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sommario: 1. Significato e definizione di geopolitica. 2. Origine e
sviluppo della geopolitica. 3. I precursori del pensiero geopolitico
e la sua evoluzione fino al termine del periodo bipolare. 4. La
geopolitica in Italia. 5. Il futuro della geopolitica: spunti
operativi, epistemologici e metodologici. □ Bibliografia.
1. Significato e definizione di geopolitica
Non esiste una definizione universalmente accettata di geopolitica,
anche se, come dice lo stesso nome, si tratta di una disciplina che
studia l'influsso che i fattori geografici hanno sulla politica
degli Stati - in particolare sulla politica estera, ma non solo su
quella - e quindi sulla storia delle varie entità politiche e
dell'insieme dell'umanità.
Incerte sono le differenze fra la geopolitica e la geografia
politica applicata da un lato e fra la geopolitica e la geostrategia
dall'altro. Tali termini, infatti, vengono frequentemente impiegati
come sinonimi di geopolitica.
Esistono una concezione 'allargata' e una concezione 'ristretta' di
geopolitica (v. Strassoldo, 1985). Nell'accezione allargata la
geopolitica è sinonimo di geografia politica applicata e
studia i condizionamenti e le influenze esercitati dai fattori
geografici sulla politica - soprattutto estera - degli Stati.
L'accezione ristretta si riferisce essenzialmente alla Scuola
tedesca di Monaco di Baviera degli anni 1920-1945, che ha inteso la
geopolitica come una vera e propria scienza che studia il
condizionamento deterministico esercitato dai fattori geografici, in
particolare da quelli spaziali, sulla politica. Questa concezione
era collegata a particolari dottrine politiche, quali quelle della
'politica di potenza', dello Stato come organismo vivente,
dell'autarchia e della nazione come entità naturale
indipendente dallo Stato, di natura sostanzialmente astorica. La
geopolitica si proponeva di fornire allo Stato una "coscienza
geografica", che Portinaro (v., 1982) considera una "geologia della
politica", e pretendeva di individuare gli interessi nazionali e le
direttrici 'naturali' di espansione, fornendo in tal modo alla
politica obiettivi e strategie. Di fatto si rivelò strumento
di giustificazione e di propaganda di un determinato progetto
politico, quello cioè della rivincita tedesca dopo la
sconfitta subita nella prima guerra mondiale. Per questo la
geopolitica di Haushofer è fortemente ideologica. Non
è eccessivo dire che, nonostante il suo intento scientifico,
avesse la tendenza a trasformarsi addirittura in una metafisica (v.
Gallois, 1990). La geopolitica diveniva nomotetica, cercando di
conferire un fondamento naturalistico alla politica, sulla base di
un determinismo ambientale.
La distinzione fra le due accezioni non è però netta.
Anche la Scuola geopolitica di Monaco di Baviera degli anni
venti-trenta, che ha dato l'interpretazione più
deterministica della geopolitica, ponendola al servizio dei progetti
di rivincita tedesca prima e del nazismo poi, è stata
estremamente ambigua al riguardo. Il suo principale esponente, Karl
Haushofer, ha sostenuto infatti che la geopolitica interviene con
una propria individualità solo dopo che è stata
assunta un'idea politica. La definizione proposta dalla commissione
costituita dalla redazione della rivista "Zeitschrift für
Geopolitik": "La geopolitica è la scienza che studia i fatti
politici rispetto alla loro dipendenza dall'ambiente geografico",
riportata nel Dizionario di politica, a cura del Partito Nazionale
Fascista, vol. II, Roma 1940, p. 250, e quella data da Haushofer:
"La geopolitica è il fondamento scientifico intorno all'arte
dell'attività politica nella lotta per l'esistenza che
conducono gli Stati rispetto alla superficie che è loro
necessaria" (ibid.) differiscono fra di loro per semplici sfumature.
Mentre nella prima fra geografia e politica viene tracciata una
relazione di quasi causalità, nella seconda viene indicata
una relazione più sfumata e al tempo stesso più
complessa, in cui la geopolitica diventa una 'geografia dell'uomo di
Stato'.
