GEMELLI, Agostino

 

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GEMELLI, Agostino (al secolo Edoardo). - Nacque a Milano il 18 genn. 1878 da Innocente e Caterina Bertani.

Benché si fossero sposati, in ossequio alla consuetudine, anche con rito religioso e facessero battezzare e cresimare i figli, Edoardo e Luigi, i genitori non erano cattolici praticanti. Anzi, il padre, pur venendo da una religiosissima famiglia di fittabili di Calvairate, comune della periferia milanese oggi inglobato nella città, che aveva lasciato per gestire un rinomato caffè nel centro cittadino, era anticlericale e iscritto alla massoneria, e ugualmente non osservante era la moglie, parente del garibaldino e deputato radicale Agostino Bertani.

Il G. crebbe, dunque, in un ambiente familiare che rispecchiava il clima piuttosto agnostico della borghesia dell'epoca e ricevette la prima educazione religiosa da una maestra delle elementari. Terminata l'istruzione primaria, frequentò il liceo-ginnasio Parini (1888-96) come alunno interno del collegio Longoni, passato dai barnabiti allo Stato per le leggi del 1866. Nel collegio vigeva una disciplina severa, quasi militaresca, e il G. vi si distinse per l'insofferenza al regolamento e per l'abbandono totale della pratica religiosa. Finito il liceo nel 1896 si iscrisse alla facoltà di medicina dell'Università di Pavia. Presentatosi al concorso per un posto gratuito al collegio Ghislieri, riuscì a esservi ammesso solo nel '98; ne venne poi espulso, nel febbraio 1902, per indisciplina - "recidivo per mancanze gravi", senza che se ne sappia altro (Cosmacini, p. 35) -, quasi alla vigilia della laurea.

Alunno di Camillo Golgi, ordinario di patologia generale e nel 1906 premio Nobel per la medicina, fu indirizzato da lui alla ricerca scientifica nel campo della istologia e della fisiopatologia, aderendo al metodo positivistico e al materialismo professati dal maestro. La passione per le scienze biologiche e per la ricerca sperimentale fu rafforzata in lui da un incontro a Padova con Roberto Ardigò.

A Pavia il G. subì, come altri studenti del Ghislieri, il fascino del socialismo. Invitato da F. Turati a una conferenza di E. Ferri il 1° maggio 1897, ne fu conquistato: "Vi entrò repubblicano e ne uscì socialista" scriverà più tardi lo stesso Turati (Il suicidio di un'intelligenza, in Il Tempo, 27 nov. 1903). Collaborò al giornale La Plebe, settimanale socialista pavese, tenne comizi nelle campagne, partecipò alle lotte politiche e ai moti del '98 contro il carovita; era presente alla manifestazione pavese del 5 maggio '98 durante la quale cadde ucciso accanto a lui lo studente Muzio Mussi, figlio del noto deputato radicale, e pare fosse colpito egli stesso da una sassata.

Ammesso dal Golgi a frequentare il suo laboratorio, al quarto anno pubblicava già il primo lavoro scientifico (Contributo alla conoscenza della struttura della ghiandola pituitaria nei mammiferi, in Boll. della Società medico-chirurgica di Pavia, 1900, n. 4, pp. 231-240). Quando, da parte socialista e radicale, fu aperta una vivace polemica contro Golgi, positivista e anticlericale ma reazionario, il G. prese le difese del maestro. Contestato per questo dai compagni di fede del Ghislieri, cominciò ad allontanarsi dal partito finché non fu espulso dal circolo socialista. In quegli anni il G. era in amicizia, benché in continua polemica per la diversità delle loro idee, con un collega di facoltà alunno del Borromeo e già suo compagno di liceo, Ludovico Necchi e, tramite lui, ebbe incontri con gli universitari del Circolo Severino Boezio della Federazione universitaria cattolica italiana (FUCI), con i quali ingaggiava vivaci contraddittori.

