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GEMELLI, Agostino (al secolo Edoardo). - Nacque a Milano il 18 genn.
1878 da Innocente e Caterina Bertani.
Benché si fossero sposati, in ossequio alla consuetudine,
anche con rito religioso e facessero battezzare e cresimare i figli,
Edoardo e Luigi, i genitori non erano cattolici praticanti. Anzi, il
padre, pur venendo da una religiosissima famiglia di fittabili di
Calvairate, comune della periferia milanese oggi inglobato nella
città, che aveva lasciato per gestire un rinomato
caffè nel centro cittadino, era anticlericale e iscritto alla
massoneria, e ugualmente non osservante era la moglie, parente del
garibaldino e deputato radicale Agostino Bertani.
Il G. crebbe, dunque, in un ambiente familiare che rispecchiava il
clima piuttosto agnostico della borghesia dell'epoca e ricevette la
prima educazione religiosa da una maestra delle elementari.
Terminata l'istruzione primaria, frequentò il liceo-ginnasio
Parini (1888-96) come alunno interno del collegio Longoni, passato
dai barnabiti allo Stato per le leggi del 1866. Nel collegio vigeva
una disciplina severa, quasi militaresca, e il G. vi si distinse per
l'insofferenza al regolamento e per l'abbandono totale della pratica
religiosa. Finito il liceo nel 1896 si iscrisse alla facoltà
di medicina dell'Università di Pavia. Presentatosi al
concorso per un posto gratuito al collegio Ghislieri, riuscì
a esservi ammesso solo nel '98; ne venne poi espulso, nel febbraio
1902, per indisciplina - "recidivo per mancanze gravi", senza che se
ne sappia altro (Cosmacini, p. 35) -, quasi alla vigilia della
laurea.
Alunno di Camillo Golgi, ordinario di patologia generale e nel 1906
premio Nobel per la medicina, fu indirizzato da lui alla ricerca
scientifica nel campo della istologia e della fisiopatologia,
aderendo al metodo positivistico e al materialismo professati dal
maestro. La passione per le scienze biologiche e per la ricerca
sperimentale fu rafforzata in lui da un incontro a Padova con
Roberto Ardigò.
A Pavia il G. subì, come altri studenti del Ghislieri, il
fascino del socialismo. Invitato da F. Turati a una conferenza di E.
Ferri il 1° maggio 1897, ne fu conquistato: "Vi entrò
repubblicano e ne uscì socialista" scriverà più
tardi lo stesso Turati (Il suicidio di un'intelligenza, in Il Tempo,
27 nov. 1903). Collaborò al giornale La Plebe, settimanale
socialista pavese, tenne comizi nelle campagne, partecipò
alle lotte politiche e ai moti del '98 contro il carovita; era
presente alla manifestazione pavese del 5 maggio '98 durante la
quale cadde ucciso accanto a lui lo studente Muzio Mussi, figlio del
noto deputato radicale, e pare fosse colpito egli stesso da una
sassata.
Ammesso dal Golgi a frequentare il suo laboratorio, al quarto anno
pubblicava già il primo lavoro scientifico (Contributo alla
conoscenza della struttura della ghiandola pituitaria nei mammiferi,
in Boll. della Società medico-chirurgica di Pavia, 1900, n.
4, pp. 231-240). Quando, da parte socialista e radicale, fu aperta
una vivace polemica contro Golgi, positivista e anticlericale ma
reazionario, il G. prese le difese del maestro. Contestato per
questo dai compagni di fede del Ghislieri, cominciò ad
allontanarsi dal partito finché non fu espulso dal circolo
socialista. In quegli anni il G. era in amicizia, benché in
continua polemica per la diversità delle loro idee, con un
collega di facoltà alunno del Borromeo e già suo
compagno di liceo, Ludovico Necchi e, tramite lui, ebbe incontri con
gli universitari del Circolo Severino Boezio della Federazione
universitaria cattolica italiana (FUCI), con i quali ingaggiava
vivaci contraddittori.
In tali occasioni conobbe anche alcuni sacerdoti di distinta
scienza, come F. Rodolfi, professore di scienze naturali nel
seminario di Pavia, e il matematico e astronomo P. Maffi, poi
arcivescovo di Pisa e cardinale, il quale dirigeva la Riv. di
fisica, matematica e scienze naturali, ove il G. pubblicò
più tardi alcuni suoi studi: queste frequentazioni finirono
con l'avere una notevole influenza su di lui, cominciando a mettere
in crisi l'anticlericalismo volterriano-giacobino dei primi anni
universitari e la sua fede materialista.
Si laureò il 9 luglio 1902 con una tesi, Note
sull'embriologia e sull'anatomia dell'ipofisi, che gli ottenne il
massimo dei voti, la pubblicazione di una parte del lavoro nel Boll.
della Società medico-chirurgica di Pavia (1903, n. 3, pp.
177-222), l'assegnazione del premio Polli, consistente in un
microscopio Harnack, e la nomina ad assistente del Golgi, lasciando
presagire una brillante carriera. In attesa di svolgere il servizio
di leva si iscrisse come praticante presso l'ospedale Maggiore,
compiendovi un tirocinio di tre mesi durante il quale preparò
sei lavori scientifici. Il 1° nov. 1902, rinunciando a
frequentare la Scuola di sanità militare di Firenze per
allievi ufficiali per rimanere vicino all'università,
iniziò l'anno del cosiddetto volontariato come soldato di
sanità nell'ospedale militare di Milano, che aveva sede
nell'ex monastero benedettino di piazza S. Ambrogio. Qui
trovò ancora l'amico Necchi e fu per suo tramite che prese a
frequentare un giovane sacerdote, Giandomenico Pini, ex avvocato,
autore di scritti sul S. Cuore e allora catalogatore alla Biblioteca
Ambrosiana, che aveva conosciuto a Pavia. Già in crisi per i
ricordati incontri pavesi, attraverso questi colloqui e le
conversazioni con alcuni giovani francescani suoi compagni di
servizio militare, nell'aprile 1903 il G. riprese la pratica
religiosa.
