Le critiche di Gramsci al Saggio popolare di Bukharin

 

Introduzione alla lettura

Come riesce chiaro dalla lettura di questa antologia, che comprende anche tutti i lacerti del Quaderno IV, il Saggio popolare di Bukharin rappresente un riferimento costante delle critiche che Gramsci rivolge ad una delle tre "degenerazioni" del marxismo della sua epoca: il tentativo di ibridare il marxismo stesso con la sociologia positivista. La seconda degenerazione, come noto, riguarda l'ibridazione con l'evoluzionismo darwiniano, la terza il tentativo di integrare nel marxismo un sistema di valori etici kantiani.

La prima "degenerazione" si realizza nel contesto dell'URSS e contrassegna il duro scontro tra Stalin e Bukharin, inesorabilmente destinato a volgere a favore del primo.

Il contesto in cui si realizza tale scontro e le prese di posizione di Gramsci sono analizzati nell'articolo che segue:

"www.resistenze.org - cultura e memoria resistenti - urss e rivoluzione di ottobre - 22-11-11 - n. 386 da il nostro Ottobre, La Città del Sole, Napoli, 2007 Testo messo a disposizione da La Città del Sole per www.resistenze.org

Le radici teoriche delle lotte di frazione nel PCUS (1) di Hans Heinz Holz

1. La fase della costruzione del socialismo in Unione Sovietica fu accompagnata e sconvolta da un micidiale dibattito interno al partito, di cui caddero vittime numerosi rivoluzionari della prima ora. In genere, queste controversie sono interpretate come espressione di una lotta di potere tra persone o, più esattamente, tra frazioni. Ma ad un'analisi più puntuale si rivelano come concezioni strategiche divergenti per la transizione al socialismo, che si concretizzarono in misure economiche e politiche della politica quotidiana. Ne furono, per esempio, toccate questioni fondamentali, quali la collettivizzazione delle campagne e i ritmi dell'industrializzazione. Però non è stato sinora preso in esame il fatto che queste differenze ben evidenti hanno la loro radice in orientamenti teorici profondi e che, dietro le decisioni di politica quotidiana, vi sono opzioni di concezione del mondo - filosofiche, metodologiche, teorico-scientifiche. Ma solo se si assume il fatto che in tal modo era sempre in gioco anche la questione fondamentale dello sviluppo e applicazione corretta del marxismo-leninismo, diviene comprensibile la lotta senza quartiere e a tutto campo per la direzione. Ora, questo fondamento teorico, come il precipitato di una soluzione ricavato da una miscela in un esperimento di laboratorio, si presenta intorno a un punto specifico: lo scontro tra Bucharin e Stalin.

Vi è una classica analisi marxista di Bucharin che, indipendentemente dai problemi di politica interna o estera dell'URSS, coglie il mero contenuto teorico delle posizioni di Bucharin: si tratta delle osservazioni critiche di Antonio Gramsci sul "Saggio popolare" nei Quaderni del carcere. Elaborate negli anni 1930-1933, non potevano affatto occuparsi, in mancanza di informazioni adeguate, delle contemporanee contraddizioni nella politica di costruzione del socialismo in Unione sovietica. Le riflessioni teoriche di Gramsci sono così ricche di insegnamenti, poiché permettono di riconoscere la struttura della lotta per la direzione in base a concezioni inconciliabili col leninismo.

Nei suoi interventi al Politbjuro e alla commissione centrale di controllo del Pcus di fine gennaio 1929, Stalin aveva preso posizione sull'attività del gruppo di Bucharin: Questo gruppo, come risulta dalla sua dichiarazione, ha una piattaforma specifica che esso contrappone alla politica del partito. Esige in primo luogo - in antitesi all'attuale politica del partito - un rallentamento del ritmo di sviluppo della nostra industria […]. Esige in secondo luogo - sempre in antitesi alla politica del partito - una restrizione della costruzione di sovchoz e kolchoz […] Esige in terzo luogo - sempre in antitesi alla politica del partito - piena libertà per il commercio privato e rinuncia dello Stato al ruolo regolatore nel campo del commercio (2). Stalin sostenne poi che queste divergenze di opinione erano emerse già nei plenum del comitato centrale di luglio e novembre 1928, ma che successivamente potevano essere apparentemente ricomposte.

Stalin caratterizzò le concezioni politiche del gruppo di Bucharin come capitolazione davanti ai kulak e agli elementi piccolo borghesi, come infiltrazione di tendenze socialdemocratiche nel partito comunista. Egli mise sempre in evidenza in diversi discorsi di questo periodo il fatto che "il metodo principale della lotta è la lotta ideologica". Contro il gruppo di Bucharin egli insistette sul fatto che il comitato centrale non aveva chiesto neppure che uno di loro venga espulso dal Comitato centrale oppure inviato in qualche posto del Turkestan, ma si limita al tentativo di convincerli che devono rimanere al loro posto, smascherando naturalmente al tempo stesso le loro concezioni estranee al partito, delle volte addirittura antipartito (3). Infatti Bucharin rimase membro del Politbjuro, fu nominato ancora nel 1934 caporedattore del giornale Izvestija e lavorò dal 1935 alla bozza di Costituzione con incarichi responsabili e influenti. In questi anni egli non modificò la sua posizione ideologica, anche se non sempre la difese nettamente. Le differenze strategiche sulla linea del partito e le concezioni tattiche passarono le une nelle altre. Egli stesso non contestò di star costruendo in quegli anni una frazione che aspirava a un cambiamento della linea del partito sulla costruzione del socialismo.

2. Poiché le differenze strategiche si basavano su concezioni teoriche fondamentali che sono specificamente di classe, l'esame critico degli scritti teorici di Bucharin assume un particolare significato. Qui ci soccorrono le osservazioni di Gramsci. Egli accusa Bucharin

- di cadere in un sociologismo empirico;

- di procedere in modo non dialettico e di assumere il concetto del positivismo;

- di avere una visione della storia meccanicistica;

- di trascurare il ruolo del soggetto rivoluzionario nella costruzione del socialismo.

È chiaro che da una tale posizione derivano importanti conseguenze politiche. Gramsci si limita a rendere conoscibile il modello di pensiero teorico. Diviene quindi chiaro quale concezione del mondo sia sottostante all'azione politica.

Nel § 22 del quaderno 11 Gramsci interviene su un punto cruciale: Nel Saggio manca una trattazione qualsiasi della dialettica. La dialettica viene presupposta, molto superficialmente, non esposta [...] L'assenza di una trattazione della dialettica può avere due origini; la prima può essere costituita del fatto che si suppone la filosofia della praxis scissa in due elementi: una teoria della storia e della politica concepita come sociologia, cioè da costruirsi secondo il metodo delle scienze naturali (sperimentale nel senso grettamente positivistico) e una filosofia propriamente detta, che poi sarebbe il materialismo filosofico o metafisico o meccanico (volgare) (4).

Gramsci invece espone il concetto corretto sostenuto da Marx, Engels e Lenin:

Il significato della dialettica può essere solo concepito in tutta la sua fondamentalità, solo se la filosofia della praxis è concepita come una filosofia integrale e originale che inizia una nuova fase nella storia e nello sviluppo mondiale del pensiero in quanto supera (superando ne include in sé g1i elementi vitali) sia l'idealismo che il materialismo tradizionali espressioni delle vecchie società. Se la filosofia della praxis non è pensata che subordinatamente a un'altra filosofia, non si può concepire la nuova dialettica, nella quale appunto quel superamento si effettua e si esprime (5).

Gramsci prende i pensieri alla radice. Non si tratta di questo o quell'errore, che Bucharin ha commesso in singoli casi, ma tutti gli errori hanno una sorgente comune: l'incomprensione per le forme di movimento della dialettica. La valutazione di Gramsci coincide completamente con quella di Stalin, che nel suo discorso al Plenum del CC di aprile 1929 affermò:

Non è possibile che tutti questi errori circa i problemi dell'Internazionale Comunista, la lotta di classe, l'inasprimento della lotta di classe, i contadini, la Nep, le nuove forme d'alleanza, non è possibile che tutti questi errori siano dovuti al caso. No, questi errori non sono fortuiti. Questi errori di Bucharin derivano dal suo orientamento generale sbagliato, dalle sue lacune teoriche. Sì, Bucharin è un teorico, ma un teorico non completamente marxista, ma un teorico che deve ancora completare la sua formazione per diventare un teorico completamente marxista.

Stalin citava poi una lettera di Lenin, in cui questi parlava di Bucharin come del "beniamino del partito" e che oggi troppo spesso viene riportata dai sostenitori di Bucharin contro Stalin con questo solo passaggio. Ma in questa lettera egli dice ancora:

Bucharin non è solo il teorico più stimato e più forte del partito, ma è pure considerato legittimamente come il beniamino di tutto il partito; però è molto dubbio che le sue concezioni teoriche possano essere considerate interamente marxiste, dato che in lui c'è qualcosa di scolastico, (egli non ha mai studiato e, credo, non ha mai compreso interamente la dialettica)

E Stalin ribadisce: "Dunque, teorico senza dialettica" (6) Questa è, ritengo, la chiave per le differenze nella politica. Un materialismo senza dialettica scade nell'empirismo della "certezza sensibile" della concezione dei fenomeni di superficie confusi, che esso può elaborare solo nella mentalità e con i metodi del positivismo. Il concetto di scienza di Bucharin è, quindi, dal principio falso e, come chiede Gramsci, va confutato.

Ma è il concetto stesso di "scienza", quale risulta dal Saggio popolare, che occorre distruggere criticamente; esso è preso di sana pianta dalle scienze naturali, come se queste fossero la sola scienza, o la scienza per eccellenza, così come è stato fissato dal positivismo [QC 1404] Bucharin assume proprio il senso aristotelico, che la società è più della somma delle singole parti.

Ma l'autore del Saggio non ha pensato che se ogni aggregato sociale è qualcosa di più (e anche di diverso) della somma dei suoi componenti, ciò significa che la legge o il principio che spiega lo svolgersi della società non può essere una legge fisica poiché nella fisica non si esce mai dalla sfera della quantità altro che per metafora. Tuttavia nella filosofia della praxis la qualità è sempre connessa alla quantità, e anzi forse in tale connessione è la sua parte più originale e feconda. [QC 1446-1447]

Della qualità delle forme di movimento dialettiche della società partecipa il soggetto che vuole, che pianifica, che agisce. Il risultato di un processo, di uno sviluppo, non è mai dedotto soltanto dai presupposti materiali, ma include sempre anche l'attività del soggetto - del soggetto quale individuo, gruppo collettivo, o in una comunità più ampia, quale classe. Chi dimentica il fattore soggettivo, si sbaglia sulla forza motrice della rivoluzione, la quale sorge dalla risposta del soggetto di classe alle contraddizioni nei rapporti di produzione (e nei rapporti di vita che da essi derivano). Da una visione meccanicistica della storia deriva la concezione deterministica dell'evento politico e un comportamento fatalistico e opportunistico.

L'appunto che si deve fare al Saggio popolare è […] di avere accolto la concezione della realtà oggettiva del mondo esterno nella sua forma più triviale e acritica […] Oggettivo significa sempre "umanamente oggettivo", ciò che può corrispondere esattamente a "storicamente soggettivo", cioè oggettivo significherebbe "universale soggettivo". L'uomo conosce oggettivamente in quanto la conoscenza è reale per tutto il genere umano storicamente unificato in un sistema culturale unitario. [QC 1415-16]

Il metodo positivistico di selezionare un settore della realtà, circoscritto per obiettivi conoscitivi di accertamento di leggi parziali isolate, è legittimo nelle scienze naturali. Ma, attraverso il principio della selezione, esso è anche mediato con gli uomini.

Senza pensare all'esistenza dell'uomo non si può pensare di "pensare", non si può pensare in genere a nessun fatto o rapporto che esiste solo in quanto esiste l'uomo. [QC 1419]

Gramsci ha riflettuto sul rapporto della determinazione e dell'atto di volontà nel processo storico. Egli ha riconosciuto il momento volontaristico, che consiste in un'attività dell'uomo rivolta a un fine, "teleologica" [QC 1426 e 1450]. Bucharin invece propaga l'idea di una previsione scientifica nella politica e nella prassi sociale, in cui l'attività finalistica del soggetto, in particolare del soggetto rivoluzionario, non ha nessun posto. Contro tale impostazione Gramsci obietta con forza:

La metodologia storica è stata concepita "scientifica" solo se e in quanto abilita astrattamente a "prevedere" l'avvenire della società […] in realtà si può prevedere "scientificamente" solo la lotta, ma non i momenti concreti di essa, che non possono non essere risultati di forze contrastanti in continuo movimento. […] Realmente si "prevede" nella misura in cui si opera, in cui si applica uno sforzo volontario e quindi si contribuisce concretamente a creare il risultato "preveduto". La previsione si rivela quindi non come un atto scientifico di conoscenza, ma come l'espressione astratta dello sforzo che si fa, il modo pratico di creare una volontà collettiva. [QC 1403-1404]

Le previsioni non sono "atti di conoscere". Sono tentativi, anticipazioni approssimative della costituzione possibile del campo d'azione in cui ha luogo un'azione che cambia le circostanze. L'azione stessa e tutte le azioni che la preparano sono pensate come una variabile. La prognosi è un puro mito.

Il prevedere è quindi solo un atto pratico che non può in quanto non sia una futilità o un perditempo avere altra spiegazione che quella esposta. È necessario impostare esattamente il problema della prevedibilità degli accadimenti storici per essere in grado di criticare esaurientemente la concezione del casualismo meccanico. [QC 1404]

Come scrive Gramsci, non vi è sinora nessun ramo scientifico in cui sia praticata una futurologia positivistica. Ma egli sapeva bene che la futurologia fu sviluppata in politica e nelle scienze sociali nello spirito delle scienze naturali come antitesi riformistica ad una concezione programmatica rivoluzionaria. Ed egli riconobbe nel sociologismo di Bucharin il fatto che la sociologia è quindi diventata una tendenza a sé, è diventata la filosofia dei non filosofi, un tentativo di descrivere e classificare schematicamente fatti storici e politici, secondo criteri costruiti sul modello delle scienze naturali. La sociologia è dunque un tentativo di ricavare "sperimentalmente" le leggi di evoluzione della società umana in modo da "prevedere" l'avvenire con la stessa certezza con cui si prevede che da una ghianda si svilupperà una quercia.

L'evoluzionismo volgare è alla base della sociologia che non può conoscere il principio dialettico col passaggio della quantità alla qualità. [QC 1432] L'evoluzionismo è non solo un aspetto, una prospettiva in cui si presenta la realtà concepita in modo storico materialistico, ma il fondamento metodologico e di concezione del mondo di un'alternativa riformistica alla teoria rivoluzionaria. La rinuncia ad una filosofia integrale costitutiva di senso e la riduzione dell'orientamento dell'attività sociale ai dati empirici rilevati ha conseguenze disastrose per la prassi politica rivoluzionaria.

L'estensione della legge statistica alla scienza e all'arte politica può avere conseguenze molto gravi in quanto si assume per costruire prospettive e programmi d'azione. [...] Infatti nella politica l'assunzione della legge statistica come legge essenziale, fatalmente operante, non è solo errore scientifico, ma diventa errore pratico in atto; essa inoltre favorisce la pigrizia mentale e la superficialità programmatica. [QC 1429-30]

Gramsci, al pari di Lenin, vede che il postulato dell'unità teoria/prassi non sorge da un'addizione della teoria alla prassi. La teoria deve essere una corretta sistematizzazione storica della realtà, per dare fondamento ad una prassi politica fondata e diretta a un fine. Questo è il senso del "criterio della prassi". Il pensiero è riflesso della realtà, da cui hanno origine anche bisogni e uomini dotati di intenzionalità. L'azione razionale orientata dalla teoria è il riflesso di questo riflesso - lo specchio retrovisore dell'immagine riflessa nella realtà (7). È cioè un duplice riflesso: il pensiero rispecchia la sostanza della realtà e delle possibilità (reali) in essa presenti; la realtà cambiata attraverso l'azione riflette le intenzioni degli uomini. In questo duplice riflesso, e cioè nell'unità di teoria e prassi, si stabilisce l'unità di soggetto e oggetto. L'unità di soggetto e oggetto; - una differenza mediata - è la vera unità di teoria e prassi.

Il sociologismo meccanicistico di Bucharin lacera questa unità. La teoria diviene caotica, una sequenza di singole constatazioni incoerenti; la prassi diviene opportunistica, poiché basata su una casistica: "Invece di una metodologia storica, di una filosofia, egli costruisce una casistica di quistioni particolari" [QC 1402]. Ma manca la coerenza della concezione, il point de vue, in base a cui i dati di fatto si ordinano in una concezione del mondo: Nel Saggio popolare la filosofia della praxis non e una filosofia autonoma e originale, ma la "sociologia" del materialismo metafisico. [QC 1402].

[...]

Note: 1) Relazione tenuta al convegno Dalla Russia all'URSS, dall'URSS alla Russia: transizione sovietica e "globalizzazione", organizzato dal Centro studi sui problemi della transizione socialista e dall'Associazione per i rapporti culturali italo-russi, Milano 15 ottobre 2005. 2) G. V. Stalin, La lotta di classe nel socialismo - Scritti, discorsi inediti del 1928-1929, Opere complete vol. XI, Ed. Nuova Unità, Roma, 1973, p. 218. 3) Stalin, op. cit., p. 222. 4) Antonio Gramsci, Quaderni del carcere, edizione critica a cura di Valentino Gerratana, Einaudi, Torino, 1975, p. 1424 sgg. Nelle citazioni che seguono sarà indicato con QC seguito dal numero di pagina. 5) Ivi. 6) Stalin, Opere Scelte, Ed. Movimento studentesco, Milano, 1972, pp. 652-3. 7) Cfr. H. H. Holz, Widerspiegelung, Bielefeld, 2003. H. H. Holz, Weltentwurf und Reflexion, Stuttgart und Weimat, 2005, in particolare il capitolo 6. 8) Stalin, "Della deviazione di destra…", in Opere scelte, op. cit., p. 639."

Criticando aspramente Bucharin, ovviamente, Gramsci non sa di favorire Stalin e il suo approccio teorico ai problemi del marxismo, che è di sicuro più rozzo rispetto a quello buchariniano. Molte delle sue critiche, peraltro, sono fondate, soprattutto per quanto concerne il fatto che ibridare la filosofia marxista con il positivismo sociologico rischia di sicuro di togliere senso alla dialettica e di entrare nel tunnel di una previsione meccanicistica dell'evoluzione storica, che prescinde o quasi dall'agire umano.

