Goethe, Johann Wolfgang von
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Poeta, narratore, drammaturgo tedesco (Francoforte sul Meno 1749 -
Weimar 1832). Genio fra i più poderosi e poliedrici della
storia moderna, si manifestò in un'epoca in cui ormai
risultava operante la consapevolezza d'una acquisita libertà
di sentimenti e di espressione; gli fu quindi spontaneo rendersene
partecipe e anzi incrementarla segnando un cambiamento radicale
nella coscienza culturale tedesca ed europea. Definito "olimpico"
per il suo equilibrio, per esso esaltato e anche censurato, e talora
persino schernito, di questo equilibrio non fece oggetto di
soddisfatta fruizione bensì oggetto ambizioso d'una continua,
tutt'altro che olimpica ricerca, operata nei varî campi
d'interesse, negli studî scientifici, nell'azione pubblica e
soprattutto nella produzione poetica. Il padre Johann Kaspar, di
modesta famiglia originaria della Turingia, valente giurista e
consigliere imperiale, gli fu modello nella serietà degli
studî e nella inesausta curiosità; la madre Katharina
Elisabeth Textor, figlia del sindaco della città e
appartenente alla migliore borghesia originaria della Svevia, gli
trasmise il "piacere del favoleggiare". Cresciuto quindi in un
ambiente assai scelto, ebbe un'educazione adeguata, e già a
16 anni era a Lipsia per studiarvi diritto. Nel clima
illuministicamente aperto della città fornì le sue
prime prove poetiche secondo la moda anacreontica promossa da F.
Hagedorn e Ch. M. Wieland, privilegiando un'espressione
personalizzata contro la pedanteria moraleggiante imposta da J. Ch.
Gottsched e da Ch. F. Gellert. Così, nel 1767, scrisse in
alessandrini la commedia pastorale Die Laune des Verliebten ("I
capricci dell'innamorato"), che è la prima professione d'un
amore agitato e irritabile. Sulla stessa linea, tornato a
Francoforte, nel 1769 scrisse la commedia d'ambiente Die
Mitschuldigen ("I correi"), quadro acuto e scettico del mondo
borghese. Marginali composizioni poetiche, raccolte in Buch Annette
("Libro per Annette") e in Neue Lieder ("Canti nuovi") fanno
avvertire, oltre la moda, la ricerca d'un senso inconsueto della
natura. Una grave malattia lo dispose a subire l'influsso della
religiosità pietistica della madre e ancora di più
dell'amica di lei, Susanne von Klettenberg, che lo orientò a
cercare, come poi sempre fece, l'orma del divino nel segreto della
natura.
Nel 1770 si trasferì a Strasburgo per terminarvi gli
studî; tra le esperienze decisive che ivi compì
spiccano l'incontro "fatale" con J. G. Herder e le sue teorie su
storia e natura, creatività individuale e divenire
universale, e la lettura di Shakespeare, che segnarono la prodigiosa
produzione del successivo quinquennio. Ne sono testimonianza i
Sesenheimer Lieder ("Canti di S."), dettati dall'amore per
Friederike Brion, nel loro insieme atto esplicito di adesione al
movimento dello Sturm und Drang; la grossa cronaca drammatizzata,
d'impronta shakespeariana, Die Geschichte Gottfriedens von
Berlichingen mit der eisernen Hand ("Storia di G. di B. dalla mano
di ferro", 1771), poi (1773) rielaborata col titolo di Götz von
Berlichingen, vasto e farraginoso affresco di argomento nazionale
che fece decadere altri e persino più ambiziosi progetti di
drammi come Mahomet e Prometheus, di cui rimasero solo brevi ma
significativi frammenti. A questi, però, si affiancano inni a
sfondo cosmico-panteistico, che sono testimonianze inequivocabili
d'un sentimento integralmente aperto a un'esperienza di
totalità, sull'onda d'un ardore creativo che G. non conobbe
mai più (oltre Mahomets Gesang, "Canto di Maometto",
Prometheus, Wanderers Sturmlied, "Canto del viandante nella
