Le interpretazioni del Risorgimento

 
http://noicrediamo.acmos.net/files/2011/03/le-interpretazioni-del-risorgimento.pdf

 

(tratto da A.De Bernardi-S.Guarracino, I saperi della storia, Bruno Mondadori 2006, pp.608-9)

 
In
questa lunga vicenda di dibattiti e interpretazioni si possono distinguere quattro fasi: la prima riguarda l'iniziale riflessione critica sul Risorgimento che si apri all'interno stesso dei movimenti che stavano contribuendo alla sua riuscita all'indomani del biennio rivoluzionario 1848- 49; la seconda coincide con i primi decenni postunitari e fu incentrata essenzialmente sul tentativo di dare  un'immagine mitica  del processo di formazione dello stato unitario; la  terza consiste nell'ampia e complessa discussione che si aprì sul Risorgimento in epoca fascista, soprattutto dopo la pubblicazione nel 1928 del saggio del filosofo Benedetto Croce, Storia d'Italia dal 1871 al 1914; la quarta è quella che prese avvio con la pubblicazione nell'immediato secondo dopoguerra dei Quaderni dal carcere di Antonio Gramsci.


An
alizziamo separatamente ciascuna di queste fasi.

 

La riflessione critica all'interno dei movimenti artefici del Risorgimento.


Co
me si è detto, la prima fase coincise cronologicamente con gli eventi stessi che portarono all'unificazione nazionale, e il dibattito storiografico si intrecciò con quello politico, anzi ne fu una parte integrante fino a giungere quasi a sovrapporsi. Già dopo il fallimento della rivoluzione del 1848-49 si aprì un ampio dibattito tra i democratici (Carlo Cattaneo, Mazzini, Pisacane, Ferrari, Montanelli) e tra i liberali moderati (La Farina, Cesare Balbo, Farini) nel quale si delinearono alcune questioni che caratterizzarono in maniera permanente il dibattito storiografico fino ai giorni nostri: la funzione che il Piemonte venne assumendo nel processo risorgimentale; il ruolo della casa Savoia nel determinare gli esiti della battaglia nazionalistica; l'influenza della rivoluzione francese e più in generale della Francia nelle vicende italiane; gli esiti storici che la mancata o la scarsa partecipazione dei ceti popolari ebbe sui caratteri del moto risorgimentale e sulla futura connotazione dello stato unitario.

 

Le ricostruzioni ideologiche del processo unitario.


D
opo questa fase ricca di contrasti e di chiaroscuri, il dibattito si mosse in direzione opposta. Nei decenni immediatamente postunitari infatti gli storici, tra cui spiccano Nìcomede Bianchi con la sua monumentale Storia documentata della diplomazia europea in Italia dall'anno 1814 all'anno 1861, scritta fra il 1865 e il 1872, e Carlo Tivaroni, con la sua Storia critica del Risorgimento italiano, pubblicata a partire dal 1888, tentarono di ricostruire un'immagine mitica e profondamente ideologica del Risorgimento. Come ha scritto lo storico contemporaneo Giorgio Candeloro: "Si venne formando, pur attraverso persistenti polemiche tra monarchici e repubblicani, l'immagine di un Risorgimento perfettamente concluso con la formazione del regno d'Italia e diffuse quindi la tendenza a considerare la contrastante attività delle correnti politiche risorgimentali come cospirante, quasi per disegno provvidenziale, ad una soluzione da accettarsi ormai da tutti senza discussioni nei suoi due aspetti fondamentali: l'unità e la monarchia sabauda».


E
sempio, forse meno noto, ma non meno significativo di questa tendenza fu la ricostruzione storica che del Risorgimento ci consegnò Alessandro Manzoni in alcune sue note sparse del 1873, che in parte confluirono nel trattatello Dellindipendenza italiana. «Certo scriveva Manzoni - a nessuna mente umana era dato di predire la successione dei mezzi con cui l'Italia sarebbe arrivata alla sua mirabile formazione e che, tra questi mezzi, uno dei più potenti, anzi il solo efficiente e determinante, avesse a essere la concordia, allora tanto lontana, degli Italiani, nell'intendere e nel volere, delle specie immaginate, di una tale formazione, la sola desiderabile. E fu pe questa concordia che, iniziata dai primi fatti [...] d'un re e di un popolo d'una parte d'Italia, e portata sempre più avanti da una continuità non interrotta di fatti consentanei ai primi, pervenne in dieci anni, a quell'alta maggioranza che, nelle cose del genere è la sola sperabile e, come l'esito ha mostrato, poté ciò che volle