In tali occasioni conobbe anche alcuni sacerdoti di distinta scienza, come F. Rodolfi, professore di scienze naturali nel seminario di Pavia, e il matematico e astronomo P. Maffi, poi arcivescovo di Pisa e cardinale, il quale dirigeva la Riv. di fisica, matematica e scienze naturali, ove il G. pubblicò più tardi alcuni suoi studi: queste frequentazioni finirono con l'avere una notevole influenza su di lui, cominciando a mettere in crisi l'anticlericalismo volterriano-giacobino dei primi anni universitari e la sua fede materialista.

Si laureò il 9 luglio 1902 con una tesi, Note sull'embriologia e sull'anatomia dell'ipofisi, che gli ottenne il massimo dei voti, la pubblicazione di una parte del lavoro nel Boll. della Società medico-chirurgica di Pavia (1903, n. 3, pp. 177-222), l'assegnazione del premio Polli, consistente in un microscopio Harnack, e la nomina ad assistente del Golgi, lasciando presagire una brillante carriera. In attesa di svolgere il servizio di leva si iscrisse come praticante presso l'ospedale Maggiore, compiendovi un tirocinio di tre mesi durante il quale preparò sei lavori scientifici. Il 1° nov. 1902, rinunciando a frequentare la Scuola di sanità militare di Firenze per allievi ufficiali per rimanere vicino all'università, iniziò l'anno del cosiddetto volontariato come soldato di sanità nell'ospedale militare di Milano, che aveva sede nell'ex monastero benedettino di piazza S. Ambrogio. Qui trovò ancora l'amico Necchi e fu per suo tramite che prese a frequentare un giovane sacerdote, Giandomenico Pini, ex avvocato, autore di scritti sul S. Cuore e allora catalogatore alla Biblioteca Ambrosiana, che aveva conosciuto a Pavia. Già in crisi per i ricordati incontri pavesi, attraverso questi colloqui e le conversazioni con alcuni giovani francescani suoi compagni di servizio militare, nell'aprile 1903 il G. riprese la pratica religiosa.

Il mito di una conversione subitanea è da ritenersi perciò frutto di apologetica agiografica; improvvisa dovette essere, invece, l'idea di una vocazione religiosa, della quale resta precisa testimonianza un'inedita lettera a don Pini del 13 maggio 1903 (Biblioteca apost. Vaticana, Carte Pini). Contemporanea fu anche la decisione di farsi francescano, benché gli amici Necchi e Pini pensassero piuttosto a un suo ingresso fra i gesuiti o i domenicani. I genitori, ai quali comunicò la sua risoluzione, si mostrarono nettamente contrari; terminato il 16 novembre l'anno di volontariato, anziché rientrare in famiglia, si presentò perciò direttamente al convento francescano di Rezzato.

Poiché il padre aveva consegnato al Corriere della sera la lettera con la quale il figlio comunicava la sua decisione, ne nacque una campagna giornalistica di cui fu espressione il ricordato articolo di Turati. Riuscito vano il tentativo del padre e d'altri amici di strapparlo dal convento, il 23 nov. 1903 era ammesso all'ordine col nome di fra' Agostino. Una lettera aperta del G. pubblicata dall'Osservatore cattolico (28 nov. 1903) e un articolo di R. Simoni sul Corriere della sera (4 dic. 1903) misero fine a un dibattito spiegabile con le polemiche del tempo sulla compatibilità fede-scienza e nel conflitto storico Chiesa-cultura moderna.

Trascorso l'anno di noviziato, il 23 dic. 1904 il G. prendeva i primi voti. Dopo la professione religiosa fu inviato nel convento di Dongo a studiare filosofia e teologia; ma verificatisi quivi adesioni alla corrente modernista da parte di alcuni giovani, espulsi per questo dall'Ordine, il G. - che pure nutrirà per il modernismo simpatie allo stato delle fonti non precisabili e terrà una corrispondenza con P. Sabatier a proposito della sua Vita di s. Francesco - fu rinviato a Rezzato, dove continuò lo studio della teologia, per passare poi al convento di S. Antonio a Milano. Fu ordinato prete il 14 marzo 1908.