tempesta", e Ganymed). Del resto quello era un periodo di tormentata
inquietudine anche sul piano esistenziale, e nella produzione
poetica si avverte una smania creativa che rischia talora la
dispersione. Nel recupero del popolaresco, alla maniera del lontano
H. Sachs, scrisse le satire carnevalesche Jahrmarktsfest zu
Plundersweilern ("Festa della fiera di Pl.", 1773) e Ein
Fastnachtsspiel ... vom Pater Brey ("Una rappresentazione
carnevalesca di Padre Pappa", 1773); una farsa di forte anche se non
limpida accentuazione critica (Satyros, 1773); un'epica religiosa
che sferza il filisteismo delle chiese (Der ewige Jude, "L'ebreo
errante", 1774). Prova d'uno stato d'animo di disagio, a lungo
insanabile, per il colpevole abbandono di Friederike Brion è
Clavigo (1774), tragedia della fanciulla abbandonata dall'amato
più per leggerezza che per responsabile scelta. Di lì
a poco Stella (1775), dramma d'un uomo che con pari intensità
ama due donne, denuncia l'aspirazione alla libertà
sentimentale. Una produzione tanto varia è tenuta insieme
tuttavia dalla continua disposizione a confessarsi, a legare fino
alla più intima convergenza vita e poesia. In tale spirito
nacque anche l'opera conclusiva e più fortunata di questa
felice stagione, il romanzo epistolare Die Leiden des jungen
Werthers ("I dolori del giovane W.", 1774), appassionata storia di
una delusione amorosa che si conclude con il suicidio del
protagonista; essa, in un'epoca segnata da un sentimentalismo
esorbitante, conobbe un immediato, clamoroso successo. Intanto si
era già affacciato nello spirito di G. il tema del Faust, che
lo accompagnerà ossessivamente sino agli ultimi giorni della
sua lunga vita.
Tornato a Francoforte al termine degli studî, dopo aver
soggiornato a Wetzlar per farvi pratica presso il supremo tribunale
imperiale, abbandonò gli ambiziosi disegni di carriera
tracciati per lui dal padre, e nell'autunno del 1775 lasciò,
questa volta definitivamente, la città natale per stabilirsi
alla corte di Weimar, minuscola capitale d'un povero ducato di
120.000 abitanti. Entrato nelle simpatie della famiglia ducale, fu
nominato consigliere segreto e quindi ministro, ottenendo infine il
titolo nobiliare. Il primo decennio trascorso a Weimar fu di
relativo silenzio poetico e d'intensa attività pratica. Il
contatto costante coi problemi della vita lo sospingeva, piuttosto,
verso le scienze naturali. Si occupò di geologia e di
mineralogia (fra l'altro scrisse il trattato Über den Granit,
"Sul granito", 1784), passò all'anatomia, scoprendo nello
stesso 1784 l'osso inframascellare; fu attratto infine dalla
botanica e dalla storia naturale, in cui la sua riflessione trovava
testimonianza di quella immanenza del divino che aveva già
avvertito in forma intuitiva. Si compiva così la maturazione
di quel panteismo cui del resto già da tempo aderiva. La
produzione letteraria di questo periodo si può considerare
limitata alle liriche e all'atto unico Die Geschwister ("I
fratelli", 1776), ispirati a Charlotte von Stein, donna di grande
cultura alla quale G. fu legato per dieci anni e che influì
profondamente sulla sua formazione. Nell'autunno del 1786, il
viaggio in Italia si configura quasi come una fuga e segna un
passaggio decisivo per la vita e l'ispirazione del poeta. Nel "paese
dei limoni", l'Italia classica del meridione e, più ancora,
Roma, trovò realizzata quella sintesi di natura e arte,
passato e presente, spiritualità e sensualità verso
cui era proteso, e sentì rifiorire tutte le aspirazioni
poetiche che il decennio attivistico di Weimar aveva in buona parte
represso. Nel giugno del 1788 tornò a Weimar e il suo
cambiamento gli procurò accoglienze decisamente fredde.