Ciò detto, però, occorre aggiungere due cose.

La prima concerne il fatto che Gramsci contesta la "degenerazione" sociologica del marxismo non perché di fatto la teoria che ne deriva è male organizzata epistemologicamente, bensì perché egli ritiene che la filosofia marxista è el tutto autonoma e non ha bisogno di alcun apporto esterno per giungere ad una dimensione totalizzante. Questo non era vero all'epoca, e lo è ancora meno oggi.

In secondo luogo, c'è da considerare il fatto che il problema del soggetto rivoluzionario, nonostante le sottili elaborazioni cui è stato sottoposta (da Gramsci a Marcuse) non si è mai risolto e, quindi, per adottare un criterio strettamente gramsciano, esso non è stato mai posto in termini "corretti", atti cioè a risolverlo (posto che sia possibile)

Le note dei Quaderni dedicate a Bukharin

Q4 §3

Note e osservazioni critiche sul "Saggio popolare". La prima osservazione da farsi è che il titolo non corrisponde al contenuto del libro. Teoria del materialismo storico dovrebbe significare sistemazione logica dei concetti filosofici che sono noti sotto il nome di materialismo storico. Il primo capitolo, o un‘introduzione generale, dovrebbero aver trattato la quistione: che cos‘è la filosofia? una concezione del mondo è una filosofia? come è stata finora concepita la filosofia? il materialismo storico rinnova questa concezione? quali rapporti esistono tra le ideologie, le concezioni del mondo, le filosofie? La risposta a questa serie di domande costituisce la "teoria" del materialismo storico.

Nel Saggio popolare non è giustificata la premessa implicita nell‘esposizione (sebbene non sempre logicamente coerente con molte affermazioni) ed esplicitamente accennata qua e là che la filosofia del materialismo storico è il materialismo filosofico: cosa significa realmente questa affermazione? Se essa fosse vera, la teoria del materialismo storico sarebbe il materialismo filosofico; ma, in tal caso, cosa sarebbe il materialismo storico stesso? Anche la risposta a queste domande non si ha.

Non è neanche giustificato il nesso tra il titolo generale Teoria ecc. e il sottotitolo Saggio popolare di sociologia marxista; il sottotitolo è più esatto se si dà del termine "sociologia" una definizione circoscritta. Infatti si presenta la quistione: che cosa è stata e che cosa è la " sociologia" Non è essa un embrione di filosofia non sviluppata? La "sociologia" non ha cercato di fare qualcosa di simile al "materialismo storico" Solo che bisogna intendersi: il materialismo storico è nato sotto forma di criteri pratici (in grandissima parte, almeno) per un puro caso, perché Marx ha dedicato le sue forze intellettuali ad altri problemi; ma in questi criteri pratici è implicita tutta una concezione del mondo, una filosofia. La sociologia è il tentativo di creare una metodologia storico-politica in dipendenza da un sistema filosofico già elaborato, sul quale la sociologia ha reagito, ma solo parzialmente. La sociologia è quindi diventata una tendenza a sé, è diventata la filosofia dei non filosofi; un tentativo di classificare e descrivere schematicamente i fatti storici e politici, secondo dei criteri costruiti sul modello delle scienze, di determinate scienze. In ogni caso ogni sociologia presuppone una filosofia, una concezione del mondo; essa stessa è di queste un frammento subordinato.

Né bisogna confondere con la "teoria" generale, con la "filosofia", la particolare "logica" interna delle diverse sociologie, per cui esse acquistano una meccanica coerenza. Tutti questi problemi sono problemi "teorici", non quelli che l‘autore del saggio pone come tali. Le quistioni che egli pone sono quistioni di ordine immediato, politico, ideologico, intesa l‘"ideologia" come una fase intermedia tra la teoria generale e la pratica immediata o politica. [Sono riflessioni su fatti singoli storico-politici, slegati e casuali.] Una quistione "teorica" si presenta all‘autore fin dall‘inizio, quando parla di quella tendenza che nega la possibilità di costruire una "sociologia" marxista e sostiene che il marxismo può esprimersi solo in lavori storici concreti. L‘obbiezione, che è importantissima, non è risolta dall‘autore che con parole.

Certo il marxismo si realizza nello studio concreto della storia passata e nell‘attività attuale di creazione di nuova storia. Ma si può sempre fare la teoria della storia passata e della politica attuale, dato che se i fatti sono individui e sempre mutevoli nel flutto del movimento storico, i concetti possono essere teorizzati. Il non aver posto la quistione della "teoria" impedisce anche una giusta posizione della quistione: che cosa è la religione, e un apprezzamento delle filosofie passate che diventano tutte delirio e follia. Si cade nel dogmatismo, ecc. ecc. (Studiare bene la quistione della "sociologia" e dei suoi rapporti col marxismo). [Cfr.,p. 58].

Q4 §16

La teleologia nel "Saggio popolare". Un‘osservazione generale: le dottrine filosofiche sono tutte presentate su uno stesso piano di trivialità e di banalità, così che pare al lettore che tutta la cultura precedente sia stata una fantasmagoria di baccanti in delirio. Il metodo è riprovevole da molti punti di vista: un lettore serio, che poi amplii le sue cognizioni e approfondisca i suoi studi, crede di essere stato preso in giro e rigetta tutto il sistema. E‘ facile parere di aver superato una posizione abbassandola, ma si tratta di un puro sofisma di parole: il superamento è avvenuto solo sulla carta e lo studioso si ritrova la difficoltà dinanzi in forma paurosa. La superficialità non è un buon metodo pedagogico. Presentare così le quistioni può avere significato in un Voltaire, ma non è Voltaire chiunque voglia, cioè non è un grande artista. La quistione della teleologia: il Saggio popolare presenta la teleologia nelle sue forme più esagerate e infantili e dimentica la soluzione datane dal Kant; si potrebbe dimostrare perciò quante soluzioni sono "teleologiche" nel Saggio inconsapevolmente: per esempio, mi pare che il capitolo sull‘"Equilibrio tra la natura e la società" sia appunto concepito secondo la teleologia kantiana. (Vedere bene questo argomento. In generale ricordare che tutte queste note sono provvisorie e scritte a penna corrente: esse sono da rivedere e da controllare minutamente, perché certamente contengono inesattezze, anacronismi, falsi accostamenti ecc. che non importano danno perché le note hanno solo l‘ufficio di promemoria rapido).

Q4 §17

L‘immanenza e il "Saggio popolare". Ciò che si è detto della "teleologia" si può ripetere dell‘"immanenza". Nel Saggio popolare si nota che Marx adopera l‘espressione "immanenza", "immanente", e si dice che evidentemente quest‘uso è "metaforico". Benissimo. Ma si è così spiegato il significato che l‘espressione "immanenza" ha metaforicamente in Marx? Perché Marx continua ad usare questa espressione? Solo per l‘orrore di creare termini nuovi? Quando da una concezione si passa ad un‘altra, il linguaggio precedente rimane, ma viene usato metaforicamente. Tutto il linguaggio è diventato una metafora e la storia della semantica è anche un aspetto della storia della cultura: il linguaggio è una cosa vivente e nello stesso tempo è un museo di fossili della vita passata.

Quando io adopero la parola "disastro" nessuno può imputarmi di credenze astrologiche, o quando dico "per Bacco" nessuno può credere che io sia un adoratore delle divinità pagane, tuttavia quelle espressioni sono una prova che la civiltà moderna è anche uno sviluppo del paganesimo e dell‘astrologia.

L‘espressione "immanenza" in Marx ha un preciso significato e questo occorreva definire: in realtà questa definizione sarebbe stata veramente "teoria". Marx continua la filosofia dell‘immanenza, ma la depura da tutto il suo apparato metafisico e la conduce nel terreno concreto della storia. L‘uso è metaforico solo nel senso che la concezione è stata superata, è stata sviluppata ecc. D‘altronde l‘immanenza di Marx è completamente una cosa nuova? O non se ne trovano tracce nella filosofia precedente? In Giordano Bruno, per esempio, credo si trovino tracce di una tale concezione. Conosceva Marx il Bruno? O questi elementi dal Bruno passarono nella filosofia classica tedesca? Tutti problemi da vedere concretamente.

Q4 §19

Lo "strumento tecnico" nel "Saggio popolare". Ho già fatto qualche appunto su questo argomento precedentemente. Bisogna però vedere non solo le affermazioni più evidentemente errate (come quella dello strumento tecnico e la musica) ma la concezione generale dello "strumento tecnico" che è sbagliata nel suo complesso. Nel suo saggio sul Loria il Croce nota come sia appunto stato il fiero Achille a sostituire [arbitrariamente] all‘espressione marxista "forze materiali di produzione" l‘altra di "strumento tecnico" (a pp. 39-40 del Materialismo storico ed economia marxistica c‘è un confronto tra il brano della prefazione alla Critica dell‘economia politica in cui si svolgono i principi del materialismo storico e un brano del libro di Loria La terra e il sistema sociale, prolusione - Verona, Drucker, 1892 - in cui la sostituzione è stata fatta in modo ridevole. Questo metodo loriano ha poi trovato il suo coronamento nell‘articolo sull‘Influenza sociale dell‘aeroplano che mi pare incominci proprio con la ripetizione di queste parole generali sull‘importanza fondamentale dello strumento tecnico. Il Croce nota che Marx ha spesso messo in rilievo l‘importanza storica delle invenzioni tecniche e invocato una storia della tecnica (Das Kapital, I, 143 n., 335-6 n., non si dice di quale edizione ma dev‘essere quella di Kautsky) ma non si è mai sognato di fare dello "strumento tecnico" la causa unica e suprema dello svolgimento economico.

Il brano della Critica dell‘economia politica contiene espressioni "grado di sviluppo delle materiali forze di produzione", "modo di produzione della vita materiale", "condizioni economiche della produzione" e simili, le quali affermano bensì che lo svolgimento economico è determinato da condizioni materiali, ma non le riducono tutte alla sola "metamorfosi dello strumento tecnico". Il Croce aggiunge poi che il Marx non si è mai proposto questa indagine intorno alla causa ultima della vita economica. "La sua filosofia non era così a buon mercato. Non aveva "civettato" invano con la dialettica dello Hegel, per andar poi a cercare le "cause ultime"". (Tutta una serie di argomenti da studiare).

Q4 §23

Il "Saggio popolare" e le leggi sociologiche. Le così dette leggi sociologiche, assunte come causa, non hanno invece nessuna portata causativa: esse non sono che un duplicato del fatto stesso osservato. Si descrive il fatto o una serie di fatti, si estrae con un processo di generalizzazione astratta un rapporto di somiglianza, lo si chiama legge e poi si assume questa così detta legge alla funzione di causa. Ma in realtà cosa si è trovato di nuovo? Assolutamente nulla: si tratta solo di dare nomi nuovi a cose vecchie, ma il nome non è una causa.

Q4 §25

Note sul "Saggio popolare". Cosa intende per "materia" il Saggio popolare? In un saggio popolare ancor più che in un libro per i "dotti", occorre definire con esattezza non solo i concetti fondamentali, ma tutta la terminologia, per evitare le cause di errore date dalle accezioni popolari e volgari delle parole. E‘ evidente che per il materialismo storico, la "materia" non deve essere intesa né nel suo significato quale risulta dalle scienze naturali (fisica, chimica, meccanica ecc.: vedere questi significati e loro sviluppo storico) né nel suo significato quale risulta dalle diverse metafisiche materialistiche. Le proprietà fisiche (chimiche, meccaniche ecc.) della materia sono considerate, certamente, ma solo in quanto diventano "elemento economico" della produzione. La materia non è quindi considerata come tale, ma come socialmente e storicamente organizzata per la produzione, come rapporto umano.

Il materialismo storico non studia una macchina per stabilirne la struttura fisico-chimico-meccanica dei suoi componenti naturali, ma in quanto è oggetto di produzione e di proprietà, in quanto in essa è cristallizzato un rapporto sociale e questo corrisponde a un determinato periodo storico.

L‘insieme delle forze materiali di produzione è l‘elemento meno variabile nello sviluppo storico, è quello che volta per volta può essere misurato con esattezza matematica, che può dar luogo pertanto a una scienza sperimentale della storia, nel senso ben preciso in cui si può parlare di "sperimentale" nella storia. La variabilità dell‘insieme delle forze [materiali] di produzione è anch‘essa misurabile e si può stabilire con una certa precisione quando il suo sviluppo da quantitativo diventa qualitativo. L‘insieme delle forze materiali di produzione è nello stesso tempo "tutta la storia passata cristallizzata" e la base della storia presente e avvenire, è un documento e una forza attiva attuale. Ma il concetto di attività di queste forze materiali non può essere confuso con quello di attività nel senso fisico o metafisico.

L‘elettricità è storicamente attiva, non come pura forza naturale, ma come elemento di produzione dominato dall‘uomo e incorporato nell‘insieme delle forze materiali di produzione, oggetto di proprietà. Come forza naturale l‘elettricità esisteva anche prima della sua riduzione a forza di produzione ma non operava nella storia, non era elemento storico, della storia umana (non della storia naturale e quindi in misura determinata anche della storia umana, in quanto la storia umana è una parte della storia naturale). Queste osservazioni servono a far capire come l‘elemento causale preso dalle scienze naturali per spiegare la storia sia un ritorno alla vecchia storiografia ideologica (idealistica o materialistica): quando si dice, come nel Saggio popolare, che la nuova teoria atomica distrugge l‘individualismo (le robinsonate), si cade appunto in questa deviazione. Cosa significa infatti questo accostamento della politica alla scienza naturale? Che la scienza spiega la storia? Che le leggi di una determinata scienza naturale sono identiche alle leggi della storia? Oppure significa che, essendo tutto il complesso delle idee scientifiche una unità, si può ridurre una scienza all‘altra? Ma in questo caso perché questo [determinato] elemento della fisica e non un altro deve essere quello riducibile all‘unità della concezione del mondo?

Ma in realtà, questo è solo uno dei tanti elementi del Saggio popolare che dimostrano la superficiale impostazione del problema del materialismo storico, il non aver saputo dare a questa concezione la sua autonomia scientifica e la posizione che le spetta di fronte alle scienze naturali o [, peggio,] a quel vago concetto di "scienza" in generale che è proprio della concezione volgare del popolo. La teoria atomistica moderna è una teoria "definitiva", stabilita una volta per sempre? O non è anch‘essa semplicemente una ipotesi scientifica che potrà essere superata, cioè assorbita in una teoria più vasta e comprensiva? Perché dunque il riferimento a questa teoria dovrebbe essere definitivo e porre fine alle quistioni dell‘individualismo e delle robinsonate? (A parte il fatto che le robinsonate sono puri schemi pratici costruiti per indicare una tendenza o per una dimostrazione per assurdo).

Ma ci sono altre quistioni: se la teoria dell‘atomo fosse quello che il Saggio popolare pretende, dato che la società ha mutato durante il suo sviluppo, a quale periodo si riferisce la spiegazione legata a questa teoria? A tutti i periodi indistintamente? Ma allora la storia sarebbe sempre stata uguale e gli uomini avrebbero sempre avuto uno stesso raggruppamento. Oppure questa teoria giustifica una legge di tendenza? Ma cosa significherebbe ciò? Per ciò che riguarda il suo oggetto, gli atomi, la teoria degli atomi è buona per tutti i tempi e per tutti i luoghi, ma nella storia è uguale per tutti i tempi e per tutti i luoghi una teoria estratta da quella degli atomi? O non si potrebbe pensare invece il contrario, che cioè la teoria degli atomi sia stata essa influenzata dalla storia umana, che cioè si tratti di una superstruttura?

Q4 §26

Il "Saggio popolare" e la "causa ultima". Errata interpretazione del materialismo storico che viene dogmatizzato e la cui ricerca viene identificata con la ricerca della causa ultima o unica ecc.. Storia di questo problema nello sviluppo della cultura: il problema delle cause ultime è appunto vanificato dalla dialettica. Contro questo dogmatismo aveva posto in guardia Engels in alcuni scritti dei suoi ultimi anni (cfr le due lettere di Engels sul materialismo storico tradotte in italiano).

Q4 §32

Il "Saggio popolare". Nel Saggio popolare si dice (e scrivo "si dice" perché l‘affermazione non è giustificata, non è valutata, non esprime un concetto fecondo, ma è casuale, senza nessi con antecedenti e conseguenti) che ogni società è qualcosa di più che la mera somma dei suoi componenti. L‘osservazione avrebbe dovuto essere collegata con l‘altra di Engels che la quantità diventa qualità e avrebbe dovuto dar luogo a una analisi concreta di un aspetto caratteristico del materialismo storico. Se ogni aggregato sociale, infatti, è qualcosa di più che la somma dei suoi componenti, ciò significa che la legge che spiega gli aggregati sociali non è una "legge fisica", intesa nel senso stretto della parola: nella fisica non si esce dal dominio della quantità altro che per metafora. Nel materialismo storico la qualità è però strettamente connessa alla quantità e anzi in questa connessione è la sua parte originale e feconda.

L‘idealismo ipostatizza questo "qualcosa", ne fa un ente a sé, lo spirito, come la religione ne aveva fatto la divinità. Ma se è "ipostasi" quella della religione e del l‘idealismo, cioè astrazione arbitraria non procedimento di distinzione analitica praticamente comodo per ragioni pedagogiche, è anche "ipostasi" quella del materialismo volgare che "divinizza" la materia ecc. Cfr questo modo di vedere nella concezione dello Stato così come è esposta dagli idealisti attuali; lo Stato finisce con l‘essere proprio "questo qualcosa" di superiore agli individui: un uomo di buon senso, chiamato alla leva, per es. potrebbe rispondere che prendano di lui la parte di "qualcosa" con cui contribuisce a creare il "totale qualcosa" che è lo Stato, e gli lascino la persona fisica concreta e materiale. Ricordare la novella del Saladino che dirime la vertenza tra il rosticciere che vuole pagato l‘uso del fumo [aromatico] delle sue vivande e il mendicante che non vuol pagare: il Saladino fa suonare una moneta e dice al rosticciere di intascare il suono così come il mendicante ha mangiato il fumo.

