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(L'Ordine Nuovo, 3-10 aprile 1920, I, n.43)
(tratto da raccolta L’Ordine Nuovo 1919-1920, ed. Einaudi pag.
396-401)
Gli anarchici italiani sono molto permalosi perché sono molto
presuntuosi: sono stati sempre persuasi di essere i depositari della
verità rivoluzionaria rivelata; questa persuasione è
diventata « mostruosa» da quando il Partito socialista,
per influsso della rivoluzione russa e della propaganda bolscevica,
si è impadronito di alcuni punti fondamentali della dottrina
marxista e li divulga elementarmente e pittorescamente in mezzo alle
masse operaie e contadine. Da un po' di tempo gli anarchici italiani
non fanno che risciacquarsi la bocca soddisfatta con la
constatazione: « Noi l'abbiamo sempre detto! Avevamo ragione
noi!», senza mai tentare di porsi queste domande:
Perché, avendo ragione, non siamo stati seguiti dalla
maggioranza del proletariato italiano? Perché la maggioranza
del proletariato italiano ha sempre seguito il Partito
socialista e gli organismi sindacali alleati del Partito socialista?
(Perché il proletariato italiano si è lasciato sempre
«ingannare» dal Partito socialista e dagli
organismi sindacali alleati del Partito socialista?) A queste
domande gli anarchici italiani potrebbero rispondere esaurientemente
solo dopo un gran gesto di umiltà e di contrizione: solo dopo
aver abbandonato il punto di vista anarchico, il punto di vista
della verità assoluta, e aver riconosciuto di aver avuto
torto quando... avevano ragione; solo dopo aver riconosciuto che la
verità assoluta non basta per trascinare le masse all'azione,
per infondere nelle masse lo spirito rivoluzionario, ma è
necessaria una «verità» determinata, dopo aver
riconosciuto che ai fini della storia umana è
«verità» solo quella che si incarna nell'azione,
che gonfia di passione e di impulsi la coscienza attuale, che si
traduce in movimenti profondi e in reali conquiste da parte delle
masse stesse. Il Partito socialista è stato sempre il partito
del popolo lavoratore italiano: i suoi errori, le sue manchevolezze
sono gli errori e le manchevolezze del popolo lavoratore italiano;
le condizioni materiali della vita italiana si sono sviluppate, si
è sviluppata la coscienza di classe del proletariato, il
Partito socialista ha acquistato una maggiore distinzione
politica, ha tentato di conquistare una sua dottrina specifica. Gli
anarchici sono rimasti fermi, continuano a rimaner fermi,
ipnotizzati dalla persuasione di essere stati nel vero, di essere
tuttora nel vero: il Partito socialista si è mutato insieme
al proletariato, è mutato perché è mutata la
coscienza di classe del proletariato: in questo suo muoversi
è la profonda verità della dottrina marxista che oggi
è diventata la sua dottrina, in questo movimento è
anche contenuta la caratteristica « libertaria» del
Partito socialista, che non dovrebbe sfuggire agli anarchici
intelligenti, e dovrebbe indurli alla meditazione. Gli anarchici
potrebbero, meditando, giungere alla conclusione che la
libertà, intesa come svolgimento storico reale della classe
proletaria, non si è mai incarnata nei gruppi libertari, ma
ha sempre parteggiato per il Partito socialista.
L'anarchismo non è una concezione che sia propria della
classe operaia e solamente della classe operaia: ecco la ragione del
« trionfo» permanente, della « ragione»
permanente degli anarchici. L'anarchismo è la concezione
sovversiva elementare di ogni classe oppressa ed è la
coscienza diffusa di ogni classe dominante. Poiché ogni
oppressione di classe ha preso forma in uno Stato, l'anarchismo
è la concezione sovversiva elementare che pone nello Stato in
sé e per sé la cagione di tutte le miserie della
classe oppressa. Ogni classe diventando dominante ha realizzato la
propria concezione anarchica, perché ha realizzato la propria
libertà. Il borghese era anarchico prima che la sua classe
conquistasse il potere politico e imponesse alla società il
regime statale idoneo a presidiare il modo di produzione
capitalistico; il borghese continua a essere anarchico dopo la sua
rivoluzione perché le leggi del sue Stato non sono per lui
costrizione; sono le sue leggi, e il borghese può dire di
vivere senza legge, può dire di vivere libertariamente. Il
borghese ridiventerà anarchico dopo la rivoluzione
proletaria: allora si accorgerà nuovamente dell'esistenza di
uno Stato, dell'esistenza di leggi estranee alla sua volontà,
ostili ai suoi interessi, alle sue abitudini, alla sua
libertà, si accorgerà che Stato è sinonimo di
costrizione perché lo Stato operaio toglierà alla
classe borghese la libertà di sfruttare il proletariato,
perché lo Stato operaio sarà il presidio di un nuovo
modo di produzione che sviluppandosi distruggerà ogni traccia
di proprietà capitalistica e ogni possibilità di una
sua rinascita.
