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di Luca Micheletta
Nacque a Palermo il 14 giugno 1883 da Biagio e Blandine von
Bülow. Nazionalista militante fin da ragazzo il G., nell'agosto
1900 entrò alla R. Accademia navale di Livorno e, nel 1903,
venne assegnato, col grado di guardiamarina, al corpo dello stato
maggiore. Nel marzo 1905 si imbarcò col grado di sottotenente
di vascello per l'Estremo Oriente, destinato alla forza navale
italiana in Cina. Dopo circa un anno di navigazione nei mari
asiatici, nel febbraio 1906 venne trattenuto al servizio del console
generale italiano a Shanghai, C. Nerazzini, come segretario della
commissione italiana per la stipulazione di un nuovo trattato di
amicizia e commercio con la Cina.
In tale veste elaborò una serie di studi informativi circa la
situazione politica, economica e sociale dell'impero cinese, che
riunì, al termine del suo incarico, nell'unico corposo volume
da lui pubblicato, La Cina dopo il Millenovecento (Milano 1907),
sorta di rudimentale compendio storico-politico degli avvenimenti
interni e internazionali cinesi tra la rivolta dei Boxer e il 1906,
di evidente intento didascalico e illustrativo di una realtà
allora praticamente sconosciuta agli Italiani.
Rientrato in Italia, iniziò ad affiancare agli incarichi di
servizio la collaborazione, su temi per lo più di strategia
navale, a prestigiose riviste quali la Rivista marittima e la Nuova
Antologia. La conoscenza delle lingue e i legami parentali con il
mondo tedesco gli facilitarono la via per effettuare diverse
missioni in Germania allo scopo di studiare le nuove tecnologie che
allora andavano sviluppandosi in campo aeronautico.
Poté personalmente sperimentare la nuova arma aerea, come
primo ufficiale di marina con mansioni di osservatore d'idrovolanti,
durante la guerra per la conquista della Libia, nella quale si
distinse guadagnandosi, nel luglio 1912, la promozione a tenente di
vascello.
Al momento dell'entrata dell'Italia nel primo conflitto mondiale, fu
chiamato a far parte dello stato maggiore dell'ammiraglio P. Thaon
de Revel con sede a Venezia.
Continuò a occuparsi, con numerose relazioni tecniche,
dell'uso della nuova arma aerea, della sua organizzazione in guerra
e del suo coordinamento con gli altri mezzi bellici. Ma al lavoro di
ufficio alternò una intensa progettazione ed esecuzione di
operazioni belliche, partecipando a missioni a bordo di idrovolanti
in servizio di esplorazione sulle linee nemiche, sui MAS e al
comando della torpediniera 24 O.S.; con quest'ultima, la notte tra
il 28 e il 29 maggio 1916, timoniere Nazario Sauro, riuscì
per primo a forzare il porto di Trieste e a scagliare alcuni siluri
che danneggiarono il molo e alcuni depositi di carbone. Il coraggio
mostrato, la ricerca del gesto eroico lo legarono a G. D'Annunzio,
come testimoniano le citazioni che dì lui fa il poeta nel
Notturno e il carteggio che i due mantennero nel periodo bellico e,
con minore intensità, fino al 1924.
Decorato con due medaglie d'argento e una di bronzo al valor
militare, alla fine della guerra venne inviato come addetto navale a
Stoccolma, dove assunse l'incarico il 4 apr. 1919.
Dalla capitale svedese poté osservare passo passo gli
avvenimenti baltici che seguirono la dissoluzione degli imperi russo
e tedesco, prestando particolare attenzione alle vicende della
Russia e ai tentativi espansionistici del movimento rivoluzionario
bolscevico. Con un piccolo nucleo di collaboratori mise in piedi un
efficace servizio d'informazioni, stilando rapporti che a Roma
venivano raccolti in un Bollettino speciale e fatti circolare tra i
più importanti organi e istituzioni dello Stato.
Nel 1920 venne incaricato dal ministero degli Affari esteri di
trattare con la prima missione sovietica, con sede a Copenaghen,
guidata da M.M. Litvinov, lo scambio dei militari russi prigionieri
in Italia con il rimpatrio di tutti gli italiani dalla Russia,
trattativa che si chiuse positivamente con l'accordo del 27 apr.
1920. Ma il G. non riuscì a procedere oltre nella
normalizzazione delle relazioni con la Russia bolscevica: le sue
convinzioni politiche antisovietiche, la diffidenza maturata verso
gli esponenti del bolscevismo, spinsero il ministro degli Esteri C.
Sforza a sollevarlo dall'incarico.
Richiamato in patria il 7 giugno 1922, l'anno seguente si
congedò volontariamente dal servizio e si stabilì a
Roma, dividendosi tra la gestione delle tenute marchigiane della
famiglia della moglie, Maria Sofia Giustiniani Bandini, sposata nel
maggio di quell'anno, i viaggi all'estero, soprattutto in Germania,
e l'attività di pubblicista, scrittore e conferenziere,
occupazioni che lo avrebbero impegnato fino alla nomina ad alto
commissario della Società delle nazioni a Danzica.
È di questo periodo l'intensa collaborazione a periodici e
quotidiani tra i quali Nuova Antologia, Politica, Gerarchia, il
Corriere della sera e soprattutto la Rassegna italiana diretta da T.
Sillani; fu anche collaboratore dell'Enciclopedia Italiana.