A parte le due definizioni estreme su cui ci siamo finora
soffermati, ne esistono innumerevoli altre, tra cui ricordiamo
quella di Ernesto Massi (v., 1986, p. 7), condirettore della rivista
"Geopolitica", pubblicata a Milano tra il 1939 e il 1942: "La
geopolitica è la scienza che studia i fatti politici nella
loro dipendenza dall'ambiente geografico"; quella del generale
Jordis von Lohausen (v., 1979): "La geopolitica è la
disciplina che studia i rapporti fra gli spazi geografici e la
potenza politica e militare"; e infine quella dell'Oxford
dictionary: "La geopolitica è lo studio dell'influenza della
geografia sul carattere politico degli Stati, sulla loro storia,
sulle istituzioni e soprattutto sulle relazioni con gli altri
Stati".
Altre definizioni che possono contribuire a una maggiore
comprensione del termine sono quella elaborata dal Gruppo di ricerca
sulla geostrategia della Fondation pour les Études de
Défense Nationale, secondo cui "la geopolitica studia le zone
di influenza, mentre la geostrategia ha come oggetto principale lo
studio delle zone cuscinetto che proteggono le zone di influenza"
(in "Stratégique", 1991, n. 50, p. 88) o quella di Yves
Lacoste (v., 1991) che, riprendendo per certi versi le concezioni di
Carl Schmitt sul 'senso dello spazio', ha proposto di riferire la
definizione di geopolitica al dibattito interno ai vari Stati sulla
rispettiva politica estera, e quella di geostrategia ai rapporti fra
gli Stati, soprattutto alle loro relazioni competitive nel campo
della politica estera e di sicurezza.
La geopolitica non si riferisce solo alla politica estera, ma anche
a quella interna: tra di esse esistono strette relazioni e spesso
rapporti di subordinazione della prima rispetto alla seconda.
Geopolitica interna è la disciplina che studia il modo in cui
gli Stati esercitano il dominio sul loro territorio e l'organizzano.
Il significato e la natura della geopolitica dipendono dalle
relazioni che si presuppongono esistere fra uomo e ambiente. Esse
possono essere di cinque tipi (v. Sprout e Sprout, 1957): il
determinismo, il possibilismo e il probabilismo ambientali, il
comportamentismo cognitivo e l'ambientalismo di libera
volontà. Nel determinismo ambientale l'uomo non ha scelta: la
storia e la politica sono determinate dalla geografia, dal clima,
ecc. Secondo il possibilismo ambientale, l'ambiente è una
specie di matrice che limita i risultati operativi delle azioni.
Dice più quello che non si può fare che quanto si
può fare. Tali limitazioni sono però modificabili con
la tecnologia. Il probabilismo ambientale associa un valore di
probabilità a ciascuna delle possibilità offerte
dall'ambiente. Si tratta di una probabilità soggettiva,
calcolata sulla base della generalizzazione delle esperienze passate
e del sistema di valori di chi la formula. Il comportamentismo
cognitivo afferma che una persona reagisce all'ambiente nel modo
dettatole dalla sua cultura e dalla sua esperienza. Quello che
influisce sulla decisione non è l'ambiente, ma il modo in cui
s'immagina e si concettualizza l'ambiente. Il 'senso dello spazio'
di Carl Schmitt costituisce un'applicazione di questa
interpretazione delle relazioni anche indirette esistenti fra
l'ambiente e l'azione umana. Secondo l'ambientalismo di libera
volontà, l'ambiente offre una gamma di possibilità
alternative d'azione, tra cui chi deve decidere sceglie liberamente
la soluzione che ritiene preferibile.
Mentre la prima interpretazione dei rapporti fra ambiente e uomo
corrisponde alla definizione 'ristretta' di geopolitica, le altre
sono coerenti con la definizione 'allargata' del termine e sono
compatibili, se non addirittura complementari, fra loro. Ad esempio,
nell'individuazione delle opzioni decisionali possibili predomina
sicuramente quel tipo di approccio che gli Sprout denominano
"possibilismo ambientale". Nella scelta della linea d'azione da
seguire si utilizzano invece, almeno implicitamente, criteri
stocastici, così come prevede il probabilismo ambientale.
Sulla definizione delle probabilità soggettive, nonché
sulla valutazione degli effetti di ciascuna opzione alternativa,
influiscono la cultura e l'esperienza (non solo storica) di chi
decide, oltre alla geografia e al suo impatto sull'individuo.
Ciò è in linea con gli assunti del comportamentismo
ambientale.
In ogni caso, la trasformazione del dato geografico in un dato
politico, ad esempio ai fini dell'individuazione delle possibili
capacità, richiede sempre un momento progettuale. È
infatti senza significato parlare di capacità in astratto. Le
capacità sono sempre capacità di fare qualcosa e
quindi possono essere valutate solo in relazione a fini politici ben
precisi, la cui definizione è sicuramente influenzata dalle
percezioni derivate dalla cultura, dalla storia e dalla geografia.