La nuova formazione intellettuale del G. avvenne, dunque, nei pochi anni di studio intensivo trascorsi fra Rezzato e Milano, con una serie di letture (filosofia, teologia, storia del cristianesimo, storia della Chiesa, spiritualità) che dovevano costituire la base imponente, forse un po' troppo rapidamente assimilata, della sua cultura religiosa. Aveva nel frattempo ottenuto di riprendere gli studi di fisiologia e di istologia, sospesi nell'anno di noviziato, che costituivano la sua vera vocazione scientifica.

Rinunciando a esercitare la professione medica, anche per l'incompatibilità prevista dal diritto canonico, indirizzò le sue ricerche di fisiologia e di neurologia al servizio della psicologia trovandone in quelle le basi sperimentali. Il ruolo della sperimentazione nello studio della psicologia, esposto sin dal 1908 in un saggio dal titolo L'esperimento in psicologia edito nella Rivista di psicologia di C.G. Ferrari (IV, pp. 53-70, 149-170), verrà dal G. continuamente ribadito. Battagliero, uomo d'azione, non si accontentò di riprendere gli studi preferiti, ma avviò subito una serie di iniziative per ravvivare la cultura in campo cattolico.

Ancora semplice frate tenne una relazione al convegno della FUCI del 1906 (I progressi delle scienze biologiche innanzi al pensiero cattolico, in Studium, I [1906], 10-11, pp. 1-28) che era un invito ai cattolici ad affrontare con strumenti adeguati il problema dei rapporti fra religione e scienza, tema sviluppato in uno scritto successivo, Per il progresso degli studi scientifici fra i cattolici italiani (ibid., II [1907], 11, pp. 662-673). Sin dal 1905 aveva avviato una corrispondenza con il sociologo G. Toniolo e, dopo averlo personalmente incontrato a Milano nel 1907, gli sottopose il progetto di un Istituto superiore cattolico di studi filosofici; nel 1908, alla settimana sociale di Palermo, tenne una relazione sulle malattie dei lavoratori delle zolfare, primo suo studio sperimentale di medicina del lavoro, campo nel quale si sarebbe specializzato avviando una vera e propria scuola; nel 1909, incoraggiato dal filosofo di Lovanio D. Mercier, iniziava, insieme con un gruppo di filosofi cattolici, la pubblicazione della Rivista di filosofia neoscolastica, sul modello della Revue neoscolastique de philosophie di Lovanio. La rivista seguiva l'indirizzo tomista, ma senza trascurare le correnti del pensiero moderno e contemporaneo: "procurava di non ignorare - scrisse B. Croce - e si guardava dal vituperare con le solite contumelie pretesche e fratesche i liberi scrittori, ma li esponeva, li discuteva e spesso ne accettava le teorie, sforzandosi di allogarle in un allargato sistema di filosofia scolastica" (Storia d'Italia dal 1871 al 1915, Bari 1928, p. 247).

Unendo fedeltà al metodo empirico della scienza e ossequio all'ortodossia, il G. mise la sua cultura medica e i suoi studi al servizio della Chiesa, propugnando, ad esempio, alcune innovazioni tecnologiche moderne nel campo dell'igiene delle chiese per evitare il rischio di contagi e malattie che potevano allontanare la gente dalla pratica religiosa; ma egli si spingeva più in là, sostenendo, dopo aver visitato nel 1911 l'Esposizione internazionale di igiene di Dresda, "l'alto valore sociale dell'igiene" e l'importanza dell'organizzazione igienica pubblica (De Giorgi, in Contemporanea, II [1999]). Altro campo di applicazione dei suoi studi medici fu la teologia morale: docente, dal 1909 al 1913, di medicina pastorale nelle scuole teologiche dei frati minori, pubblicò in quegli anni un manuale di medicina pastorale, Non moechaberis:disquisitiones medicae in usum confessariorum (Roma 1910), due saggi su Nevrosi e santità (Monza 1912), un volume De scrupolis (Firenze 1912) e saggi sul misticismo.