Ma la concezione propria della classe borghese non è stata
l'anarchismo, è stata la dottrina liberale, così come
la concezione propria della classe operaia non è
l'anarchismo, ma il comunismo marxista. Ogni determinata classe ha
avuto una determinata concezione, sua propria e di nessuna altra
classe: l'anarchismo è stata la concezione « marginale
» di ogni classe oppressa, il comunismo marxista è la
concezione determinata della classe operaia moderna e solo di
questa; le tesi rivoluzionarie del marxismo diventano, cifra
cabalistica se pensate all'infuori del proletariato moderno e del
modo di produzione capitalistico di cui il proletariato moderno
è la conseguenza. Il proletariato non è nemico dello
Stato in sé e per sé come non era nemica dello Stato
in sé e per sé la classe borghese. La classe borghese
era nemica dello Stato dispotico, del potere aristocratico, ma era
favorevole allo Stato borghese, alla democrazia liberale; il
proletariato è nemico dello Stato borghese è nemico
del potere in mano dei capitalisti e dei banchieri, ma è
favorevole alla dittatura proletaria, al potere in mano degli operai
e dei contadini. Il proletariato è favorevole allo Stato
operaio come fase della lotta di classe, fase suprema, in cui il
proletariato ha il sopravvento come forza politica organizzata; ma
le classi sussistono ancora, sussiste la società divisa in
classi, sussiste la forma propria di ogni società divisa in
classi, lo Stato, che è in mano della classe operaia e dei
contadini, che viene usato dalla classe operaia e dai contadini per
garantire la propria libertà di sviluppo, per eliminare
completamente la borghesia dalla storia, per consolidare le
condizioni materiali in cui nessuna oppressione di classe può
ancora determinarsi.
È possibile giungere a una composizione nel dissidio polemico
tra comunisti e anarchici? È possibile per i gruppi anarchici
formati di operai coscienti di classe; non è possibile per i
gruppi anarchici di intellettuali, professionisti dell'ideologia.
Per gli intellettuali l'anarchismo è un idolo; è una
ragion d'essere della loro particolare attività presente e
futura: lo Stato operaio sarà effettivamente per gli
agitatori anarchici uno «Stato», una limitazione di
libertà, una costrizione, così come per i borghesi.
Per gli operai libertari l'anarchismo, è un'arma di lotta
contro la borghesia; la passione rivoluzionaria supera l'ideologia,
lo Stato che essi combattono è veramente e solamente lo Stato
borghese capitalistico, e non già lo Stato in sé,
l'idea di Stato; la proprietà che essi vogliono sopprimere
non è già la « proprietà»,
genericamente, ma il modo capitalistico di proprietà. Per gli
operai anarchici l'avvento dello Stato operaio sarà l'avvento
della libertà della classe e quindi anche della loro
personale libertà, sarà la via aperta per ogni
esperienza e per ogni tentativo di attuazione positiva degli ideali
proletari; il lavoro di creazione rivoluzionaria li assorbirà
e ne farà un'avanguardia di militanti devoti e disciplinati.
Nell'atto positivo di creazione proletaria nessuna differenza
potrà sussistere tra operaio e operaio. La società
comunista non può essere costruita d'imperio, con leggi e
decreti: essa spontaneamente scaturisce dall'attività storica
della classe lavoratrice che ha acquistato il potere di iniziativa
nella produzione industriale e agricola ed è portata a
riorganizzare la produzione in modi nuovi, con un nuovo ordine.
