Giovanni Gentile

 

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Giovanni Gentile (Castelvetrano, 30 maggio 1875 – Firenze, 15 aprile 1944) è stato un filosofo e pedagogista italiano. Fu insieme a Benedetto Croce uno dei maggiori esponenti del neoidealismo filosofico, un importante protagonista della cultura italiana nella prima metà del XX secolo e una delle figure di spicco del fascismo italiano.

Biografia

Gentile nasce nel 1875 da Giovanni, farmacista, e Teresa Curti, figlia di un notaio. Vive la sua infanzia a Campobello di Mazara e poi frequenta il ginnasio e il liceo Ximenes a Trapani. Vince quindi il concorso per quattro posti di interno della Scuola Normale Superiore di Pisa, dove si iscrive alla facoltà di Lettere e Filosofia: qui ha come maestri, tra gli altri, Alessandro D'Ancona, professore di letteratura, legato al metodo storico e al positivismo e di idee liberali; Amedeo Crivellucci, professore di storia; e Donato Jaia, professore di filosofia, hegeliano seguace di Spaventa; che influirono molto sul suo pensiero filosofico da adulto. Dopo la laurea nel 1897 ed un corso di perfezionamento a Firenze, Gentile ottiene una cattedra in filosofia presso il Convitto Nazionale Mario Pagano di Campobasso. Nel 1900 si sposta al liceo Vittorio Emanuele di Napoli. Nel 1901 sposa Erminia Nudi, conosciuta a Campobasso: dal loro matrimonio nasceranno Teresa (1902), Federico (1904), i gemelli Gaetano e Giovanni junior (1906), Benedetto (1908) e Fortunato (1910). Nel 1902 ottiene la libera docenza in filosofia teoretica e l'anno successivo quella in pedagogia. Ottiene poi la cattedra universitaria, prima all'Università di Palermo (1906-1914, storia della filosofia), dove frequenta il circolo Giuseppe Amato Pojero. Poi all'università di Pisa (fino al 1919, filosofia teoretica) ed infine alla Sapienza di Roma (già dal 1917 Professore ordinario di Storia della Filosofia, e nel 1926 Professore ordinario di Filosofia teoretica). Gentile ai tempi del direttorato alla Scuola Normale di Pisa (1928-36 e 1937-43). È stato Professore ordinario di Storia della filosofia all'Università di Palermo (27 marzo 1910), Professore ordinario di Filosofia teoretica all'Università di Pisa (9 agosto 1914), Professore ordinario di Storia della Filosofia all'Università di Roma (11 novembre 1917), Professore ordinario di Filosofia teoretica alla Università di Roma (1926), Commissario della Scuola normale superiore di Pisa (1928-1932), Direttore della Scuola normale superiore di Pisa (1932-1943) e Vicepresidente dell'Università Bocconi di Milano (1934-1944).

Durante gli studi a Pisa incontra Benedetto Croce con cui intratterrà un carteggio continuo dal 1896 al 1923: argomenti trattati dapprima la storia e la letteratura, poi la filosofia. Uniti dall'idealismo (su cui avevano comunque idee diverse), combattono insieme la loro battaglia intellettuale contro il positivismo e le degenerazioni dell'università italiana. Insieme fondano nel 1903 la rivista La critica, per contribuire al rinnovamento della cultura italiana: Croce si occupa di letteratura e di storia, Gentile, invece, si dedica alla storia della filosofia. In quegli anni Gentile non ha ancora sviluppato il proprio sistema filosofico. L'attualismo avrà configurazione sistematica solo alle soglie della prima guerra mondiale. Nel 1915 fu membro del Consiglio superiore della pubblica istruzione. fino al 1919.