Nel 1910 promuoveva, insieme con alcuni esponenti del mondo cattolico ambrosiano, l'associazione Pro cultura, il cui fine, come diceva lo statuto approvato l'11 marzo 1911, era quello di "affermare nel campo del pensiero e della scienza la perenne vitalità del cattolicismo". L'associazione organizzò corsi annui di cultura religiosa e cicli di conferenze, fra le quali spiccano quelle, indette nel 1914, sulla situazione europea all'inizio della guerra: il G. vi tenne una lettura, Una corsa attraverso la Germania in armi, piuttosto germanofila. Egli, infatti, fra il 1910 e il 1914 aveva trascorso lunghi periodi di studio e di ricerca in Germania frequentando i migliori laboratori scientifici tedeschi.

Nell'estate del 1910 aveva compiuto un viaggio che da Parigi l'aveva portato a Lovanio - dove aveva incontrato ancora il Mercier, nel frattempo divenuto cardinale e primate del Belgio, e frequentato il laboratorio di psicologia di quella università - e, infine, a Monaco dove conobbe il politico e studioso neotomista G. von Hertling, futuro cancelliere del Reich. Nel luglio 1911 partiva ancora per la Germania e, avendo come base il monastero francescano di Fulda, lavorò a Bonn, a Monaco e a Berlino. Nell'estate 1912 tornò nuovamente in Germania, dove si fermò sino a dicembre lavorando all'Università di Bonn, nel laboratorio di fisiologia, sotto la direzione di M. Verworn, e in quello di biologia generale di M. Nussbaum, che apprezzò la preparazione neuro-istologica del G. e gli affidò una ricerca sulla formazione delle radici anteriori del midollo spinale. Approfondì queste ricerche nella clinica neurologica di L. Edinger, a Francoforte sul Meno, poi alla Nervenklinik di Monaco, diretta dallo psichiatra E. Kraepelin, con il quale, benché fosse d'ispirazione materialista, stabilì un fruttuoso sodalizio scientifico. Dai biologi e neurologi tedeschi il G. "apprese quel metodo di rigoroso procedimento analitico che fu alla base dei suoi lavori" per tutta la vita (Ancona, pp. 163 s.). L'interesse per la psicologia sperimentale lo condusse a frequentare, fra il 1912 e il 1914, le lezioni e il laboratorio di un alunno dissidente di W.M. Wundt, O. Külpe, professore a Würzburg, Bonn e Monaco, il quale, a differenza del Wundt che legava strettamente la psicologia alla fisiologia, proponeva il metodo della "introspezione controllata".

Il G. frequentò pure, all'Università di Torino, le lezioni e il laboratorio di un altro alunno del Wundt, F. Kiesow, sotto la cui guida sostenne, il 13 dic. 1913, l'esame per la libera docenza in psicologia sperimentale, conferitagli con d.m. del 27 giugno 1914: ciò gli permise di tenere corsi pareggiati di psicologia sperimentale all'Università di Torino negli anni accademici 1915-16 e 1918-19, nella Accademia scientifico-letteraria di Milano dal 1919 al 1923, e nella neonata Università cattolica dal 1921.

In Germania il G. era rimasto profondamente ammirato dei mezzi che gli studiosi avevano a disposizione, ma anche della organizzazione dei cattolici tedeschi, di cui aveva visitato il centro propulsivo, la Volksvereinshaus a Mönchengladbach; apprezzava e invidiava soprattutto la libertà di cui godevano gli studiosi e gli scienziati cattolici d'Oltralpe, a differenza di quelli italiani. La fedeltà all'ortodossia, le esortazioni di Pio X e un colloquio con don L. Guanella lo avevano distolto dalle simpatie moderniste, ma la mentalità scientifica lo portava a criticare certe iniziative degli integristi e a chiedere che gli studiosi cattolici fossero tutelati dalle pretese degli uomini di "corte vedute".