La sua produzione spaziò dai commenti di attualità di
politica estera e navale, ai saggi di carattere storiografico circa
le origini della guerra e dell'intervento italiano, in genere
occasionati dalla pubblicazione di nuove fonti a carattere
memorialistico o documentale. Dal punto di vista ideologico, il G.
sposava in pieno le tesi dei nazionalisti, riecheggiando nei suoi
scritti le polemiche sulla vittoria mutilata, la dura critica agli
alleati dell'Italia nella guerra, e l'idea che si imponesse, presto
o tardi, una sostanziale revisione dell'assetto
politico-territoriale postbellico. In questo senso andava anche la
sua radicale avversione al trattato di pace di Versailles, che
riteneva ingiusto per le riparazioni e le amputazioni territoriali
imposte alla Germania - in linea con quanto andavano sostenendo la
storiografia e la pubblicistica politica tedesche - e foriero di
nuovi sconvolgimenti del continente europeo.
Confluì insieme con i nazionalisti nel Partito nazionale
fascista, di cui nel 1924 fu candidato nelle Marche; nello stesso
anno fu nominato membro aggiunto della delegazione italiana alla
Società delle nazioni.
La pluriennale attività presso il foro internazionale non
mutò, tuttavia, la sua convinzione che l'istituto ginevrino,
all'ombra dell'internazionalismo e della collaborazione tra i
popoli, rimanesse di fatto lo strumento dell'imperialismo di Francia
e Gran Bretagna mirante a perpetuare la loro egemonia sul continente
europeo.
Nominato per un triennio alto commissario della Società delle
nazioni per la città libera di Danzica - lo staterello creato
dal trattato di Versailles, prevalentemente abitato da Tedeschi, la
cui politica estera e la cui economia dipendevano dalla Polonia -
entrò in carica il 24 giugno 1929.
Al problema di Danzica il G. si era già interessato nel 1925,
quando per incarico della Società delle nazioni aveva avuto
il compito di provvedere alla delimitazione della penisola della
Westerplatte, ceduta in parte alla Polonia. La sua nomina fu
salutata con favore dal governo di Berlino, pur con qualche timore
che - proprio per il passato filotedesco, oltre che per i legami
familiari col mondo germanico - egli potesse essere accusato dai
Polacchi di parzialità. A Danzica ebbe il compito di mediare
le continue controversie e regolare i delicati rapporti tra i due
poteri della città: il governo cittadino, nominato da un
Parlamento legislativo controllato dai Tedeschi, e il governo
polacco.
Di pari passo con l'attività di alto commissario, il G.
intensificò i rapporti con il mondo politico tedesco e in
particolare con i capi nazionalsocialisti. Sostenitore di Hitler fin
dai suoi sfortunati esordi politici all'inizio degli anni Venti,
considerò subito il futuro Führer e il
nazionalsocialismo la vera forza di riscossa nazionale della
Germania e il vero punto di riferimento per l'Italia fascista.
Per il G., nel generale disprezzo con cui il mondo politico tedesco
guardava all'Italia e agli Italiani, il movimento hitleriano
rappresentava l'unica forza politica interessata a un'intesa con
l'Italia, che ne apprezzava il regime, e, soprattutto, che
costituiva un freno alle tendenze antitaliane e irredentiste nei
confronti dell'Alto Adige manifestate dal nazionalismo teutonico e
in particolare bavarese (cfr. Dieci anni di guerra e I partiti
tedeschi tra Locarno e Mosca, in Scritti).
Coerentemente con queste concezioni il G. tentò di
influenzare Roma perché seguisse con maggiore simpatia le
sorti del nazionalsocialismo, spesso anche in contrasto con quanto
riferiva l'ambasciatore italiano a Berlino, L. Orsini Baroni.
Proprio allo scopo di promuovere politicamente in Italia la figura
del leader nazista, nel luglio 1930 introdusse l'amico L. Federzoni
a colloquio con Hitler. Poté quindi esultare per la grande
vittoria elettorale di Hitler del settembre 1930 che, sul piano
internazionale, significava per il G. il definitivo abbandono della
politica di ricerca di un'intesa franco-tedesca con esclusione
dell'Italia e un aumento di prestigio e di stima per il regime
fascista in Germania.
Tuttavia l'entusiasmo mostrato dal G. verso il nazionalsocialismo
non risultò gradito nemmeno alle autorità tedesche
che, alla fine del 1930, se ne lamentarono con l'ambasciatore
italiano. Dopo di ciò il G. interruppe la sua attività
di promozione del nazismo, diminuendo la frequenza dei viaggi in
Germania e concentrandosi sull'attività a Danzica. Anche nel
ruolo di alto commissario non nascose le sue simpatie politiche per
la Germania e, già alla fine del 1930, giudicò la
situazione a Danzica insostenibile per l'impossibilità di
stabilire una collaborazione tra Tedeschi e Polacchi, ritenendo che
si imponesse ormai l'esigenza di una revisione del trattato di
Versailles in senso filotedesco e proponendo che l'Italia la
sostenesse. Questa idea, tuttavia, fu subito accantonata dal
ministro degli Esteri D. Grandi. Anzi, nel luglio 1932, di fronte a
una nuova istanza revisionista del G., Grandi lo invitò a
mantenere un atteggiamento più sereno e meno sfavorevole alla
Polonia.
Colpito da improvvisa malattia, il G. morì a Danzica il 19
sett. 1932.