GIAMPAOLI, Mario

 

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di Mauro Canali

Nacque a Bovolone, in provincia di Verona, il 26 apr. 1893 da Vittorio e Rachele Bernasconi. Frequentò sino al terzo anno della scuola tecnica senza conseguire il diploma, poi, nel 1912, si trasferì a Milano, dove si impiegò prima come garzone alle Officine meccaniche e poi come fattorino telegrafico presso l'Unione sindacale. Influenzato da F. Corridoni, iniziò a frequentare l'ambiente sovversivo milanese e si iscrisse alla Federazione giovanile sindacalista rivoluzionaria. Subì un primo arresto la notte tra il 26 e 27 luglio 1912, allorché venne sorpreso con altri giovani ad affiggere manifesti "pro Ettor e Giovannitti", due rivoluzionari di origine italiana detenuti negli Stati Uniti.

S'impegnò in modo particolare nella campagna antimilitarista, insieme con gli altri sindacalisti rivoluzionari, e venne di nuovo denunciato all'autorità giudiziaria per un articolo su questo tema, dedicato all'anarchico A. Moroni, apparso, il 19 genn. 1913, sul giornale dei giovani sindacalisti rivoluzionari La Gioventù socialista; fu, quindi, nuovamente denunciato perché sorpreso, la notte tra il 1° e il 2 febbr. 1913, ad affiggere manifestini contenenti un violento attacco alle "compagnie di disciplina" (il testo venne pubblicato il 5 febbraio, anche con la sua firma, dal medesimo giornale).

Il 23 aprile di quello stesso anno, il G. si rese protagonista di un grave reato comune: venne tratto in arresto per aver partecipato a una rapina, compiuta il 12 marzo ai danni di un'anziana signora. Scontò otto mesi di carcere, da dove uscì il 23 dic. 1913.

Tornò immediatamente alla lotta politica prendendo il posto di Corridoni alla segreteria del Circolo giovanile sindacalista milanese. Al convegno dell'Unione sindacale italiana (USI) a Parma, tenuto a metà settembre 1914, appoggiò risolutamente l'iniziativa presa dai gruppi legati ad A. De Ambris per staccare la componente sindacalista rivoluzionaria (passata da poco su posizioni interventiste) dalla componente anarchica di A. Borghi, salda nel suo antimilitarismo, e pertanto neutralista. Il 15 settembre il G. propose e fece votare al Circolo giovanile sindacalista milanese il primo ordine del giorno a favore dell'intervento deliberato da un organismo rivoluzionario; il 20 sett. 1914, infine, lasciò l'Italia per arruolarsi nella legione dei volontari garibaldini di Ricciotti Garibaldi, con cui, in dicembre, partecipò ai combattimenti sul fronte francese delle Argonne.

Dalla Francia fece giungere il suo sostegno al nascituro Popolo d'Italia. Tornato a Milano ai primi di aprile del 1915, all'entrata in guerra dell'Italia, si arruolò come volontario nel battaglione ciclisti e fu inviato al fronte il 24 luglio. In seguito, mitragliere sugli aerei Caproni da combattimento, venne ricoverato nell'ottobre 1918 per congelamento a mani e piedi, quindi dimesso e congedato nel gennaio successivo.

Nel dopoguerra tornò a frequentare gli ambienti dell'ex sindacalismo rivoluzionario interventista e trovò un impiego come custode al Popolo d'Italia, dal quale venne successivamente allontanato in quanto sospettato di voler attentare alla vita di F.S. Nitti, allora presidente del Consiglio. Il 21 marzo 1919 entrò nella giunta esecutiva provvisoria del primo Fascio di combattimento, e il 23 marzo successivo era a piazza S. Sepolcro tra i fondatori del movimento dei Fasci di combattimento, del cui primo comitato centrale fu eletto membro.

Nell'organismo dirigente dei Fasci, il G. non dimenticò la sua origine sindacalista-rivoluzionaria né l'operaismo corridoniano e, nella confusa temperie ideologica che agitò il primo fascismo, ebbe sempre cura di non confondersi con il grossolano antioperaismo diffuso in alcuni settori di esso; un atteggiamento che ebbe modo di manifestare nell'agosto 1919, quando, di fronte al pullulare di associazioni antibolsceviche, ritenne opportuno ribadire l'ispirazione originaria dei Fasci, i quali, a suo avviso, non dovevano confondersi con le varie organizzazioni antibolsceviche di matrice borghese, che "vedono nell'operaio solo il nemico, e si mettono sempre contro di lui". Una posizione che, pur tra varie oscillazioni, non abbandonò mai del tutto, e che ancora riproponeva stendendo 1919 (Roma 1928), rievocazione della nascita dei Fasci di combattimento.