Sin dal 1906 aveva difeso con simpatia l'ipotesi evoluzionista del biologo e gesuita tedesco E. Wasmann, che il G. nella introduzione all'edizione italiana della sua opera, La biologia moderna e la teoria dell'evoluzione (Firenze 1906), denominava teoria della "polifilogenesi". Con questa presa di posizione egli si ricollegava all'evoluzionismo spiritualista del Fogazzaro e, ai critici del Wasmann e ai suoi stessi critici - fra i quali era il tomista G. Mattiussi -, ribatteva che quelle critiche, basate sulla teoria concordista e sulla identificazione di evoluzionismo e darwinismo, erano "una prova di più del fatto che gli incompetenti e i dilettanti abbondano nel nostro campo offrendo con i loro scritti di carattere antiscientifico facile il fianco ai nemici… della Chiesa" (Conflitto di tendenze, in La Scuola cattolica, s. 4, IX [1906], p. 149).

Scoppiata la guerra, nell'autunno del 1914, il G. fondò una rivista culturale, Vita e pensiero, e nel primo fascicolo, del 1° dic. 1914, vi pubblicò l'editoriale Medioevalismo, una specie di manifesto destinato a suscitare un vivace dibattito.

Egli vi sosteneva l'esigenza di una cultura organica - di cui era stata esempio la cultura del Medioevo - contro la frammentarietà del sapere e contro il materialismo dell'uomo moderno, caratterizzato dal culto dell'energia e del fatto bruto; questo appello apparve come una condanna dell'intera cultura moderna e un invito alla restaurazione di una cristianità medioevale. Subito dopo l'invasione del Belgio il G. aveva lamentato la morte di alcuni suoi amici belgi, francesi e tedeschi e la distruzione dell'Università di Lovanio colpita dai bombardamenti tedeschi; l'appello alla cultura medioevale era fors'anche una risposta alla crisi della civiltà europea e alla barbarie della guerra.

Quello stesso autunno il G. compiva il ricordato viaggio a Monaco, e ne prendeva occasione per sottolineare la compattezza nazionale tedesca, che vedeva uniti uomini di tutte le classi e di tutti i partiti, e per esporre - "non per farlo mio", com'egli dichiarava ("Delenda Prussia"!, in Vita e pensiero, I [1915], 8, pp. 449-460) - il punto di vista tedesco sulle cause della guerra. Proclamata la neutralità italiana il G. aveva dichiarato di rimettersi alle decisioni di chi guidava le sorti del paese, ma dopo la dichiarazione di guerra all'Austria fece pubblicare su Vita e pensiero (10, p. 557) un breve editoriale, Per la patria, di aperto contenuto patriottico; già dall'agosto '14 aveva chiesto d'essere arruolato, in caso di guerra, come medico o cappellano militare.

Chiamato alle armi e nominato capitano medico, venne destinato al comando supremo dove, insieme con padre G. Semeria, svolse anche funzioni di cappellano presso lo stato maggiore. A Udine impiantò e diresse un laboratorio di psicofisiologia applicata per la selezione degli aviatori, sottoponendosi egli stesso a esperimenti di volo (più tardi, negli anni Trenta prenderà il brevetto di pilota). Studiò anche i casi di shock traumatico provocato in molti soldati dall'impatto con la crudezza della guerra, costituendo accanto al laboratorio di psicofisiologia un ospedale di primo ricovero per questi malati (raccolse i suoi studi sulla psicologia del soldato nel volume Il nostro soldato. Saggi di psicologia militare, Milano 1917), e attivò con Semeria un segretariato per l'assistenza morale e materiale del soldato.

La convinta collaborazione con le autorità militari, la pubblicazione di articoli esaltanti il sentimento nazionale e la stessa libertà con la quale svolgeva l'attività pastorale e le cerimonie religiose al campo, suscitarono perplessità nei suoi superiori religiosi e lamentele giunte fino alla segreteria di Stato vaticana; ma quegli atteggiamenti apparivano a molti altri come l'espressione di una ritrovata conciliazione fra amor di patria e religione. L'aperto patriottismo professato dal G. contribuì, in tal modo, a dargli un maggior prestigio presso l'opinione pubblica nazionale ed egli se ne avvalse anche per la realizzazione, finita la guerra, del progetto di una università cattolica, antica aspirazione del mondo cattolico italiano.