La concettualizzazione dello spazio è politica, non
geografica.
Taluni ritengono che sarebbe corretto limitare l'utilizzazione del
termine geopolitica ai lavori della Scuola tedesca di Monaco e di
quelle che vi si ispirano, soprattutto in Italia e in Giappone.
Ciò è peraltro reso impraticabile dal successo che il
termine geopolitica ha avuto negli ultimi anni nel linguaggio
comune, per indicare gli aspetti geografici della politica,
cioè le influenze e i condizionamenti dell'ambiente naturale
e umano sulle scelte politiche. Va quindi ritenuta l'accezione
allargata della geopolitica e, quindi, la relativa indeterminatezza
del termine.
2. Origine e sviluppo della geopolitica
Qualsiasi discorso sulle origini e sullo sviluppo della geopolitica
è condizionato dall'accezione che viene data al termine.
Nella definizione allargata, di geografia politica applicata,
è evidente che le origini della geopolitica sono le stesse
della politica e della geografia. Risalgono cioè agli albori
della storia. La politica, come la strategia o come l'economia, non
può prescindere dalla collocazione nello spazio dei fenomeni
politici, o strategici ed economici né dalle
opportunità o dai condizionamenti posti alle valutazioni e
alle scelte dai fattori geografici, sia naturali che antropici. In
questo senso, insomma, la storia della geopolitica si identifica
praticamente con quella della scienza politica e soprattutto delle
relazioni internazionali da un lato, e della geografia politica
applicata dall'altro.
Più precise, invece, sono le origini della geopolitica in
senso stretto. L'origine immediata della geopolitica va infatti
collegata con il grande sviluppo che ebbero le scienze geografiche
nel XIX secolo, con le teorie politiche che si affermarono
soprattutto in Germania (in particolare quella dello 'Stato
potenza') e col successo delle teorie darwiniane sull'evoluzione
delle specie viventi, che furono estese per analogia agli aggregati
sociali e politici. La geopolitica ha voluto costituire una sorta di
dottrina naturale della politica, tentando di dare a quest'ultima
una base empirica fondata sulla geografia, con la dichiarata
aspirazione a trasformarsi in scienza politica globale. Con
ciò si è contrapposta all'hegelismo, allo storicismo e
all'economicismo, giudicati insufficienti a spiegare le ragioni
profonde delle preferenze e delle scelte politiche, in particolare i
motivi della definizione degli interessi nazionali e delle 'grandi
strategie' per conseguirli.Il termine geopolitica fu introdotto da
un sociologo e uomo politico svedese, Rudolf Kjellen (v., 1916), che
sostenne una concezione biologica dello Stato fondata
sull'evoluzione, sintesi di cinque componenti coordinate una delle
quali era appunto la 'geopolitica'. Le altre erano
l''economopolitica', la 'demopolitica', la 'sociopolitica' e la
'cratopolitica'. Kjellen rivestì con i panni delle scienze
naturali la concezione organica dello Stato, propria dei politologi
tedeschi dell'inizio del XIX secolo, fondendola con la visione di
Ratzel sulla natura evolutiva dell'universo e sullo Stato come
organismo vivente. Mentre Ratzel aveva precisato che quando
paragonava lo Stato a un organismo intendeva impiegare solo una
metafora, Kjellen invece sostenne che lo Stato è un vero e
proprio organismo dotato di qualità biologiche, come la
nascita, lo sviluppo, la vecchiaia e la morte, la cui evoluzione
risulta dall'interazione interna e da quella con l'ambiente esterno
delle cinque componenti sopra ricordate. Per quanto riguarda
più specificamente il contenuto programmatico e propositivo
delle sue argomentazioni, Kjellen sostenne la centralità
della Germania nell'avvenire del mondo. Infatti egli notava che essa
era posta al centro delle grandi aree di crisi e di competizione
mondiale: con la Francia a ovest, con la Russia a est, con
l'Inghilterra per il dominio dei mercati mondiali.