Q4 §39

Sul "Saggio popolare". Una trattazione sistematica del materialismo storico non può trascurare nessuna delle parti costitutive del marxismo. Ma in che senso ciò deve essere inteso? Essa deve trattare tutta la parte generale filosofica e in più deve essere: una teoria della storia, una teoria della politica, una teoria dell‘economia. Ciò come schema generale che deve concretamente assumere una forma vivente, non schematica. Si dirà, ma il materialismo storico non è specificamente una teoria della storia? E‘ giusto, ma dalla storia appunto non possono staccarsi la politica e l‘economia, anche nelle fasi specializzate di scienza -arte della politica e di scienza-economica. Cioè: dopo avere svolto il compito principale nella parte filosofica generale, che è il vero e proprio materialismo storico, in cui i concetti generali della storia, della politica e dell‘economia si annodano in unità organica, è utile, in un saggio popolare, dare le nozioni generali di ogni parte costitutiva in quanto scienza indipendente e distinta. Ciò vorrebbe dire che dopo aver studiato la filosofia generale [cioè il nesso organico di storia-politica-economica] si studia: come la storia e la politica si riflettano nell‘economia, come l‘economia e la politica si riflettano nella storia, come la storia e l‘economia si riflettano nella politica.

Q4 §40

Filosofia e ideologia. Come filosofia il materialismo storico afferma teoricamente che ogni "verità" creduta eterna e assoluta ha origini pratiche e ha rappresentato e rappresenta un valore provvisorio. Ma il difficile è far comprendere "praticamente" questa interpretazione per ciò che riguarda il materialismo storico stesso. Questa interpretazione è adombrata da Engels dove parla di passaggio dal regno della necessità al regno della libertà. L‘idealismo assoluto, o almeno certi suoi aspetti, sarebbero una utopia filosofica durante il regno della necessità, ma potrebbero diventare "verità" dopo il passaggio da un regno all‘altro. Non si può parlare di "Spirito" quando la Società è raggruppata senza necessariamente concludere che si tratti dello "spirito" di un particolare raggruppamento (cosa implicitamente riconosciuta quando, come fa il Gentile - nel volume sul Modernismo -, si dice sulle tracce di Schopenhauer che la religione è la filosofia della moltitudine mentre la filosofia è la religione degli uomini più eletti - cioè dei grandi intellettuali -), ma se ne potrà parlare quando la Società sarà unitaria.

Praticamente, dicevo, anche il materialismo storico tende a diventare una ideologia nel senso deteriore, cioè una verità assoluta ed eterna. Ciò avviene specialmente quando, come nel Saggio popolare, esso è confuso col materialismo volgare, con la metafisica della "materia" che non può non essere eterna e assoluta. Bisognerà, su questa traccia, elaborare l‘affermazione di Engels sul passaggio dalla necessità alla libertà: evidentemente questo passaggio avviene negli uomini, non nella natura (sebbene avrà delle conseguenze sull‘intuizione della natura, sulle opinioni scientifiche), per cui solo per metafora si può parlare di storia naturale dell‘umanità e paragonare i fatti umani ai fatti naturali.

Q7 §5

Il "Saggio popolare", la scienza e gli strumenti della scienza. La Geologia non ha strumenti, oltre il martello. Il suo progresso e la sua storia non possono perciò essere indicati dal progresso e dalla storia dei suoi strumenti. In generale il progredire delle scienze non può essere documentato materialmente; può esserne solo ravvivato il ricordo, e non per tutte, col successivo progresso degli strumenti che sono stati i suoi mezzi e delle macchine che sono state sue applicazioni.

I principali "strumenti" del progredire delle scienze sono di ordine intellettuale, metodologico e giustamente Engels ha detto che gli "strumenti intellettuali" non sono nati dal nulla, non sono innati, ma sono acquisiti e si sono sviluppati e si sviluppano storicamente. Del resto con gli strumenti "materiali" della scienza, si è sviluppata una "scienza degli strumenti", strettamente legata allo sviluppo generale della produzione. (Su questo argomento è da vedere: G. Boffito, Gli strumenti della scienza e la scienza degli strumenti, Libreria Internazionale Sceber, 1929).

Q7 §6

Il "Saggio popolare" e la sociologia. La riduzione del materialismo storico a "sociologia" marxista è un incentivo alle facili improvvisazioni giornalistiche dei "genialoidi". L‘"esperienza" del materialismo storico è la storia stessa, lo studio dei fatti particolari, la "filologia". Questo dovrebbero forse voler dire quegli scrittori, che, come accenna molto affrettatamente il Saggio popolare, negano che si possa fare una sociologia marxista e affermano che il materialismo storico vive nei saggi storici particolari. La "filologia" è l‘espressione metodologica dell‘importanza dei fatti particolari intesi come "individualità" definite e precisate.

A questo metodo si contrappone quello dei "grandi numeri" o della "statistica", preso in prestito dalle scienze naturali o almeno da alcune di esse. Ma non si è osservato abbastanza che la legge dei "grandi numeri" può essere applicata alla storia e alla politica solo fino a quando le grandi masse della popolazione rimangono passive - - per rispetto alle quistioni che interessano lo storico o il politico -  o si suppone che rimangano passive. Questa estensione della legge dei grandi numeri dalle scienze naturali alle scienze storiche e politiche ha diverse conseguenze per la storia e per la politica: nella scienza storica può avere per risultato spropositi scientifici, che potranno essere corretti agevolmente dalla scoperta di nuovi documenti che precisino meglio ciò che prima era solo "ipotesi"; ma nella scienza e nell‘arte politica può avere per risultato delle catastrofi, i cui danni "secchi" non potranno mai più essere risarciti.

Nella scienza e nell‘arte politica l‘elevazione della legge dei grandi numeri a legge essenziale non è solo errore scientifico, ma errore politico in atto: è incitamento alla pigrizia mentale e alla superficialità programmatica, è affermazione aprioristica di "inconoscibilità" del reale, molto più grave che non sia nelle scienze naturali, in cui l‘affermazione di "non conoscere" è un criterio di prudenza metodica e non affermazione di carattere filosofico. L‘azione politica tende appunto a far uscire le grandi moltitudini dalla passività, cioè a distruggere la "legge" dei grandi numeri; come allora questa può essere ritenuta una "legge".

Anche in questo campo si può vedere lo sconvolgimento che nell‘arte politica porta la sostituzione nella funzione direttiva dell‘organismo collettivo all‘individuo singolo, al capo individuale: i sentimenti standardizzati delle grandi masse che il "singolo" conosce come espressione della legge dei grandi numeri, cioè razionalmente, intellettualmente, e che egli -  se è un grande capo -  traduce in idee-forza, in parole-forza, dall‘organismo collettivo sono conosciuti per "compartecipazione", per "con-passionalità" e se l‘organismo collettivo e innestato vitalmente nelle masse, conosce per esperienza dei particolari immediati, con un sistema di "filologia" vivente, per così dire. Mi pare che il libro del De Man, se ha un suo valore, lo ha appunto in questo senso: che incita a "informarsi" particolarmente dei "sentimenti" dei gruppi e degli individui e a non accontentarsi delle leggi dei grandi numeri.

Il De Man non ha fatto nessuna scoperta nuova, né ha trovato un principio originale che possa superare il materialismo storico o dimostrarlo scientificamente errato o infecondo: ha elevato a "principio" scientifico ciò che è solo un criterio già noto ma insufficientemente definito e sviluppato, o almeno non ancora sistematicamente definito e sviluppato nella sua teoria e nella sua portata scientifica. Il De Man non ha neanche compreso l‘importanza del suo criterio, poiché ha creato una nuova legge dei "grandi numeri" inconsapevolmente, un nuovo metodo statistico e classificatorio, una nuova sociologia astratta.

Q7 §20

Il "Saggio popolare". Non è trattato il punto fondamentale: come dalle strutture nasce il movimento storico? Eppure questo è il punto cruciale di tutta la quistione del materialismo storico, è il problema dell‘unità tra la società e la "natura". Le due proposizioni: - 

1) la "società" non si pone problemi per la cui soluzione non si siano già realizzate le condizioni [(premesse)] necessarie e sufficienti;

2) nessuna forma di società sparisce prima di aver esaurito tutte le sue possibilità di sviluppo -  avrebbero dovuto essere analizzate in tutta la loro portata e conseguenza.

Solo su questo terreno può essere eliminato ogni meccanicismo e ogni traccia di "miracolo" superstizioso. Anche in questo terreno deve essere posto il problema del formarsi degli aggruppamenti sociali e dei partiti politici e, in ultima analisi, quello della funzione delle grandi personalità nella storia.

Q7 §26

Sul "Saggio popolare". Registro degli intellettuali la cui filosofia viene combattuta con qualche diffusione, e annotazione del loro significato e importanza scientifica. Accenni a grandi intellettuali fugacissimi. Si pone la questione: non occorreva invece riferirsi solo ai grandi intellettuali avversari e magari ad uno solo di essi e trascurare i secondari? Si ha l‘impressione appunto che si cerchi di combattere contro i più deboli e magari contro le posizioni più deboli (o più inadeguatamente espresse dai più deboli) per ottenere una facile vittoria (dato che vittoria reale ci sia). Illusione che ci sia somiglianza (altro che formale) tra un fronte ideologico e un fronte politico-militare. Nella lotta politica e militare può convenire la tattica di sfondare nei punti di minor resistenza per essere in grado di investire il punto più importante col massimo di forze reso appunto disponibile dall‘aver eliminato gli "ausiliari" più deboli ecc.

La vittoria politica e militare, entro certi limiti, è permanente, il fine strategico può essere raggiunto in modo, entro certi limiti, decisivo. Sul fronte ideologico invece la sconfitta degli ausiliari e dei minori seguaci ha importanza infinitamente minore: in esso bisogna lottare contro i più eminenti e non contro i minori. Altrimenti si confonde il giornale col libro, la polemica quotidiana con il lavoro scientifico. I minori, appunto, devono essere abbandonati alla polemica di tipo giornalistico. Ma una scienza nuova raggiunge la prova della sua efficienza e vitalità quando dimostra di saper affrontare i grandi campioni della tendenza opposta, quando spiega coi propri mezzi le quistioni vitali che essi hanno posto, o dimostra perentoriamente che questi problemi sono falsi problemi.

E‘ vero che una determinata epoca e una determinata civiltà sono meglio rappresentate dalla media degli intellettuali, e quindi dagli intellettuali mediocri, ma l‘ideologia diffusa, di massa, deve essere distinta dalle opere scientifiche, dalle grandi sintesi filosofiche, che poi ne sono le reali chiavi di volta e queste devono essere nettamente superate, negativamente, dimostrandone l‘infondatezza, e positivamente, contrapponendo sintesi filosofiche equivalenti per significato e importanza. La parte negativa e positiva non possono essere scisse altro che per motivi didascalici. Leggendo il Saggio popolare si ha l‘impressione di uno che sia annoiato e non possa dormire per il chiarore lunare e si diverta a trucidare le lucciole, persuaso che il chiarore diminuirà o sparirà.

Q7 §29

Sul "Saggio popolare". E‘ possibile scrivere un libro elementare, un manuale, un saggio popolare, quando una dottrina è ancora nello stato di discussione, di polemica, di elaborazione? Il manuale popolare non può essere concepito se non come l‘esposizione formalmente dogmatica, stilisticamente calma, scientificamente serena, di un determinato argomento: esso è un‘introduzione allo studio scientifico, non l‘esposizione stessa delle ricerche scientifiche originali, dedicato o all‘età giovanile, o a un pubblico che dal punto di vista della disciplina scientifica, si trova nelle condizioni preliminari dell‘età giovanile e che perciò ha immediatamente bisogno di "certezze", di opinioni che si presentano come veridiche e fuori discussione, per il momento.

Se una determinata dottrina non ha ancora raggiunto questa fase "classica" del suo sviluppo, ogni tentativo di manualizzarla fallisce, la sua sistemazione logica è solo apparente: si tratterà, invece, come appunto nel Saggio, di una meccanica giustapposizione di elementi disparati o che rimangono inesorabilmente indipendenti e sconnessi tra loro. Perché allora non porre la quistione nei suoi giusti termini storici e teorici e accontentarsi di pubblicare un libro in cui la serie dei problemi essenziali della dottrina sia esposta monograficamente? Sarebbe più serio e più "scientifico". Ma si crede che scienza voglia assolutamente dire "sistema" e perciò si costruiscono sistemi purchessia, che del sistema hanno solo l‘esteriorità meccanica.

E‘ notevole che nel Saggio manca una trattazione adeguata della dialettica: la dialettica viene presupposta, non esposta, cosa assurda in un manuale che deve contenere in sé gli elementi essenziali della dottrina trattata e i cui rimandi bibliografici devono avere il fine di spingere ad allargare e approfondire la materia, non di sostituire il manuale stesso. La quistione dell‘assenza di una trattazione della "dialettica" può avere due origini: 

1°) La prima è costituita dal fatto che il materialismo storico non viene concepito come una filosofia, di cui la dialettica è la dottrina della conoscenza, ma come una "sociologia" la cui filosofia è il materialismo filosofico o metafisico o meccanico (volgare, come diceva Marx). Posta così la quistione, non si capisce più l‘importanza e il significato della dialettica, che viene degradata a una sottospecie di logica formale, a una scolastica elementare. La funzione e il significato della dialettica possono solo essere concepiti in tutta la loro fondamentalità, quando il materialismo storico è concepito come una filosofia integrale originale, che inizia una nuova fase nella storia e nello sviluppo mondiale del pensiero, in quanto supera (e superando, ne include in sé gli elementi vitali) e l‘idealismo e il materialismo tradizionali, espressioni delle vecchie società succedutesi nella storia mondiale. Se il materialismo storico non può essere pensato che subordinatamente a una [altra] filosofia, quella del materialismo filosofico, non si può concepire la dialettica marxista, nella quale appunto quel superamento si effettua e si esprime.  

2°) La seconda origine mi pare d‘ordine psicologico. Si sente che la dialettica è cosa molto ardua e difficile in quanto il pensare dialetticamente va contro il volgare senso comune che ha la logica formale come espressione ed è dogmatico e avido di certezze perentorie. Per avere un modello pratico si pensi ciò che avverrebbe se nelle scuole primarie e secondarie le scienze naturali e cosmografiche fossero insegnate sulla base del relativismo di Einstein e accompagnando alla nozione tradizionale di "Legge della natura" quella di "Legge statistica o dei grandi numeri". I ragazzi e gli adolescenti non capirebbero nulla di nulla e l‘urto tra l‘insegnamento scolastico e la logica dei rapporti famigliari e popolari sarebbe tale che la scuola diverrebbe oggetto famigliare di ludibrio e di scetticismo caricaturale. Questo motivo mi pare sia un freno psicologico per l‘autore del Saggio popolare: egli realmente capitola dinanzi al senso comune e al pensiero volgare, perché non si è posto il problema nei termini teorici esatti e quindi è praticamente disarmato e impotente. L‘ambiente ineducato e rozzo ha dominato l‘educatore, il senso comune volgare si è imposto alla scienza e non viceversa: se l‘ambiente è l‘educatore, esso deve essere educato a sua volta, ha scritto Marx, ma il Saggio popolare non capisce questa dialettica rivoluzionaria.

Q7 36

 "Saggio popolare". La metafora e il linguaggio. (Cfr altra nota a proposito dell‘affermazione nuda e cruda, fatta nel Saggio popolare come spiegazione in sé esauriente, che Marx adopera i termini "immanenza e immanente" solo come metafora). Tutto il linguaggio è metafora ed è metafora in due sensi: è metafora della "cosa" od "oggetto materiale e sensibile" indicati ed è metafora dei significati ideologici dati alle parole durante i precedenti periodi di civiltà. (Un trattato di semantica -  per es. quello di Michel Bréal -  può dare un catalogo delle mutazioni semantiche delle singole parole).

Dal non tener conto di tale fatto derivano due tendenze erronee principali (per non parlare di altre di carattere più ristretto come quella di ritenere "belle" in sé certe parole a differenza di altre in quanto le si analizza storicamente ed etimologicamente: si confonde la "gioia" libresca del filologo che spasima per le sue parolette con la "gioia" data dall‘arte: questo è il caso di rinnovata retorica nel libretto Linguaggio e poesia di Giulio Bertoni): 1°) quella delle lingue fisse o universali; 2°) le quistioni poste dal Pareto e dai pragmatisti sul "Linguaggio come causa di errore".

Il Pareto, come i pragmatisti e molti altri di minore conto, in quanto credono di aver originato una nuova concezione del mondo (di aver quindi dato alle parole un significato o almeno una sfumatura nuova), si trovano di fronte al fatto che le parole, nell‘uso comune e anche nell‘uso della classe colta e anche nell‘uso di quella sezione di dotti che trattano le stesse scienze, continuano a mantenere il vecchio significato. Si reagisce: il Pareto crea un suo "dizionario" che contiene in nuce la tendenza a creare una lingua matematica, cioè completamente astratta; i pragmatisti ne fanno una quistione filosofica e teorizzano sul linguaggio come causa di errore. Ma è possibile togliere al linguaggio questo significato metaforico? E‘ impossibile.

Il linguaggio si trasforma col trasformarsi di tutta la civiltà e precisamente assume metaforicamente le parole delle civiltà e culture precedenti: nessuno oggi pensa che "dis-astro" è legato all‘astronomia e si ritiene indotto in errore sulle opinioni di chi la adopera. Il nuovo significato metaforico si estende con l‘estendersi della nuova cultura, che d‘altronde crea anche parole nuove di zecca o le assume da altre lingue con un significato preciso. E‘ probabile che per molti uomini la parola "immanenza" sia conosciuta e capita [e usata] per la prima volta solo nel nuovo significato datole dal materialismo storico.

Q7 §46

Sul "Saggio popolare". La teleologia. Nella frase e nella concezione di "missione storica" non c‘è una radice teleologica? E infatti in molti casi essa assume un valore equivoco e mistico. Ma in altri ha un significato che, dopo le limitazioni di Kant, può essere difeso dal materialismo storico.

Q7 §47

Sul "Saggio popolare". Il modo con cui è posto il problema della "realtà oggettiva del mondo esterno" è superficiale ed estraneo al materialismo storico. L‘autore non conosce la tradizione cattolica e non sa che proprio la religione sostiene strenuamente questa tesi contro l‘idealismo, cioè la religione cattolica sarebbe in questo caso "materialista". L‘autore commette questo errore anche nella relazione al Congresso di storia della scienza e della tecnologia tenuta a Londra nel 31 (cfr pubblicazione degli Atti) affermando che la concezione soggettivistica e idealistica è legata alla concezione di un... Adamo che apre gli occhi per la prima volta nel mondo e crede di crearlo lui in quel momento (o qualcosa di simile) dimenticando che Adamo, secondo la Bibbia, e quindi la concezione religiosa, è creato dopo il mondo, e anzi il mondo è creato da Dio per lui. La religione perciò non può allontanarsi dal concetto della "realtà" indipendente dall‘uomo pensante. La Chiesa (attraverso i gesuiti e specialmente i neoscolastici -  Università di Lovanio e del Sacro Cuore a Milano - ) ha cercato di assorbire il positivismo e anzi si serve di questo ragionamento per mettere in ridicolo gli idealisti presso le folle: "Gli idealisti sono quelli che pensano che il tal campanile esiste solo perché tu lo pensi: se tu non lo pensassi, il campanile non esisterebbe più". Cfr Mario Casotti, Maestro e scolaro, p. 49: "le ricerche dei naturalisti e dei biologi presuppongono già esistenti la vita e l‘organismo reale", che suona come una frase di Engels nell‘ Antidühring.