Interruppe la relazione con la signora von Stein, e iniziò la
convivenza con la giovane e umile Christiane Vulpius, che
sposò solo nel 1806 pur avendone avuto fin dal 1789 un
figlio, August, morto poi a Roma nel 1830. L'operosità
creativa che era esplosa in Italia continuò a Weimar, in una
stagione contrassegnata dal succedersi di opere quasi tutte ad alto
livello. In Italia aveva portato a termine l'Egmont (1787), dramma
della libertà dell'uomo che soccombe solo davanti alle forze
del mondo esteriore e nemico, e ultimata la stesura in versi della
Iphigenie in Tauris, testimonianza di un umanesimo ormai pienamente
maturato, fusione perfetta di grecità e cristianesimo. Fu
terminato invece a Weimar il Torquato Tasso, dramma di anime in cui
gli elementi autobiografici (il poeta consapevole della propria
genialità inserito in una sorda e intrigante corte
principesca) sono filtrati ma tutt'altro che rimossi. Frutto
dell'esperienza italiana, e in particolare romana, furono anche le
Römische Elegien (1788-89), che nella fusione di
classicità formale e sensualità di immagini segnano
nel modo più palese il taglio fra questa e la precedente
stagione poetica; ad esse seguiranno, dopo un nuovo, meno fortunato
viaggio in Italia, i Venetianische Epigramme (1790). Dopo lo scoppio
della Rivoluzione francese, G. da un lato dichiarò
apertamente il proprio disprezzo verso gli ipocriti fautori del
nuovo corso (nelle mediocri commedie Der Grosskophta, "Il gran mago
egizio", 1792, e Der Bürgergeneral, "Il cittadino generale",
1793), dall'altro però fu egli stesso profondamente turbato
dalla Rivoluzione, con sentimenti misti di adesione ai suoi
principî e apprensione per il suo corso. Cercò allora
sfogo in quella che definì la sua "Bibbia empia del mondo",
cioè nella versione in esametri omerici del bestiario
medievale Reineke Fuchs ("La volpe R.", 1793), satira più
cinica che accorata dei dilaganti vizî. Una più pacata
e valida presa di posizione fu quella dell'idillio in esametri
Hermann und Dorothea (1797), che inquadra i valori morali di una
sana, tradizionale etica borghese.
Intanto, nel 1794 si era creato il sodalizio con J. C. F. Schiller
che, durato fino alla morte di quest'ultimo (1805), nel decennio
definito per eccellenza classico, portò a reciproco
arricchimento le due personalità, pur tanto diverse per
estrazione e per temperamento. Per G. l'amicizia con Schiller
significò una coscienza della propria missione poetica
pienamente riconquistata. Sulla rivista di Schiller, Die Horen, G.