All'inizio della prima guerra mondiale, tra i dubbi della non belligeranza, Gentile si schiera a favore della guerra come conclusione del Risorgimento italiano. Nel 1920 fonda il Giornale critico della filosofia italiana. Nel 1922 diviene socio dell'Accademia dei Lincei. Fino al 1922 Gentile non mostra particolare interesse nei confronti del fascismo. Il 31 ottobre, all'insediamento del regime viene nominato da Mussolini ministro della Pubblica Istruzione (1922-1924, per dimissioni volontarie), attuando nel 1923 la cosiddetta riforma Gentile, fortemente innovativa rispetto alla precedente riforma basata sulla legge Casati di più di sessant'anni prima (1859). Il 5 novembre 1922 diviene senatore del Regno. Nel 1923 Gentile si iscrive al Partito Nazionale Fascista (PNF) con l'intento di fornire un programma ideologico e culturale. Dopo la crisi Matteotti, date le dimissioni da ministro, Gentile viene chiamato a presiedere la Commissione dei Quindici per il progetto di riforma dello Statuto Albertino (poi divenuta dei Diciotto per la riforma dell'ordinamento giuridico dello Stato).

Resta fascista e nel 1925 pubblica il Manifesto degli intellettuali fascisti, in cui vede il fascismo come un possibile motore della rigenerazione morale e religiosa degli italiani e tenta di collegarlo direttamente al Risorgimento. Questo manifesto sancisce l'allontanamento definitivo di Gentile da Benedetto Croce, che gli risponde con un contromanifesto. Nel 1925 promuove la nascita dell'Istituto Nazionale di Cultura Fascista, di cui è presidente fino al 1937. Per le numerose cariche culturali e politiche, esercita durante tutto il ventennio fascista un forte influsso sulla cultura italiana, specialmente nel settore amministrativo e scolastico. È il direttore scientifico dell'Enciclopedia Italiana dell'Istituto Treccani dal 1925 al 1938 e vicepresidente dell'istituto dal 1933 al 1938. Nel 1928 diventa regio commissario della Scuola Normale Superiore di Pisa, e nel 1932 direttore. Nel 1930 diventa vicepresidente dell'Università Bocconi. Nel 1932 diventa Socio Nazionale della Reale Accademia Nazionale dei Lincei. Lo stesso anno inaugura l'Istituto Italiano di Studi Germanici, di cui diviene presidente nel 1934. Nel 1933 inaugura e diviene presidente dell'Istituto Italiano per il Medio ed Estremo Oriente. Nel 1934 inaugura a Genova l'Istituto mazziniano. Nel 1937 diventa regio commissario, nel 1938 presidente del Centro Nazionale di Studi Manzoniani e nel 1941 è presidente della Domus Galileana a Pisa. Non mancano comunque i dissensi col regime: in particolare il suo pensiero subisce un duro colpo nel 1929, alla firma dei Patti Lateranensi tra Chiesa cattolica e Stato Italiano: sebbene Gentile riconosca il cattolicesimo come forma storica della spiritualità italiana, ritiene di non poter accettare uno Stato non laico. Questo evento segna una svolta nel suo impegno politico militante. Nel 1934 il Sant'Uffizio mette all'indice le opere di Gentile e di Croce.

Nel 1936 comincia una lunga polemica contro il ministro dell'Educazione Nazionale Cesare Maria De Vecchi. Gentile, personalmente, forse non condivide le leggi razziali del 1938, come si evince da un carteggio con Benvenuto Donati durato per tutto il periodo tra il 1920 ed il 1943. Tuttavia nel 1938 compare come firmatario del Manifesto della razza, pubblicato sui giornali, in appoggio alle leggi razziali stesse appena emanate, insieme a molti altri intellettuali. Il "Discorso agli Italiani" [modifica] "Il discorso agli Italiani" del 24 giugno 1943 Gli ultimi interventi politici sono rappresentati da due conferenze nel 1943. Nella prima, tenuta il 9 febbraio a Firenze, dal titolo La mia religione, dichiara di essere cristiano e cattolico, sebbene creda nello Stato laico. Nella seconda, tenuta il 24 giugno al Campidoglio a Roma, dal titolo Discorso agli italiani, esorta all'unità nazionale, in un momento difficile della guerra che porterà alla fondazione della Repubblica Sociale Italiana (RSI). Dopo questi interventi si ritira a Troghi (Fi), dove scrive la sua ultima opera, uscita postuma, Genesi e struttura della società, nella quale recupera l'antico interesse per la filosofia marxiana.

