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Astratta semplificazione della complessa realtà umana,
      enunciata per la prima volta da J.S. Mill, che pone come soggetto
      dell’attività economica un individuo astratto, del cui
      agire nella complessa realtà sociale si colgono solo le
      motivazioni economiche, legate alla massimizzazione della
      ricchezza. Questa categoria della teoria economica, usata in
      particolar modo in microeconomia come premessa dell’analisi
      deduttiva, si pone come universale, in quanto le scelte rilevanti
      dell’h. non sono condizionate dall’ambiente in cui si trova, e
      razionale*, nel senso che il suo comportamento, volto a
      raggiungere dati obiettivi con i minimi mezzi, rispetta criteri di
      coerenza interna a partire da certi assiomi.
    
* Razionalità 
      
      La r. è una caratteristica dell’homo oeconomicus.Nella
      teoria economica tradizionale e moderna si distinguono due
      approcci alla r.: il primo definisce la scelta razionale in base
      alla coerenza interna che rispetta le condizioni di completezza e
      transitività. Esposto da economisti quali K.J. Arrow, M.K.
      Richter, A.K. Sen, H. Herzberger, tale approccio è alla
      base della teoria delle preferenze rivelate. Il secondo,
      introdotto da A. Smith, determina la scelta razionale in base al
      perseguimento del proprio interesse. Tale impostazione, fondamento
      dell’economia del benessere, spiega tra l’altro la corrispondenza
      che esiste tra un equilibrio competitivo (in cui i consumatori e i
      produttori massimizzano rispettivamente la loro utilità e
      il loro profitto) e un ottimo paretiano (in cui l’utilità
      di uno non può essere incrementata senza nuocere
      all’utilità degli altri). 
    
Numerosi economisti hanno però rilevato come questo approccio fosse eccessivamente restrittivo. H. Simon ha sostenuto che l’uomo economico tende a una determinata soglia di soddisfacimento in cui si interessa alla risoluzione di microdecisioni spesso caratterizzate da una informazione non perfetta. Gli studi di Simon hanno portato a un indebolimento del concetto di r. individuale, passando da una r. in senso forte, quella della tradizione neoclassica, a una debole o limitata, dove la conoscenza delle leggi che governano l’economia è «confusa» (fuzzy) e non consente agli individui di raggiungere posizioni ottimali. Le applicazioni della matematica del caos hanno inoltre evidenziato come la complessità dell’economia si ponga come naturale spiegazione di una r. limitata.
      *
    
Wikipedia
Homo oeconomicus è un concetto fondamentale della teoria
      economica classica: si tratta, in generale, di un uomo le cui
      principali caratteristiche sono la razionalità (intesa in
      un senso precipuo, soprattutto come precisione nel calcolo) e
      l’interesse esclusivo per la cura dei suoi propri interessi
      individuali.
      
      Il modello 
      
      L’homo oeconomicus (il termine richiama quello di Homo sapiens)
      cerca sempre di ottenere il massimo benessere (vantaggio) per
      sé stesso, a partire dalle informazioni a sua disposizione,
      siano esse naturali o istituzionali, e dalla sua personale
      capacità di raggiungere certi obiettivi. Il modello
      è stato formalizzato in alcune scienze sociali,
      particolarmente nell’economia.
    
L’homo oeconomicus è visto come "razionale" nel senso che
      egli persegue come obiettivo la massimizzazione del suo proprio
      benessere (definita da una certa funzione matematica detta
      funzione di utilità). In altre parole, questi individui
      perseguono un certo numero di obiettivi cercando di realizzarli
      nella maniera più ampia possibile e con i costi minori. Si
      noti che questa specifica definizione di "razionalità" non
      ha niente a che vedere con il senso che il termine ha di solito
      nell’uso comune, oltre che nella filosofia e nell’etica; rispetto
      alla definizione data, infatti, non ha nessuna importanza se
      l’individuo stia cercando di acquistare, ad esempio, qualcosa di
      completamente inutile, purché lo desideri e lo fissi come
      suo obiettivo: acquistare pane o escrementi di topo in bottiglia
      sono due obiettivi perfettamente identici per la teoria economica,
      e l’uomo viene detto razionale se, acquistando ad esempio degli
      escrementi di topo in bottiglia, riesce a comprarne la massima
      quantità al prezzo migliore. 
    