pubblicò, nel 1795-97, le Unterhaltungen deutscher
Ausgewanderten ("Conversazioni di emigrati tedeschi"), specie di
piccolo Decameron, prototipo del genere ancora inedito della novella
classica; vi pubblicò anche il Märchen ("Fiaba"), da cui
tanto dipese la fiabistica romantica. La solidarietà fra i
due giunse persino alla scrittura in comune, da cui nacque la
raccolta di Xenien ("Doni ospitali", 1797), epigrammi di aspra
censura ai letterati contemporanei. Sia pure per pochi numeri, anche
G. pubblicò una sua rivista, Die Propyläen (1798-1800),
in cui propagandò il suo verbo classicistico. Come teorico,
pur fornendo prove di alto interesse, per esempio il saggio
Winckelmann und sein Jahrhundert ("W. e il suo secolo", 1805), non
riuscì sempre a evitare l'insidia dell'accademismo, in cui
del resto incorse anche una certa produzione poetica: è il
caso della frammentaria tragedia Helena, del 1800, poi rifusa nella
seconda parte del Faust, e dell'epos Achilleis, del 1799, concepito
come continuazione dell'Iliade. L'interesse per il classicismo
spinse G. a riprendere anche i due temi per antonomasia "goethiani",
quello di Wilhelm Meister e di Faust. Già prima del viaggio
in Italia G. aveva iniziato, e poi sospeso, un vasto romanzo a
sfondo autobiografico, Wilhelm Meisters theatralische Sendung ("La
missione teatrale di W. M."), il cui manoscritto fu ritrovato solo
nel 1910; era la narrazione realistica delle esperienze di un
giovane della buona borghesia innamorato del teatro. Nel 1794 G. ne
riprese il tema e nel 1796 uscì una compiuta stesura del
romanzo sotto il titolo Wilhelm Meisters Lehrjahre ("Gli anni di
noviziato di W. M."), capolavoro del genere tipicamente tedesco
dell'Entwicklungsroman (romanzo di formazione) e nello stesso tempo
quadro vivace di tutta un'epoca. Al Faust G. si era dedicato fin dal
1772, e nel 1775 era pronta una prima e incompleta stesura, il
cosiddetto Urfaust (il cui ritrovamento è avvenuto solo nel
1887), una delle opere più legate alla poetica dello Sturm
und Drang. Mutilo delle scene terminali era anche il primo Faust
(Faust. Ein Fragment, 1790), e solo nel 1808 uscì la
redazione definitiva della prima parte (Faust. Der Tragödie
erster Teil), dopo un lavoro frazionato lungo l'arco di un decennio.
Per il poeta, ormai giunto all'età matura, si trattava di
un'acquisizione di recupero, e la dedica con cui si apre il
monumentale edificio poetico rievoca le figure del dramma come
emergenti da un passato lontano. L'immediatezza della presenza di
Mefistofele, il ritmo serrato della tragedia di Gretchen delle
precedenti stesure, sono andati perduti; ma la prospettiva su cui il
dramma si apre ha finalmente raggiunto l'estrema vastità
significativa del grande dramma simbolico, che coinvolge le potenze
divine e demoniache e attinge dimensioni cosmiche, eppure rimane
sostanzialmente dramma psicologico dell'uomo che non può
rinunciare alla sua volontà di dominare il mondo.
Con la morte di Schiller (1805) e la catastrofe nazionale di Jena
(1806), si era aperta per G. la lunga stagione della
senilità. Allo sconforto e all'isolamento aveva reagito
immergendosi negli studî scientifici, in particolare
sull'ottica, senza con questo rallentare l'intensità della
produzione letteraria. Allo stesso anno del Faust appartiene il
dramma allegorico Pandora, e nel 1809 vide la luce Die
Wahlverwandtschaften ("Le affinità elettive"), esemplare
romanzo sulla passione amorosa vissuta in età adulta. La
profondità dell'analisi psicologica e la tensione della
vicenda sono sorrette da una scrittura perfettamente sorvegliata che
asciuga senza offuscare il pathos che attraversa l'intera
narrazione. Dopo una laboriosa gestazione uscì nel 1819 il
Westöstlicher Divan ("Divano occidentale orientale"), dettato
anzitutto dall'amore, tanto forte quanto dolorosamente votato a una
cosciente rinuncia, per Marianne von Willemer, giovanissima
poetessa. È il solo complesso di poesie pubblicato da G. in
unico volume, e costituisce l'eccezionale testimonianza di una
volontà e di una capacità di rinnovamento che
attingevano alle più varie esperienze di vita e di cultura,
recuperate attraverso un procedimento selettivo accorto e costante.
Anche lo stile, non più immediato e plastico, è
divenuto rarefatto e sfiora talvolta il sublime nella mediazione fra
la vivacità del sentimento e l'amaro dell'acquisita saggezza.