Il 7 settembre l'Avanti!, in un trafiletto dai toni sarcastici, rese pubblici i vecchi trascorsi giudiziari del G., il quale rispose assai debolmente dalle pagine del Secolo sera; seguirono alcune brevi e secche repliche del giornale socialista, ricche di imbarazzanti dettagli della sua vicenda giudiziaria. A quel punto i dirigenti fascisti, in occasione del II congresso (Firenze, 10 ott. 1919), trovarono opportuno di allontanarlo dal comitato centrale.

Seppure pubblicamente discusso per il suo passato, sembra tuttavia che in quella circostanza B. Mussolini non togliesse la sua fiducia al G.; infatti questi fu, per diversi giorni, il segreto accompagnatore e la guardia del corpo del capo del fascismo, probabilmente dal 20 al 25 sett. 1919, allorché Mussolini raggiunse Venezia allo scopo di portarsi a Fiume per consegnare a G. D'Annunzio i primi fondi raccolti con una sottoscrizione lanciata dal Popolo d'Italia. Lo stesso G. rammentò in seguito a Mussolini questo episodio che testimonia come, sebbene pubblicamente biasimato, egli continuasse in privato a godere la completa fiducia del futuro duce.

Agli inizi del 1921 il G. venne nominato segretario amministrativo del Fascio milanese di combattimento; vicesegretario politico nel marzo 1923, ne divenne segretario con il congresso del dicembre successivo.
La sua elezione risultò da un accordo tra le due fazioni che si contendevano la leadership del Fascio milanese: la componente moderata, raccolta attorno a E. Belloni e C. Rossi, e la componente "diciannovista" e intransigente, rappresentata dal segretario dimissionario, A. Longoni. Al congresso le due componenti finirono per neutralizzarsi e prevalse attorno al nome del G. una soluzione di compromesso, in effetti più apparente che reale, in quanto fu a tutti gli effetti una sconfitta personale dei "normalizzatori" milanesi ispirati da C. Rossi.

Il G. mantenne la carica di segretario del Fascio milanese fino al 1928, ricoprendo quella di segretario federale dal maggio 1926 al dicembre 1928. Intanto, nel 1924, era divenuto proprietario e direttore della rivista 1919. Rassegna della vecchia guardia fascista.

Nel corso del suo segretariato, il G. protesse energicamente la componente "diciannovista" e antinormalizzatrice del fascismo milanese fino ad assumerne pubblicamente un patronage politico che, a partire dal 1926, rappresentò, per Roma e per il fascismo governativo, fonte di grande imbarazzo e, non di rado, di tensione. Inoltre, il suo mai dimenticato "operaismo", ancorché populistico e demagogico, lo mise presto in conflitto con vasti settori della borghesia imprenditoriale milanese, in seguito assai attivi nel decretarne la rovina politica.

I rapporti con gli organi centrali del governo fascista e del Partito nazionale fascista (PNF) erano destinati a inasprirsi maggiormente dopo la nomina alla segreteria politica del partito di A. Turati, fautore di una energica azione "normalizzatrice". Noti, e non tollerati da Turati, erano gli stretti rapporti del G. con l'organizzazione degli arditi di Milano, che avevano finito per rappresentare per lui una sorta di corpo speciale dedito alla sicurezza della sua persona.

Sempre cordiali si mantennero i rapporti con A. Volpi, capo indiscusso dell'arditismo milanese, fino al punto che il G. aiutò quest'ultimo, inseguito da mandato di cattura per il delitto Matteotti, a sottrarsi all'arresto fornendogli l'auto e una scorta di arditi con i quali Volpi si allontanò da Milano nel vano tentativo di trovare rifugio in territorio svizzero.

Con questo spirito, il G. tollerò, o non seppe adeguatamente controllare, gli atti di violenza a cui lo squadrismo milanese si abbandonava con allarmante frequenza, giungendo a vanificare l'azione del segretario del PNF che mirava a sciogliere le squadre. La tolleranza del G. sollevò le perplessità e le proteste anche di Arnaldo Mussolini che ne fece frequente argomento di carteggio con suo fratello, e talvolta con lo stesso G., tanto che i rapporti tra i due finirono per deteriorarsi.

Significativa a tal riguardo è la lettera che Arnaldo indirizzò al G. nell'ottobre del 1926, denunciando, previo accordo con il fratello, il clima di violenza e intimidazione diffuso nel capoluogo lombardo, che, a suo avviso, trovava un atteggiamento corrivo se non connivente proprio nel Giampaoli.