Il mito di una conversione subitanea è da ritenersi
perciò frutto di apologetica agiografica; improvvisa dovette
essere, invece, l'idea di una vocazione religiosa, della quale resta
precisa testimonianza un'inedita lettera a don Pini del 13 maggio
1903 (Biblioteca apost. Vaticana, Carte Pini). Contemporanea fu
anche la decisione di farsi francescano, benché gli amici
Necchi e Pini pensassero piuttosto a un suo ingresso fra i gesuiti o
i domenicani. I genitori, ai quali comunicò la sua
risoluzione, si mostrarono nettamente contrari; terminato il 16
novembre l'anno di volontariato, anziché rientrare in
famiglia, si presentò perciò direttamente al convento
francescano di Rezzato.
Poiché il padre aveva consegnato al Corriere della sera la
lettera con la quale il figlio comunicava la sua decisione, ne
nacque una campagna giornalistica di cui fu espressione il ricordato
articolo di Turati. Riuscito vano il tentativo del padre e d'altri
amici di strapparlo dal convento, il 23 nov. 1903 era ammesso
all'ordine col nome di fra' Agostino. Una lettera aperta del G.
pubblicata dall'Osservatore cattolico (28 nov. 1903) e un articolo
di R. Simoni sul Corriere della sera (4 dic. 1903) misero fine a un
dibattito spiegabile con le polemiche del tempo sulla
compatibilità fede-scienza e nel conflitto storico
Chiesa-cultura moderna.
Trascorso l'anno di noviziato, il 23 dic. 1904 il G. prendeva i
primi voti. Dopo la professione religiosa fu inviato nel convento di
Dongo a studiare filosofia e teologia; ma verificatisi quivi
adesioni alla corrente modernista da parte di alcuni giovani,
espulsi per questo dall'Ordine, il G. - che pure nutrirà per
il modernismo simpatie allo stato delle fonti non precisabili e
terrà una corrispondenza con P. Sabatier a proposito della
sua Vita di s. Francesco - fu rinviato a Rezzato, dove
continuò lo studio della teologia, per passare poi al
convento di S. Antonio a Milano. Fu ordinato prete il 14 marzo 1908.
La nuova formazione intellettuale del G. avvenne, dunque, nei pochi
anni di studio intensivo trascorsi fra Rezzato e Milano, con una
serie di letture (filosofia, teologia, storia del cristianesimo,
storia della Chiesa, spiritualità) che dovevano costituire la
base imponente, forse un po' troppo rapidamente assimilata, della
sua cultura religiosa. Aveva nel frattempo ottenuto di riprendere
gli studi di fisiologia e di istologia, sospesi nell'anno di
noviziato, che costituivano la sua vera vocazione scientifica.
Rinunciando a esercitare la professione medica, anche per
l'incompatibilità prevista dal diritto canonico,
indirizzò le sue ricerche di fisiologia e di neurologia al
servizio della psicologia trovandone in quelle le basi sperimentali.
Il ruolo della sperimentazione nello studio della psicologia,
esposto sin dal 1908 in un saggio dal titolo L'esperimento in
psicologia edito nella Rivista di psicologia di C.G. Ferrari (IV,
pp. 53-70, 149-170), verrà dal G. continuamente ribadito.
Battagliero, uomo d'azione, non si accontentò di riprendere
gli studi preferiti, ma avviò subito una serie di iniziative
per ravvivare la cultura in campo cattolico.
Ancora semplice frate tenne una relazione al convegno della FUCI del
1906 (I progressi delle scienze biologiche innanzi al pensiero
cattolico, in Studium, I [1906], 10-11, pp. 1-28) che era un invito
ai cattolici ad affrontare con strumenti adeguati il problema dei
rapporti fra religione e scienza, tema sviluppato in uno scritto
successivo, Per il progresso degli studi scientifici fra i cattolici
italiani (ibid., II [1907], 11, pp. 662-673). Sin dal 1905 aveva
avviato una corrispondenza con il sociologo G. Toniolo e, dopo
averlo personalmente incontrato a Milano nel 1907, gli sottopose il
progetto di un Istituto superiore cattolico di studi filosofici; nel
1908, alla settimana sociale di Palermo, tenne una relazione sulle
malattie dei lavoratori delle zolfare, primo suo studio sperimentale
di medicina del lavoro, campo nel quale si sarebbe specializzato
avviando una vera e propria scuola; nel 1909, incoraggiato dal
filosofo di Lovanio D. Mercier, iniziava, insieme con un gruppo di
filosofi cattolici, la pubblicazione della Rivista di filosofia
neoscolastica, sul modello della Revue neoscolastique de philosophie
di Lovanio. La rivista seguiva l'indirizzo tomista, ma senza
trascurare le correnti del pensiero moderno e contemporaneo:
"procurava di non ignorare - scrisse B. Croce - e si guardava dal
vituperare con le solite contumelie pretesche e fratesche i liberi
scrittori, ma li esponeva, li discuteva e spesso ne accettava le
teorie, sforzandosi di allogarle in un allargato sistema di
filosofia scolastica" (Storia d'Italia dal 1871 al 1915, Bari 1928,
p. 247).