Per gli esiti della prima guerra mondiale la Germania fu
notevolmente ridimensionata sotto il profilo territoriale. Diversi
milioni di Tedeschi, per ragioni geostrategiche e in palese
contraddizione con il conclamato diritto di autodeterminazione dei
popoli, furono incorporati in altri Stati. Le teorie geopolitiche
furono considerate - soprattutto dal generale Karl Haushofer
(1869-1946) divenuto, con la costituzione dell'Istituto di
Geopolitica di Monaco di Baviera, il vero caposcuola se non
l'incarnazione stessa del pensiero geopolitico tedesco - come un
mezzo per ispirare e stimolare la rivincita della Germania e per
guidarla a un nuovo 'assalto' al potere mondiale. Haushofer, pur
rifacendosi direttamente a Kjellen, ridusse le sue cinque componenti
dell''organismo Stato' alla sola geopolitica, assorbendo
sostanzialmente in essa il contenuto delle altre quattro. Egli
esaltò l'importanza degli aspetti spaziali e soprattutto del
concetto di 'spazio vitale', a suo tempo introdotto da Ratzel e da
tutti gli economisti che sostenevano la necessità di
un'economia autarchica (Hamilton, List, ecc.; v. Earle, 1986).
Le teorie di Haushofer ebbero particolare successo perché
erano funzionali al programma di ricostituzione della potenza
tedesca. Influirono, anche se verosimilmente in modo non diretto,
sulla formulazione degli interessi nazionali tedeschi e sulla
pianificazione della politica di espansione del Terzo Reich. Furono
però anche contraddette dalla politica hitleriana (v.
Korinman, 1990). Ad esempio, uno degli assunti fondamentali della
scuola di Haushofer, quello della necessità che la Germania
mantenesse rapporti pacifici con l'Unione Sovietica, fu del tutto
ignorato dall'attacco hitleriano del giugno 1941. Le teorie di
Haushofer vennero utilizzate per l'azione di propaganda e di
educazione della gioventù tedesca e furono integrate nel
sistema scolastico-educativo della Germania nazista, divenendo un
poderoso strumento di coesione interna e di acquisizione del
consenso delle masse. Su Haushofer influirono anche altre
concezioni, quale quella geostrategica elaborata dal geografo
britannico Halford MacKinder (v. cap. 3).
Come si è detto, la geopolitica ebbe con Haushofer la pretesa
di trasformarsi in una vera e propria scienza normativa delle scelte
politiche. In realtà, come ampiamente dimostrato, si
trattò di una pseudoscienza, uno strumento di propaganda che
si avvaleva del potere persuasivo e della possibilità di
manipolazione delle rappresentazioni cartografiche, e della
strumentalizzazione di dati statistici opportunamente selezionati,
attribuendo oggettività e necessità alle conclusioni a
cui perveniva. È questa una tentazione costante di qualsiasi
uomo di azione che, per propagandare o per giustificare le proprie
scelte, tende sempre ad attribuire a esse il carattere di
obbligatorietà o di necessità, naturale o divina.
La concettualizzazione dello spazio, le sue delimitazioni, le scale
cartografiche e i fattori geografici naturali e umani da prendere in
considerazione, insomma tutti gli elementi necessari per 'pensare lo
spazio', non possono essere definiti oggettivamente, al di fuori
degli interessi, dei progetti e del sistema di valori che ispirano
lo studioso, soprattutto quando questi elementi vengono utilizzati
per l'elaborazione di scelte politiche, strategiche e anche
economiche.
L'impostazione della Scuola geopolitica di Haushofer ebbe successo
soprattutto in Giappone e in Italia (v. cap. 4). Il suo determinismo
e assolutismo furono oggetto di numerose critiche nella stessa
Germania (v. Maull, 1939), ma soprattutto in Francia (v. Ancel,
1938) e anche in Italia (cfr. "Geopolitica", 1939-1942).
Con la sconfitta del nazismo, il termine geopolitica cadde in
disuso. Il tentativo di riprendere la pubblicazione della rivista in
Germania, nel 1951, si arenò immediatamente. L'attuale
utilizzazione del termine geopolitica prescinde dall'affermazione di
ogni determinismo ambientale.
3. I precursori del pensiero geopolitico e la sua evoluzione fino al
termine del periodo bipolare
Tutti gli storici, i geografi, i sociologi, i politologi, ecc. hanno
sempre considerato, implicitamente o esplicitamente, l'influsso dei
fattori geografici, sia naturali che umani, sulla politica e sulla
storia, sulla distribuzione dei popoli e degli imperi e sulla loro
organizzazione politica, sociale, economica e militare.