Chiaramente, affinché l’obiettivo possa essere conseguito
      nel migliore dei modi, è necessario che l’uomo sappia quali
      sono e saranno in futuro le sue più urgenti esigenze, in
      modo da poter calcolare esattamente la migliore decisione da
      prendere in ordine all’acquisto di un certo paniere di beni e
      servizi. In generale, le scienze sociali considerano questa una
      ipotesi non realistica, da prendere con le molle. Il termine
      è spesso utilizzato in senso dispregiativo nella
      letteratura accademica, in particolare dai sociologi, molti dei
      quali preferiscono spiegazioni strutturali alle azioni degli
      individui piuttosto che quella strettamente razionale.
    
In particolare, la razionalità attribuita all’homo
      oeconomicus consiste nel fatto che egli:
      ha certe preferenze (ad esempio, preferisce le mele alle pere) che
      è in grado di disporre in sequenza: quindi, se preferisce
      le mele alle pere e le pere alle banane, egli preferirà
      senza fallo le mele alle banane (proprietà transitiva).
      è capace di massimizzare la sua soddisfazione utilizzando
      al meglio le sue risorse: egli tenderà a massimizzare la
      sua utilità (e non il suo profitto).
      è in grado di analizzare e prevedere nel modo migliore la
      situazione e i fatti del mondo circostante, al fine di operare la
      scelta più corretta in ordine a detta massimizzazione
    
La nozione di utilità è sovente associata in
      economia a quella di benessere. Ne consegue che la somma delle
      utilità degli individui di una determinata società
      viene considerata come benessere sociale.
    
Attribuendo a tutti gli agenti economici queste caratteristiche
      razionali, in un mercato interamente libero, si possono costruire
      dei modelli economici che massimizzano l’utilità di
      ciascuno, ovvero conformi alla subipotesi dell’efficienza del
      mercato
    
Critica 
      
      L’homo oeconomicus basa le sue scelte sulla valutazione della sua
      personale "funzione d’utilità". Egli è inoltre
      amorale, in quanto ignora qualsiasi valore sociale, o vi aderisce
      solo se vi intravede il proprio tornaconto. Alcuni ritengono che
      una tale ipotesi circa gli uomini sia non solo irrealistica, ma
      anche immorale.
    
L'origine storica di questa impostazione metodologica e
      filosofica della teoria economica è da attribuire a
      Léon Walras.
    
Economisti del calibro di Thorstein Veblen, John Maynard Keynes,
      Herbert Simon, e molti della scuola austriaca, criticano l’homo
      oeconomicus come vero protagonista dei fenomeni macroeconomici e
      delle previsioni economiche. Essi attribuiscono un ruolo
      determinante all’incertezza nelle decisioni economiche, mettendo
      così in ombra l’idea di un uomo in grado ad ogni istante di
      calcolare freddamente l’ottimizzazione della funzione di
      utilità a partire dalle circostanze. Essi sostengono
      infatti che la conoscenza perfetta non è realizzabile, da
      cui consegue che ogni attività economica implica un certo
      rischio.
    