Gentile subì un duro e inatteso attacco da parte del ministro badogliano Leonardo Severi. Gentile respinse in un primo tempo la proposta di Carlo Alberto Biggini che nel frattempo era divenuto ministro, di entrare al Governo, dopo un incontro avvenuto il 17 novembre 1943 con Benito Mussolini sul lago di Garda si convinse ad aderire alla Repubblica Sociale Italiana. Così Gentile alla figlia Teresa raccontò l'evento: «Venne qui tempo fa un amico ministro a cercarmi, ed io dissi francamente i motivi personali e politici per cui desideravo restare in disparte. Ma egli mi assicurò che io potevo benissimo restare in disparte: ma dovevo fare una visita al mio vecchio amico che desiderava vedermi ed era addolorato di certe manifestazioni recenti, ostili alla mia persona. Negare questa visita non era possibile. Feci comodamente il viaggio con Fortunato. Ebbi il giorno 17 un colloquio di quasi due ore, che fu commoventissimo. Dissi tutto il mio pensiero, feci molte osservazioni, di cui comincio a vedere qualche benefico aspetto. Credo di aver fatto molto bene al paese. Non mi chiese nulla, non mi fece offerta. Il colloquio fu a quattr'occhi. La nomina fu poi combinata col ministro amico e portata qui da me da un Direttore generale. Non accettarla sarebbe stata suprema vigliaccheria e demolizione di tutta la mia vita.» (Giovanni Gentile in una lettera indirizzata alla figlia Teresa) Fu direttore della Nuova Antologia, e accolse "collaboratori non fascisti"[senza fonte]. Sostenne la chiamata alle armi e la coscrizione militare dei giovani nell'esercito della RSI, auspicando il ripristino dell'unità nazionale sotto la guida ancora una volta di Mussolini. Divenne presidente dell'Accademia d'Italia, con l'obiettivo di riformare la vecchia Accademia dei Lincei che fu assorbita dall'Accademia.

Il 30 marzo 1944 Giovanni Gentile, per il suo appoggio dichiarato alla leva per la difesa della RSI, ricevette diverse missive contenenti minacce di morte. In una in particolare era riportato: "Tu come esponente del neofascismo sei responsabile dell'assassinio dei cinque giovani al mattino del 22 marzo 1944". L'accusa era riferita alla fucilazione di cinque renitenti alla leva. Il governo fascista repubblicano gli offrì quindi una scorta armata che però Gentile declinò:"Non sono così importante, ma poi se hanno delle accuse da muovermi sono sempre disponibile". Considerato, da componenti politiche della resistenza, come uno dei principali responsabili e teorici del regime fascista, "apologo della repressione" e di "un regime ostaggio di un esercito occupante", fu ucciso il 15 aprile 1944 sulla soglia della sua residenza di Firenze, la Villa di Montalto al Salviatino, da un gruppo partigiano fiorentino aderente ai GAP di ispirazione comunista. Il commando gappista composto da Bruno Fanciullacci e Antonio Ignesti, si appostò alle 13,30 circa nei pressi della villa al Salviatino e, appena il filosofo giunse in auto, gli si avvicinarono tenendo sotto braccio dei libri per nascondere le armi e farsi così credere studenti. Il filosofo abbassò il vetro per prestare ascolto, ma fu subito raggiunto dai colpi di una rivoltella. Fuggiti i gappisti in bicicletta, l'autista si diresse all'ospedale di Careggi per trasferirvi il filosofo moribondo, ma invano. Fu un episodio che divise lo stesso fronte antifascista e che ancora oggi è al centro di polemiche non sopite, venendo infatti già all'epoca disapprovato dal CLN toscano con la sola esclusione del Partito Comunista, che rivendicò l'esecuzione. Il 18 aprile fu sepolto per iniziativa del ministro Carlo Alberto Biggini nella basilica di Santa Croce a Firenze.