L'attuazione di questo progetto fu favorita dalla crisi dello Stato liberale e soprattutto dal ruolo assunto nella vita politica del dopoguerra dai cattolici, per il loro attivo contributo alla riscossa nazionale e alla vittoria. Ma tale successo fu facilitato anche da un diffuso atteggiamento di critica alla scuola statale - dall'istruzione di base, la cui insufficienza era apparsa evidente nel corso del conflitto, all'università - e di apertura alla scuola libera condiviso da pedagogisti di formazione idealista, come G. Lombardo Radice, E. Codignola e soprattutto G. Gentile, e da liberali come L. Luzzatti e G. Ferrero, che nel confronto e nella emulazione fra istituzioni pubbliche e libere vedevano un fattore di progresso delle stesse istituzioni scolastiche e scientifiche statali.

Il 16 apr. 1919 il G. costituiva, con la collaborazione dell'on. F. Meda, l'Istituto di studi superiori G. Toniolo: eretto in ente morale con r.d. 20 giugno 1920 a firma di B. Croce, ministro della Pubblica Istruzione nell'appena costituito ministero Giolitti, l'istituto diverrà l'ente promotore dell'ateneo cattolico. Il 2 apr. 1919 il G. aveva iniziato le pratiche per ottenere intanto il riconoscimento pontificio: dovette superare le difficoltà frapposte da alcuni consultori vaticani al piano di studi e al modello di università proposto, che era esemplato, pur con evidenti novità, su quello statale. Doveva inoltre trovare finanziamenti, sede, attrezzature e ci riuscì grazie all'aiuto di uno sponsor, l'industriale tessile E. Lombardo, e di solerti collaboratori, fra cui Armida Barelli, presidente della Gioventù femminile cattolica, organizzazione che costituirà, per almeno tre decenni, la principale struttura di propaganda e di sostegno materiale dell'ateneo. Ottenuto, il 9 febbr. 1921, un breve di approvazione da Benedetto XV, l'Università cattolica fu inaugurata il 7 dicembre successivo con due facoltà: filosofia e scienze sociali.

Il corpo docente della facoltà filosofica era costituito in gran parte dal gruppo dei collaboratori della Rivista di neoscolastica e quello della facoltà di scienze sociali da economisti e sociologi della scuola del Toniolo, alcuni dei quali (A. Mauri, A. Boggiano-Pico, F. Marconcini, V. Tangorra) erano anche deputati popolari o, come M. Roberti, tra i fondatori del Partito popolare italiano (PPI). Riguardo a quest'ultimo, tenendo conto della crisi dello Stato liberale e del diffondersi di tendenze bolscevizzanti nel socialismo italiano, il G. considerava essenziale la fondazione di un partito d'ispirazione cristiana; accentuò però a tal punto questa connotazione che, in un opuscolo scritto con F. Olgiati (Il programma del PPI come non è e come dovrebbe essere, Milano 1919), rimproverava alla nuova formazione l'impostazione aconfessionale. Su questo tema si svolse un serrato dibattito al I congresso del partito (Bologna 1919), al termine del quale sulla mozione integrista del G. prevalse quella di L. Sturzo. Il pragmatismo del G. lo portò a una rapida conciliazione con i popolari: anche Sturzo presenziò all'inaugurazione dell'università e vi tenne anzi un importante discorso.