Unendo fedeltà al metodo empirico della scienza e ossequio
all'ortodossia, il G. mise la sua cultura medica e i suoi studi al
servizio della Chiesa, propugnando, ad esempio, alcune innovazioni
tecnologiche moderne nel campo dell'igiene delle chiese per evitare
il rischio di contagi e malattie che potevano allontanare la gente
dalla pratica religiosa; ma egli si spingeva più in
là, sostenendo, dopo aver visitato nel 1911 l'Esposizione
internazionale di igiene di Dresda, "l'alto valore sociale
dell'igiene" e l'importanza dell'organizzazione igienica pubblica
(De Giorgi, in Contemporanea, II [1999]). Altro campo di
applicazione dei suoi studi medici fu la teologia morale: docente,
dal 1909 al 1913, di medicina pastorale nelle scuole teologiche dei
frati minori, pubblicò in quegli anni un manuale di medicina
pastorale, Non moechaberis:disquisitiones medicae in usum
confessariorum (Roma 1910), due saggi su Nevrosi e santità
(Monza 1912), un volume De scrupolis (Firenze 1912) e saggi sul
misticismo.
Nel 1910 promuoveva, insieme con alcuni esponenti del mondo
cattolico ambrosiano, l'associazione Pro cultura, il cui fine, come
diceva lo statuto approvato l'11 marzo 1911, era quello di
"affermare nel campo del pensiero e della scienza la perenne
vitalità del cattolicismo". L'associazione organizzò
corsi annui di cultura religiosa e cicli di conferenze, fra le quali
spiccano quelle, indette nel 1914, sulla situazione europea
all'inizio della guerra: il G. vi tenne una lettura, Una corsa
attraverso la Germania in armi, piuttosto germanofila. Egli,
infatti, fra il 1910 e il 1914 aveva trascorso lunghi periodi di
studio e di ricerca in Germania frequentando i migliori laboratori
scientifici tedeschi.
Nell'estate del 1910 aveva compiuto un viaggio che da Parigi l'aveva
portato a Lovanio - dove aveva incontrato ancora il Mercier, nel
frattempo divenuto cardinale e primate del Belgio, e frequentato il
laboratorio di psicologia di quella università - e, infine, a
Monaco dove conobbe il politico e studioso neotomista G. von
Hertling, futuro cancelliere del Reich. Nel luglio 1911 partiva
ancora per la Germania e, avendo come base il monastero francescano
di Fulda, lavorò a Bonn, a Monaco e a Berlino. Nell'estate
1912 tornò nuovamente in Germania, dove si fermò sino
a dicembre lavorando all'Università di Bonn, nel laboratorio
di fisiologia, sotto la direzione di M. Verworn, e in quello di
biologia generale di M. Nussbaum, che apprezzò la
preparazione neuro-istologica del G. e gli affidò una ricerca
sulla formazione delle radici anteriori del midollo spinale.
Approfondì queste ricerche nella clinica neurologica di L.
Edinger, a Francoforte sul Meno, poi alla Nervenklinik di Monaco,
diretta dallo psichiatra E. Kraepelin, con il quale, benché
fosse d'ispirazione materialista, stabilì un fruttuoso
sodalizio scientifico. Dai biologi e neurologi tedeschi il G.
"apprese quel metodo di rigoroso procedimento analitico che fu alla
base dei suoi lavori" per tutta la vita (Ancona, pp. 163 s.).
L'interesse per la psicologia sperimentale lo condusse a
frequentare, fra il 1912 e il 1914, le lezioni e il laboratorio di
un alunno dissidente di W.M. Wundt, O. Külpe, professore a
Würzburg, Bonn e Monaco, il quale, a differenza del Wundt che
legava strettamente la psicologia alla fisiologia, proponeva il
metodo della "introspezione controllata".
Il G. frequentò pure, all'Università di Torino, le
lezioni e il laboratorio di un altro alunno del Wundt, F. Kiesow,
sotto la cui guida sostenne, il 13 dic. 1913, l'esame per la libera
docenza in psicologia sperimentale, conferitagli con d.m. del 27
giugno 1914: ciò gli permise di tenere corsi pareggiati di
psicologia sperimentale all'Università di Torino negli anni
accademici 1915-16 e 1918-19, nella Accademia scientifico-letteraria
di Milano dal 1919 al 1923, e nella neonata Università
cattolica dal 1921.
In Germania il G. era rimasto profondamente ammirato dei mezzi che
gli studiosi avevano a disposizione, ma anche della organizzazione
dei cattolici tedeschi, di cui aveva visitato il centro propulsivo,
la Volksvereinshaus a Mönchengladbach; apprezzava e invidiava
soprattutto la libertà di cui godevano gli studiosi e gli
scienziati cattolici d'Oltralpe, a differenza di quelli italiani. La
fedeltà all'ortodossia, le esortazioni di Pio X e un
colloquio con don L. Guanella lo avevano distolto dalle simpatie
moderniste, ma la mentalità scientifica lo portava a
criticare certe iniziative degli integristi e a chiedere che gli
studiosi cattolici fossero tutelati dalle pretese degli uomini di
"corte vedute".
Sin dal 1906 aveva difeso con simpatia l'ipotesi evoluzionista del
biologo e gesuita tedesco E. Wasmann, che il G. nella introduzione
all'edizione italiana della sua opera, La biologia moderna e la
teoria dell'evoluzione (Firenze 1906), denominava teoria della
"polifilogenesi". Con questa presa di posizione egli si ricollegava
all'evoluzionismo spiritualista del Fogazzaro e, ai critici del
Wasmann e ai suoi stessi critici - fra i quali era il tomista G.
Mattiussi -, ribatteva che quelle critiche, basate sulla teoria
concordista e sulla identificazione di evoluzionismo e darwinismo,
erano "una prova di più del fatto che gli incompetenti e i
dilettanti abbondano nel nostro campo offrendo con i loro scritti di
carattere antiscientifico facile il fianco ai nemici… della Chiesa"
(Conflitto di tendenze, in La Scuola cattolica, s. 4, IX [1906], p.
149).