Le tematiche principali sono state quelle dell'opposizione fra mare
e terra, fra popoli nomadi e sedentari, fra popoli montani e
marittimi, e quelle relative all'influsso del clima sulle
caratteristiche e sugli interessi politici degli Stati. In tal
senso, il pensiero geopolitico può essere fatto risalire agli
albori della civiltà, alla Bibbia, a Strabone, ad Aristotile,
a Erodoto. Esso si sviluppò poi nel XVI e nel XVII secolo, in
particolare con Jean Bodin, con Montesquieu e le sue teorie
sull'importanza del clima, e con il cardinale Richelieu, che
anticipa con il concetto di 'frontiera naturale' quello di 'spazio
vitale' (in realtà il concetto di frontiera naturale
corrisponde a un obiettivo di autarchia strategica, mentre quello di
spazio vitale - Lebensraum - dei geopolitici tedeschi si riferisce a
un'autarchia economica).
Geopolitici sono anche i dettagliati rapporti degli ambasciatori
veneti, nonché le concezioni dei grandi uomini degli Stati
moderni, che concepiscono l'organizzazione degli spazi geografici
come strumento di dominio e di potere interno ed esterno. Basti
pensare all'urbanistica di Cosimo de' Medici o alla 'geografia
volontaria' del Vauban o alle proposte di Friedrich List di
costruzione della rete ferroviaria tedesca per consentire alla
Germania un'agevole manovra delle forze per linee interne fra ovest
ed est, trasformandola in una fortezza, e per estendere la sua
influenza all'esterno con linee ferroviarie di penetrazione, prima
fra tutte quella fra Berlino e Baghdad.
Geopolitiche sono state anche le teorie mercantiliste, a cui, pur
con tonalità e orientamenti diversi, fecero riferimento
economisti come Adam Smith, Alexander Hamilton e soprattutto
Friedrich List (v. Earle, 1986), fautori di uno sviluppo industriale
la cui premessa - per gli ultimi due almeno - era costituita da
misure protezionistiche che consentissero di raggiungere una
competitività e un'autarchia di base. Geopolitica è
anche la tesi del manifest destiny degli Stati Uniti, destinati per
influsso e volontà naturali o divini a dominare il continente
posto fra l'Atlantico e il Pacifico. Tesi che tanta
popolarità ebbe a Washington, soprattutto fra il 1830 e il
1860, e che è poi riecheggiata negli appelli, tanto comuni
nella storia americana, alla 'nuova frontiera'.
Tutte queste considerazioni hanno un significato storico, ma non
rivestono un interesse attuale, se non del tutto marginale. Infatti,
la straordinaria trasformazione dei rapporti fra uomo e natura,
derivata dal progresso tecnologico nei settori della produzione, dei
trasporti, delle telecomunicazioni e dei sistemi militari, ha
modificato non tanto gli aspetti fisici dello spazio - anche se
questi ultimi sono stati trasformati, con una rapidità e in
una misura sconosciute nel passato, dall'azione dell'uomo,
cioè dal sovrapporsi alla geografia naturale di una geografia
volontaria: basti pensare al canale Reno-Danubio e a quelli
progettati Danubio-Oder e Adriatico-Bratislava - quanto l'importanza
del loro impatto sulla politica estera e di sicurezza,
sull'economia, ecc. Ad esempio, il passaggio dall'agricoltura
estensiva a quella intensiva e l'importanza delle dimensioni
'verticali' della produttività, del know-how tecnologico e
del mercato rispetto alle dimensioni 'orizzontali' dell'agricoltura
e delle materie prime hanno rivoluzionato il panorama della potenza
e della ricchezza mondiali. Parimenti, il progresso tecnologico dei
mezzi bellici ha 'deterritorializzato' la strategia sia a livello
mondiale, con i missili intercontinentali e le armi nucleari, sia a
livello di operazioni regionali. Attualmente le 'armi intelligenti'
e i sistemi satellitari e aeroportati di sorveglianza e di
acquisizione obiettivi consentono di distruggere un avversario a
grande distanza, senza giungere a suo diretto contatto fisico e
senza occupare materialmente il territorio su cui è
schierato. Alle dimensioni tradizionali del mare e della terra si
sono aggiunte quelle aerospaziali, talché taluni studiosi (v.