Qu
esta storiografia,  tutta  rivolta,  per  dirla con  Gramsci,  a  ricostruire una  ideale  e spesso  ideologica

«biografia della nazione», cominciò a mostrare notevoli crepe già sul finire dell'Ottocento; una serie di saggi, prevalentemente di storici appartenenti alla cosiddetta scuola economico-giuridica - tra cui spicca Antonio Anzillotti -, allargarono l'orizzonte delle ricerche agli aspetti economici che sottesero il Risorgimento e ai diversi gruppi sociali di cui fu espressione.

 

L'interpretazione del fascismo e quella dei liberali


L
a terza fase del dibattito si intreccia strettamente con la crisi dello stato liberale e con l'avvento del fascismo. Si sviluppò una riconsiderazione storica delle vicende risorgimentali orientata su due direttrici di fondo: quella degli storici fascisti come Gioacchino Volpe che, riprendendo la valutazione positiva del Risorgimento come "conquista regia della casa Savoia, spostavano l'accento sulla costruzione della compagine statale unitaria e individuavano nel fascismo l'esito culminante di tutte le vicende risorgimentali; quella degli storici liberali fortemente ispirati da Croce, che si mossero in direzione di una complessa opera di rivalutazione della linea d'intervento del movimento liberale. In questa corrente di pensiero si inserisce il libro di Adolfo Omodeo su L'opera politica del Conte di Cavour, uscito nel 1940, in cui veniva ricostruita l'elaborazione dello statista piemontese riuscendo a mettere in luce il ruolo da lui svolto nella formazione del regime parlamentare nello stato italiano.


Questo lavoro si configurava soprattutto come risposta alle tesi sostenute diversi anni addietro da un giovane intellettuale torinese, Piero Gobetti, militante antifascista, morto esule a Parigi appena venticinquenne anche per le conseguenze di una barbara aggressione di alcuni squadristi torinesi. Gobetti, nello sforzo di individuare le ragioni della crisi dello stato liberale, ope una profonda revisione delle analisi storiografiche del Risorgimento, definendo il processo di creazione dello stato unitario una "rivoluzione fallita". Per "rivoluzione fallita" Gobetti intendeva il fatto che la direzione liberale e moderata del movimento risorgimentale non era riuscita a coinvolgere le grandi masse popolari, formando sulla loro partecipazione le basi sociali della nuova compagine sorta dalla lotta per l'indipendenza.


O
modeo sostenne invece che la rivoluzione non era affatto fallita, anzi aveva sortito gli esiti migliori, perc era stata il trionfo di quel liberalismo moderato incarnato dalla figura Cavour, che aveva contribuito maggiormente alla realizzazione del Risorgimento.

 

Gramsci e la rivoluzione fallita.


L
a nuova fase di dibattito si aprì dopo la Seconda guerra mondiale. Fu soprattutto per merito di Antonio Granisci e delle felici elaborazioni contenute nei famosi Quaderni, compilati durante la lunga carcerazione impostagli dai tribunali fascisti, che la riflessione critica sul Risorgimento fece un notevole salto di qualità, esplorando nuovi territori e confrontandosi con nuove e più ampie problematiche. Analizzando la vittoria dei moderati, Gramsci la spiegava con il fatto che essi erano un gruppo di intellettuali socialmente e culturalmente omogeneo con le classi e i ceti, la grande e la media borghesia, sia urbana sia rurale, che di fatto alimentarono ed egemonizzarono il processo unitario. I democratici al contrario non erano l'espressione politica di classi omogenee; per esserlo avrebbero dovuto trasformare il loro programma in senso sociale, come indicavano Pisacane e Ferrari, diventando il partito dei lavoratori poveri e delle masse contadine diseredate, prevalentemente meridionali. Essi non operarono questa conversione del programma e rimasero stritolati politicamente tra l'egemonia moderata della borghesia e l'immobilismo popolare. Il Risorgimento era quindi una "rivoluzione fallita" perc non aveva saputo raccogliere, attraverso una decisa riforma agraria, l'adesione delle masse contadine, che rappresentavano la stragrande maggioranza della popolazione, allargando così le basi dello stato e garantendo il superamento dell'arretratezza economica di tanta parte del paese.


