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Autore drammatico italiano (Novi Ligure 1816 - Gazzuolo 1882). Il suo teatro, che comprende fra tragedie, drammi e commedie un'ottantina di lavori in prosa e in versi, alcuni applauditissimi, rivela soprattutto una notevole abilità tecnica sia che indaghi problemi sociali (Il poeta e la ballerina, 1841; Le tre classi della società, 1844-47; La colpa vendica la colpa, 1854; La morte civile, 1861), sia che rievochi personaggi o eventi storici (Tasso, 1856; Giuditta, 1857; Maria Antonietta, 1868; Michelangelo Buonarroti, 1873); ricco di situazioni complesse, esso è però inficiato da un'innegabile retorica che infirma spunti e temi di per sé pieni di una viva carica drammatica che si alimenta in vicende di calda attualità.
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    DBI    
di Francesca Brancaleoni 
    
Nacque il 19 marzo 1816 a Novi Ligure, quintogenito di Francesco
    Maria, senatore reggente il Reale Consiglio di quella provincia, e
    di Nicoletta Costa. Nel 1817, deceduto il padre di tifo, il G., con
    la madre, il fratello e le tre sorelle, si trasferì in una
    villa di famiglia a Sturla, vicino Genova, città in cui,
    compiuti gli studi umanistici nel Real Collegio (1825-33), si
    iscrisse alla facoltà di giurisprudenza. Al terzo anno di
    corso, però, fu costretto a rinunziare alla laurea per un
    dissesto finanziario della famiglia, a seguito del quale si
    impiegò come copista presso un avvocato.
    
    Il G. manifestò ben presto una promettente vena drammaturgica
    con i due drammi Danvelt (1833) e Riccardo di Monforte (1835), ma il
    suo vero esordio teatrale si ebbe con la tragedia in versi Rosilde
    (1836). I successivi consensi ottenuti da Luisa Strozzi (1836),
    Paolo De Fornari (1837), Godeberto re dei Longobardi (scritto nel
    1837 e rappresentato nel 1838) e La famiglia Lercari (1840), che
    valse all'autore una lettera di apprezzamento di G.B. Niccolini, lo
    indussero a dedicarsi interamente al teatro, rifiutando,
    contrariamente alla volontà familiare, la carica di
    segretario particolare offertagli da F. Paulucci, governatore di
    Genova. 
    
    Scegliendo dunque di vivere della propria attività di
    drammaturgo, il G. nel 1840 divenne "poeta di compagnia", con un
    contratto che, per 120 svanziche al mese, lo impegnava a fornire
    annualmente cinque drammi alla compagnia Giardini-Woller-Belatti e
    seguirne le rappresentazioni in tutte le piazze. Così nel
    1841, dopo il successo di Pellegro Piola (scritto nel 1839) e
    Domenichino, si trasferì per un semestre a Roma, dove scrisse
    e vide felicemente rappresentata una commedia, suggerita dai recenti
    trionfi genovesi della ballerina Fanny Cerrito, Il poeta e la
    ballerina, primo risultato originale della sua drammaturgia, in cui
    divennero sempre più evidenti i propositi educativi. Mossa da
    ragioni autobiografiche, la commedia denunciava con i toni della
    satira la generale crisi del teatro italiano di metà
    Ottocento, penalizzato fra l'altro dalla scarsa frequenza di un
    pubblico attratto da più frivole forme di spettacolo.
    
    Sempre per la compagnia Giardini-Woller-Belatti, oltre a Cristoforo
    Colombo (1842), bilogia di drammi storici, il G. portò in
    scena le commedie Quattro donne in una casa (1842), di chiara
    ispirazione goldoniana, e Un poema e una cambiale (1843).
    
    Passato alle dipendenze della compagnia di L. Domeniconi, il G. il
    23 maggio 1843 seguì a Roma la prima di Isabella del Fiesco,
    scritta per Carolina Santoni e da lei interpretata, sposando il
    giorno seguente Teresa Mozzidolfi, una giovanissima attrice dalla
    quale ebbe un figlio. In quello stesso anno, trasferitosi con la
    moglie a Firenze, vi conobbe G.B. Niccolini; a Torino invece ebbe
    contatti con G. Prati e A. Brofferio, e a Genova mise in scena Per
    mia madre cieca, dedicato all'amico drammaturgo D. Chiossone, I
    Fieschi e i Fregosi.
    