Strassoldo, 1985) hanno sostenuto che la geopolitica militare (o
geostrategia) moderna dovrebbe essere incentrata non sul binomio
'terra-mare', come quella tradizionale, ma sul quadrinomio 'terra,
acqua, aria e fuoco', già considerato dai filosofi
presocratici, dove il fuoco indica le dimensioni temporali,
tecnologiche, in altre parole, dinamiche delle relazioni
ambiente-tecnologia-politica. Altri ancora (v. Zorzi, 1990)
sostengono che le nuove condizioni consigliano di adottare anche in
campo geopolitico una griglia interpretativa di tipo newtoniano:
spazio, tempo, energia e massa. Nella politica, come nella strategia
militare, dovrebbero essere considerate le coppie spazio/tempo ed
energia/massa.
A parte i precursori più remoti del pensiero geopolitico, di
maggiore interesse per comprendere i problemi attuali sono le teorie
globali (che più che geopolitiche sono geostrategiche)
formulate nel secolo scorso e nella prima parte di questo secolo da
classici come Mahan, MacKinder e Spykman. Alfred Thayer Mahan (v.,
1890 e 1898) prende le mosse da una riflessione storica sulle guerre
puniche per sostenere l'importanza della potenza marittima per gli
Stati Uniti, non tanto come misura di difesa contro la supremazia
navale britannica, quanto come strumento di sostegno dell'espansione
economica statunitense, sia nell'Atlantico che nel Pacifico. In un
certo senso le teorie di Mahan, che spesso riecheggiano in opere di
studiosi più moderni e che costituiscono un riferimento
(anche corporativo) della potente lobby della US Navy, e in generale
di tutte le Marine del mondo (anche di quella sovietica
dell'ammiraglio Sergej Gorskov), trasformarono la dottrina Monroe da
difensiva e isolazionista in espansionista, interventista e
imperialista. Alle teorie di Mahan fece sicuramente riferimento - se
non trasse addirittura ispirazione - Ratzel nella sua campagna a
sostegno del riarmo navale tedesco promossa dall'ammiraglio Tirpitz
a cavallo del secolo.
Il geografo britannico Halford MacKinder (v., 1904, 1919 e 1943) si
basò su una premessa differente: il declino dell'assoluta
superiorità dell'Inghilterra, che aveva permesso la pax
britannica del XIX secolo, di fronte allo sviluppo della potenza
della Germania e della Russia, incrementata dall'avvento delle
ferrovie che consentiva la mobilità delle energie latenti
delle potenze continentali. Aumentando la mobilità strategica
in terra e diminuendo il costo dei trasporti, tale sviluppo
costituiva una sfida diretta alla superiorità dei trasporti
marittimi, fondamento della potenza britannica. MacKinder espresse
queste sue preoccupazioni contingenti e le sue proposte sul come
frenare e possibilmente arrestare il declino della potenza
britannica, elaborando una sintesi storico-universale, a cui le
successive schematizzazioni cartografiche attribuirono un carattere
di determinismo e di assolutismo verosimilmente molto più
radicali delle idee dello stesso autore. L'"asse della storia"
è costituito dalla "terra centrale" (heartland),
rappresentata dall'"isola del mondo", cioè dalla massa
continentale euroasiatica. L'unione della massa continentale,
conseguente all'alleanza dei popoli germanici e di quelli slavi,
ovvero all'espansione della Germania verso est o della Russia verso
ovest, consentirebbe loro di dominare il mondo. Alla potenza della
terra centrale si contrappongono due archi di isole e di penisole:
uno interno (inner marginal crescent), costituito dalle isole e
dalle penisole che circondano il continente euroasiatico, il secondo
esterno (outer o insular crescent), formato dalle Americhe,
dall'Africa subsahariana e dall'Oceania. Le teorie di MacKinder
influirono sulla definizione degli assetti territoriali dell'Europa
centrale e orientale stabiliti nei Trattati di Versailles e del
Trianon, dando vita a una fascia di Stati cuscinetto per separare la
Germania dall'Unione Sovietica, la cui sopravvivenza sarebbe stata
garantita dai paesi costituenti l'inner crescent. Sicuramente le
teorie di MacKinder (v., 1943) influirono sulla definizione della
'dottrina Truman', di contenimento dell'espansione sovietica dopo il
secondo conflitto mondiale, e anche sull'affermazione dell'interesse
statunitense - del tutto funzionale al confronto globale Stati Uniti
- Unione Sovietica - alla ripresa economica, al rafforzamento e
all'integrazione dell'Europa occidentale.