G. nel frattempo si era reso conto, dopo i due incontri con
Napoleone, nel 1808, dell'importanza ormai storica della sua
persona. All'avvento della Restaurazione, in un mondo che
riconosceva sempre meno come proprio, sentì doveroso tornare
indietro per fissare indelebilmente la sua personale storia. Non
scrisse una vera autobiografia, ma ne lasciò ampî e
spesso suggestivi squarci in Dichtung und Wahrheit ("Poesia e
verità", 1809-14 e 1830), che, pur coprendo solo gli anni
fino al 1775 e senza essere sempre cronachisticamente attendibile,
assunse il significato di documento storico, cioè
d'interpretazione di un'intera epoca. Per alcuni aspetti documento
ancora più suggestivo, anche se stilisticamente meno
accurato, fu l'Italienische Reise ("Viaggio in Italia", 1816-17,
1829), che ancora oggi gode di enorme fortuna.
Nonostante i frequenti attestati di stima da tutta Europa e
l'omaggio di uomini come Byron e Manzoni, G. conobbe negli ultimi
anni l'amarezza dell'isolamento quasi integrale nel nuovo clima
culturale creatosi con il Romanticismo, a lui radicalmente estraneo.
Nel riprendere ancora una volta i temi di Meister e di Faust, volle
testimoniare e verificare globalmente la sua esperienza di poeta, di
prosatore e di uomo confrontandosi con un mondo in cui non era
possibile ripristinare quell'umanesimo integrale che era stato
l'ideale del Rinascimento. Il Wilhelm Meisters Wanderjahre ("Gli
anni del pellegrinaggio di W. M.", 1829) rivela la
disponibilità e l'interesse di G. per le esigenze di un
assetto sociale nuovo, ma reca un sottotitolo sintomatico, Die
Entsagenden "I rinuncianti". L'ultimo Faust fu elaborato tra il 1825
e il 1831, con la dolorosa parentesi della morte del figlio e di una
grave malattia da cui G. si riprese, forse, per la estrema
determinazione di portare a compimento l'"opera della sua vita".
Quest'opera denuncia il peso dell'investimento che è stato
fatto su di essa e risulta eterogenea, sovraccarica, diluita da
intellettualismi e genericità, ma ha pagine di straordinaria
bellezza e resta la potente e inquietante somma poetica di tutta una
vita. Faust, che all'inizio si ridesta a nuova vita, è
destinato alle esperienze più sbalorditive, ad attingere
dimensioni sempre più vaste e globali, passando di affanno in
affanno e di colpa in colpa finché, vecchissimo e quasi
cieco, saluterà la morte con un esaltante inno alla
libertà. La seconda parte del Faust (Faust. Der Tragödie
zweiter Teil) fu pubblicata pochi mesi dopo la morte di G., per sua
esplicita volontà. Egli era certo che non avrebbe ricevuto
comprensione da parte di contemporanei, e non s'ingannava: in
particolare l'ultimo G. non era fatto per essere agevolmente inteso,
ma in generale il clima intellettuale e politico degli anni della
Restaurazione non era fatto per recepire un autore che sembrava
fossilizzato su posizioni esclusive e in ogni modo antiquate. Il
1848, e quanto ad esso tenne dietro, portò a rinvenire in
Schiller piuttosto che in G. il genio ispiratore, quale poeta della
libertà. La varia, complessa, spesso tragica vicenda storica
della Germania durante gli ultimi cento anni a più riprese ha
ribadito tale ideologica predilezione. Ma già il cosiddetto
"realismo poetico" assunse G. come suo modello e maestro; il
liberalismo borghese vide in lui l'ultimo e sommo rappresentante di
una cultura umanistica, a un tempo tipicamente tedesca e
profondamente europea; più tardi il monismo scientifico e
filosofico guardò a lui come al poeta-pensatore capace di
grandi e profetiche intuizioni. Nonostante la varietà e
disparità d'opinione dei suoi innumerevoli critici (tra cui
Hauptmann, Hofmannsthal, George, Hesse, Th. Mann), è unanime
il giudizio che lo riconosce campione geniale dell'autonomia
individuale, nel solco di una cultura di cui ha saputo raccogliere e
incrementare la grande eredità.