    Nel 1844, viste le incompatibilità artistiche con il
    Domeniconi, il G. tornò alla compagnia
    Giardini-Woller-Belatti per la quale lavorò fino al 1847,
    componendo altre dodici opere, fra cui: Le tre classi della
    società (1845), Camilla Faà da Casale e La
    benefattrice e l'ingrato (entrambi nel 1846), Paolo da Novi e Carlo
    II re d'Inghilterra (1847); in quest'ultimo anno vedevano la luce I
    misteri dei morti, rappresentato nel 1848, e L'amico di tutti,
    rappresentato nel 1850.
    
    Nel 1847, succedendo allo scomparso A. Nota, il G. fu scritturato da
    D. Righetti, conduttore dell'unica compagnia stabile in Italia, la
    Reale sarda, con un contratto, valido dal 1848 al 1850, che lo
    impegnava a fornire annualmente, per un compenso di 3000 lire,
    quattro lavori di almeno due atti ciascuno. 
    
    Sollevato dall'obbligo di presenziare a ogni spettacolo, il G.
    scelse di stabilirsi a Firenze, da dove era tenuto a raggiungere
    Torino, a spese della Reale, soltanto per le prime rappresentazioni.
    Lavorare con la più importante compagnia italiana fu per il
    G. poco redditizio, ma gli garantì prestigio e soddisfazioni,
    grazie al repertorio nazionale, alla minuziosa cura degli
    allestimenti, al buon livello degli attori e alla solida
    organizzazione, che gli permisero di cimentarsi in una produzione
    con più espliciti intenti di impegno civile. 
    
    Le vicende politiche del 1848 incoraggiarono il G. a ultimare Cola
    di Rienzo (1848), rappresentato in autunno a Firenze
    (precedentemente era stato proibito a Torino per i suoi riferimenti
    patriottici). Nel 1849, dopo aver seguito la rappresentazione romana
    di Siamo tutti fratelli, attacco alla falsa filantropia, che, per i
    riferimenti antigesuitici, gli causò la scomunica, il G. si
    recò a Torino, dove finalmente era stata autorizzata la
    rappresentazione del Cola di Rienzo. Nel frattempo la collaborazione
    con la Reale sarda, privata di ogni privilegio dallo statuto
    albertino e minacciata da voci di una prossima soppressione, si
    prolungava oltre i termini previsti dal contratto, anche per la
    disponibilità del G., che compensava la precarietà
    della retribuzione con gli aiuti economici ricevuti da F. Righetti,
    succeduto al padre nella direzione della compagnia.
    
    Nella produzione di quegli anni figurano, insieme con La donna
    (1850), La donna in seconde nozze (1851), Il milionario e l'artista
    (1851) e Corilla Olimpica (1852), alcuni drammi politico-sociali,
    come Le metamorfosi politiche (1849), Gli educatori del popolo
    (1850), Inclinazioni e voti (1851) e La moglie dell'esule (scritto
    nel 1851 e rappresentato nel 1852), ammessi soltanto dalla censura
    del Regno di Sardegna. Spiccava fra questi titoli Inclinazioni e
    voti, ove l'intreccio tragico e ridondante era pretesto per
    denunziare le ingerenze del clero nella vita civile e gli effetti
    dannosi del celibato ecclesiastico.
    Costretto a licenziarsi dalla Reale sarda, definitivamente privata
    dal governo delle sovvenzioni, nel 1853 il G., dopo una breve
    collaborazione con la compagnia di G.P. Zoppetti, lasciò
    Torino e accettò un contratto con l'attrice Fanny Sadowsky,
    per la quale scrisse il dramma storico Elisabetta regina
    d'Inghilterra (1853) - poi interpretato trionfalmente all'estero da
    Adelaide Ristori - che attraverso il personaggio della protagonista
    gli consentiva di coniugare la propria inclinazione all'erudizione
    con le atmosfere tipiche del dramma borghese.
    
    Separatosi dalla moglie infedele al termine della fortunata prima di
    Elisabetta regina d'Inghilterra (Venezia, 2 maggio 1853), il G.,
    rimasto solo con il figlio, scrisse in preda al pessimismo La notte
    del venerdì santo (rappresentato nel 1855) e La colpa vendica
    la colpa, macchinoso racconto di un finto matrimonio che
    ispirò l'Odette di V. Sardou, rappresentato a Treviso nel
    1854 dalla compagnia di G. Leigheb, con la quale da allora
    cominciò a collaborare.
    