Q8 §171

Sul "Saggio popolare". La quistione di nomenclatura e di contenuto. Una caratteristica degli intellettuali come categoria sociale cristallizzata (come categoria sociale che concepisce se stessa come continuazione ininterrotta nella storia, quindi al di sopra delle lotte di gruppi e non come espressione di un processo dialettico, per cui ogni gruppo sociale dominante elabora una propria categoria di intellettuali) è appunto di ricongiungersi, nella sfera ideologica, a una precedente categoria intellettuale, attraverso una stessa nomenclatura di concetti.

Una nuova situazione storica crea una nuova superstruttura ideologica, i cui rappresentanti (gli intellettuali) devono essere concepiti come anch‘essi "nuovi intellettuali", nati dalla nuova situazione e non continuazione della precedente intellettualità. Se i "nuovi" intellettuali si pongono come continuazione diretta della precedente intellettualità essi non sono affatto "nuovi", essi non sono legati al nuovo gruppo sociale che rappresenta la nuova situazione storica, ma ai rimasugli del vecchio gruppo sociale di cui la vecchia intellettualità era espressione.

Tuttavia avviene che nessuna nuova situazione storica, sia essa pur dovuta al mutamento più radicale, muta completamente il linguaggio, almeno nel suo aspetto esterno, formale. Ma il contenuto del linguaggio è mutato, e di questa mutazione è difficile avere una coscienza esatta immediatamente. D‘altronde il fenomeno è storicamente complesso e complicato dalla diversa cultura tipica dei diversi strati del nuovo gruppo sociale, molti dei quali, nel terreno ideologico, sono ancora immersi nella cultura di situazioni storiche precedenti. Una classe, di cui molti strati sono ancora alla concezione tolemaica, può essere la rappresentante di una situazione storica molto progredita: questi strati, se ideologicamente arretrati, praticamente (cioè come funzione economica e politica) sono avanzatissimi ecc.

Se compito degli intellettuali è quello di determinare e organizzare la rivoluzione culturale, cioè di adeguare la cultura alla funzione pratica, è evidente che gli intellettuali "cristallizzati" sono reazionari ecc. La quistione della nomenclatura filosofica è, per così dire, "attiva e passiva": si accetta non solo l‘espressione ma anche il contenuto di un concetto di una intellettualità superata, mentre si respinge la espressione di un‘altra intellettualità passata, anche se essa ha mutato di contenuto ed è divenuta efficace a esprimere il nuovo contenuto storico-culturale.

Così è avvenuto per il termine "materialismo", accettato col contenuto passato, e per il termine "immanenza" respinto perché nel passato aveva un determinato contenuto storico-culturale. La difficoltà di adeguare l‘espressione letteraria al contenuto concettuale e di confondere le quistioni lessicali con le quistioni sostanziali e viceversa è caratteristica del dilettantismo filosofico, di una mancanza di senso storico nel cogliere i diversi momenti di un processo di sviluppo culturale e quindi storico in generale, cioè di concezione antidialettica, dogmatica, prigioniera di schemi astratti di logica formale.

Q8 §173

Sul "Saggio popolare". Un lavoro come il Saggio popolare, destinato a una comunità di lettori che non sono intellettuali di professione, dovrebbe partire dalla analisi e dalla critica della filosofia del senso comune, che è la "filosofia dei non filosofi", cioè la concezione del mondo assorbita acriticamente dai vari ambienti sociali in cui si sviluppa l‘individualità morale dell‘uomo medio. Il senso comune non è una concezione unica, identica nel tempo e nello spazio: esso è il "folclore" della filosofia, e come il folclore si presenta in forme innumerevoli: il suo carattere fondamentale è di essere una concezione del mondo disgregata, incoerente, inconseguente, conforme al carattere delle moltitudini di cui esso è la filosofia.

Quando nella storia si elabora un gruppo sociale omogeneo, si elabora anche, contro il senso comune, una filosofia "omogenea", cioè sistematica. Gli elementi principali del senso comune sono dati dalle religioni, e non solo dalla religione attualmente dominante, ma dalle religioni precedenti, da movimenti ereticali popolari, da concezioni scientifiche passate ecc. Nel senso comune predominano gli elementi "realistici, materialistici", ciò che non è in contraddizione con l‘elemento religioso, tutt‘altro; ma questi elementi sono "acritici", "superstiziosi".

Ecco un pericolo rappresentato dal Saggio popolare: esso conferma spesso questi elementi acritici, basati sulla mera percezione immediata, per cui il senso comune è ancora rimasto "tolemaico", antropomorfico e antropocentrico. Nella cultura filosofica francese esistono trattazioni sul "senso comune" più che in altre culture: ciò è dovuto al carattere "popolare-nazionale" della cultura francese, cioè al fatto che gli intellettuali tendono, più che altrove, per determinate condizioni storiche, ad avvicinarsi al popolo per guidarlo ideologicamente e tenerlo legato al gruppo dirigente. Si potrà trovare quindi nella letteratura francese molto materiale sul senso comune utilizzabile: anzi l‘atteggiamento della cultura filosofica francese verso il "senso comune" può offrire un modello di costruzione culturale egemonica; anche la cultura inglese e americana possono offrire molti spunti, ma non in modo così completo e organico come quella francese.

Il "senso comune" è stato trattato in due modi: 1°) è stato messo a base della filosofia; 2°) è stato criticato dal punto di vista di un‘altra filosofia; ma in realtà, nell‘un caso e nell‘altro, il risultato fu di superare un determinato "senso comune" per crearne un altro più aderente alla concezione del mondo del gruppo dirigente. Atteggiamento del Croce verso il "senso comune": non mi pare chiaro. Per il Croce, la tesi che "ogni uomo è un filosofo" ha finora troppo gravato sul giudizio intorno al "senso comune"; il Croce sembra spesso compiacersi perché determinate proposizioni filosofiche sono condivise dal senso comune, ma che cosa può ciò significare in concreto? Perché sia vero che "ogni uomo è un filosofo" non è necessario ricorrere, in questo senso, al senso comune.

Il senso comune è un aggregato incomposto di concezioni filosofiche e vi si può trovare tutto ciò che si vuole. D‘altronde in Croce, questo atteggiamento verso il senso comune non ha portato a un atteggiamento culturale fecondo dal punto di vista "popolare-nazionale", cioè ad una concezione più concretamente storicistica della filosofia, che del resto può trovarsi solo nel materialismo storico. Opere di Léon Brunschvicg: Les étapes de la philosophie mathématique, L‘expérience humaine et la causalité physique, Le progrès de la conscience dans la philosophie occidentale, La connaissance de soi, Introduction à la vie de l‘esprit. Cito da un articolo di Henri Gouhier nelle "Nouvelles Littéraires" del 17-10-931 sul Brunschvicg: "Il n‘y a qu‘un seul et même mouvement de spiritualisation, qu‘il s‘agisse de mathématiques, de physique, de biologie, de philosophie et de morale; c‘est l‘effort par lequel l‘esprit se débarasse du sens commun et de sa métaphysique spontanée qui pose un monde de choses sensibles réelles et l‘homme au milieu de ce mond".

Q8 §174

Sul "Saggio popolare". Si può avere dal Saggio una critica della metafisica? Mi pare che il concetto stesso di metafisica sfugga all‘autore, in quanto gli sfugge il concetto di movimento storico, del divenire e quindi della dialettica. Pensare che una affermazione è vera per un periodo storico, cioè è l‘espressione necessaria e inscindibile di una determinata azione, di una determinata praxis, ma diventerà "falsa" in un periodo storico successivo, senza perciò cadere nello scetticismo e nel relativismo (opportunismo morale e ideologico) è molto difficile.

L‘autore non riesce a sfuggire al dogmatismo, quindi alla metafisica: tutto il suo libro anzi è viziato di dogmatismo e di metafisica e ciò è chiaro dall‘inizio, dall‘impostazione del problema cioè della possibilità di costruire una "sociologia" del marxismo: sociologia significa appunto, in questo caso, metafisica. In una nota l‘autore non sa rispondere all‘obbiezione di alcuni teorici che sostengono il materialismo storico poter vivere solo in concrete opere di storia; egli non riesce a elaborare la concezione del materialismo storico come "metodologia storica" e questa come "filosofia", come la sola filosofia concreta, non riesce cioè a porsi e a risolvere dal punto di vista del materialismo storico il problema che Croce si è posto e ha cercato di risolvere dal punto di vista dell‘idealismo.

Invece di "metodologia storica", di "filosofia", egli costruisce una sociologia, cioè una "casistica" di problemi concepiti e risolti dogmaticamente, quando non empiricamente. Pare che per l‘autore "metafisica" sia una determinata formulazione filosofica, e non ogni formulazione di soluzioni che si ponga come un universale astratto, fuori del tempo e dello spazio.

Q( §186

Sul "Saggio popolare". La filosofia del Saggio popolare è puro aristotelismo [positivistico], cioè un riadattamento della logica formalistica secondo i metodi delle scienze naturali: la legge di causalità è sostituita alla dialettica; la classificazione astratta, la sociologia ecc. Se "idealismo" è scienza delle categorie a priori dello spirito, cioè è una forma di astrazione antistoricistica, questo saggio popolare è idealismo alla rovescia nel senso che alle categorie dello spirito sostituisce delle categorie empiriche altrettanto a priori e astratte. [Causalismo e non dialettica. Ricerca della legge di "regolarità, normalità, uniformità" senza superamento, perché l‘effetto non può essere superiore alla causa, meccanicamente].

Q8 §196

"Saggio popolare". Un‘osservazione che può farsi a molti riferimenti del Saggio è il misconoscimento delle possibilità dell‘errore da parte di singoli autori citati. Ciò è legato a un criterio metodico più generale: che non è molto "scientifico" o più semplicemente "molto serio", scegliere i propri avversari tra i più stupidi e mediocri, o ancora, scegliere tra le opinioni dei propri avversari le meno essenziali e più occasionali e presumere d‘aver distrutto "tutto" l‘avversario perché si è distrutta una sua opinione secondaria e occasionale, o d‘aver distrutto un‘ideologia o una dottrina perché si è dimostrata l‘insufficienza teorica dei suoi campioni di terzo o quarto ordine.

Ancora, occorre essere giusti coi propri avversari, nel senso che bisogna sforzarsi di comprendere ciò che essi realmente hanno voluto dire e non fermarsi ai significati superficiali e immediati delle loro espressioni. Ciò si dica, se il fine propostosi è quello di elevare il tono e il livello intellettuale dei propri seguaci, e non quello immediato di fare il deserto intorno a sé, con ogni mezzo e maniera. Occorre porsi da questo punto di vista: che il proprio seguace debba discutere e sostenere il proprio punto di vista nei confronti di avversari capaci e intelligenti, e non solo di persone incolte e impreparate, che si convincono "autoritativamente" o per via "emozionale".

La possibilità dell‘errore deve essere affermata e giustificata, senza con ciò venir meno alla propria concezione, poiché ciò che importa non è già l‘opinione di Tizio, Caio, Sempronio, ma quell‘insieme di opinioni che sono diventate collettive, sono diventate un elemento e una forza sociale: queste occorre confutare, nei loro esponenti teorici più rappresentativi e degni per altezza di pensiero e anche per "disinteresse" immediato, e non già pensando di aver con ciò "distrutto" l‘elemento e la forza sociale corrispondente (ciò che sarebbe puro razionalismo illuministico), ma solo di aver contribuito: 1) a mantenere nella propria parte lo spirito di scissione e di distruzione: 2) a creare il terreno perché la propria parte assorba e vivifichi una propria dottrina originale, corrispondente alle proprie condizioni di vita.

Q8 §197

"Saggio popolare". L‘inizio, cioè la posizione del problema come una ricerca di leggi, di linee costanti, regolari, uniformi. Ciò legato al problema della prevedibilità degli accadimenti storici. Impostazione da scienze naturali astratte. Ciò che è solo prevedibile è la lotta, ma non i momenti concreti di essa, che risulteranno da equilibri di forze in continuo movimento, non riducibili a quantità fisse. Puro meccanicismo causalista, non dialettica. La prevedibilità solo per grandi generalizzazioni, corrispondente a grandi leggi di probabilità, alla legge dei grandi numeri. E‘ il concetto stesso di "scienza" che occorre criticare nel Saggio popolare, che è preso di sana pianta dalle scienze naturali e ancora da alcune di esse, e da queste secondo la concezione positivista.

Q8 §201

"Saggio popolare". Sull‘arte. Nella sezione dedicata all‘arte, si afferma che anche le più recenti opere sull‘estetica affermano l‘identità di forma e contenuto. Questo può essere assunto come uno dei casi più vistosi dell‘incapacità critica nello stabilire la storia dei concetti e nell‘identificare il reale significato dei concetti stessi nel campo della cultura. Infatti l‘identificazione di contenuto e forma è affermata dall‘estetica idealistica (Croce), ma su presupposti idealistici e con terminologia idealistica. Né i termini "contenuto" e "forma" hanno quindi il significato che il Saggio suppone.

Che forma e contenuto si identifichino significa solo che nell‘arte il contenuto non è "l‘astratto soggetto", cioè l‘intrigo romanzesco o la particolare massa di sentimenti generici, ma che contenuto dell‘arte è l‘arte stessa, una categoria filosofica, un "momento distinto" dello spirito ecc. Né forma significa tecnica, come il Saggio suppone, ecc.

Q8 §202

"Saggio popolare". Che cosa si può intendere per "scienza" parlando del Saggio e in che non è accettabile il concetto di "scienza" che in esso è sostenuto o meglio ancora sottinteso? Si intenderà il metodo e non già il metodo in generale, che non esiste, o significa solo la filosofia in generale (per alcuni) e per altri la logica formale o il metodo matematico, ma un determinato metodo, proprio di una determinata ricerca, di una determinata scienza, e che si è sviluppato ed è stato elaborato insieme allo sviluppo e alla elaborazione di quella determinata ricerca e scienza e forma tutta una cosa con esse.

Ma nel Quaderno 10, egli scrive: "ci sono anche dei criteri generali che si può dire costituiscono la coscienza critica dello scienziato e devono sempre essere vigili e spontanei nel suo lavoro. Così si può dire che non è scienziato chi dimostra poca sicurezza nei suoi criteri, colui che non ha una piena intelligenza dei concetti adoperati, che ha scarsa intelligenza dello stato precedente dei problemi trattati, che non ha molta cautela nelle sue affermazioni, che non progredisce in modo necessario ma arbitrario e senza concatenamento, che non sa tener conto delle lacune che esistono nelle cognizioni raggiunte ma le sottace e si accontenta di soluzioni o nessi puramente verbali invece di dichiarare che si tratta di posizioni provvisorie che potranno essere riprese e sviluppate ecc. Ognuno di questi punti può essere sviluppato, con le opportune esemplificazioni ecc.

Q8 §202

"Saggio popolare". Spunti di estetica e di critica letteraria. Raccogliere tutti gli spunti di estetica e di critica letteraria sparsi nel Saggio popolare e cercare di ragionarvi su. Uno spunto è quello riguardante il Prometeo di Goethe. Il giudizio datone è superficiale ed estremamente generico. L‘autore non conosce, a quanto pare, né la storia esatta di questa ode del Goethe, né la storia della fortuna del mito di Prometeo prima di Goethe e specialmente nel periodo precedente e contemporaneo a Goethe.

Eppure, si può dare un giudizio come quello dato dall‘autore, senza conoscere proprio questi elementi? Come altrimenti distinguere ciò che è personale del Goethe da ciò che è un elemento rappresentativo di un‘epoca e di un gruppo sociale? Questo genere di giudizi in tanto sono giustificati in quanto sono non generici, ma specifici, precisi, dimostrati: altrimenti sono destinati solo a diffamare la teoria e a suscitare dei faciloni superficiali, i quali credono d‘avere tutta la storia in tasca perché sanno sciacquarsi la bocca con delle formule che sono fatte diventare delle frasi fatte, delle banalità (richiamare sempre la frase di Engels nella sua lettera a uno studente pubblicata nell‘"Accademico Socialista").

Q8 §215

"Saggio popolare". La realtà del mondo esterno. Tutta la polemica sulla "realtà del mondo esterno" mi pare male impostata e in gran parte oziosa (mi riferisco anche alla memoria presentata al Congresso di storia delle scienze di Londra).  

1°) Dal punto di vista di un "saggio popolare" essa è una superfetazione e un bisogno [(prurito)] da intellettuale più che una necessità: infatti il pubblico popolare è ben lungi dal porsi il problema se il mondo esterno esista obbiettivamente o sia una costruzione dello spirito. Il pubblico popolare "crede" che il mondo esterno sia obbiettivo ed è questa "credenza" che occorre analizzare, criticare, superare scientificamente. Questa credenza è infatti d‘origine religiosa, anche quando chi "crede" è religiosamente indifferente. Poiché per secoli si è creduto che il mondo è stato creato da dio prima dell‘uomo, e l‘uomo ha già trovato il mondo creato e catalogato, definito una volta per tutte, questa credenza diventa un dato del "senso comune", anche quando il sentimento religioso è spento o addormentato. Ecco allora che fondarsi su questa esperienza del senso comune per distruggere col ridicolo le teorie dell‘idealismo, ha un significato piuttosto "reazionario", di ritorno implicito al sentimento religioso: infatti gli scrittori cattolici ricorrono allo stesso mezzo per ottenere lo stesso effetto di comicità corrosiva.

 2°) Ricercare il perché sono sorte le teorie che non riconoscono la realtà obbiettiva del mondo. Sono state manifestazioni di pazzia, di delirio ecc.? Troppo semplicistico. Il materialismo storico non solo spiega e giustifica se stesso, ma spiega e giustifica tutte le teorie precedenti ecc., e in questo è la sua forza. Ora le teorie idealistiche sono il più grande tentativo di riforma morale e intellettuale che si sia verificato nella storia per eliminare la religione dal campo della civiltà. A questo è legato il problema del come e in che misura la concezione delle superstrutture nel materialismo storico sia appunto una realizzazione dell‘idealismo e della sua affermazione che la realtà del mondo è una costruzione dello spirito.