Scoppiata la guerra, nell'autunno del 1914, il G. fondò una
rivista culturale, Vita e pensiero, e nel primo fascicolo, del
1° dic. 1914, vi pubblicò l'editoriale Medioevalismo, una
specie di manifesto destinato a suscitare un vivace dibattito.
Egli vi sosteneva l'esigenza di una cultura organica - di cui era
stata esempio la cultura del Medioevo - contro la
frammentarietà del sapere e contro il materialismo dell'uomo
moderno, caratterizzato dal culto dell'energia e del fatto bruto;
questo appello apparve come una condanna dell'intera cultura moderna
e un invito alla restaurazione di una cristianità medioevale.
Subito dopo l'invasione del Belgio il G. aveva lamentato la morte di
alcuni suoi amici belgi, francesi e tedeschi e la distruzione
dell'Università di Lovanio colpita dai bombardamenti
tedeschi; l'appello alla cultura medioevale era fors'anche una
risposta alla crisi della civiltà europea e alla barbarie
della guerra.
Quello stesso autunno il G. compiva il ricordato viaggio a Monaco, e
ne prendeva occasione per sottolineare la compattezza nazionale
tedesca, che vedeva uniti uomini di tutte le classi e di tutti i
partiti, e per esporre - "non per farlo mio", com'egli dichiarava
("Delenda Prussia"!, in Vita e pensiero, I [1915], 8, pp. 449-460) -
il punto di vista tedesco sulle cause della guerra. Proclamata la
neutralità italiana il G. aveva dichiarato di rimettersi alle
decisioni di chi guidava le sorti del paese, ma dopo la
dichiarazione di guerra all'Austria fece pubblicare su Vita e
pensiero (10, p. 557) un breve editoriale, Per la patria, di aperto
contenuto patriottico; già dall'agosto '14 aveva chiesto
d'essere arruolato, in caso di guerra, come medico o cappellano
militare.
Chiamato alle armi e nominato capitano medico, venne destinato al
comando supremo dove, insieme con padre G. Semeria, svolse anche
funzioni di cappellano presso lo stato maggiore. A Udine
impiantò e diresse un laboratorio di psicofisiologia
applicata per la selezione degli aviatori, sottoponendosi egli
stesso a esperimenti di volo (più tardi, negli anni Trenta
prenderà il brevetto di pilota). Studiò anche i casi
di shock traumatico provocato in molti soldati dall'impatto con la
crudezza della guerra, costituendo accanto al laboratorio di
psicofisiologia un ospedale di primo ricovero per questi malati
(raccolse i suoi studi sulla psicologia del soldato nel volume Il
nostro soldato. Saggi di psicologia militare, Milano 1917), e
attivò con Semeria un segretariato per l'assistenza morale e
materiale del soldato.
La convinta collaborazione con le autorità militari, la
pubblicazione di articoli esaltanti il sentimento nazionale e la
stessa libertà con la quale svolgeva l'attività
pastorale e le cerimonie religiose al campo, suscitarono
perplessità nei suoi superiori religiosi e lamentele giunte
fino alla segreteria di Stato vaticana; ma quegli atteggiamenti
apparivano a molti altri come l'espressione di una ritrovata
conciliazione fra amor di patria e religione. L'aperto patriottismo
professato dal G. contribuì, in tal modo, a dargli un maggior
prestigio presso l'opinione pubblica nazionale ed egli se ne avvalse
anche per la realizzazione, finita la guerra, del progetto di una
università cattolica, antica aspirazione del mondo cattolico
italiano.
L'attuazione di questo progetto fu favorita dalla crisi dello Stato
liberale e soprattutto dal ruolo assunto nella vita politica del
dopoguerra dai cattolici, per il loro attivo contributo alla
riscossa nazionale e alla vittoria. Ma tale successo fu facilitato
anche da un diffuso atteggiamento di critica alla scuola statale -
dall'istruzione di base, la cui insufficienza era apparsa evidente
nel corso del conflitto, all'università - e di apertura alla
scuola libera condiviso da pedagogisti di formazione idealista, come
G. Lombardo Radice, E. Codignola e soprattutto G. Gentile, e da
liberali come L. Luzzatti e G. Ferrero, che nel confronto e nella
emulazione fra istituzioni pubbliche e libere vedevano un fattore di
progresso delle stesse istituzioni scolastiche e scientifiche
statali.
Il 16 apr. 1919 il G. costituiva, con la collaborazione dell'on. F.
Meda, l'Istituto di studi superiori G. Toniolo: eretto in ente
morale con r.d. 20 giugno 1920 a firma di B. Croce, ministro della
Pubblica Istruzione nell'appena costituito ministero Giolitti,
l'istituto diverrà l'ente promotore dell'ateneo cattolico. Il
2 apr. 1919 il G. aveva iniziato le pratiche per ottenere intanto il
riconoscimento pontificio: dovette superare le difficoltà
frapposte da alcuni consultori vaticani al piano di studi e al
modello di università proposto, che era esemplato, pur con
evidenti novità, su quello statale. Doveva inoltre trovare
finanziamenti, sede, attrezzature e ci riuscì grazie
all'aiuto di uno sponsor, l'industriale tessile E. Lombardo, e di
solerti collaboratori, fra cui Armida Barelli, presidente della
Gioventù femminile cattolica, organizzazione che
costituirà, per almeno tre decenni, la principale struttura
di propaganda e di sostegno materiale dell'ateneo. Ottenuto, il 9
febbr. 1921, un breve di approvazione da Benedetto XV,
l'Università cattolica fu inaugurata il 7 dicembre successivo
con due facoltà: filosofia e scienze sociali.