Gli studi empirici di Amos Tversky mettono in questione
      l’affermazione circa la razionalità degli investitori. Nel
      1995, Tversky ha dimostrato la tendenza degli investitori a
      compiere scelte non rischiose in caso di guadagno, e scelte
      rischiose in caso di perdita. Gli investitori si sono rivelati
      poco aperti al rischio in caso di piccole perdite, ma indifferenti
      nei confronti di una piccola probabilità di una grossa
      perdita. Ciò viola la razionalità economica
      così come solitamente intesa. Ulteriori ricerche
      sull’argomento, che hanno portato alla luce altre deviazioni degli
      attori economici dalla razionalità economica convenzionale,
      sono stati effettuati nell’ambito dell’emergente disciplina
      chiamata economia comportamentale. Con i risultati di Tversky
      concorda, tra gli altri, lo studio del professor Britan Knutson
      dell’università di Standford, il quale mostra che la
      razionalità degli investitori scivola speso verso
      l’emotività, quando si tratta di prendere delle decisioni
      finanziarie. (Rivista Neuron, settembre 2005)
    
Altre critiche del modello umano di homo oeconomicus, come ad
      esempio quella di Bruno Frey, rilevano la soverchianza delle
      motivazioni estrinseche (ricompense e punizioni provenienti
      dall’ambiente circostante) rispetto alle motivazioni intrinseche.
      Per esempio, è difficile se non addirittura impossibile
      comprendere in che modo l’homo oeconomicus desideri essere un eroe
      di guerra o possa trovare una convenienza nell’esercizio della
      propria abilità manuale. Frey ed altri sostengono che
      un’eccessiva enfasi data alle ricompense ed alle punizioni
      può mettere in ombra le motivazioni intrinseche,
      scoraggiandole: pagare il proprio figlioletto per l’aver svolto
      delle faccende domestiche, può spingerlo a farlo non
      più “per aiutare la famiglia”, ma solo per intascare la
      ricompensa.
    
L'economia altruistica rifiuta il modello di egoismo non
      realistico, sostenendo che la gente ha degli amici nei confronti
      dei quali è capace di essere più o meno altruista,
      ciò che viola il vincolo che le funzioni di utilità
      degli individui debbano essere reciprocamente indipendenti.
    
Un'altra debolezza è stata portata alla ribalta dai
      sociologi, i quali sostengono che l’homo oeconomicus ignori una
      questione di fondamentale importanza, e cioè l'origine
      sociale del "proprio" gusto e della "propria" funzione di
      utilità, e propongono il modello di homo sociologicus, per
      il quale i gusti sono parzialmente o addirittura completamente
      determinati dal contesto sociale.
    
Ulteriori critiche provenienti dalla tradizione psicoanalitica
      (intesa in senso ampio), sottolineano che il modello di homo
      oeconomicus ignora il conflitto interno nel mezzo del quale gli
      individui reali si trovano, come ad esempio quello fra scelte a
      breve termine e scelte a medio termine (come ad esempio il
      mangiare cioccolata ed il perdere peso) o tra obiettivi
      individuali e valori sociali. Tali conflitti possono portare a
      comportamenti "irrazionali" come incoerenza e nevrosi.
    
Una ulteriore critica contesta che il modello di Homo oeconomicus
      funziona come una profezia autoavverantesi, allorché un
      certo gruppo di persone (un’azienda, una società) accetta
      le sue premesse, in particolare l’idea che gli individui
      considerino sempre la loro funzione d’utilità e la
      cosiddetta "mano invisibile" come ciò che fa sì che
      le decisioni prese nel proprio interesse massimizzino il benessere
      dell’intero gruppo. Le strutture di governo e le norme sociali di
      un tale gruppo effettivamente ricompenseranno l’egoismo e
      scoraggeranno o ridicolizzeranno comportamenti devianti quali
      l’altruismo, la correttezza o il lavoro di squadra; i loro idoli
      saranno quelli che più spietatamente saranno in grado di
      massimizzare la propria funzione d’utilità. Il più
      eclatante caso di profezia autoavverantesi riguardante l’homo
      oeconomicus è stato riscontrato nell’insegnamento
      dell’economia. Diverse ricerche hanno mostrato che dopo aver
      frequentato dei corsi di economia, gli studenti si mostravano
      più egocentrici di prima. Per esempio, si mostravano meno
      disposti a cooperare con altri in giochi tipo il Dilemma del
      prigioniero. Si veda al riguardo l’articolo di Thomas Frank ed al.
      (1993), citato alla fine.
    