3°) La posizione delle scienze naturali o esatte nel quadro del materialismo storico. Questo è il problema più interessante e urgente da risolvere, per non cadere in un feticismo che è appunto una rinascita della religione sotto altre spoglie.

Q8 §219

"Saggio popolare". Residui di metafisica. Il modo di giudicare le concezioni passate filosofiche come delirio non è solo un errore di antistoricismo, cioè la pretesa anacronistica che nel passato si dovesse pensare come oggi, ma è un vero e proprio residuo di concezioni metafisiche, perché suppone un pensiero dogmatico valido in tutti i tempi e in ogni paese, alla cui stregua si giudica tutto il passato in realtà l‘"antistoricismo" in senso metodico è nient‘altro che un residuo metafisico.

La caducità storica dei sistemi filosofici passati è un concetto che non esclude che essi siano stati validi storicamente: la loro caducità è considerata dal punto di vista dell‘intero svolgimento storico e della dialettica vita-morte; che essi fossero degni di cadere, non è un giudizio morale o di "verità" obiettiva, ma dialettico-storico. (Cfr la presentazione fatta da Engels della proposizione hegeliana "tutto ciò che è reale è razionale e tutto ciò che è razionale è reale"): nel Saggio si giudica il passato come "irrazionale" e "mostruoso", la storia del passato è un trattato di teratologia, perché si parte da una concezione "metafisica" (ecco invece perché nel Manifesto è contenuto il più alto elogio del mondo che pure si presenta come morituro).

Così è da dire della concezione di una "oggettività" esteriore [e meccanica], che corrisponde a una specie di "punto di vista del cosmo in sé", che è poi quello del materialismo filosofico, del positivismo e di certo scientismo. Ma che cos‘è questo punto di vista, se non un residuo del concetto di dio, appunto nella sua concezione mistica di un "dio ignoto"

Q8 §229

"Saggio popolare". Nelle osservazioni sul Saggio popolare, in quanto sono complessive, riguardano il metodo generale, si può ricordare quella della superficialità logica inerente al sistema orale di diffusione della cultura e della scienza (nel Saggio [Prefazione] si ricorda come titolo d‘onore l‘origine "parlata" della trattazione). Si può ricordare il principio logico dell‘ ignorantia elenchi e della mutatio elenchi, poiché molti esempi si possono dare e dell‘uno e dell‘altro.

Q8 §232

"Saggio popolare". Giudizio sulle filosofie passate. Concepire come delirio il pensiero del passato non ha nessun significato teorico, anzi è una deviazione dalla filosofia della prassi. Avrà un significato educativo, energetico? Non pare, perchè esso si ridurrebbe a credere di essere "qualcosa" solo perché si è nati nel tempo presente, invece che in uno a dei secoli passati.

Ma in ogni tempo c‘è stato un passato e una contemporaneità e l‘essere "contemporaneo" è un titolo solo per barzelletta. (Si racconta l‘aneddoto di un borghesuccio francese che aveva nel suo biglietto da visita "contemporaneo"; egli aveva scoperto di essere "contemporaneo" e se ne vantava).

Ma in ogni tempo c‘è stato un passato e una contemporaneità e l‘essere "contemporaneo" è un titolo solo per barzelletta. (Si racconta l‘aneddoto di un borghesuccio francese che aveva nel suo biglietto da visita "contemporaneo"; egli aveva scoperto di essere "contemporaneo" e se ne vantava).

Q8 §239

Saggio popolare. Teleologia. In altra nota ho citato un epigramma di Goethe contro il teleologismo. Questo stesso spunto Goethe ripete in altra forma (cercare dove) e dice di averlo derivato da Kant: "Il Kant è il più eminente dei moderni filosofi, quello le cui dottrine hanno maggiormente influito nella mia coltura. La distinzione del soggetto dall‘oggetto ed il principio scientifico che ogni cosa esiste e si svolge per ragion sua propria ed intrinseca (che il sughero, a dirla proverbialmente, non nasce per servir di turacciolo alle nostre bottiglie) ebb‘io comune col Kant, ed io in seguito applicai molto studio alla sua filosofia".

Q11 §13

Un lavoro come il Saggio popolare, destinato essenzialmente a una comunità di lettori che non sono intellettuali di professione, avrebbe dovuto prendere le mosse dall‘analisi critica della filosofia del senso comune, che è la "filosofia dei non filosofi", cioè la concezione del mondo assorbita acriticamente dai vari ambienti sociali e culturali in cui si sviluppa l‘individualità morale dell‘uomo medio. Il senso comune non è una concezione unica, identica nel tempo e nello spazio: è il "folclore" della filosofia e come il folclore si presenta in forme innumerevoli: il suo tratto fondamentale e più caratteristico è di essere una concezione (anche nei singoli cervelli) disgregata, incoerente, inconseguente, conforme alla posizione sociale e culturale delle moltitudini di cui esso è la filosofia. Quando nella storia si elabora un gruppo sociale omogeneo, si elabora anche, contro il senso comune, una filosofia omogenea, cioè coerente e sistematica. Il Saggio popolare sbaglia nel partire (implicitamente) dal presupposto che a questa elaborazione di una filosofia originale delle masse popolari si oppongano i grandi sistemi delle filosofie tradizionali e la religione dell‘alto clero, cioè le concezioni del mondo degli intellettuali e dell‘alta cultura.

Q11 §14

Sulla metafisica. Si può ricavare dal Saggio popolare una critica della metafisica e della filosofia speculativa? Occorre dire che all‘autore sfugge il concetto stesso di metafisica, in quanto gli sfuggono i concetti di movimento storico, di divenire e quindi della stessa dialettica. Pensare un‘affermazione filosofica come vera in un determinato periodo storico, cioè come espressione necessaria e inscindibile di una determinata azione storica, di una determinata praxis, ma superata e "vanificata" in un periodo successivo, senza però cadere nello scetticismo e nel relativismo morale e ideologico, cioè concepire la filosofia come storicità, è operazione mentale un po‘ ardua e difficile.

L‘autore invece cade in pieno nel dogmatismo e quindi in una forma, sia pure ingenua, di metafisica; ciò è chiaro fin dall‘inizio, dall‘impostazione del problema, dalla volontà di costruire una "sociologia" sistematica della filosofia della praxis; sociologia, in questo caso, significa appunto metafisica ingenua. Nel paragrafo finale dell‘introduzione, l‘autore non sa rispondere all‘obbiezione di alcuni critici, i quali sostengono la filosofia della praxis poter solo vivere in concrete opere di storia. Egli non riesce a elaborare il concetto di filosofia della praxis come "metodologia storica" e questa come "filosofia", come la sola filosofia concreta, non riesce cioè a porsi e a risolvere dal punto di vista della dialettica reale il problema che il Croce si è posto e ha cercato risolvere dal punto di vista speculativo. Invece di una metodologia storica, di una filosofia, egli costruisce una casistica di quistioni particolari concepite e risolte dogmaticamente quando non sono risolte in modo puramente verbale, con dei paralogismi ingenui quanto pretensiosi.

Questa casistica potrebbe pur essere utile e interessante, se però si presentasse come tale, senza altra pretesa che di dare degli schemi approssimativi di carattere empirico, utili per la pratica immediata. Del resto si capisce che così debba essere perché nel Saggio popolare la filosofia della praxis non è una filosofia autonoma e originale, ma la "sociologia" del materialismo metafisico. Metafisica per esso significa solo una determinata formulazione filosofica, quella speculativa dell‘idealismo e non già ogni formulazione sistematica che si ponga come [verità] extrastorica, come un universale astratto fuori del tempo e dello spazio. La filosofia del Saggio popolare (implicita in esso) può essere chiamata un aristotelismo positivistico, un adattamento della logica formale ai metodi delle scienze fisiche e naturali. La legge di causalità, la ricerca della regolarità, normalità, uniformità sono sostituite alla dialettica storica.

Ma come da questo modo di concepire può dedursi il superamento, il "rovesciamento della praxis"? L‘effetto, meccanicamente, non può mai superare la causa o il sistema di cause, quindi non può aversi altro svolgimento che quello piatto e volgare dell‘evoluzionismo. Se l‘"idealismo speculativo" è la scienza delle categorie e della sintesi a priori dello spirito, cioè una forma di astrazione antistoricistica, la filosofia implicita nel Saggio popolare è un idealismo alla rovescia, nel senso che dei concetti e delle classificazioni empiriche sostituiscono le categorie speculative, altrettanto astratte e antistoriche di queste.

Q11 §15

Il concetto di "scienza". La posizione del problema come una ricerca di leggi, di linee costanti, regolari, uniformi è legata a una esigenza, concepita in modo un po‘ puerile e ingenuo, di risolvere perentoriamente il problema pratico della prevedibilità degli accadimenti storici. Poiché "pare", per uno strano capovolgimento delle prospettive, che le scienze naturali diano la capacità di prevedere l‘evoluzione dei processi naturali, la metodologia storica è stata concepita "scientifica" solo se e in quanto abilita astrattamente a "prevedere" l‘avvenire della società. Quindi la ricerca delle cause essenziali, anzi della "causa prima", della "causa delle cause". Ma le "Tesi su Feuerbach" avevano già criticato anticipatamente questa concezione semplicistica. In realtà si può prevedere "scientificamente" solo la lotta, ma non i momenti concreti di essa, che non possono non essere risultati di forze contrastanti in continuo movimento, non riducibili mai a quantità fisse, perché in esse la quantità diventa continuamente qualità. Realmente si "prevede" nella misura in cui si opera, in cui si applica uno sforzo volontario e quindi si contribuisce concretamente a creare il risultato "preveduto".

La previsione si rivela quindi non come un atto scientifico di conoscenza, ma come l‘espressione astratta dello sforzo che si fa, il modo pratico di creare una volontà collettiva. E come potrebbe la previsione essere un atto di conoscenza? Si conosce ciò che è stato o è, non ciò che sarà, che è un "non esistente" e quindi inconoscibile per definizione. Il prevedere è quindi solo un atto pratico che non può, in quanto non sia una futilità o un perditempo, avere altra spiegazione che quella su esposta. E‘ necessario impostare esattamente il problema della prevedibilità degli accadimenti storici per essere in grado di criticare esaurientemente la concezione del causalismo meccanico, per svuotarla di ogni prestigio scientifico e ridurla a puro mito che fu forse utile nel passato, in un periodo arretrato di sviluppo di certi gruppi sociali subalterni (vedere una nota precedente). Ma è il concetto stesso di "scienza", quale risulta dal Saggio popolare, che occorre distruggere criticamente; esso è preso di sana pianta dalle scienze naturali, come se queste fossero la sola scienza, o la scienza per eccellenza, così come è stato fissato dal positivismo. Ma nel "saggio popolare" il termine di scienza è impiegato in molti significati, alcuni espliciti altri sottintesi o appena accennati. Il senso esplicito è quello che "scienza" ha nelle ricerche fisiche.

Altre volte però pare indichi il metodo. Ma esiste un metodo in generale e se esiste non significa poi niente altro che filosofia? Potrebbe significare altre volte niente altro che la logica formale, ma si può chiamare questa un metodo e una scienza? Occorre fissare che ogni ricerca ha un suo determinato metodo e costruisce una sua determinata scienza, e che il metodo si è sviluppato ed è stato elaborato insieme allo sviluppo e alla elaborazione di quella determinata ricerca e scienza, e forma tutt‘uno con esse. Credere di poter far progredire una ricerca scientifica applicandole un metodo tipo, scelto perché ha dato buoni risultati in altra ricerca alla quale era connaturato, è uno strano abbaglio che ha poco che vedere con la scienza. Ci sono però anche dei criteri generali che si può dire costituiscano la coscienza critica di ogni scienziato, qualunque sia la sua "specializzazione" e che devono sempre essere spontaneamente vigili nel suo lavoro. Così si può dire che non è scienziato chi dimostra scarsa sicurezza nei suoi criteri particolari, che non ha una piena intelligenza dei concetti adoperati, che ha scarsa informazione e intelligenza dello stato precedente dei problemi trattati, che non è molto cauto nelle sue affermazioni, che non progredisce in modo necessario ma arbitrario e senza concatenamento, che non sa tener conto delle lacune che esistono nelle cognizioni raggiunte ma le sottace e si accontenta di soluzioni o nessi puramente verbali invece di dichiarare che si tratta di posizioni provvisorie che potranno essere riprese e sviluppate ecc. (Ognuno di questi punti può essere sviluppato, con le opportune esemplificazioni).

Un appunto che può farsi a molti riferimenti polemici del Saggio è il misconoscimento sistematico della possibilità di errore da parte dei singoli autori citati, per cui si attribuiscono a un gruppo sociale, di cui gli scienziati sarebbero sempre i rappresentanti, le opinioni più disparate e le volontà più contradditorie. Questo appunto è legato a un criterio metodico più generale e cioè: non è molto "scientifico" o più semplicemente "molto serio" scegliere gli avversari tra i più stupidi e mediocri o ancora, scegliere tra le opinioni dei propri avversari le meno essenziali e le più occasionali e presumere di aver "distrutto" "tutto" l‘avversario perché si è distrutta una sua opinione secondaria e incidentale o di aver distrutto un‘ideologia o una dottrina perché si è dimostrata l‘insufficienza teorica dei suoi campioni di terzo o quarto ordine. Ancora "occorre essere giusti cogli avversari", nel senso che bisogna sforzarsi di comprendere ciò che essi realmente hanno voluto dire e non fermarsi maliziosamente ai significati superficiali e immediati delle loro espressioni. Ciò si dica, se il fine propostosi è di elevare il tono e il livello intellettuale dei propri seguaci e non quello immediato di fare il deserto intorno a sé, con ogni mezzo e maniera.

Occorre porsi da questo punto di vista: che il proprio seguace debba discutere e sostenere il proprio punto di vista in discussione con avversari capaci e intelligenti e non solo con persone rozze e impreparate che si convincono "autoritativamente" o per via "emozionale". La possibilità dell‘errore deve essere affermata e giustificata, senza con ciò venir meno alla propria concezione, perché ciò che importa non è già l‘opinione di Tizio, Caio o Sempronio, ma quell‘insieme di opinioni che sono diventate collettive, un elemento e una forza sociale; queste occorre confutare, nei loro esponenti teorici più rappresentativi e degni anzi di rispetto per altezza di pensiero e anche per "disinteresse" immediato e non già pensando di aver con ciò "distrutto" l‘elemento e la forza sociale corrispondente (che sarebbe puro razionalismo illuministico), ma solo di aver contribuito: 1) a mantenere nella propria parte e rafforzare lo spirito di distinzione e di scissione; 2) a creare il terreno perché la propria parte assorba e vivifichi una propria dottrina originale, corrispondente alle proprie condizioni di vita. E‘ da osservare che molte deficienze del Saggio popolare sono connesse all‘"oratoria".

L‘autore, nella prefazione, ricorda, quasi a titolo di onore, l‘origine "parlata" della sua opera. Ma, come ha osservato già il Macaulay a proposito delle discussioni orali presso i greci, è appunto alle "dimostrazioni orali" e alla mentalità degli oratori che si collegano le superficialità logiche e di argomentazione le più stupefacenti. Ciò del resto non diminuisce la responsabilità degli autori, che non rivedono, prima di stamparle, le trattazioni tenute oralmente, spesso improvvisando, quando la meccanica e casuale associazione delle idee spesso sostituisce il nerbo logico. Il peggio è quando, in questa pratica oratoria, la mentalità facilona si solidifica e i freni critici non funzionano più. Si potrebbe fare una lista delle ignorantiae e mutationes elenchi del Saggio popolare probabilmente dovute alla "foga" oratoria. Un esempio tipico mi pare il paragrafo dedicato al prof. Stammler, dei più superficiali e sofistici.

Q11 §17

La così detta "realtà del mondo esterno". Tutta la polemica contro la concezione soggettivistica della realtà, con la quistione "terribile" della "realtà oggettiva del mondo esterno", è male impostata, peggio condotta e in gran parte futile e oziosa (mi riferisco anche alla memoria presentata al Congresso di storia delle scienze, tenuto a Londra nel giugno-luglio 1931). Dal punto di vista di un "saggio popolare" tutta la trattazione risponde più a un prurito di pedanteria intellettuale che ad una necessità logica. Il pubblico popolare non crede neanche che si possa porre un tale problema, se il mondo esterno esista obbiettivamente. Basta enunziare così il problema per sentire un irrefrenabile e gargantuesco scoppio di ilarità. Il pubblico "crede" che il mondo esterno sia obbiettivamente reale, ma qui appunto nasce la quistione: qual è l‘origine di questa "credenza e quale valore critico ha "obbiettivamente". Infatti questa credenza è di origine religiosa, anche se chi vi partecipa è religiosamente indifferente. poiché tutte le religioni hanno insegnato e insegnano che il mondo, la natura, l‘universo è stato creato da dio prima della creazione dell‘uomo e quindi l‘uomo ha trovato il mondo già bell‘e pronto, catalogato e definito una volta per sempre, questa credenza è diventata un dato ferreo del "senso comune" e vive con la stessa saldezza anche se il sentimento religioso è spento o sopito.

Ecco allora che fondarsi su questa esperienza del senso comune per distruggere con la "comicità" la concezione soggettivistica ha un significato piuttosto "reazionario", di ritorno implicito al sentimento religioso; infatti gli scrittori o gli oratori cattolici ricorrono allo stesso mezzo per ottenere lo stesso effetto di ridicolo corrosivo. Nella memoria presentata al Congresso di Londra, l‘autore del Saggio popolare implicitamente risponde a questo appunto (che è poi di carattere esterno, sebbene abbia la sua importanza) notando che il Berkeley, al quale si deve la prima enunziazione compiuta della concezione soggettivistica, era un arcivescovo (quindi pare si debba dedurre l‘origine religiosa della teoria) e poi dicendo che solo un "Adamo" che si trova per la prima volta nel mondo, può pensare che questo esista solo perché egli lo pensa (e anche qui si insinua l‘origine religiosa della teoria, ma senza molto o nessuno vigore di convinzione). Il problema invece è questo, mi pare: come si può spiegare che una tale concezione, che non è certo una futilità, anche per un filosofo della praxis, oggi, esposta al pubblico, possa solo provocare il riso e lo sberleffo?