Il corpo docente della facoltà filosofica era costituito in
gran parte dal gruppo dei collaboratori della Rivista di
neoscolastica e quello della facoltà di scienze sociali da
economisti e sociologi della scuola del Toniolo, alcuni dei quali
(A. Mauri, A. Boggiano-Pico, F. Marconcini, V. Tangorra) erano anche
deputati popolari o, come M. Roberti, tra i fondatori del Partito
popolare italiano (PPI). Riguardo a quest'ultimo, tenendo conto
della crisi dello Stato liberale e del diffondersi di tendenze
bolscevizzanti nel socialismo italiano, il G. considerava essenziale
la fondazione di un partito d'ispirazione cristiana; accentuò
però a tal punto questa connotazione che, in un opuscolo
scritto con F. Olgiati (Il programma del PPI come non è e
come dovrebbe essere, Milano 1919), rimproverava alla nuova
formazione l'impostazione aconfessionale. Su questo tema si svolse
un serrato dibattito al I congresso del partito (Bologna 1919), al
termine del quale sulla mozione integrista del G. prevalse quella di
L. Sturzo. Il pragmatismo del G. lo portò a una rapida
conciliazione con i popolari: anche Sturzo presenziò
all'inaugurazione dell'università e vi tenne anzi un
importante discorso.
Dopo la riforma Gentile che, accanto alle università di
Stato, prevedeva università libere abilitate a rilasciare
titoli con valore legale a condizione che venisse accettato
l'ordinamento accademico statale, il G. - cui Gentile aveva chiesto
un parere per la parte riguardante le università libere -
optò per questa soluzione e l'Università cattolica
ebbe il riconoscimento statale con r.d. 2 ott. 1924. Il G. riteneva
di poter in tal modo inserire via via i propri laureati nella
carriera accademica, nelle professioni, nella pubblica
amministrazione, nell'insegnamento medio (il riconoscimento venne
esteso all'Istituto superiore di magistero, futura fucina di docenti
nelle scuole medie e di direttori didattici delle scuole elementari)
favorendo una più larga penetrazione dei cattolici nella
società italiana sino alla realizzazione di quella
società "cristiana" che era nelle sue prospettive.
Con il riconoscimento statale le due facoltà già
esistenti furono trasformate in facoltà di lettere e
filosofia e facoltà di giurisprudenza; quest'ultima fu
organizzata affiancando agli economisti e sociologi della precedente
facoltà di scienze sociali, illustri giuristi provenienti
dalle università statali, ancorché non sempre omogenei
con lo spirito dell'istituzione. Nel 1926 il G. creò, poi,
una Scuola di scienze politiche economiche e sociali, divenuta nel
1932 facoltà di scienze politiche.
Sin dalla nascita della sua università il G. s'era premurato
di impiantarvi un attrezzato laboratorio di psicologia. Le ricerche
da lui svolte prima e durante la guerra mondiale avevano già
avuto una risonanza internazionale; dopo la fondazione della
Cattolica e la sua nomina, nel 1927, a professore ordinario, il
laboratorio da lui diretto divenne tra i migliori istituti di
psicologia e un centro attivo di ricerca.
Appartengono a questo periodo gli studi sulla percezione, basati su
pionieristiche ricerche elettrofisiologiche, encefalografiche,
retinografiche e acustiche, condotte sperimentalmente in
laboratorio. Già interessato, come sappiamo, alle condizioni
psicofisiche dei lavoratori e alle malattie professionali, dagli
anni Trenta il G. affrontò alcuni dei più delicati
problemi connessi al mondo del lavoro e al processo di
modernizzazione industriale: la selezione attitudinale, i ritmi di
produzione, il rapporto uomo-macchina, la formazione professionale
dei lavoratori, portando significativi contributi alla psicotecnica
e alla psicologia del lavoro. Mentre la psicologia trovava
scarsissima attenzione nella cultura italiana e nelle
università, espunta, soprattutto ad opera degli idealisti,
dal dibattito filosofico ed esclusa da qualsiasi discorso sulla sua
rilevanza in campo sociale e applicativo, il G. tenne desto
"l'interesse e la stessa possibilità di sopravvivenza della
disciplina" facendo circolare fra gli studiosi - attraverso le
ricerche di psicologia sperimentale e di psicologia clinica - idee,
concetti e principî che non avrebbero altrimenti trovato modo
di sopravvivere o d'essere percepiti e conosciuti (Quadrio
Aristarchi, p. 295).
Su questa valutazione consentono molti psicologi, anche avversari
del G., ma soprattutto i numerosi allievi della sua scuola; secondo
un giudizio espresso a cavallo degli anni Sessanta il G. "avrebbe
svolto un ruolo di "mediatore eclettico" tra ideologia cattolica
conservatrice e il capitale italiano negli anni del regime". In
realtà (come rileva con altri studiosi Mecacci, 1996, p. 530)
il G. "si rese conto lucidamente dell'importanza sociale che la
psicologia avrebbe assunto nella vita del paese (nella famiglia,
nella scuola e nell'ambiente di lavoro)" e che occorreva quindi
formare psicologi professionali e operatori sociali - medici,
assistenti sociali, religiosi, addetti agli uffici del personale -
in grado di soddisfare queste esigenze. Questa posizione, giudicata
all'epoca della contestazione opportunistica e funzionale agli
interessi del capitale o dell'autorità, sarebbe apparsa negli
anni del capitalismo avanzato, più ancora che negli anni
Trenta e Quaranta, uno strumento di verifica "per la valutazione
della rilevanza scientifica della ricerca psicologica" (Rozzi, p.