L'operaio anarchico apprezzerà allora l'esistenza di un
potere accentrato che gli garantisca permanentemente la
libertà acquistata, che gli permetta di non interrompere ad
ogni istante l'opera iniziata per correre alla difesa
rivoluzionaria; apprezzerà allora l'esistenza di un grande
partito della parte migliore del proletariato, di un partito
fortemente organizzato e disciplinato che stimoli alla creazione
rivoluzionaria, che dia l'esempio del sacrificio, che trascini con
l'esempio le grandi masse lavoratrici e le conduca a superare
più rapidamente lo stato di avvilimento e di prostrazione in
cui le ha ridotte lo sfruttamento capitalistico.
La concezione socialista del processo rivoluzionario è
caratterizzata da due note fondamentali che Romain Rolland ha
riassunto nel suo motto d'ordine: « pessimismo
dell'intelligenza, ottimismo della volontà». Gli
ideologi dell'anarchismo, dichiarano invece di « aver
interesse» a ripudiare il pessimismo dell'intelligenza di
Carlo Marx (cfr. L. Fabbri, Lettere ad un socialista, Firenze 1914,
P. 134), « in quanto che una rivoluzione avvenuta per
l'eccesso di miseria o di oppressione richiederebbe l'istituzione di
una dittatura autoritaria, che potrebbe farci giungere magari (!) ad
un socialismo di Stato (!?), ma non mai al socialismo anarchico
». Il pessimismo socialista ha avuto una terribile riprova
negli avvenimenti: il proletariato è stato piombato nel
più puro abisso di miseria e di oppressione che cervello
d'uomo potesse immaginare. Gli ideologi dell'anarchismo, non sanno
contrapporre a una simile situazione altro che una esteriore e vuota
fraseologia pseudorivoluzionaria, intessuta sui più vieti
motivi dell'ottimismo follaiolo e popolaresco; i socialisti le
contrappongono una energica azione organizzativa dei migliori e
più consapevoli elementi della classe operaia, i socialisti
si sforzano in tutti i modi di preparare, attraverso questi elementi
d'avanguardia, le più larghe masse a conquistarsi la
libertà e il potere capace di garantire questa libertà
stessa.
La classe proletaria è oggi casualmente disseminata, nelle
città e nelle campagne, intorno alle macchine o addosso alla
zolla di terra; lavora senza sapere il perché del suo lavoro,
costretta all'opera servile dalla minaccia sempre incombente di
morire di fame e di freddo: essa anche si raggruppa nei sindacati e
nelle cooperative, ma per necessità di resistenza economica,
non per elezione spontanea, non secondando impulsi liberamente nati
nel suo spirito. Tutte le azioni della massa proletaria
necessariamente circolano in forme stabilite dal modo di produzione
capitalistico, stabilite dal potere di Stato della classe borghese.
Aspettare che una massa ridotta in tali condizioni di
schiavitù corporale e spirituale esprima uno sviluppo,
storico autonomo, aspettare che essa spontaneamente inizi e continui
una creazione rivoluzionaria è pura illusione da ideologi,
fare assegnamento sull'unica capacità creatrice di una tale
massa e non lavorare sistematicamente per organizzare un grande
esercito di militanti disciplinai e consapevoli, disposti a ogni
sacrificio, educati ad attuare simultaneamente una parola d'ordine,
pronti ad assumersi la responsabilità effettiva della
rivoluzione, pronti a diventare gli agenti della rivoluzione,
è vero e proprio tradimento della classe operaia, è
inconscia controrivoluzione in anticipo.
Gli anarchici italiani sono permalosi perché sono
presuntuosi. Si inalberano facilmente dinanzi alla critica
proletaria: preferiscono essere adulati e lusingati come campioni di
rivoluzionarismo e di coerenza teorica assoluta. Noi siamo, persuasi
che per la rivoluzione è in Italia necessaria la
collaborazione tra socialisti e anarchici, collaborazione franca e
leale di due forze politiche, basata su problemi concreti proletari;
crediamo necessario però che anche gli anarchici sottopongano
i loro criteri tattici tradizionali a una revisione, come ha fatto
il Partito socialista, e giustifichino con motivazioni attuali,
determinate nel tempo e nello spazio, le loro affermazioni
politiche. Gli anarchici dovrebbero diventare più liberi
spiritualmente: è una pretesa che non deve sembrare eccessiva
a chi pretende di volere libertà e nient'altro che
libertà.
(Non firmato, « L'Ordine Nuovo», 3-10 aprile 192, I, n.
43).