Mi pare il caso più tipico della distanza che si è venuta formando tra scienza e vita, tra certi gruppi di intellettuali, che pure sono alla direzione "centrale" dell‘alta coltura e le grandi masse popolari: e come il linguaggio della filosofia sia diventato un gergo che ottiene lo stesso effetto di quello di Arlecchino. Ma se il "senso comune" si esilara il filosofo della praxis dovrebbe lo stesso cercare una spiegazione e del reale significato che la concezione ha, e del perché essa sia nata e si sia diffusa tra gli intellettuali, e anche del perché essa faccia ridere il senso comune. E‘ certo che la concezione soggettivistica è propria della filosofia moderna nella sua forma più compiuta e avanzata, se da essa e come superamento di essa è nato il materialismo storico, che nella teoria delle superstrutture pone in linguaggio realistico e storicistico ciò che la filosofia tradizionale esprimeva in forma speculativa. La dimostrazione di questo assunto, che qui è appena accennato, avrebbe la più grande portata culturale, perché metterebbe fine a una serie di discussioni futili quanto oziose e permetterebbe uno sviluppo organico della filosofia della praxis, fino a farla diventare l‘esponente egemonico dell‘alta cultura. Fa anzi meraviglia che il nesso tra l‘affermazione idealistica che la realtà del mondo è una creazione dello spirito umano e l‘affermazione della storicità e caducità di tutte le ideologie da parte della filosofia della praxis, perché le ideologie sono espressioni della struttura e si modificano col modificarsi di essa, non sia stato mai affermato e svolto convenientemente.

La quistione è strettamente connessa, e si capisce, alla quistione del valore delle scienze così dette esatte o fisiche e alla posizione che esse sono venute assumendo nel quadro della filosofia della praxis di un quasi feticismo, anzi della sola e vera filosofia o conoscenza del mondo. Ma cosa sarà da intendere per concezione soggettivistica della realtà? Si potrà assumere una qualsiasi delle tante teorie soggettivistiche elucubrate da tutta una serie di filosofi e professori fino a quelle solipsistiche? E‘ evidente che la filosofia della praxis, anche in questo caso, non può che essere messa in rapporto con lo hegelismo, che di questa concezione rappresenta la forma più compiuta e geniale e che delle successive teorie saranno da prendere in considerazione solo alcuni aspetti parziali e i valori strumentali. E occorrerà ricercare le forme bizzarre che la concezione ha assunto, sia nei seguaci sia nei critici più o meno intelligenti. Così è da ricordare ciò che scrive il Tolstoi nelle sue memorie di infanzia e di giovinezza: il Tolstoi racconta che si era tanto infervorato per la concezione soggettivistica della realtà, che spesso ebbe il capogiro, perché si voltava di colpo indietro, persuaso di poter cogliere il momento in cui non avrebbe visto nulla perché il suo spirito non poteva aver avuto il tempo di "creare" la realtà (o qualcosa di simile: il brano del Tolstoi è caratteristico e molto interessante letterariamente).

Così nelle sue Linee di filosofia critica (p. 159) Bernardino Varisco scrive: "Apro un giornale per informarmi della realtà; vorreste sostenere che le novità le ho create io con l‘aprire il giornale?". Che il Tolstoi desse alla proposizione soggettivistica un significato così immediato e meccanico può spiegarsi. Ma non è stupefacente che in tal modo possa aver scritto il Varisco, il quale, se oggi si è orientato verso la religione e il dualismo trascendentale, tuttavia è uno studioso serio e dovrebbe conoscere la sua materia? La critica del Varisco è quella del senso comune ed è notevole che proprio tale critica è trascurata dai filosofi idealisti, mentre invece essa è di estrema importanza per impedire la diffusione di un modo di pensare e di una cultura. Si può ricordare un articolo di Mario Missiroli nell‘"Italia Letteraria" in cui il Missiroli scrive che si troverebbe molto imbarazzato se dovesse sostenere, dinanzi a un pubblico comune e in contradditorio con un neoscolastico, per esempio, il punto di vista soggettivistico: il Missiroli osserva quindi come il cattolicismo tende, in concorrenza con la filosofia idealista, ad accaparrarsi le scienze naturali e fisiche. Altrove il Missiroli ha scritto prevedendo un periodo di decadenza della filosofia speculativa e un sempre maggior diffondersi delle scienze sperimentali e "realistiche" (in questo secondo scritto, però, pubblicato dal "Saggiatore", egli prevede anche un‘ondata di anticlericalismo, cioè non pare creda più all‘accaparramento delle scienze da parte del cattolicismo). Così è da ricordare nel volume di Scritti vari di Roberto Ardigò, raccolto e ordinato da G. Marchesini (Lemonnier, 1922) la "polemica della zucca": in un giornaletto clericale di provincia, uno scrittore (un prete della Curia vescovile) per squalificare l‘Ardigò di fronte al pubblico popolare lo chiamò su per giù "uno di quei filosofi i quali sostengono che la cattedrale (di Mantova o di altra città) esiste solo perché essi la pensano e quando essi non la pensano più, la cattedrale sparisce ecc.", con aspro risentimento dell‘Ardigò che era positivista ed era d‘accordo coi cattolici nel modo di concepire la realtà esterna.

Occorre dimostrare che la concezione "soggettivistica", dopo aver servito a criticare la filosofia della trascendenza da una parte e la metafisica ingenua del senso comune e del materialismo filosofico, può trovare il suo inveramento e la sua interpretazione storicistica solo nella concezione delle superstrutture mentre nella sua forma speculativa non è altro che un mero romanzo filosofico. Un accenno a una interpretazione un po‘ più realistica del soggettivismo nella filosofia classica tedesca si può trovare in una recensione di G. De Ruggiero a degli scritti postumi (mi pare, lettere) di B. Constant (mi pare) pubblicati nella "Critica" di qualche anno fa. L‘appunto che si deve fare al Saggio popolare è di avere presentato la concezione soggettivistica così come essa appare dalla critica del senso comune e di avere accolto la concezione della realtà oggettiva del mondo esterno nella sua forma più triviale e acritica, senza neanche sospettare che a questa può esser mossa l‘obbiezione di misticismo, come infatti fu fatto. (Nella memoria presentata al Congresso di Londra, l‘autore del Saggio popolare accenna all‘accusa di misticismo attribuendola al Sombart e trascurandola sprezzantemente: il Sombart l‘ha certamente presa dal Croce). Solo che analizzando questa concezione, non è poi tanto facile giustificare un punto di vista di oggettività esteriore così meccanicamente intesa.

Pare che possa esistere una oggettività extrastorica ed extraumana? Ma chi giudicherà di tale oggettività? Chi potrà mettersi da questa specie di "punto di vista del cosmo in sé" e che cosa significherà un tal punto di vista? Può benissimo sostenersi che si tratta di un residuo del concetto di dio, appunto nella sua concezione mistica di un dio ignoto. La formulazione di Engels che "l‘unità del mondo consiste nella sua materialità dimostrata... dal lungo e laborioso sviluppo della filosofia e delle scienze naturali" contiene appunto il germe della concezione giusta, perché si ricorre alla storia e all‘uomo per dimostrare la realtà oggettiva. Oggettivo significa sempre "umanamente oggettivo", ciò che può corrispondere esattamente a "storicamente soggettivo", cioè oggettivo significherebbe "universale soggettivo". L‘uomo conosce oggettivamente in quanto la conoscenza è reale per tutto il genere umano storicamente unificato in un sistema culturale unitario; ma questo processo di unificazione storica avviene con la sparizione delle contraddizioni interne che dilaniano la società umana, contraddizioni che sono la condizione della formazione dei gruppi e della nascita delle ideologie non universali concrete ma rese caduche immediatamente dall‘origine pratica della loro sostanza.

C‘è quindi una lotta per l‘oggettività (per liberarsi dalle ideologie parziali e fallaci) e questa lotta è la stessa lotta per l‘unificazione culturale del genere umano. Ciò che gli idealisti chiamano "spirito" non è un punto di partenza, ma di arrivo, l‘insieme delle soprastrutture in divenire verso l‘unificazione concreta e oggettivamente universale e non già un presupposto unitario ecc. La scienza sperimentale è stata (ha offerto) finora il terreno in cui una tale unità culturale ha raggiunto il massimo di estensione: essa è stata l‘elemento di conoscenza che ha più contribuito a unificare lo "spirito", a farlo diventare più universale; essa è la soggettività più oggettivata e universalizzata concretamente. Il concetto di "oggettivo" del materialismo metafisico pare voglia significare una oggettività che esiste anche all‘infuori dell‘uomo, ma quando si afferma che una realtà esisterebbe anche se non esistesse l‘uomo o si fa una metafora o si cade in una forma di misticismo. Noi conosciamo la realtà solo in rapporto all‘uomo e siccome l‘uomo è divenire storico anche la conoscenza e la realtà sono un divenire, anche l‘oggettività è un divenire ecc.

Q11 §18

Giudizio sulle filosofie passate. La superficiale critica del soggettivismo nel Saggio popolare rientra in una quistione più generale, che è quella dell‘atteggiamento preso verso le filosofie e i filosofi passati. Giudicare tutto il passato filosofico come un delirio e una follia non è solo un errore di antistoricismo, perché contiene la pretesa anacronistica che nel passato si dovesse pensare come oggi, ma è un vero e proprio residuo di metafisica perché suppone un pensiero dogmatico valido in tutti i tempi e in tutti i paesi, alla cui,stregua si giudica tutto il passato. L‘antistoricismo metodico non è altro che metafisica.

Che i sistemi filosofici passati siano stati superati non esclude che essi siano stati validi storicamente e abbiano svolto una funzione necessaria: la loro caducità è da considerare dal punto di vista dell‘intero svolgimento storico e della dialettica reale; che essi fossero degni di cadere non è un giudizio morale o di igiene del pensiero, emesso da un punto di vista "obbiettivo", ma un giudizio dialettico-storico. Si può confrontare la presentazione fatta da Engels della proposizione hegeliana che "tutto ciò che è razionale è reale e il reale è razionale", proposizione che sarà valida anche per il passato. Nel Saggio si giudica il passato come "irrazionale" e "mostruoso" e la storia della filosofia diventa un trattato storico di teratologia, perché si parte da un punto di vista metafisico. (E invece nel Manifesto è contenuto il più alto elogio del mondo morituro).

Se questo modo di giudicare il passato è un errore teorico, è una deviazione dalla filosofia della praxis, potrà avere un qualunque significato educativo, sarà ispiratore di energie? Non pare, perché la quistione si ridurrebbe a presumere di essere qualcosa solo perché si è nati nel tempo presente, invece che in uno dei secoli passati. Ma in ogni tempo c‘è stato un passato e una contemporaneità e l‘essere "contemporaneo" è un titolo buono solo per le barzellette. (Si racconta l‘aneddoto di un borghesuccio francese che nel suo biglietto da visita aveva fatto stampare appunto "contemporaneo": credeva di non essere nulla e un giorno scoperse di essere qualcosa invece, proprio un "contemporaneo").

Q11 §21

La scienza e gli strumenti scientifici. Si afferma, nel Saggio popolare, che i progressi delle scienze sono dipendenti, come l‘effetto dalla causa, dallo sviluppo degli strumenti scientifici . E questo un corollario del principio generale, accolto dal Saggio, e di origine loriana, sulla funzione storica dello "strumento di produzione e di lavoro" che viene sostituito all‘insieme dei rapporti sociali di produzione. Ma nella scienza geologica non si impiega altro strumento oltre il martello e i progressi tecnici del martello non sono certo  paragonabili ai progressi della geologia. Se la storia delle scienze può ridursi, secondo il Saggio, alla storia dei loro strumenti particolari, come potrà costruirsi una storia della geologia? Né vale dire che la geologia si fonda [anche] sui progressi di un insieme di altre scienze, per cui la storia degli strumenti di queste servono a indicare lo sviluppo della geologia, perché con questa scappatoia si finirebbe col dire una vuota generalità e col risalire a movimenti sempre più vasti, fino ai rapporti di produzione. E‘ giusto che per la geologia il motto sia "mente et malleo".

Si può dire in generale che il progredire delle scienze non può essere documentato materialmente; la storia delle scienze può solo essere ravvivata nel ricordo, e non per tutte, con la descrizione del successivo perfezionarsi degli strumenti che sono stati uno dei mezzi del progresso, e con la descrizione delle macchine che sono state l‘applicazione delle scienze stesse. I principali "strumenti" del progresso scientifico sono di ordine intellettuale (e anche politico), metodologico, e giustamente l‘Engels ha scritto che gli "strumenti intellettuali" non sono nati dal nulla, non sono innati nell‘uomo, ma sono acquisiti, si sono sviluppati e si sviluppano storicamente. Quanto ha contribuito al progresso delle scienze l‘espulsione dell‘autorità di Aristotele e della Bibbia dal campo scientifico? E questa espulsione non fu dovuta al progresso generale della società moderna? Ricordare l‘esempio delle teorie sull‘origine delle sorgenti. La prima formulazione esatta del modo con cui si producono le sorgenti si trova nell‘Enciclopedia di Diderot ecc.; mentre si può dimostrare che gli uomini del popolo anche prima avevano opinioni esatte in proposito, nel campo degli scienziati si succedevano le teorie più arbitrarie e bizzarre che tendevano a mettere d‘accordo la Bibbia e Aristotele con le osservazioni sperimentali del buon senso.

Un‘altra quistione è questa: se fosse vera l‘affermazione del Saggio, in che si distinguerebbe la storia delle scienze dalla storia della tecnologia? Con lo svilupparsi degli strumenti "materiali" scientifici, che si inizia storicamente [con] l‘avvento del metodo sperimentale, si è sviluppata una particolare scienza, la scienza degli strumenti, strettamente legata allo sviluppo generale della produzione e della tecnologia. Su questo argomento è da vedere: G. Boffito, Gli strumenti della scienza e la scienza degli strumenti, Libreria Internazionale Sceber, Firenze, 1929. Quanto sia superficiale l‘affermazione del Saggio si può vedere dall‘esempio delle scienze matematiche, che non hanno bisogno di strumento materiale alcuno (lo sviluppo del pallottoliere non credo si possa avanzare) e che sono esse stesse "strumento" di tutte le scienze naturali.

Q11 §22

Quistioni generali. I. Non è trattato questo punto fondamentale: come nasce il movimento storico sulla base della struttura. Tuttavia il problema è almeno accennato nei Problemi fondamentali del Plekhanov e si poteva svolgere. Questo è poi il punto cruciale di tutte le quistioni ché sono nate intorno alla filosofia della praxis e senza averlo risolto non si può risolvere l‘altro dei rapporti tra la società e la "natura", al quale nel Saggio è dedicato uno speciale capitolo. Le due proposizioni della prefazione alla Critica dell‘Economia politica: 1) L‘umanità si pone sempre solo quei compiti che essa può risolvere;... il compito stesso sorge solo dove le condizioni materiali della sua risoluzione esistono già o almeno sono nel processo del loro divenire; 2) Una formazione sociale non perisce prima che non si siano sviluppate tutte le forze produttive per le quali essa è ancora sufficiente e nuovi, più alti rapporti di produzione non ne abbiano preso il posto; prima che le condizioni materiali di esistenza di questi ultimi siano state covate nel seno stesso della vecchia società, -  avrebbero dovuto essere analizzate in tutta la loro portata e conseguenza. Solo su questo terreno può essere eliminato ogni meccanicismo e ogni traccia di "miracolo" superstizioso, deve essere posto il problema del formarsi dei gruppi politici attivi e, in ultima analisi, anche il problema della funzione delle grandi personalità della storia.

II. Sarebbe da compilare un registro "ponderato" degli scienziati le cui opinioni sono citate o combattute con qualche diffusione, accompagnando ogni nome con annotazioni sul loro significato e la loro importanza scientifica (ciò anche per i sostenitori della filosofia della praxis, che sono citati non certo alla stregua della loro originalità e significato). In realtà gli accenni ai grandi intellettuali sono fugacissimi. Si pone la quistione: non occorreva invece riferirsi solo ai grandi intellettuali avversari, e trascurare i secondari, i rimasticatori di frasi fatte? Si ha l‘impressione appunto che si voglia combattere solo contro i più deboli e magari contro le posizioni più deboli (o più inadeguatamente sostenute dai più deboli) per ottenere facili vittorie verbali (poiché non si può parlare di vittorie reali). Ci si illude che esista una qualsiasi somiglianza (altro che formale e metaforica) tra un fronte ideologico e un fronte politico-militare. Nella lotta politica e militare può convenire la tattica di sfondare nei punti di minore resistenza per essere in grado di investire il punto più forte col massimo di forze rese appunto disponibili dall‘aver eliminato gli ausiliari più deboli ecc. Le vittorie politiche e militari, entro certi limiti, hanno un valore permanente e universale e il fine strategico può essere raggiunto in modo decisivo con effetti generali per tutti. Sul fronte ideologico, invece, la sconfitta degli ausiliari e dei minori seguaci ha importanza quasi trascurabile; in esso occorre battere contro i più eminenti. Altrimenti si confonde il giornale col libro, la piccola polemica quotidiana col lavoro scientifico; i minori devono essere abbandonati alla infinita casistica della polemica da giornali.

Una scienza nuova raggiunge la prova della sua efficienza e vitalità feconda quando mostra di saper affrontare i grandi campioni delle tendenze opposte, quando risolve coi propri mezzi le quistioni vitali che essi hanno posto o dimostra perentoriamente che tali quistioni sono falsi problemi. E‘ vero che un‘epoca storica e una data società sono piuttosto rappresentate dalla media degli intellettuali e quindi dai mediocri, ma l‘ideologia diffusa, di massa, deve essere distinta dalle opere scientifiche, dalle grandi sintesi filosofiche che ne sono poi le reali chiavi di volta e queste devono essere nettamente superate o negativamente, dimostrandone l‘infondatezza, o positivamente, contrapponendo sintesi filosofiche di maggiore importanza e significato. Leggendo il Saggio si ha l‘impressione di uno che non possa dormire per il chiarore lunare, e si sforzi di ammazzare quante più lucciole può, persuaso che il chiarore diminuirà o sparirà.