30). Un fondamento a quel giudizio critico poteva tuttavia derivare
dal ricordo della collaborazione del G. con istituzioni ed
iniziative dello Stato fascista e dal fatto che, alla fine degli
anni Trenta, egli aveva espresso la speranza che lo sviluppo della
psicologia italiana, avversato dall'idealismo, potesse essere
favorito dal fascismo. Al fascismo il G. riconosceva, in un saggio
scritto con F. Banissoni (Speranze e preoccupazioni degli psicologi
italiani…, in Arch. di psicologia, psichiatria e psicoterapia, II
[1941], pp. 16 s.), di avere "una esatta visione dell'importanza e
del valore dei fattori psichici, dell'attività umana e della
necessità di valutare la personalità umana"; ma notava
che con quella visione contrastava l'impreparazione di chi aveva la
responsabilità di attuare le possibili applicazioni della
psicologia nelle istituzioni dello Stato e del regime. Da questa
constatazione nacque, nel 1939, la Commissione permanente per le
applicazioni della psicologia presso il Consiglio nazionale delle
ricerche (CNR), divenuta, attraverso vari passaggi e modificazioni,
l'Istituto di psicologia dell'attuale CNR.
Di fronte al regime fascista il G. tenne in effetti una posizione
variamente interpretata. Dato il temperamento autoritario e
accentratore, un "movimento d'ordine" come il fascismo poteva
senz'altro suscitare nel suo animo una evidente simpatia ("qualcuno
lo chiamò naturaliter fascista", scrive Bontadini, p. 229);
di fatto il suo atteggiamento, oscillante talora fra tensioni con il
regime e aperti riconoscimenti, apparve oggettivamente di consenso
al fascismo.
Fra il fascismo e la prospettiva ideologica del G. esisteva
certamente un contrasto teorico, comprovato dalla polemica sempre
aspra con l'attualismo gentiliano (anche quando Gentile, al quale
restò tuttavia sempre grato per l'attuata libertà
scolastica, non era più in auge nel regime) e con la
concezione dello Stato ch'esso implicava. Di fatto il G. aveva
espresso la sua prospettiva di società e di Stato "cristiani"
con la campagna, promossa all'avvento dello Stato fascista, in
favore della proclamazione della regalità di Cristo: in
sintonia con la visione di Pio XI che ne fissò la festa
all'ultima domenica di ottobre e cioè in corrispondenza con
l'anniversario della marcia su Roma. Alla regalità di Cristo
il G. dedicò pure un congresso internazionale (1926),
un'apposita Opera e due Istituti di laici consacrati, chiamati
missionari della Regalità che, sul modello francescano
dovevano mirare alla propria perfezione spirituale, alla
evangelizzazione dell'uomo contemporaneo, ma anche alla
preparazione, insieme con l'Università cattolica, dei quadri
dirigenti di quella società cristiana.
Gelosissimo della sua creatura, di fronte a un partito che s'era
insediato con la forza all'interno delle istituzioni statali e
tendeva a un controllo totale della stessa attività
accademica e scientifica, il G. non esitò tuttavia a fare
concessioni che rendessero possibile la vita dell'ateneo e quindi il
progetto della formazione e della crescita di una classe dirigente
la quale avrebbe potuto consentire, a suo tempo, di agire nello
Stato: contrapposizione al fascismo, dunque, ma fors'anche illusione
"di riempire la forma fascista con il contenuto cattolico" (Rumi, p.
352).
Un discorso pronunciato dal G. a Bologna il 9 genn. 1939,
commemorando il chirurgo medioevale Guglielmo da Saliceto, nel corso
del quale aveva usato espressioni duramente antisemite, ha
costituito la base dell'accusa di antisemitismo rivoltagli da molti.
Tali espressioni gli furono aspramente rimproverate, il giorno dopo,
dal collega e collaboratore E. Franceschini, e il G. si
affrettò a ritrattare le affermazioni fatte con avventatezza
e con un'irruenza non estranea al suo temperamento: una "fugace
sbandata dalla quale si riprese subito", scrive Bontadini (p. 229);
ma l'intervento, collegato a talune altrettanto irruenti
affermazioni antiebraiche risalenti agli anni Venti, non poteva
passare inosservato. L'antisemitismo del G. si collocava, peraltro,
nella tradizione dell'antisemitismo religioso che per secoli ha
visto negli ebrei il popolo deicida, non derivando, quindi, da
motivazioni specificatamente razziste. Il G., inoltre, non aveva
aderito al Manifesto degli scienziati razzisti e criticò,
anzi, le ragioni su cui si basavano gli autori, accusandoli di un
determinismo biologico che non si conciliava con il punto di vista
spiritualistico con il quale egli affrontava i problemi della
genetica.
Sin dal congresso della Società italiana di psicologia (SIPS)
del 1929 il G. aveva rivolto un pesante attacco alla scuola
costituzionalista di Tubinga di E. Kretschner e P. Hoffmann e alle
scuole italiane di G. Viola, A. De Giovanni e N. Pende, a proposito
dei fondamenti della "caratterologia". Egli criticava la tendenza
alle classificazioni dei caratteri in tipi e schemi incapaci di
cogliere il dinamismo della vita psichica, rifiutando le posizioni
materialiste delle teorie costituzionaliste. Pur riconoscendo che la
caratterologia poteva avvalersi della constatazione che esistono
"correlazioni somatico-psichiche" assai più facili a
rilevarsi dei sintomi psichici, sosteneva la necessità di
sostituire all'approccio causale quello finalistico, cogliendo la
vita psichica nella sua autonomia. Rifiutando le posizioni
materialiste del costituzionalismo il G. si richiamava peraltro
all'insegnamento di S. Freud secondo il quale "per fare psicologia
vera bisogna cercare di capire le azioni umane nella loro genesi e
nei loro moventi", rilevando il contributo che alla caratterologia
veniva dalla psichiatria, la quale, "illuminando la genesi di alcune
caratteristiche neurosi", aiuta a comprendere la genesi del
carattere e le cause che agiscono nella sua formazione (Sulla natura
e sulla genesi del carattere, in Atti della Sips, Roma 1930, I, pp.
169-195: cit. in Israel - Nastasi, p. 142).