Pensiero filosofico

Gentile avversa ogni dualismo e naturalismo rivendicando l'unità di natura e spirito nella coscienza, assieme al primato gnoseologico ed ontologico di questa. La coscienza è vista come sintesi di soggetto e oggetto, sintesi di un atto in cui il primo (il soggetto) pone il secondo. Di Hegel, a differenza di Benedetto Croce, Gentile non apprezza tanto l'orizzonte storicista quanto l'impianto idealistico relativo alla coscienza, ovvero la posizione della coscienza come fondamento del reale. Anche secondo Gentile vi è un errore, in Hegel, nella valutazione della dialettica, ma in modo diverso da Croce: Hegel avrebbe infatti confuso la dialettica del pensare (che ha individuato correttamente) lasciandovi forti residui della dialettica del pensato, ovvero quella del pensiero determinato e delle scienze. L'attualismo di Gentile si esprime in questa riforma della dialettica idealista, con l'aggiunta della teoria dell'atto puro e l'esplicazione del rapporto tra logica del pensare e logica del pensato[8]. Recuperando Fichte, il filosofo afferma che lo spirito è fondante in quanto unità di coscienza ed autocoscienza, pensiero in atto; l'atto del pensiero pensante, o «atto puro», è il principio e la forma della realtà diveniente. Secondo Gentile la dialettica dell'atto puro si attua nella opposizione tra la soggettività rappresentata dall'arte (tesi) e l'oggettività rappresentata dalla religione (antitesi) cui fa da soluzione la filosofia (sintesi). L'atto puro si fonda sull'opposizione della «logica del pensiero pensante» e la «logica del pensiero pensato»; la prima è una logica filosofica e dialettica, la seconda una logica formale ed erronea. Gentile dedica la sua attenzione al tema della soggettività dell'arte e il suo rapporto con religione e filosofia, ovvero l'intera vita dello spirito; se da un lato l'arte è il prodotto di un sentimento soggettivo, dall'altro essa è un atto sintetico che coglie tutti i momenti della vita dello spirito, acquistando dunque alcuni caratteri del discorso razionale.

Pensiero politico

La sua è una filosofia attivista, attualista. È insoddisfatto di fronte alla realtà, in Gentile troviamo il primato del futuro, ma, allo stesso tempo, una forte matrice anti-razionalistica. Il fascismo non è la sola qualificazione politica che dà della propria filosofia, Gentile infatti è anche liberale. Sua maggiore preoccupazione non è quella di frenare l'attività dello Stato in quanto il liberalismo iper-individualista non è vero liberalismo. Un siffatto liberalismo ebbe la sua importanza in presenza degli stati assoluti del passato, ma è desueto al tempo di Gentile. L'individuo può maturare la sua libertà individuale solo all'interno dello Stato, con ciò a dire in un contesto istituzionale organizzato. Un esempio di questa concezione lo si può trovare nella Destra storica, la quale governò i primi anni dell'Unità d'Italia: impostò un governo autoritario che riuscì a moderare l'individualità dei singoli; giustamente per Gentile, in quanto lo Stato deve essere etico, educatore. Con il fascismo si può avere vero liberalismo in quanto riporta ai valori primigeni del Risorgimento: Gentile dimostra un forte approccio storicistico, secondo il quale il fascismo trarrebbe la sua legittimazione dalla storia. Il Risorgimento non fu solo un'operazione politica, ma un atto di fede: il campione di suddetto atto di fede fu Mazzini; anti-illuminista, antifrancese e nemico dei principi materialistici. Lo Stato giolittiano rappresentò un tradimento dei valori risorgimentali: per rompere questo status quo degenerativo del processo italiano fu necessario il ricorso all'illegalità e alla violenza del fascismo movimento. Una violenza rivoluzionaria, perché portatrice di un nuovo assetto, ma anche statale, perché va a colmare le lacune che vigono nel sistema statale. Gentile insiste molto sulla novità del fascismo: è un modo nuovo di concepire la nazione, ha una consapevolezza mistica di ciò che sta compiendo. Benito Mussolini viene perciò dipinto come un vero eroe idealistico. La missione del fascismo, secondo Gentile, è quella di creare l'Uomo nuovo: un uomo di fede, spirituale, anti-materialista, volto a grandi imprese. L'uomo nuovo sarà antitetico al carattere che Giolitti tentò di imprimere alla nazione e che connotava l'Italia come scettica, mediocre e furbastra. Il fascismo si deve istituzionalizzare: ciò avverrà attraverso l'istituzione del Gran Consiglio del Fascismo. Il fascismo si deve far assorbire dall'italianità: il fine è che nella società non vi siano più contraddizioni. Bisogna arrivare ad una comunità omogenea e compatta anche in ambito lavorativo: attraverso l'istituzione della corporazione, la quale deve sanare la frattura sindacati-datori di lavoro tramite la collaborazione di classe. Il Corporativismo permetterà di giunger ad uno stato di fatto in cui i problemi economici si risolveranno all'interno della corporazione stessa, senza provocare fratture all'interno della società.