    Qualche mese dopo, giunto a Mantova al seguito di alcuni spettacoli,
    il G. conobbe a Gazzuolo una giovane del posto, Luigia Saglio,
    nipote del parroco, e se ne innamorò; fu lei, tra l'altro, a
    ispirargli il dramma Lucrezia Maria Davidson (1854) e a indurlo a
    stabilirsi definitivamente a Gazzuolo, dove il G., oltre a curare la
    salute malferma, ultimò un nuovo dramma storico, Torquato
    Tasso, rappresentato a Mantova nel 1855 e vincitore del terzo premio
    governativo al concorso drammatico di Torino. Non ancora
    ristabilitosi, il G. troncò la collaborazione con la
    compagnia Leigheb rifiutandosi di seguirla a Trieste.
    
    L'ormai consumata pratica teatrale condusse il G. a riflettere, nel
    saggio Della letteratura drammatica in Italia, scritto come Proemio
    alla raccolta, da lui curata, del suo Teatro scelto (I, Mantova
    1857), sui problemi della drammaturgia, attribuiti al frazionamento
    politico della penisola, di cui lo stesso G. fece le spese,
    oscillando tra dramma storico, commedia, tragedia e dramma a tesi,
    per accontentare un pubblico disomogeneo. A questa sua analisi, che
    prevedeva anche un quadro di interventi concreti per sanare la
    situazione del teatro, si intreccia la riflessione teorica sull'arte
    teatrale, apprezzata per il potere persuasivo e le
    potenzialità pedagogiche, predominanti negli intenti del G.
    ma destinate a svanire, insieme con i propositi di realismo, nella
    pratica della scrittura.
    
    Nel 1857, a Madrid, venne rappresentata Giuditta, tragedia biblica
    in versi, vincitrice l'anno seguente del premio governativo al
    concorso drammatico di Torino. Nell'opera, commissionata e
    interpretata dalla Ristori, con la quale il G. intraprese una lunga
    collaborazione, la verità storico-biblica era sottomessa,
    come già in Elisabetta regina d'Inghilterra, alle esigenze
    teatrali della protagonista, la cui vicenda, in bilico tra amor di
    patria e sacrificio di sé, conquistò il pubblico
    borghese, favorendo, nell'imminenza della guerra contro l'Austria,
    la lettura politica della tragedia.
    
    Con Giuditta ebbe così inizio per il G. una nuova fase
    professionale a diretto contatto con il "grande attore", che nel
    secondo Ottocento, forte dei propri meriti nella ripresa del teatro
    postnapoleonico, concepiva l'autore come un artigiano al suo
    servizio. A condizionare la drammaturgia del G. furono E. Rossi, T.
    Salvini, e la Ristori, veri e propri coautori dei testi portati in
    scena, a giudicare dalle variazioni imposte per esempio dal Salvini
    nel Michelangelo Buonarroti e dalla Ristori in Giuditta e nella
    successiva Maria Antonietta, tanto modificata da sembrare, al suo
    esordio italiano del 1868 e contrariamente alle intenzioni del G.,
    un'esaltazione dell'ancien régime. La priorità
    attribuita dagli attori al protagonista, identificabile anche da un
    pubblico straniero, e alla dialettica delle passioni, indusse il G.
    a privilegiare il dramma storico e ad attenuare i consueti toni
    didascalici a favore della componente sentimentale. Ne
    risentì positivamente anche la sua padronanza degli effetti
    scenici.
    