Gr
amsci intende anche come rivoluzione passiva quella in cui i liberali moderati hanno avuto strategicamente la meglio sui repubblicani democratici mantenendo l’ordine feudale esistente causando la permanente spaccatura tra Stato e società civile. Il fascismo è la diretta conseguenza di questa situazione, cioè un tentativo della borghesia debole di ridefinire un sistema politico che stava crollando.


Qu
esta chiave interpretativa fu ripresa da parecchi studiosi e divenne il punto di riferimento teorico di numerose ricerche tra cui spiccano quelle di Emilio Sereni, di Giuseppe Berti, di Franco Della Peruta e di Giorgio Candeloro. Queste posizioni critiche, che configurano una vera e propria scuola storiografica di ispirazione marxista, suscitarono notevole opposizione, soprattutto sul problema della questione agraria nel Risorgimento.

Lo storico Rosario Romeo, per esempio, in due interventi comparsi sulla rivista "Nord-Sud" nel 1956 e nel 1958 sostenne che la posizione degli storici gramsciani era errata, quando attribuivano alla mancata riforma agraria l'arretratezza della società e dello stato italiano, perc l'accumulazione di capitali che si verificò dopo l'Unità (la cosiddetta accumulazione primitiva) e che consentì il decollo industriale di fine Ottocento non si sarebbe potuta determinare se una redistribuzione delle terre avesse impedito una rivoluzione agricola di segno capitalistico, soprattutto nelle campagne settentrionali.


In
opposizione alle interpretazioni marxiste, gli storici liberali (Romeo, Luzzatto) sottolineano gli ostacoli al progresso politico ed economico dellItalia: la dipendenza dalle potenze straniere, la discordia interna, larretratezza dei governi reazionari.


L
e ricerche di Romeo, fortemente influenzate dai nuovi approcci della storia economica e della teoria dello sviluppo, aprirono una nuova prospettiva di studio indirizzata all'analisi della storia dell'industrializzazione italiana, che avrebbe costituito negli anni seguenti il vero centro degli interessi della storiografia italiana.


L
uzzatto critica linterpretazione del Risorgimento come espressione borghese, dal momento che questa classe sociale non esisteva a causa dellassenza di uno sviluppo economico pre-1960. Le interpretazioni marxiste e liberali condividono lesigenza di spiegare il significato della vittoria moderata del Sessanta alla luce degli insuccessi successivi dell’Italia Liberale: idea di una deviazione rispetto a modelli democratico-borghesi.

 

La storiografia revisionista.


L
’unificazione nazionale viene considerata una soluzione parziale a problemi specifici, non un momento di rottura con il passato: rimessa in discussione di nessi causali prima consolidati.  Per i revisionisti, lidea di deviazione italiana è stata inventata dagli storici influenzati da modelli di spiegazione deterministici dello sviluppo politico ed economico. Si tende, così, a sottolineare gli aspetti positivi dei regimi pre-unitari e a inserire la crisi dei governi della restaurazione e l’unificazione in un contesto più ampio: l’unità è esito di processi diversi, a volte contraddittori, identificabili con laffermazione degli stati moderni, con la formazione di una cultura nazionale basata su lingua e economia capitalista. La storiografia revisionista non analizza lazione politica, dimentica gli elementi di conflitto e di crisi dell’Italia 800.


L
a dimensione culturale


Nuova
corrente di ricerca che ha orientato la propria attenzione sulla creazione, nellambito della cultura romantica, di un’idea di Italia. Il tentativo di Banti (La nazione del Risorgimento. Parentela, santità e onore alle origini dell'Italia unita 2006) è quello di rimettere in discussione limmagine dellidentità Italiana frammentata, indebolita dai conflitti interni: esisteva una sorta di narrazione coerente della nazione italiana, un discorso ricco di rimandi e di coerenze, una sorta di pensiero unico della nazione che attingeva ad un comune repertorio di temi, metafore e simboli.


Il
Risorgimento viene considerato un movimento di massa, attivamente partecipato dai cittadini (nelle sue guerre, nella lotta politica, nelle feste e commemorazioni), che ha creato un movimento culturale più ampio, di portata europea. Lapproccio secondo cui si mette al centro la cultura permette di mettere in rilievo il processo di “italianizzazione già precedente l’Unità: pur mantenendo una dimensione locale, lattività culturale iniziò a proporre temi, linguaggi, rituali Italiani (cfr: il campo musicale, pittorico e soprattutto teatrale; lo sviluppo della lingua italiana; la nascita di associazioni economiche e scientifiche nazionali).