III. E‘ possibile scrivere un libro elementare, un manuale, un Saggio popolare di una dottrina che è ancora allo stadio della discussione, della polemica, dell‘elaborazione? Un manuale popolare non può essere concepito se non come l‘esposizione, formalmente dogmatica, stilisticamente posata, scientificamente serena, d‘un determinato argomento; esso non può essere che un‘introduzione allo studio scientifico, e non già l‘esposizione di ricerche scientifiche originali, destinato ai giovani o a un pubblico che dal punto di vista della disciplina scientifica è nelle condizioni preliminari dell‘età giovanile e che perciò ha immediatamente bisogno di "certezze", di opinioni che si presentano come veridiche e fuori discussione, almeno formalmente. Se una determinata dottrina non ha ancora raggiunto questa fase "classica" del suo sviluppo, ogni tentativo di "manualizzarla" deve necessariamente fallire, la sua sistemazione logica è solo apparente e illusoria, si tratterà, invece, come appunto il Saggio, di una meccanica giustapposizione di elementi disparati, e che rimangono inesorabilmente sconnessi e slegati nonostante la vernice unitaria data dalla stesura letteraria. Perché allora non porre la quistione nei suoi giusti termini teorici e storici e accontentarsi di un libro in cui la serie dei problemi essenziali della dottrina sia esposta monograficamente? Sarebbe più serio e più "scientifico". Ma si crede volgarmente che scienza voglia assolutamente dire "sistema" e perciò si costruiscono sistemi purchessia, che del sistema non hanno la coerenza intima e necessaria ma solo la meccanica esteriorità.

IV. Nel Saggio manca una trattazione qualsiasi della dialettica. La dialettica viene presupposta, molto superficialmente, non esposta, cosa assurda in un manuale che dovrebbe contenere gli elementi essenziali della dottrina trattata e i cui riferimenti bibliografici devono essere rivolti a stimolare allo studio per allargare e approfondire l‘argomento e non sostituire il manuale stesso. L‘assenza di una trattazione della dialettica può avere due origini; la prima può essere costituita dal fatto che si suppone la filosofia della praxis scissa in due elementi: una teoria della storia e della politica concepita come sociologia, cioè da costruirsi secondo il metodo delle scienze naturali (sperimentale nel senso grettamente positivistico) e una filosofia propriamente detta, che poi sarebbe il materialismo filosofico o metafisico o meccanico (volgare. (Anche dopo la grande discussione avvenuta contro il meccanicismo, l‘autore del Saggio non pare abbia mutato molto l‘impostazione del problema filosofico. Come appare dalla memoria presentata al Congresso di Londra di Storia della Scienza , egli continua a ritenere che la filosofia della praxis sia sempre scissa in due: la dottrina della storia e della politica e la filosofia che egli però dice essere il materialismo dialettico e non più il vecchio materialismo filosofico).

Posta così la quistione, non si capisce più l‘importanza e il significato della dialettica che, da dottrina della conoscenza e sostanza midollare della storiografia e della scienza della politica viene degradata a una sottospecie di logica formale, a una scolastica elementare. Il significato della dialettica può essere solo concepito in tutta la sua fondamentalità, solo se la filosofia della praxis è concepita come una filosofia integrale e originale che inizia una nuova fase nella storia e nello sviluppo mondiale del pensiero in quanto supera (e superando ne include in sé gli elementi vitali) sia l‘idealismo che il materialismo tradizionali espressioni delle vecchie società. Se la filosofia della praxis non è pensata che subordinatamente a un‘altra filosofia, non si può concepire la nuova dialettica, nella quale appunto quel superamento si effettua e si esprime. La seconda origine pare sia di carattere psicologico. Si sente che la dialettica è cosa molto ardua e difficile, in quanto il pensare dialetticamente va contro il volgare senso comune che è dogmatico, avido di certezze perentorie ed ha la logica formale come espressione. Per capire meglio si può pensare a ciò che avverrebbe se nelle scuole primarie e secondarie le scienze naturali e fisiche fossero insegnate sulla base del relativismo di Einstein e accompagnando alla nozione tradizionale di "legge della natura" quella di legge statistica o dei grandi numeri. I ragazzi non capirebbero nulla di nulla e l‘urto tra l‘insegnamento scolastico e la vita famigliare e popolare sarebbe tale che la scuola diverrebbe oggetto di ludibrio e di scetticismo caricaturale.

Questo motivo mi pare sia un freno psicologico per l‘autore del Saggio; egli realmente capitola dinanzi al senso comune e al pensiero volgare, perché non si è posto il problema nei termini teorici esatti e quindi è praticamente disarmato e impotente. L‘ambiente ineducato e rozzo ha dominato l‘educatore, il volgare senso comune si è imposto alla scienza e non viceversa; se l‘ambiente è l‘educatore, esso deve essere educato a sua volta, ma il Saggio non capisce questa dialettica rivoluzionaria. La radice di tutti gli errori del Saggio e del suo autore (la cui posizione non è mutata anche dopo la grande discussione, in conseguenza della quale pare che egli abbia ripudiato il suo libro, come appare dalla memoria presentata al Congresso di Londra) consiste appunto in questa pretesa di dividere la filosofia della praxis in due parti: una "sociologia" e una filosofia sistematica. Scissa dalla teoria della storia e della politica, la filosofia non può essere che metafisica, mentre la grande conquista nella storia del pensiero moderno, rappresentata dalla filosofia della praxis è appunto la storicizzazione concreta della filosofia e la sua identificazione con la storia.

Q11 §26

Quistioni generali. Una delle osservazioni preliminari è questa: che il titolo non corrisponde al contenuto del libro. "teoria della filosofia della praxis" dovrebbe significare sistemazione logica e coerente dei concetti filosofici che sono sparsamente noti sotto il nome di filosofia della praxis (e che molti spesso sono spurii, di derivazione estranea e come tali dovrebbero essere criticati ed esposti). Nei primi capitoli dovrebbero essere trattate le quistioni: che cosa è la filosofia? in che senso una concezione del mondo può chiamarsi filosofia? come è stata finora concepita la filosofia? la filosofia della praxis innova questa concezione? cosa significa una filosofia "speculativa" la filosofia della praxis potrà mai avere una forma speculativa? quali rapporti esistono tra le ideologie, le concezioni del mondo, le filosofie? quali sono o debbono essere i rapporti tra teoria e pratica? questi rapporti come sono concepiti dalle filosofie tradizionali? ecc. ecc. La risposta a queste ed altre domande costituisce la "teoria" della filosofia della praxis.

Nel Saggio popolare non è neanche giustificata coerentemente la premessa implicita nell‘esposizione ed esplicitamente accennata in qualche posto, casualmente, che la vera filosofia è il materialismo filosofico e che la filosofia della praxis è una pura "sociologia". Cosa significa realmente questa affermazione? Se essa fosse vera la teoria della filosofia della praxis sarebbe il materialismo filosofico. Ma in tal caso cosa significa che la filosofia della praxis è una sociologia? E cosa sarebbe questa sociologia? Una scienza della politica e della storiografia? Oppure una raccolta sistematica e classificata secondo un certo ordine di osservazioni puramente empiriche di arte politica e di canoni esterni di ricerca storica? Le risposte a queste domande non si hanno nel libro, eppure esse solo sarebbero una teoria. Così non è giustificato il nesso tra il titolo generale Teoria ecc. e il sottotitolo Saggio popolare. Il sottotitolo sarebbe il titolo più esatto se al termine di "sociologia" si desse un significato molto circoscritto. Infatti si presenta la quistione di che cosa è la "sociologia". Non è essa un tentativo di una cosidetta scienza esatta (cioè positivista) dei fatti sociali, cioè della politica e della storia? cioè un embrione di filosofia? La sociologia non ha cercato di fare qualcosa di simile alla filosofia della praxis?

Bisogna però intendersi: la filosofia della praxis è nata sotto forma di aforismi e di criteri pratici per un puro caso, perché il suo fondatore ha dedicato le sue forze intellettuali ad altri problemi, specialmente economici (in forma sistematica): ma in questi criteri pratici e in questi aforismi è implicita tutta una concezione del mondo, una filosofia. La sociologia è stata un tentativo di creare un metodo della scienza storico-politica, in dipendenza di un sistema filosofico già elaborato, il positivismo evoluzionistico, sul quale la sociologia ha reagito, ma solo parzialmente. La sociologia è quindi diventata una tendenza a sé, è diventata la filosofia dei non filosofi, un tentativo di descrivere e classificare schematicamente fatti storici e politici, secondo criteri costruiti sul modello delle scienze naturali. La sociologia è dunque un tentativo di ricavare "sperimentalmente" le leggi di evoluzione della società umana in modo da "prevedere" l‘avvenire con la stessa certezza con cui si prevede che da una ghianda si svilupperà una quercia.

L‘evoluzionismo volgare è alla base della sociologia che non può conoscere il principio dialettico col passaggio della quantità alla qualità, passaggio che turba ogni evoluzione e ogni legge di uniformità intesa in senso volgarmente evoluzionistico. In ogni caso ogni sociologia presuppone una filosofia, una concezione del mondo, di cui è un frammento subordinato. Né bisogna confondere con la teoria generale, cioè con la filosofia, la particolare "logica" interna delle diverse sociologie, logica per cui esse acquistano una meccanica coerenza. Ciò non vuol dire naturalmente che la ricerca delle "leggi" di uniformità non sia cosa utile e interessante e che un trattato di osservazioni immediate di arte politica non abbia la sua ragion d‘essere; ma occorre dire pane al pane e presentare i trattati di tal genere per quello che sono. Tutti questi sono problemi "teorici", non quelli che l‘autore del Saggio pone come tali. Le quistioni che egli pone sono quistioni di ordine immediato, politico, ideologico, intesa l‘ideologia come fase intermedia tra la filosofia e la pratica quotidiana, sono riflessioni sui fatti singoli storico-politici, slegati e casuali.

Una quistione teorica si presenta all‘autore fin dall‘inizio quando accenna a una tendenza che nega la possibilità di costruire una sociologia dalla filosofia della praxis e sostiene che questa può esprimersi solo in lavori storici concreti. L‘obbiezione, che è importantissima, non è risolta dall‘autore che a parole. Certo la filosofia della praxis si realizza nello studio concreto della storia passata e nell‘attività attuale di creazione di nuova storia. Ma si può fare la teoria della storia e della politica, poiché se i fatti sono sempre individuati e mutevoli nel flusso del movimento storico, i concetti possono essere teorizzati; altrimenti non si potrebbe neanche sapere cosa è il movimento o la dialettica e si cadrebbe in una nuova forma di nominalismo. (E‘ il non aver posto con esattezza la quistione di cosa sia la "teoria" che ha impedito di porre la quistione di che cosa è la religione e di dare un giudizio storico realistico delle filosofie passate che sono presentate tutte come delirio e follia).

Nota I. Le cosidette leggi sociologiche, che vengono assunte come cause -  il tal fatto avviene per la tal legge ecc. -  non hanno nessuna portata causativa; esse sono quasi sempre tautologie e paralogismi. Di solito esse non sono che un duplicato del fatto stesso osservato. Si descrive il fatto o una serie di fatti, con un processo meccanico di generalizzazione astratta, si deriva un rapporto di somiglianza e questo si chiama legge, che viene assunta in funzione di causa. Ma in realtà cosa si è trovato di nuovo? Di nuovo c‘è solo il nome collettivo dato a una serie di fatterelli, ma i nomi non sono novità. (Nei trattati del Michels si può trovare tutto un registro di tali generalizzazioni tautologiche: l‘ultima e più famosa è quella del "capo carismatico"). Non si osserva che così si cade in una forma barocca di idealismo platonico, perché queste leggi astratte rassomigliano stranamente alle idee pure di Platone che sono l‘essenza dei fatti reali terrestri.

Q11 §29

Lo "strumento tecnico". La concezione dello "strumento tecnico" è completamente errata nel Saggio popolare. Dal saggio di B. Croce su Achille Loria (Materialismo storico ed economia marxistica) sembra che appunto il Loria sia stato il primo a sostituire arbitrariamente (o per vanità puerile di scoperte originali) l‘espressione di "strumento tecnico" a quella di "forze materiali di produzione" e di "complesso dei rapporti sociali". Nella prefazione alla Critica dell‘Economia politica è detto: "Nella produzione sociale della loro vita gli uomini entran fra loro in rapporti determinati, necessarii ed indipendenti dal loro arbitrio, cioè in rapporti di produzione, i quali corrispondono a un determinato grado di sviluppo delle materiali forze di produzione. L‘insieme di tali rapporti costituisce la struttura economica della società, ossia la base reale sulla quale si eleva una soprastruzione politica e giuridica, e alla quale corrispondono determinate forme sociali della coscienza... A un determinato punto del loro sviluppo, le forze produttive materiali della società si trovano in contraddizione coi preesistenti rapporti della produzione (cioè coi rapporti della proprietà, il che è l‘equivalente giuridico di tale espressione), dentro dei quali esse forze per l‘innanzi s‘eran mosse.

Questi rapporti della produzione, da forme di sviluppo delle forze produttive, si convertono in loro impedimento. E allora subentra un‘epoca di rivoluzione sociale. Col cangiare del fondamento economico si rivoluziona e precipita, più o meno rapidamente, la soprastante colossale soprastruzione... Una formazione sociale non perisce, finché non si siano sviluppate tutte le forze produttive per le quali essa ha campo sufficiente; e nuovi rapporti di produzione non subentrano, se prima le condizioni materiali di loro esistenza non siano state covate nel seno della società che è in essere". (Traduzione di Antonio Labriola nel suo scritto: In memoria). Ed ecco il rifacimento del Loria (in La terra e il sistema sociale, p. 19, Verona, Drucker, 1892; ma il Croce afferma che in altri scritti del Loria ne esistono altri): "Ad un dato stadio dello stromento produttivo corrisponde, e sovr‘esso si erige, un dato sistema di produzione, quindi di rapporti economici, i quali foggiano poi tutto il modo di essere della società. Ma l‘evoluzione incessante dei metodi produttivi genera tosto o tardi una metamorfosi radicale dello stromento tecnico, la quale rende intollerabile quel sistema di produzione e di economia, che sullo stadio anteriore della tecnica era fondato. Allora la forza economica invecchiata vien distrutta mediante una rivoluzione sociale e sostituita con una forma economica superiore, rispondente alla nuova fase dello stromento produttivo". (Un saggio brillantissimo e degno di fama il Loria ha scritto sulle virtù mirabolanti dello stromento tecnico nell‘articolo L‘influenza sociale dell‘aeroplano pubblicato dalla "Rassegna Contemporanea" del duca di Cesarò in un fascicolo del 1912).

Il Croce aggiunge che nella Critica dell‘Economia politica (vol. I, p. 143 n. e 335-6 n.) e altrove è messa in rilievo l‘importanza delle invenzioni tecniche ed è invocata una storia della tecnica, ma non esiste nessuno scritto in cui lo "stromento tecnico" sia fatto diventare la causa unica e suprema dello svolgimento economico. Il brano della prefazione a Zur Kritik contiene le espressioni "grado di sviluppo delle materiali forze di produzione", "modo di produzione della vita materiale", "condizioni economiche della produzione" e simili, le quali affermano bensì che lo svolgimento economico è determinato da condizioni materiali, ma non riducono queste mai alla sola "metamorfosi dello strumento tecnico". Il Croce aggiunge poi che il fondatore della filosofia della praxis non si è mai proposto questa indagine intorno alla causa ultima della vita economica. "La sua filosofia non era così a buon mercato. Non aveva "civettato" invano con la dialettica dello Hegel, per andar poi a cercare le cause ultime".

E‘ da notare che nel Saggio popolare né è riportato il brano della prefazione al Zur Kritik né vi si fa accenno. Ciò che è assai strano trattandosi della fonte autentica più importante per una ricostruzione della filosofia della praxis. D‘altronde, per questo riguardo, il modo di pensare esposto nel Saggio non è differente da quello del Loria, se non è addirittura più criticabile e superficiale. Nel Saggio non si capisce esattamente cosa sia la struttura, la superstruttura, lo strumento tecnico: tutti i concetti generali vi sono nebulosi e vaghi. Lo strumento tecnico è concepito in modo così generico che esso significa ogni arnese e utensile, fino agli strumenti che adoperino gli scienziati nel loro esperimento e... gli strumenti musicali. Questo modo di porre la quistione rende inutilmente complicate le cose. Partendo da questo barocco modo di pensare tutta una serie di questioni barocche sorgono: per esempio, le biblioteche sono strutture o superstrutture? e i gabinetti sperimentali degli scienziati?

Se può essere sostenuto che un‘arte o una scienza si sviluppano per lo svilupparsi dei rispettivi strumenti tecnici, perché non potrebbe sostenersi precisamente il contrario o addirittura che certe forme strumentali sono nello stesso tempo struttura e superstruttura? Si potrebbe dire che certe superstrutture hanno una propria struttura particolare pur rimanendo superstrutture: così l‘arte tipografica sarebbe la struttura materiale di tutta una serie anzi di tutte le ideologie e basterebbe l‘esistenza dell‘industria tipografica per giustificare materialisticamente tutta la storia. Rimarrebbe poi il caso della matematica pura, dell‘algebra, che non avendo strumenti propri non potrebbero svilupparsi. E‘ evidente che tutta la teoria dello strumento tecnico del Saggio è solo un abrakadabra e che può essere paragonata alla teoria della "memoria" escogitata dal Croce per spiegare il perché gli artisti non si accontentino di concepire le loro opere solo idealmente ma le scrivano o le scolpiscano, ecc. (con la fenomenale obbiezione del Tilgher a proposito dell‘architettura in cui sarebbe un po‘ grossa che per mantenere la memoria di un palazzo, l‘ingegnere lo costruisca) ecc. E‘ certo che tutto ciò è una deviazione infantile della filosofia della praxis, determinata dalla convinzione barocca che quanto più si ricorre a oggetti "materiali" tanto più si è ortodossi.

Q11 §30

La "materia". Che cosa intende per "materia" il Saggio popolare? In un saggio popolare ancor più che in un libro per i dotti, e specialmente in questo che pretende di essere il primo lavoro del genere, occorre definire con esattezza non solo i concetti fondamentali, ma tutta la terminologia, per evitare le cause di errore occasionate dalle accezioni popolari e volgari delle parole scientifiche. E‘ evidente che per la filosofia della praxis la "materia" non deve essere intesa né nel significato quale risulta dalle scienze naturali (fisica, chimica, meccanica ecc., e questi significati sono da registrare e da studiare nel loro sviluppo storico) né nei suoi significati quali risultano dal le diverse metafisiche materialistiche. Le diverse proprietà fisiche (chimiche, meccaniche ecc.) della materia che nel loro insieme costituiscono la materia stessa (a meno che non si ricaschi in una concezione del noumeno kantiano) sono considerate, ma solo in quanto diventano "elemento economico" produttivo. La materia non è quindi da considerare come tale, ma come socialmente e storicamente organizzata per la produzione e quindi la scienza naturale come essenzialmente una categoria storica, un rapporto umano.