    Dopo i successi in Germania, Polonia e Olanda, nel 1858 Giuditta fu
    portata dalla Ristori e dallo stesso G. a Parigi, dove la censura
    esitò a consentirne la messa in scena, riconoscendo
    nell'opera, anche grazie al nome italiano dell'autore, un infondato
    richiamo al recente attentato di F. Orsini a Napoleone III. Vietata
    dalla polizia nel territorio veneto, Giuditta venne invece permessa
    a Torino, applaudita dal re Vittorio Emanuele II, che, dal Cavour,
    cui aveva chiesto di procurargli il testo del dramma, ricevette con
    il libro la proposta di conferire all'autore la croce di cavaliere
    dell'Ordine dei Ss. Maurizio e Lazzaro.
    Tornato a Gazzuolo nel maggio del 1858, il G. si calò
    più direttamente nel clima patriottico con il discorso in
    memoria dei caduti della guerra, pronunciato a Gazzuolo il 31 luglio
    1859 (Milano 1859), il Cantico di Sicilia (ibid. 1860) e I martiri
    di Belfiore: cronache patrie (Mantova 1890).
    Proprio a seguito del discorso del 1859 fu inevitabile lo scontro
    con il vescovo di Cremona, A. Novasconi, che, informato dai
    reazionari gazzuolesi delle attività del G. e del suo legame
    con la nipote del parroco, gli ingiunse di lasciare la casa di don
    P. Saglio, minacciato di sospensione dalla messa. Il G.
    ubbidì ma rimase a Gazzuolo, subendo fino al maggio del 1860
    la sospensione del decreto di nomina a cavaliere. Nel frattempo un
    nuovo dramma storico, Bianca Maria Visconti, veniva rappresentato
    con successo a Madrid dalla Ristori.
    
    Finalmente, nel maggio 1861, a seguito della recente scomparsa della
    Mozzidolfi, il G. poté sposare la Saglio, da cui ebbe due
    figli, ponendo fine alle maldicenze e ai disagi che gli ispirarono
    la sua opera più famosa, interpretata da E. Rossi nello
    stesso anno, La morte civile, dramma a tesi sulla necessità
    del divorzio religioso nei casi di condanna irreversibile (morte
    civile) di un coniuge. Molto apprezzata, anche grazie
    all'interpretazione del Salvini, giunta nel 1864 a correggere
    l'iniziale insuccesso, l'opera, nella rappresentazione parigina del
    1878, mosse al plauso É. Zola che successivamente, in
    Naturalisme au théâtre (1881), ne rilevò il
    verismo, in realtà attribuibile solo all'efficacia della
    recitazione, capace di attenuare l'eccessiva truculenza e di
    supplire al difetto di gusto e penetrazione psicologica che
    penalizza il sincero spunto del dramma.
    
    Dopo aver lavorato a L'indomani dell'ubriaco (1862), rappresentata
    dalla compagnia Bellotti Bon, il G. incrementò la produzione
    commissionata dai grandi attori, scrivendo per la Ristori Luigia
    Sanfelice (1863), Eponima (1863, mai rappresentato), Figlia e madre
    (1865), Maria Antonietta (1867), Unità morale in famiglia
    (1869) e Renata di Francia (1873); per E. Rossi Ferdinando Carlo di
    Gonzaga, o L'ultimo dei duchi di Mantova (1864); per T. Salvini
    Sofocle (scritto nel 1865, rappresentato nel 1866), Arrigo IV il
    Salico, o La Chiesa e l'Impero (1868, mai rappresentato) e
    Michelangelo Buonarroti (1873).
    Amareggiato da un certo calo di consensi, il G. dovette anche
    affrontare crescenti difficoltà economiche non alleviate
    dalla legge del 1865 sul diritto d'autore, come dimostra il
    comportamento della Ristori che continuò a stabilire
    personalmente il compenso del G., e del Salvini che per 500 lire
    acquistò i diritti di rappresentazione, senza esclusiva ma
    senza limiti di tempo, di La morte civile.
    
    Dopo la scomparsa dei figli Cesare (1867), e David (1870), cui
    è ispirato il dramma Lotta crudele (scritto nel 1874 e
    rappresentato nel 1875), la salute sempre più compromessa
    spinse il G. a trasferirsi nel 1877 a Genova e poi a Novi, dove
    scrisse La lettera anonima (1879), suo ultimo successo. A Gazzuolo
    tornò nella primavera del 1882, riuscendo, nonostante il
    logorio del male, a rimaneggiare l'Arrigo IV il Salico e accettando
    l'incarico di scrivere la storia del teatro ligure affidatogli dal
    Comune di Genova, che voleva sostenere lo scrittore con un compenso
    mensile di 150 lire.
    
    Il lavoro rimase incompiuto per la morte del G., sopraggiunta nella
    sua casa di Nocegrossa, frazione di Gazzuolo, il 31 ag. 1882.