Mettendo in relazione la dottrina degli economisti con la pratica
      dei teorici dell’economia, certi sociologi criticano la nozione di
      'homo oeconomicus. Pierre Bourdieu ha scritto per esempio:
      «Il mito dell’homo oeconomicus e della “teoria dell’azione
      razionale” [sono delle] forme paradigmatiche dell’illusione
      scolatìstica che porta il sapiente a porre il suo pensiero
      in testa a coloro che agiscono ed a porre al principio della loro
      pratica, cioè della loro «coscienza», le sue
      proprie rappresentazioni spontanee o elaborate o, peggio, i
      modelli che ha dovuto costruire per rendere ragione della loro
      pratica». Pierre Bourdieu, Les structures sociales de
      l'économie (“Le strutture sociali dell’economia”). Bourdieu
      indica così che certe teorie economiche riposano su delle
      ipotesi comportamentali (ad esempio di consumo) certamente
      raffinate e razionali, ma che la gente fonda il suo comportamento
      sulle «piccole abitudini» legate al proprio passato o
      all’ambiente circostante. Non tutte le persone gestiscono e
      razionalizzano il proprio budget come fa l’economista; quindi,
      quando l'economista parla di homo oeconomicus come di un
      universale, non fa altro che proiettare su altri un comportamento
      che è proprio soltanto a una piccola parte degli uomini.
      Risposte [modifica]
      
      Gli economisti tendono a non essere d’accordo con queste critiche,
      sostenendo che può essere interessante analizzare le
      conseguenze dell’egoismo soltanto nell’ambito di uno studio sui
      comportamenti altruistici o sociali: in altre parole, l’egoismo
      non è un problema economico. Altri sostengono che
      bisognerebbe valutare le conseguenze di una così gretta
      avidità anche se solo una piccola percentuale ne fosse
      coinvolta. Ad ogni modo, gli economisti sostengono che la teoria
      resta in piedi anche se soltanto una piccola parte degli attori si
      comporta da homo oeconomicus. In tal senso, il modello di homo
      oeconomicus viene considerato semplicemente come una prima tappa
      di un cammino verso la costruzione di un modello più
      sofisticato.
    
Tuttavia, altri sostengono che l’homo oeconomicus sia una
      approssimazione ragionevole per il comportamento all’interno del
      mercato, perché la natura umana è naturalmente,
      oltre che socialmente (all’interno di un mercato) portata
      all’individualismo. Non solo le regole interne del mercato
      spingono gli individui al calcolo dei costi e dei benefici, ma
      esse ricompensano, e dunque attraggono, i più
      individualisti. Può essere difficile applicare valori
      sociali (in quanto opposti all’interesse personale) in un mercato
      estremamente competitivo; ad esempio, un’azienda che rifiuti di
      inquinare potrebbe fallire per l’incapacità di competere.
    
Alla diffusa critica che gli uomini in carne ed ossa non hanno
      accesso gratuito all’informazione infinita, né hanno la
      capacità di elaborare istantaneamente le informazioni a
      disposizione, alcuni sostenitori del modello di homo oeconomicus
      hanno risposto elaborando modelli di livello superiore più
      realistici, contemplanti l’uso di una “razionalità
      limitata” e l’inserimento dell’invidia come fattore influenzante
      il comportamento.
    
Gli economisti più raffinati sono in genere abbastanza
      coscienti della limitatezza del modello di homo oeconomicus. In
      teoria, un più affidabile modello di homo oeconomicus
      potrebbe essere costruito proprio tenendo conto delle critiche che
      gli sono state rivolte.
      Nota: l’utilizzo della forma latina homo oeconomicus è
      certamente di vecchia data; Persky (1995) lo fa risalire a Pareto
      (1906), ma sostiene che potrebbe essere precedente.