L‘insieme delle proprietà di ogni tipo di materiale è mai stato lo stesso? La storia delle scienze tecniche dimostra di no. Per quanto tempo non si curò la forza meccanica del vapore? E si può dire che tale forza meccanica esistesse prima di essere utilizzata dalle macchine umane? Allora in che senso e fino a che punto non è vero che la natura non dà luogo a scoperte e invenzioni di forze preesistenti, di qualità preesistenti della materia, ma solo a "creazioni" che sono strettamente legate agli interessi della società, allo sviluppo e alle ulteriori necessità di sviluppo delle forze produttive? E il concetto idealistico che la natura non è altro che la categoria economica, non potrebbe, depurato dalle sue superstrutture speculative, essere ridotto in termini di filosofia della praxis ed essere dimostrato storicamente legato a questa e uno sviluppo di questa? In realtà la filosofia della praxis non studia una macchina per conoscerne e stabilirne la struttura atomica del materiale, le proprietà fisico-chimico-meccaniche dei suoi componenti naturali (oggetto di studio delle scienze esatte e della tecnologia), ma in quanto è un momento delle forze materiali di produzione, in quanto è oggetto di proprietà di determinate forze sociali, in quanto essa esprime un rapporto sociale e questo corrisponde a un determinato periodo storico.

L‘insieme delle forze materiali di produzione è l‘elemento meno variabile nello sviluppo storico, è quello che volta per volta può essere accertato e misurato con esattezza matematica, che può dar luogo pertanto a osservazioni e a criteri di carattere sperimentale e quindi alla ricostruzione di un robusto scheletro del divenire storico. La variabilità dell‘insieme delle forze materiali di produzione è anch‘essa misurabile e si può stabilire con una certa precisione quando il suo sviluppo da quantitativo diventa qualitativo. L‘insieme delle forze materiali di produzione è insieme una cristallizzazione di tutta la storia passata e la base della storia presente e avvenire, è un documento e insieme una forza attiva attuale di propulsione. Ma il concetto di attività di queste forze non può essere confuso e neppure paragonato all‘attività nel senso fisico o metafisico. L‘elettricità è storicamente attiva, ma non come mera forza naturale (come scarica elettrica che provoca incendi, per esempio), ma come un elemento di produzione dominato dall‘uomo e incorporato nell‘insieme delle forze materiali di produzione; oggetto di proprietà privata. Come forza naturale astratta, l‘elettricità esisteva anche prima della sua riduzione a forza produttiva, ma non operava nella storia, ed era un argomento di ipotesi nella storia naturale (e prima era il "nulla" storico, perché nessuno se ne occupava e anzi tutti la ignoravano).

Queste osservazioni servono a far capire come l‘elemento causale assunto dalle scienze naturali per spiegare la storia umana è un puro arbitrio, quando non è un ritorno alle vecchie interpretazioni ideologiche. Per esempio, il Saggio afferma che la nuova teoria atomica distrugge l‘individualismo (le robinsonate). Ma cosa significa ciò? Cosa significa questo accostamento della politica alle teorie scientifiche se non che la storia è mossa da queste teorie scientifiche, cioè dalle ideologie, per cui per voler essere ultra-materialisti si cade in una forma barocca di idealismo astratto? Né si può rispondere che non la teoria atomistica ha distrutto l‘individualismo, ma la realtà naturale che la teoria descrive e constata, senza cadere nelle più complicate contraddizioni poiché questa realtà naturale si suppone precedente alla teoria e quindi operante quando l‘individualismo era in auge. Come mai allora non operava la realtà "atomistica" sempre, se essa è ed era una legge naturale, ma per operare dovette aspettare che ne fosse costruita una teoria dagli uomini? Gli uomini ubbidiscono solo allora alle leggi che conoscono, come fossero leggi emanate dai Parlamenti? E chi potrebbe far osservare agli uomini le leggi che ignorano, secondo il principio della legislazione moderna per cui l‘ignoranza della legge non può essere invocata dal reo? (Né può dirsi che leggi di una determinata scienza naturale sono identiche alle leggi della storia, o che essendo tutto il complesso delle idee scientifiche una unità omogenea, si può ridurre una scienza all‘altra o una legge all‘altra, perché in questo caso per quale privilegio questo determinato elemento della fisica e non un altro può essere quello riducibile all‘unità della concezione del mondo?).

In realtà, questo è solo uno dei tanti elementi del Saggio popolare che dimostrano la superficiale impostazione del problema della filosofia della praxis, il non aver saputo dare a questa concezione del mondo la sua autonomia scientifica e la posizione che le spetta di fronte alle scienze naturali, anzi, peggio, a quel vago concetto di scienza in generale che è proprio della concezione volgare del popolo (per il quale anche i giochi di prestigio sono scienza). La teoria atomistica moderna è una teoria "definitiva" stabilita una volta per sempre? Chi, quale scienziato oserebbe affermarlo? O non è invece anch‘essa semplicemente una ipotesi scientifica che potrà essere superata, cioè assorbita in una teoria più vasta e comprensiva? Perché dunque il riferimento a questa teoria dovrebbe essere stato decisivo e aver posto fine alla quistione dell‘individualismo e delle robinsonate? (A parte il fatto che le robinsonate possono essere talvolta schemi pratici costruiti per indicare una tendenza o per una dimostrazione per assurdo: anche l‘autore della Economia critica ha fatto ricorso a delle robinsonate).

Ma ci sono altre quistioni: se la teoria atomistica fosse quello che il Saggio pretende, dato che la storia della società è una serie di rivolgimenti e le forme di società sono state numerose, mentre la teoria atomistica sarebbe il riflesso di una realtà naturale sempre simile, come mai anche la società non ha obbedito sempre a questa legge? O si pretenderebbe che il passaggio dal regime corporativo medioevale all‘individualismo economico sia stato antiscientifico, uno sbaglio della storia e della natura? Secondo la teoria della praxis è evidente che non la teoria atomistica spiega la storia umana, ma viceversa, che cioè la teoria atomistica come tutte le ipotesi e le opinioni scientifiche sono superstrutture. [La teoria atomistica servirebbe a spiegare l‘uomo biologico come aggregato di corpi diversi e a spiegare la società degli uomini. Che teoria comprensiva !]

Q11 §31

La causa ultima. Una delle tracce più vistose di vecchia metafisica nel Saggio popolare è la ricerca di ridurre tutto a una causa, la causa ultima, la causa finale. Si può ricostruire la storia del problema della causa unica e ultima e dimostrare che essa è una delle manifestazioni della "ricerca di dio". Contro questo dogmatismo ricordare ancora le due lettere di Engels pubblicate nel "Sozialistische Akademiker".

Q11 §32

Quantità e qualità. Nel Saggio popolare si dice (occasionalmente, perché l‘affermazione non è giustificata, valutata, non esprime un concetto fecondo, ma è casuale, senza nessi antecedenti e susseguenti) che ogni società è qualcosa di più della mera somma dei suoi componenti individuali. Ciò è vero astrattamente, ma cosa significa concretamente? La spiegazione che ne è stata data, empiricamente, è spesso stata una cosa barocca. Si è detto che cento vacche una per una sono ben diverse da cento vacche insieme che allora sono un armento, facendo una semplice quistione di parole. Così si è detto che nella numerazione arrivati a dieci abbiamo una decina, come se non ci fosse la coppia, il terzetto, il quartetto, ecc., cioè un semplice diverso modo di numerare.

La spiegazione teorico-pratica più concreta si ha nel I volume della Critica dell‘Economia politica, dove si dimostra che nel sistema di fabbrica, esiste una quota di produzione che non può essere attribuita a nessun lavoratore singolo ma all‘insieme delle maestranze, all‘uomo collettivo. Qualcosa di simile avviene per l‘intera società che è basata sulla divisione del lavoro e delle funzioni e pertanto vale più della somma dei suoi componenti. Come la filosofia della praxis abbia "concretato" la legge hegeliana della quantità che diventa qualità è un altro di quei nodi teorici che il Saggio popolare non svolge, ma ritiene già noti, quando non si accontenta di semplici giochi di parole come quelli sull‘acqua che col cambiare di temperatura cambia di stato (ghiacciato, liquido, gasoso), che è un fatto puramente meccanico, determinato da un agente esterno (il fuoco, il sole, o l‘evaporazione dell‘acido carbonico solido ecc.).

Nell‘uomo chi sarà questo agente esterno? Nella fabbrica è la divisione del lavoro ecc., condizioni create dall‘uomo stesso. Nella società l‘insieme delle forze produttive. Ma l‘autore del Saggio non ha pensato che se ogni aggregato sociale è qualcosa di più (e anche di diverso) della somma dei suoi componenti, ciò significa che la legge o il principio che spiega lo svolgersi delle società non può essere una legge fisica poiché nella fisica non si esce mai dalla sfera della quantità altro che per metafora. Tuttavia nella filosofia della praxis la qualità è sempre connessa alla quantità, e anzi forse in tale connessione è la sua parte più originale e feconda. Infatti l‘idealismo ipostatizza questo qualcosa in più, la qualità, ne fa un ente a sé, lo "spirito", come la religione ne aveva fatto la divinità. Ma se è ipostasi quella della religione e dell‘idealismo, cioè astrazione arbitraria non processo di distinzione analitica praticamente necessario per ragioni pedagogiche, è anche ipostasi quella del materialismo volgare, che "divinizza" una materia ipostatica. E‘ da confrontare questo modo di vedere nella concezione della società con la concezione dello Stato proprio degli idealisti attuali. Per gli attualisti lo Stato finisce con l‘essere proprio questo qualcosa di superiore agli individui (sebbene dopo le conseguenze che lo Spirito ha tratto a proposito della proprietà dell‘identificazione idealistica dell‘individuo e dello Stato, il Gentile nell‘"Educazione fascista" dell‘agosto 1932 ha precisato prudentemente).

La concezione degli attualisti volgari era caduta così in basso nel puro psittacismo che l‘unica critica possibile era la caricatura umoristica. Si poteva pensare una recluta che agli ufficiali arruolatori espone la teoria dello Stato superiore agli individui e domanda che lascino libera la sua persona fisica e materiale e arruolino quel tantino di qualcosa che contribuisce a costruire il qualcosa nazionale che è lo Stato. O ricordare la storia del Novellino in cui il saggio Saladino dirime la vertenza tra il rosticciere che vuol essere pagato per l‘uso delle emanazioni aromatiche delle sue vivande e il mendicante che non vuol pagare: il Saladino fa pagare col tintinnio delle monete e dice al rosticciere di intascare il suono come il mendicante ha mangiato gli effluvi aromatici.

Q11 §33

Quistioni generali. Una trattazione sistematica della filosofia della praxis non può trascurare nessuna delle parti costitutive della dottrina del suo fondatore. Ma in che senso ciò deve essere inteso? Essa deve trattare tutta la parte generale filosofica, deve svolgere quindi coerentemente tutti i concetti generali di una metodologia della storia e della politica, e inoltre dell‘arte, dell‘economia, dell‘etica e deve nel nesso generale trovare il posto per una teoria delle scienze naturali. Una concezione molto diffusa è che la filosofia della praxis è una pura filosofia, la scienza della dialettica, e che le altre parti sono l‘economia e la politica, per cui si dice che la dottrina è formata di tre parti costitutive, che sono nello stesso tempo il coronamento e il superamento del grado più alto che verso il 48 aveva raggiunto la scienza delle nazioni più progredite d‘Europa: la filosofia classica tedesca, l‘economia classica inglese e l‘attività e scienza politica francese.

Questa concezione, che è più una generica ricerca delle fonti storiche che non una classificazione che nasca dall‘intimo della dottrina, non può contrapporsi come schema definitivo, a ogni altra organizzazione della dottrina che sia più aderente alla realtà. Si domanderà se la filosofia della praxis non sia appunto specificatamente una teoria della storia e si risponde che ciò è vero ma perciò dalla storia non possono staccarsi la politica e l‘economia, anche nelle fasi specializzate, di scienza e arte della politica e di scienza e politica economica. Cioè: dopo avere, nella parte filosofica generale (che è la filosofia della praxis vera e propria, la scienza della dialettica o gnoseologia, in cui i concetti generali di storia, di politica, di economia si annodano in unità organica) svolto il compito principale, è utile, in un saggio popolare, dare le nozioni generali di ogni momento o parte costitutiva, anche in quanto scienza indipendente e distinta. Se si osserva bene si vede che nel Saggio popolare tutti questi punti sono almeno accennati, ma casualmente, non coerentemente, in modo caotico e indistinto, perché manca ogni concetto chiaro e preciso di che sia la stessa filosofia della praxis.

Q11 §60

Realtà del mondo esterno. Può la concezione "soggettiva" del Berkeley essere disgiunta dalla religione e in che modo il Berkeley connetteva la sua concezione con le sue credenze religiose? Il Saggio popolare così come il saggio su Teoria e Pratica nel suo semplicismo non riesce a comprendere come possa essere connesso con la religione sia il materialismo meccanico come il soggettivismo più estremo. Né il Berkeley fu un "eretico" in religione: anzi la sua concezione è un modo di concepire il rapporto tra la divinità e il pensiero umano, in fondo una "teologia". Nel saggio su Teoria e Pratica si cita La vida es sue¤o, senza pensare che si tratta di quistione di linguaggio, perché se tutto è sogno e anche i sogni sono sogni, sogno significa "vita" e "realtà".

Q15 §10

Machiavelli. Sociologia e scienza politica (vedere i paragrafi sul Saggio popolare). La fortuna della sociologia è in relazione con la decadenza del concetto di scienza politica e di arte politica verificatasi nel secolo XIX (con più esattezza nella seconda metà , con la fortuna delle dottrine evoluzionistiche e positivistiche). Ciò che di realmente importante è nella sociologia non è altro che scienza politica. "Politica" divenne sinonimo di politica parlamentare o di cricche personali. Persuasione che con le costituzioni e i parlamenti si fosse iniziata un‘epoca di "evoluzione" "naturale", che la società  avesse trovato i suoi fondamenti definitivi perchè razionali ecc. ecc. Ecco che la società  può essere studiata col metodo delle scienze naturali. Impoverimento del concetto di Stato conseguente a tal modo di vedere.

Se scienza politica significa scienza dello Stato e Stato è tutto il complesso di attività  pratiche e teoriche con cui la classe dirigente giustifica e mantiene il suo dominio non solo ma riesce a ottenere il consenso attivo dei governati, è evidente che tutte le quistioni essenziali della sociologia non sono altro che le quistioni della scienza politica. Se c‘è un residuo, questo non può essere che di falsi problemi cioè di problemi oziosi. La quistione che pertanto si poneva all‘autore del Saggio popolare era quella di determinare in che rapporti poteva essere posta la scienza politica con la filosofia della praxis, se tra le due esiste identità (cosa non sostenibile, o sostenibile solo da un punto di vista del più gretto positivismo) o se la scienza politica è l‘insieme di principii empirici o pratici che si deducono da una più vasta concezione del mondo o filosofia propriamente detta, o se questa filosofia è solo la scienza dei concetti o categorie generali che nascono dalla scienza politica ecc.

Se è vero che l‘uomo non può essere concepito se non come uomo storicamente determinato, cioè che si è sviluppato e vive in certe condizioni, in un determinato complesso sociale o insieme di rapporti sociali, si può concepire la sociologia come studio solo di queste condizioni e delle leggi che ne regolano lo sviluppo? Poichè non si può prescindere dalla volontà  e dall‘iniziativa degli uomini stessi, questo concetto non può non essere falso. Il problema di che cosa è la "scienza" stessa è da porre. La scienza non è essa stessa "attività  politica" e pensiero politico, in quanto trasforma gli uomini, li rende diversi da quelli che erano prima? Se tutto è "politico" occorre, per non cadere in un frasario tautologico e noioso distinguere con concetti nuovi la politica che corrisponde a quella scienza che tradizionalmente si chiama "filosofia", dalla politica che si chiama scienza politica in senso stretto. Se la scienza è "scoperta" di realtà  ignorata prima, questa realtà  non viene concepita come trascendente in un certo senso? e non si pensa che esiste ancora qualcosa di "ignoto" e quindi di trascendente? E il concetto di scienza come "creazione" non significa poi come "politica"? Tutto sta nel vedere se si tratta di creazione "arbitraria" o razionale, cioè "utile" agli uomini per allargare il loro concetto della vita, per rendere superiore (sviluppare) la vita stessa.

A proposito del Saggio popolare e della sua appendice Teoria e pratica è da vedere nella "Nuova Antologia" del 16 marzo 1933 la rassegna filosofica di Armando Carlini, da cui risulta che l‘equazione, Teoria: pratica = matematica pura: matematica applicata, è stata enunziata da un inglese (mi pare Whittaker).

Q15 §31

Introduzione allo studio della filosofia. Dal Saggio popolare e da altre pubblicazioni dello stesso genere si può trarre la dimostrazione del modo acritico con cui determinati concetti e nessi di concetti sono stati accolti da sviluppi delle filosofie tradizionali i più disparati e contraddittori. Occorrerebbe fare la storia di ognuno di tali concetti, riportarlo alle sue origini e riassumerne le critiche a cui ha già  dato luogo. L‘origine di molti spropositi contenuti nel Saggio è da ricercarsi nell‘Antidühring e nel tentativo, troppo esteriore e formale, di elaborare un sistema di concetti, intorno al nucleo originario di filosofia della praxis, che soddisfacesse il bisogno scolastico di compiutezza.

Invece di fare lo sforzo di elaborare questo nucleo stesso, si sono prese affermazioni già  in circolazione nel mondo della cultura e sono state assunte come omogenee a questo nucleo originario, affermazioni che erano state già  criticate ed espulse da forme di pensiero superiore, anche se non superiore alla filosofia della praxis.

Q17 §23

Saggio popolare di sociologia. Obbiezione all‘empirismo: l‘indagine di una serie di fatti per trovarne i rapporti presuppone un "concetto" che permetta di distinguere quella serie di fatti da altre serie possibili: come avverrà  la scelta dei fatti da addurre come prova della verità  del proprio assunto, se non preesiste il criterio di scelta? Ma cosa sarà  questo criterio di scelta, se non qualcosa di superiore a ogni singolo fatto indagato? Una intuizione, una concezione, la cui storia è da ritenersi complessa, un processo da connettere a tutto il processo di sviluppo della cultura ecc. (Osservazione da connettere all‘altra sulla "legge sociologica" in cui non si fa altro che ripetere due volte lo stesso fatto, una volta come fatto e una volta come legge. Sofisma del doppio fatto e non legge).