Karl Haushofer e la Scuola geopolitica di Monaco presero le mosse
dalle teorie di MacKinder, ribaltandone le conclusioni e fondando il
programma di ripresa della Germania sull'alleanza con l'Unione
Sovietica, per dividersi la fascia cuscinetto e spezzare
l'accerchiamento delle potenze occidentali dell'inner crescent. In
sostanza Haushofer collocò la "terra centrale", che è
anche il pivot of history, non nell'Asia centrale, come aveva fatto
MacKinder, ma nella Germania. Tale politica sembrò riuscire
con gli accordi di Monaco prima e con il Patto Molotov-Ribbentrop
dopo, ma soprattutto per il fatto che le potenze occidentali, in
particolare la Francia, non si erano dotate di un esercito con
capacità offensive di invasione della Germania, in grado di
garantire la sopravvivenza della fascia degli Stati cuscinetto
creati a Versailles per dividere i popoli germanici dalla Russia.
L'americano Nicholas John Spykman (v., 1942 e 1944) si è
confrontato con una situazione diversa. La seconda guerra mondiale,
così come la prima e, precedentemente ancora, le guerre
napoleoniche, aveva dimostrato che la zona di origine delle
perturbazioni politiche mondiali era costituita dalla fascia
peninsulare dell'Europa occidentale. Anche il dominio giapponese nel
Sudest asiatico costituirebbe una minaccia per gli interessi degli
Stati Uniti, che sono quindi portati 'naturalmente' a un'alleanza
con la Russia e a una politica di presenza, divisione ed equilibrio
in tali zone, per evitare l'emergere di una potenza egemone. Questa
visione geopolitica, propria della grande strategia americana nel
corso del secondo conflitto mondiale, sta riacquistando importanza
con la fine della guerra fredda e con il collasso dell'Impero
sovietico e della stessa URSS. Le valutazioni iniziali di Spykman
furono interpretate in modo distorto nell'immediato dopoguerra,
facendo ritenere che esse - invece delle teorie di MacKinder -
fossero alla base della dottrina del containment, nonché
delle altre dottrine (come quelle del domino, del coupling, del
linkage, della continental strategy, dell'horizontal escalation,
della maritime strategy, ecc.) che tanto influsso hanno avuto sulla
formulazione della politica statunitense nel dopoguerra, più
per la loro capacità propagandistica e di penetrazione nei
mass media che per il loro contributo sostanziale.
Tra i geopolitici del secondo dopoguerra, anche se spesso non si
sono detti e non si sono considerati tali, va ricordato in
particolare Saul Cohen (v., 1963), che ha rappresentato la
distribuzione spaziale della politica mondiale in termini di nuclei
e di fasce discontinue. In questo ha ripreso le tesi di James
Fairgrieve (v., 1915), che incentra la sua attenzione sulle 'zone di
frattura' (fault zones) interposte fra le potenze egemoniche
regionali e fra il blocco marittimo e quello continentale; si
è così contrapposto agli studiosi più
strutturalisti, che ponendo in rilievo la stretta interdipendenza
funzionale di tutte le regioni del mondo, specie di quelle poste in
corrispondenza della linea del containment, ne hanno sostenuto la
continuità. Sostenitori di questo approccio furono i fautori
della teoria del domino, come Walt Rostow e Maxwell Taylor, i quali
si schierarono a favore dell'intervento americano nel Vietnam. Saul
Cohen propose invece una metodologia multidimensionale (storica,
morfologica, funzionale, behaviorista, sistemica e dell'analisi di
potenza) per affrontare i problemi geopolitici, convinto appunto che
la stessa geopolitica non avesse un'identità specifica
propria, ma fosse un centro di attrazione e di catalizzazione di
discipline diverse.
Fra gli autori e le idee di questi ultimi decenni vanno inoltre
ricordati Colin Gray (v., 1977), che riprende sostanzialmente le
teorie di MacKinder, di Spykman e in parte di Mahan; le teorie di
Lin Biao sulla contrapposizione fra città e campagna, che
tanto influsso ebbero sulle strategie delle guerre rivoluzionarie e
che, sotto forme e in contesti del tutto diversi, sembrano essere
riprese dalla Chiesa cattolica nella sua politica di
evangelizzazione del Terzo Mondo a est e a sud, a premessa della
riconquista dell'Occidente materialista, consumista e capitalista;
le considerazioni di Zbigniew Brzezinski sull''arco della crisi',
esteso dal Marocco all'Asia centrale, che sembrano trascurare le
peculiarità regionali e nazionali; infine, le teorie della
sovraestensione degli imperi, che riprendono e sviluppano quelle di
Arnold Toynbee, la cui più nota formulazione è
contenuta nello studio di Paul Kennedy (v., 1987). Esse prendono in
considerazione il collasso del mondo bipolare e l'emergere di uno
multipolare e di un'incontrollabile diffusione di potenza.
