I.
Con la formazione della Lega di Cambrai (1508), voluta da papa Giulio
II della Rovere in funzione antiveneziana, i francesi fecero ritorno in
Italia, destando le preoccupazioni dei principi della penisola. Il
pontefice costituì allora una Lega Santa che nel 1513 costrinse gli
ingombranti vicini alla ritirata. Le mire francesi sull'Italia furono
ereditate nel 1515 da Francesco I di Valois, che sarà protagonista
insieme al rivale Carlo V di una lunga lotta per l'egemonia
continentale che avrà in Italia il suo principale teatro. Col trattato
di Noyon del 1516 le due grandi contendenti riconoscevano le rispettive
conquiste: alla Francia veniva confermato il possesso del Ducato di
Milano, alla Spagna quello del Regno di Napoli. Ma l'accordo non bastò
a spegnere le rivalità, che esplosero nuovamente nel 1519 con
l'elezione a imperatore di Carlo V, già re di Spagna, Napoli e Sicilia.
Nel 1521 le armate francesi scesero nuovamente in Italia con
l'obiettivo di riconquistare il reame napoletano, ma furono sconfitte
nelle battaglie della Bicocca, di Romagnano e di Pavia, durante la
quale lo stesso Francesco I fu fatto prigioniero e condotto a Madrid
per poi essere rilasciato solo dopo la cessione di Milano agli Spagnoli
(1525).
Francesco I di Valois
L'allarme per la crescente potenza degli Asburgo portò alla
costituzione della Lega di Cognac, promossa da papa Clemente VII de'
Medici e siglata dal sovrano francese insieme alle repubbliche di
Venezia e Firenze. Un'alleanza fragile che non fu in grado di evitare
il terribile sacco di Roma del maggio 1527, episodio che suscitò orrore
e costernazione in tutto il mondo cattolico: i Lanzichenecchi, soldati
imperiali di origine prevalentemente tedesca e fede luterana, misero
sotto assedio la Città Eterna, che fu espugnata e saccheggiata per
giorni. Il papa, asserragliato in Castel Sant'Angelo, fu costretto alla
pace con l'imperatore. Il papa Clemente VII, nell'intento di
consolidare proprio potere indebolito dopo il sacco di Roma, ottenne
però dall'imperatore la restaurazione della propria famiglia, i Medici,
a Firenze, dove si era costituita una repubblica (1527-1530); riuscì
poi a consolidare ulteriormente il proprio dominio impadronendosi di
Perugia e di Ancona. Il 5 agosto 1529 venne stipulata la pace di
Cambrai, con la quale la Francia rinunciava alle mire sull'Italia
mentre la Spagna vedeva riconosciuto il possesso di Napoli e Milano.
L'equilibrio fu nuovamente infranto nel 1542, con l'inizio di una nuova
fase di conflitti franco-spagnoli in territorio italiano. Gli scontri
ebbero esiti alterni, sanciti da deboli trattati di pace (come la pace
di Crépy del 1544) e continuarono anche dopo la morte di Francesco I e
l'ascesa al trono del suo successore Enrico II nel 1547. Ma lo scenario
internazionale mutò di colpo nel 1556, quando Carlo V abdicò dopo aver
diviso i suoi possedimenti fra il figlio Filippo II e il fratello
Ferdinando I. Furono proprio Enrico e Filippo a stipulare nel 1559 la
pace di Cateau-Cambrésis, che mise fine definitivamente allo scontro
tra Francia e Spagna per l'egemonia europea. La Spagna consolidò la
propria posizione di dominio in Italia, destinata a durare fino al
1714, anno della conclusione della guerra di Successione spagnola e
dell'avvento dell'Austria come potenza egemone sulla penisola. La pace
chiuse un sessantennio di guerre continue e sancì quella fine della
libertà italiana avviata dalla spedizione di Carlo VIII nel 1494.
Da questo momento si può considerare esaurita la parabola del
Rinascimento: l'Italia è quasi interamente soggetta alla corona
spagnola ed è interessata da quel processo di reazione della Chiesa
cattolica al luteranesimo che va sotto il nome di Controriforma. Il
periodo che seguì la fine delle guerre d'Italia - dalla seconda metà
del XVI a tutto il XVII secolo - è stato a lungo etichettato come Età
della decadenza, una formula per molti versi semplicistica che è stata
fatta oggetto di profonda revisione da molti storici del XX secolo
Le condizioni economiche e sociali
Durante l'epoca rinascimentale emergono già in maniera evidente i
differenti livelli di sviluppo economico raggiunti dalle diverse parti
della Penisola. Il Nord conobbe una fase di prosperità che lo inserì
fra le regioni più ricche d'Europa. Le Crociate avevano consentito di
costruire legami commerciali duraturi con l'Asia e in particolar modo
la Quarta Crociata aveva permesso a Veneziani e Genovesi di
estromettere i rivali bizantini dai traffici nel Mediterraneo
orientale. Le principali rotte commerciali passavano infatti attraverso
i territori bizantini e arabi e avevano come snodo proprio Venezia,
Genova e Pisa. Prodotti di lusso acquistati nel Levante, come spezie,
coloranti e sete, venivano importati in Italia e da qui rivenduti in
tutto il continente, mentre le merci provenienti dall'Europa
continentale quali lana, frumento e metalli preziosi raggiungevano la
Penisola attraverso le fiere della Champagne. I traffici lungo l'asse
dall'Egitto al Baltico fruttavano ai mercanti italiani ingenti
guadagni, che venivano reinvestiti nel settore agricolo e
nell'estrazione mineraria.
In questo modo le regioni settentrionali dell'Italia, che non vantavano
risorse superiori a quelle di altre aree europee, raggiunsero elevati
livelli di sviluppo grazie all'impulso dato dai commerci. Firenze in
particolare si affermò come uno dei centri più prosperi grazie
soprattutto alla produzione di panni di lana, gestita dall'Arte della
Lana, una delle più importanti corporazioni cittadine. La materia prima
era importata dal Nord Europa (nel XVI secolo dalla Spagna mentre i
coloranti importati dall'Est erano utilizzati per la fabbricazione di
tessuti di alta qualità.
Il Sud invece, nonostante l'unità territoriale realizzata fin dal XII
secolo, restava escluso dai grandi traffici commerciali europei. Nel
Regno di Napoli non era venuta formandosi una borghesia dinamica ma
perduravano le antiche strutture feudali fondate sul privilegio e una
tendenza alla concentrazione fondiaria nelle mani di un forte ceto
baronale. L'economia era essenzialmente agricola e i livelli di
urbanizzazione molto bassi. Inoltre le attività commerciali e
finanziarie erano gestite quasi interamente da banchieri stranieri,
soprattutto fiorentini e catalani, che concedevano prestiti alla Corona
e realizzavano profitti destinati ad essere reinvestiti altrove. L'età
rinascimentale fu inoltre interessata da un processo di costante
incremento della popolazione seguito al crollo demografico del
Trecento, dovuto al flagello della peste bubbonica. L'aumento si
verificò in maniera piuttosto generalizzata in tutta Europa e vide
l'Italia settentrionale al secondo posto per densità abitativa (40
abitanti per km²) dopo l'Olanda. Nel 1550, nella fase conclusiva del
periodo rinascimentale, la città più popolosa d'Italia era Napoli, con
circa 210.000 abitanti, seguita da Venezia (160.000), Milano e Palermo
(entrambe 70.000).