Come aveva attaccato il programma eugenetico nazista per ragioni
scientifiche, morali e religiose, così a proposito della
politica demografica del fascismo rifiutava le tesi di coloro che
proponevano forme di eugenetica positiva (favorire la
fecondità e lo sviluppo di figli forti in grado di divenire
fattori di benessere e di ascesa della nazione) e a maggior ragione
l'eugenetica negativa (impedire la riproduzione di individui di
mediocre o cattiva qualità), vicino semmai alla formula della
"eugenica rinnovatrice" coniata da C. Gini. In effetti il G.
attribuiva il declino demografico non a cause biologiche, ma alla
decadenza morale e alle difficoltà economiche, tanto che
"proponeva di attribuire alle donne un salario familiare" in modo
che non dovessero lavorare e si occupassero soltanto della prole
(ibid., p. 135). Rifiutava visioni pessimistiche e fatalistiche di
determinismo biologico, ponendo l'accento sui fattori sociali e
spirituali e sulla libertà come legge di funzionamento dello
spirito umano, e, traendone le conclusioni sul piano pratico e della
vita politica, affermava che la grandezza della patria era legata
alla educazione del carattere degli Italiani. La critica della
biotipologia naturalistica e l'approccio spiritualistico del G.,
nella fase della promulgazione delle leggi razziali, indussero anche
il Pende a prendere "le distanze dalle visioni troppo esclusivamente
basate sull'idea della razza e del sangue" e a correggere
l'impostazione assunta in precedenza "in modo tale da suscitare il
consenso dello stesso Gemelli", come avrebbe scritto a Mussolini -
in occasione della contrastata storia delle sottoscrizioni al
Manifesto della razza del luglio 1938 - lo stesso Pende, che ora
difendeva l'approccio "spiritualista-romano" contro l'approccio
"biologico-ariano" (ibid., p. 373).
Si è ipotizzato un nesso fra le affermazioni bolognesi del G.
e la proposta di una sua nomina ad accademico d'Italia. Una proposta
ci fu, appoggiata dalla ipotesi che il G. stesse per essere creato
cardinale e che, dunque, sarebbe stato utile avere un accademico in
Vaticano, ma Mussolini la respinse. Il G. era stato nominato poco
tempo prima presidente della Pontificia Accademia delle scienze,
inaugurata il 1° giugno 1937: egli l'aveva riordinata per
incarico di Pio XI chiamandovi a farne parte illustri scienziati di
tutti i paesi senza distinzione di religione e di razza.
Il 26 dic. 1940, mentre tornava in automobile da Firenze, ebbe
presso Anzola, sulla via Emilia, un grave incidente stradale:
ricoverato all'ospedale Rizzoli di Bologna vi rimase due mesi fra la
vita e la morte. Si riprese, ma per il dinamico e atletico G. essere
costretto a camminare con le stampelle fu un duro colpo, mentre la
guida dell'università richiedeva energia e prudenza,
specialmente dopo la proclamazione della Repubblica sociale italiana
e la divisione dell'Italia in due.
La guerra decimava professori, laureati e studenti richiamati alle
armi, fatti prigionieri o deportati; nei bombardamenti dell'agosto
1943 su Milano l'ateneo di piazza S. Ambrogio subiva gravissimi
danni; il G. dette subito inizio alla ricostruzione. Spinto anche
dai numerosi professori della sua università da sempre
antifascisti, sin dalla fine del '42 aveva indetto riunioni di
studio per esaminare i problemi della ricostruzione morale nel
dopoguerra e per elaborare gli strumenti per il ripristino della
legalità e della democrazia: vi partecipò il gruppo
cosiddetto di casa Padovani, di cui facevano parte, oltre allo
stesso U. Padovani, G. Dossetti, A. Amorth, G. Lazzati, Sofia Vanni
Rovighi, P. Saraceno e il teologo C. Colombo.
Per evitare ogni riconoscimento della Repubblica di Salò il
G. deliberò di non conferire lauree, limitandosi a far
registrare in via amministrativa il completamento degli studi;
ospitò nel laboratorio di psicologia le riunioni del Comitato
di liberazione nazionale (CLN) e il comando generale del Corpo
volontari della libertà (CVL). Proprio uno dei suoi
più stretti collaboratori, il Franceschini, organizzò
una vasta rete resistenziale che si avvalse anche di un servizio di
sorveglianza all'interno dell'università per impedire che
spie e agenti della polizia repubblichina potessero infiltrarsi.
Questo obiettivo servizio reso alla Resistenza e alla lotta di
liberazione non risparmiò al G. il processo di epurazione
imposto dagli Alleati a tutte le università e a tutti i
rettori, processo che si concluse, comunque, con un proscioglimento.
Nell'estate del '46, poi, il G. ebbe un altro incidente che lo
immobilizzò su una carrozzella. Superato il momento
difficile, riprese la guida dell'università.
Con la riunione dell'Assemblea costituente e l'avvio della vita
politica dell'Italia repubblicana il G. ebbe la soddisfazione di
vedere molti degli uomini formatisi nella sua università,
già impegnati nella Resistenza o reduci dai campi
d'internamento tedeschi, partecipare attivamente alla vita pubblica
- forse non proprio nella linea del ricordato suo disegno iniziale -
assumendo posti di responsabilità nella politica nazionale,
nelle amministrazioni locali, nel sindacato.