Teorie pedagogiche

Gentile riflette a lungo sulla funzione pedagogica. Gentile unisce la pedagogia con la filosofia, avviando una rifondazione in senso idealistico della pedagogia, negandone i nessi con la psicologia e con l'etica. L'educazione deve essere intesa come un divenire dello spirito stesso che realizza così la propria autonomia. L'insegnamento è teoria in atto, in cui non si possono fissare le fasi o prescrivere il metodo: «il metodo è il maestro», il quale non deve attenersi ad alcuna didattica programmata ma affrontare questo compito sulla scorta delle proprie risorse interiori. Programmare la didattica sarebbe come cristallizzare il fuoco creatore e diveniente dello spirito che è alla base dell'educazione. Al maestro è richiesta una vasta cultura e null'altro, il metodo verrà da sé, perché il metodo risiede nella stessa cultura nel suo processo infinito di creazione e ricreazione. Il dualismo scolaro e maestro deve risolversi in unità attraverso la comune partecipazione alla vita dello spirito che tramite la cultura muove l'educatore verso l'educando e lo riassorbe nell'universalità dell'atto spirituale. «il maestro è il sacerdote, l'interprete, il ministro dell'essere divino, dello "spirito"». Il maestro incarna lo spirito stesso, l'allievo deve allora subordinarsi all'ascolto del maestro proprio per diventare anche lui spirito, per farsi libero ed autonomo, dopo essersi sottomesso, ed arrivare ad autoeducarsi, facendo del tutto propri i grandi contenuti impostigli. Questi concetti ispirano la riforma scolastica del 1923 attuata da Gentile in veste di ministro della Pubblica istruzione. Altri concetti della filosofia di Gentile evidenti nella riforma scolastica sono in particolare la concezione della scuola come parte fondamentale dello Stato (viene infatti istituito un esame di Stato che sancisce la fine di ogni ciclo scolastico, anche se gli studi sono effettuati in un istituto privato) e il predominio delle discipline del gruppo retorico-filologico.

La riforma di Gentile

Gentile fu ministro della pubblica istruzione e nel 1923 mise in atto la sua riforma scolastica, elaborata assieme a Giuseppe Lombardo Radice e definita da Mussolini "la più fascista delle riforme". Dal punto di vista strutturale Gentile individua l'organizzazione della scuola secondo un ordinamento gerarchico e centralistico. Una scuola di tipo aristocratico, cioè pensata e dedicata «ai migliori» e non a tutti e rigidamente suddivisa a livello secondario in un ramo classico-umanistico per i dirigenti e in un ramo professionale per il popolo. Le scienze naturali e la Matematica furono quindi messe in secondo piano, avevano la loro importanza solo a livello professionale. Giovanni Gentile con Leonardo Severi al Ministero della Pubblica Istruzione L'obbligo scolastico fu innalzato a 14 anni e fu istituita la scuola elementare da sei ai dieci anni. L'allievo che terminava la scuola elementare aveva la possibilità di scegliere tra i licei classico e scientifico oppure gli istituti tecnici. Solo i due licei permettevano l'accesso all'università (il secondo solo alle facoltà scientifiche), in questo modo però veniva mantenuta una profonda divisione tra classi sociali (questo vincolo fu rimosso completamente solo nel 1969). La religione è insegnata obbligatoriamente a livello primario, Gentile riteneva che tutti i cittadini dovessero possedere una concezione religiosa. La religione da insegnare era la religione cattolica perché è la religione dominante in Italia. Nel triennio dell'istruzione classica veniva poi introdotta la Filosofia, adatta alle classi dominanti ma non al popolo minuto che, nella concezione gentiliana, avrebbe dovuto essere tenuto al suo posto dalla Religione. La scuola dopo la riforma Gentile divenne molto selettiva e severa, introdusse infatti l'esame di Stato. Ribadisce che non esiste un metodo nell'insegnamento, ogni argomento è metodo a sé stesso, cioè non è una nozione astratta da memorizzare ma atto di ricerca attiva e creativa. L'insegnante può adoperare delle indicazioni di metodo per preparare le fasi che precedono l'insegnamento.