A tali visioni della multipolarità e della frammentazione del
sistema globale sono per molti versi connesse la distinzione che
spesso viene fatta fra 'centro' e 'periferia' e l'utilizzazione di
'cerchi' concentrici per illustrare le zone di influenza o quelle di
interesse politico, economico o strategico dei vari Stati, a livello
locale, regionale o globale. Le dimensioni di tali zone dipendono
dall'entità della potenza di cui ciascuno Stato dispone e si
fondano sull'assunto di un'attenuazione progressiva sia degli
interessi che del potere, a mano a mano che ci si allontana dal
centro e si va verso la periferia.Il pensiero marxista-leninista ha
sistematicamente trascurato l'influsso e i condizionamenti non solo
dell'ambiente naturale, ma anche degli altri fattori geografici,
fatta eccezione per quelli economici. Infatti, fautore di un altro
tipo di determinismo, esso poneva l'economia e non la politica al
centro delle relazioni internazionali. Questo è successo,
beninteso, più nella teoria che nella prassi
politico-strategica di Mosca. Basti pensare alle reazioni
all'accerchiamento geografico, proprio dell'esperienza storica
russa, o alla tendenza a sviluppare il potere marittimo come mezzo
per trasformare l'URSS da potenza regionale a potenza mondiale,
sviluppando tematiche molto simili, oltre che a quelle di Mahan,
anche a quelle che Ratzel adduceva a sostegno del programma di
riarmo navale tedesco di fine Ottocento. D'altronde, la metodologia
denominata 'della correlazione delle forze', utilizzata dal vertice
politico-strategico sovietico per determinare possibilità e
condizionamenti all'azione dell'URSS nel mondo, attribuisce grande
importanza all'impatto dei fattori geografici sulle decisioni
relative alla definizione degli obiettivi da perseguire
nonché alle modalità strategiche con cui
conseguirli.In un campo del tutto differente va ricordato che le
motivazioni di base dell'istituzione della Comunità Europea
del Carbone e dell'Acciaio furono di natura squisitamente
geopolitica. Per evitare nuovi conflitti tra Francia e Germania si
pensò infatti di porre sotto il controllo di
un'autorità sovranazionale il carbone e l'acciaio,
considerati allora i fondamenti della potenza militare.
Da questa breve rassegna, tutt'altro che esaustiva, delle varie
teorie geopolitiche elaborate nel secondo dopoguerra risulta che
tutte hanno avuto - come era peraltro naturale - la tendenza a
trasformarsi, da analitiche e descrittive, in dottrine normative, di
guida e di giustificazione delle decisioni politiche. Risulta
inoltre evidente la stretta relazione fra tali elaborazioni
concettuali e i problemi contingenti con cui i loro autori hanno
dovuto di volta in volta confrontarsi, nonché il carattere
quasi sempre giustificativo di progetti politici preconfezionati e
talvolta subordinati a finalità di lotta politica interna ai
singoli Stati.
Questo costituisce il problema cruciale per una geopolitica che si
proponga veramente di contribuire in modo originale alla definizione
degli interessi e degli obiettivi politici degli Stati,
anziché essere solo meramente giustificativa, cioè
strumento di propaganda di decisioni assunte per tutt'altri motivi e
in ambiti diversi, che manipolano le opinioni pubbliche al fine di
acquisirne il consenso. Tale deformazione è facilitata dalla
semplificazione propria delle rappresentazioni cartografiche e dalla
loro intrinseca forza persuasiva, simile a quella degli slogans.
La 'nuova' geopolitica ha mutuato vari aspetti da quella precedente,
in particolare dalla Scuola tedesca di Haushofer, di cui peraltro,
almeno in linea di principio, rifiuta il dogmatismo e il
determinismo geografico: l'importanza di approcci globali e
sintetici, conseguenti anche al fatto che i parametri considerati
trovano una comune base spaziale; l'affermazione della rilevanza
della conoscenza dei dati geografici per la politica; le
modalità di rappresentazione geopolitica (direzioni, frecce,
cerchi, sfumature di colore per inserire sulla carta i dati
statistici ritenuti rilevanti), che erano state grandemente
perfezionate nell'ambito della Scuola tedesca e che consistono, in
pratica, nella sovrapposizione di segni geopolitici alle carte
geografiche.