Nominato membro del Consiglio superiore della Pubblica Istruzione,
portò il contributo della sua esperienza al dibattito sui
problemi della scuola e sulla necessità di favorire l'accesso
all'istruzione superiore dei giovani capaci e meritevoli che ne
erano impediti dalle condizioni economiche (Proposte per la riforma
della scuola italiana…, Milano 1946, pp. 5 ss.), dandone l'esempio
nella sua università con la politica delle borse di studio e
dei collegi, focolai di ricercatori, di futuri docenti, di uomini
impegnati nella vita pubblica, ma anche strumento di mobilità
sociale e di integrazione culturale di giovani provenienti da tutta
Italia. Nel 1948 aprì la facoltà di scienze
economiche, resa autonoma da quella di scienze politiche; nel 1953
la facoltà di agraria, con sede a Piacenza. Sempre nel 1953,
al compimento del 75° anno d'età, fu nominato, con
decreto del presidente della Repubblica, rettore a vita. Il centro
della sua attività continuavano a essere tuttavia gli studi
di psicologia: ne ampliò l'orizzonte a nuovi campi di ricerca
imposti dai problemi aperti dal dopoguerra, dallo sviluppo
industriale seguito alla ricostruzione e dai cambiamenti operati
nella società di massa.
Con originalità di prospettive condusse con una nuova
generazione di allievi - fra i quali G. Zunini, G. Iacono, G.
Girotti, G. Peri e un buon numero di attuali cattedratici di
psicologia e di sociologia - nuove ricerche e formulò ipotesi
come quelle divenute patrimonio d'ogni psicologo cognitivista;
incoraggiò i propri allievi a esplorare e a studiare la
psicanalisi (benché non amata dai cattolici) e la psicologia
sociale americana; estese la ricerca sperimentale di base a una
serie di applicazioni nuove rispetto a quelle avviate anni addietro
nel campo della psicologia del lavoro, della psicologia dello
sviluppo, della psicologia clinica.
Uno dei sogni del G. era stato la creazione di una facoltà
medica; essa fu approvata dal Consiglio superiore della Pubblica
Istruzione il 23 apr. 1958 e il relativo decreto pubblicato nella
Gazzetta ufficiale del 4 agosto: la nuova facoltà, che
sarebbe sorta a Monte Mario, a Roma, doveva essere a suo avviso "un
faro di sapere e di etica medica irradiante… sul mondo sanitario,
sul mondo universitario, sulla cultura scientifica in Italia"
(Cosmacini, p. 276).
Non ne vide però la realizzazione; il G. morì,
infatti, il 15 luglio 1959 e fu sepolto, dopo il funerale officiato
nel duomo di Milano dall'arcivescovo G.B. Montini, che ne tenne la
commemorazione, nella cripta della cappella dell'Università
cattolica.
Il G. fu un infaticabile promotore e organizzatore di cultura. Fece
dell'Università cattolica - che dotò di laboratori,
istituti e biblioteche attrezzate ed efficienti - un ateneo
competitivo nel campo della scienza, fuori da preoccupazioni
apologetiche; vi attivò nuove discipline (quali, tra le
altre, la letteratura latina medioevale, la filologia umanistica, la
letteratura cristiana antica) passate poi nell'ordinamento
universitario nazionale; favorì la formazione di apprezzate
scuole scientifiche; già in periodo fascista aveva inviato
giovani allievi a studiare all'estero. Acquisì alla sua
università riviste dalla tradizione prestigiosa come la
Rivista internazionale di scienze sociali (1927) e l'Archivio di
psicologia, neurologia e psichiatria (1939); promosse le settimane
sociali dei cattolici, settimane di spiritualità e convegni
di missionologia che contribuirono allo sviluppo in Italia di una
disciplina come l'etnologia. La sua stessa attività
saggistica si è esplicata in svariati campi della cultura,
con una produzione originale, come gli scritti sulla
spiritualità francescana (Giovagnoli, pp. 85 ss.), oppure
rivolta alle applicazioni e alla divulgazione della sua opera
scientifica. Anche questa saggistica spazia su varie discipline:
teologia morale e ascetica, filosofia, psicologia. Nel campo
filosofico il G. svolse un ruolo indiretto ("non era filosofo e del
filosofo non aveva il temperamento": così Bontadini, p. 227)
con la fondazione e la direzione della Rivista di filosofia
neoscolastica, dove pubblicò pure molti contributi che si
collocano fra psicologia e filosofia, e attraverso la
partecipazione, con interventi spesso assai polemici, ai congressi
di filosofia e ai dibattiti ideologici del tempo. La sua stessa
adesione al tomismo e alla neoscolastica fu un'adesione di scuola
che non escludeva simpatie per la tradizione filosofica agostiniana
e francescana e per lo stesso Rosmini; ma non fu in grado di evitare
che dagli anni Trenta prevalesse fra i tomisti della sua
università una chiusura che impedì il dialogo fra la
neoscolastica e correnti nuove e più vive del pensiero
contemporaneo come l'esistenzialismo e lo spiritualismo cristiano.
Certamente il più significativo contributo scientifico il G.
l'ha dato nel campo della psicologia. Accanto ai risultati ottenuti
negli studi sulla percezione e nell'analisi elettroacustica del
linguaggio, sta il vasto campo da lui aperto nella psicologia
clinica e nell'applicazione della psicologia ai problemi sociali:
l'orientamento professionale, la psicologia del lavoro, le
condizioni dei carcerati, la devianza giovanile, la psicopedagogia.
Si può dire ch'egli sia arrivato così a prospettare la
psicologia come una integrale antropologia, una scienza totale
dell'uomo. Significativa in proposito è la sua teoria della
personalità: nella personalità egli riconosce due
dimensioni fondamentali, una attinente al parametro biologico, tanto
da affermare che "i bisogni vitali di tipo biologico asserviscono il
sistema nervoso centrale e le stesse attività superiori
dell'uomo"; l'altra, affiancata e sovrapposta a questa, costituita
dalle reazioni affettive e dalle conoscenze intellettuali,
sicchè per il G. "la personalità si costituisce come
uno specifico apprezzamento dell'attività soggettiva, che non
risulta ridotta alle funzioni degli organi di senso, ma ne emerge
come l'attività di un Io superiore, rivolta a fini conosciuti
e voluti per il loro valore sia oggettivo che esistenziale e
sociale" (Ancona, pp. 9 s.).