Il dissidio con Arnaldo era destinato a inasprirsi tanto che molte informative risalenti al 1927-28 parlano di due fazioni a Milano che si combattevano facendo capo rispettivamente ad Arnaldo e al G.; nel maggio del 1927, Arnaldo informava il fratello che il "fascismo a Milano ha perduto terreno in questi ultimi mesi" e che lo stesso G. "vorrebbe lasciare almeno temporaneamente la vita politica attiva". In realtà, pare che egli manifestasse ad Arnaldo il desiderio di essere rimosso dalla segreteria federale e trasferito al ministero delle Corporazioni. Nel dicembre del 1928, il G. venne invece indotto a rassegnare le dimissioni da tutte le cariche che ricopriva nel fascismo lombardo. Inoltre, nominato membro del direttorio nazionale del PNF in veste di ispettore nel dicembre 1928, nel gennaio 1929 rassegnava le dimissioni anche da tale carica, mentre, nell'aprile successivo, gli fu ordinato di chiudere la rivista 1919.

Oltre alla resistenza da lui opposta al processo di normalizzazione, un'altra tra le cause principali, forse la più importante della decisione presa da Mussolini per il suo defenestramento, fu l'iniziativa, che faceva capo al G., di costituire a Milano i "gruppi aziendali".

La creazione di questi era collegata alle pressoché insormontabili difficoltà incontrate dai sindacati fascisti nei loro tentativi di fare breccia nel proletariato delle fabbriche. Anche se lo sciopero dei metallurgici lombardi del marzo 1925 - che aveva visto la presenza attiva del G. tra gli scioperanti, a fianco dei leader sindacali fascisti - era stato un successo per le organizzazioni sindacali fasciste, che erano riuscite a gestire direttamente le lotte e a isolare la Confederazione generale del lavoro (CGdL), tuttavia esso non era riuscito a indebolire in modo significativo il richiamo esercitato dall'organizzazione confederale. Allo scopo di limitare gli effetti di tale tendenza, sin dal 1927 diverse organizzazioni locali del PNF avevano ritenuto opportuno avviare in modo del tutto autonomo, in alcuni capoluoghi dell'Italia settentrionale, iniziative che incoraggiassero l'afflusso in seno al PNF di settori più consistenti del proletariato di fabbrica. A Milano, l'iniziativa condotta dal G. aveva portato, appunto, alla costituzione di gruppi aziendali con l'intenzione di svolgere tramite essi "una intensa opera di propaganda politica fra le masse" in un periodo in cui era forte in esse la "impressione della decurtazione delle paghe" (da un memoriale del G., scritto qualche anno dopo, indirizzato a Mussolini). Per incrementarli il G. s'era mostrato molto attivo nel presenziare a comizi e riunioni all'interno degli stabilimenti milanesi; tuttavia il suo populismo era apparso pericoloso agli occhi della grande maggioranza degli imprenditori milanesi.

Alle dimissioni del G. fece seguito il commissariamento della federazione provinciale milanese; il 18 dic. 1928 il PNF inviò a Milano il vicesegretario nazionale A. Starace il quale, dopo aver allontanato dal Fascio milanese, con una vastissima epurazione, tutti i fedeli del G., riuscì a dare nuovi, seppur precari, assetti dirigenti alla federazione.
Da allora iniziò per il G. un declino politico inarrestabile e irreversibile. Espulso dal PNF nell'aprile del 1929, vi fu riammesso solo nel febbraio 1940, quando Starace venne allontanato dalla segreteria politica del partito.
Nel dicembre 1926 il G. aveva sposato Francesca Fantoni, una cugina con cui aveva intrecciato una relazione fin dal periodo bellico e dalla quale, nel gennaio 1916, aveva avuto il figlio Frediano, riconosciuto nel 1927.
Nel gennaio del 1930, il G. si trasferì a Napoli, dove trovò un impiego presso la società petrolifera Nafta, filiale italiana della Shell. Tornò, quindi, agli studi, ottenendo nel 1934 la licenza liceale e, nel novembre del 1937, la laurea in giurisprudenza presso l'Università di Napoli. Nel tentativo di riacquistare la fiducia di Mussolini e delle alte gerarchie fasciste si propose invano per alcune missioni segrete in Francia contro i fuorusciti e, più tardi, insieme con il figlio Frediano, presentò domanda per partecipare alla guerra etiopica. Nel dicembre del 1938, licenziato dalla Nafta, si trasferì a Roma, dove aprì uno studio legale.

Giovandosi di vecchie e nuove protezioni politiche, durante la guerra dispiegò una intensa attività affaristica, specie in materia di permessi di importazione, che gli consentì di raggiungere in breve una florida condizione economica.

Dopo aver aderito alla Repubblica sociale italiana, il G. morì a tra il 1943 e il 1944, in data e località imprecisate.