Dopo la riforma Gentile che, accanto alle università di Stato, prevedeva università libere abilitate a rilasciare titoli con valore legale a condizione che venisse accettato l'ordinamento accademico statale, il G. - cui Gentile aveva chiesto un parere per la parte riguardante le università libere - optò per questa soluzione e l'Università cattolica ebbe il riconoscimento statale con r.d. 2 ott. 1924. Il G. riteneva di poter in tal modo inserire via via i propri laureati nella carriera accademica, nelle professioni, nella pubblica amministrazione, nell'insegnamento medio (il riconoscimento venne esteso all'Istituto superiore di magistero, futura fucina di docenti nelle scuole medie e di direttori didattici delle scuole elementari) favorendo una più larga penetrazione dei cattolici nella società italiana sino alla realizzazione di quella società "cristiana" che era nelle sue prospettive.

Con il riconoscimento statale le due facoltà già esistenti furono trasformate in facoltà di lettere e filosofia e facoltà di giurisprudenza; quest'ultima fu organizzata affiancando agli economisti e sociologi della precedente facoltà di scienze sociali, illustri giuristi provenienti dalle università statali, ancorché non sempre omogenei con lo spirito dell'istituzione. Nel 1926 il G. creò, poi, una Scuola di scienze politiche economiche e sociali, divenuta nel 1932 facoltà di scienze politiche.

Sin dalla nascita della sua università il G. s'era premurato di impiantarvi un attrezzato laboratorio di psicologia. Le ricerche da lui svolte prima e durante la guerra mondiale avevano già avuto una risonanza internazionale; dopo la fondazione della Cattolica e la sua nomina, nel 1927, a professore ordinario, il laboratorio da lui diretto divenne tra i migliori istituti di psicologia e un centro attivo di ricerca.

Appartengono a questo periodo gli studi sulla percezione, basati su pionieristiche ricerche elettrofisiologiche, encefalografiche, retinografiche e acustiche, condotte sperimentalmente in laboratorio. Già interessato, come sappiamo, alle condizioni psicofisiche dei lavoratori e alle malattie professionali, dagli anni Trenta il G. affrontò alcuni dei più delicati problemi connessi al mondo del lavoro e al processo di modernizzazione industriale: la selezione attitudinale, i ritmi di produzione, il rapporto uomo-macchina, la formazione professionale dei lavoratori, portando significativi contributi alla psicotecnica e alla psicologia del lavoro. Mentre la psicologia trovava scarsissima attenzione nella cultura italiana e nelle università, espunta, soprattutto ad opera degli idealisti, dal dibattito filosofico ed esclusa da qualsiasi discorso sulla sua rilevanza in campo sociale e applicativo, il G. tenne desto "l'interesse e la stessa possibilità di sopravvivenza della disciplina" facendo circolare fra gli studiosi - attraverso le ricerche di psicologia sperimentale e di psicologia clinica - idee, concetti e principî che non avrebbero altrimenti trovato modo di sopravvivere o d'essere percepiti e conosciuti (Quadrio Aristarchi, p. 295).

Su questa valutazione consentono molti psicologi, anche avversari del G., ma soprattutto i numerosi allievi della sua scuola; secondo un giudizio espresso a cavallo degli anni Sessanta il G. "avrebbe svolto un ruolo di "mediatore eclettico" tra ideologia cattolica conservatrice e il capitale italiano negli anni del regime". In realtà (come rileva con altri studiosi Mecacci, 1996, p. 530) il G. "si rese conto lucidamente dell'importanza sociale che la psicologia avrebbe assunto nella vita del paese (nella famiglia, nella scuola e nell'ambiente di lavoro)" e che occorreva quindi formare psicologi professionali e operatori sociali - medici, assistenti sociali, religiosi, addetti agli uffici del personale - in grado di soddisfare queste esigenze. Questa posizione, giudicata all'epoca della contestazione opportunistica e funzionale agli interessi del capitale o dell'autorità, sarebbe apparsa negli anni del capitalismo avanzato, più ancora che negli anni Trenta e Quaranta, uno strumento di verifica "per la valutazione della rilevanza scientifica della ricerca psicologica" (Rozzi, p. 30). Un fondamento a quel giudizio critico poteva tuttavia derivare dal ricordo della collaborazione del G. con istituzioni ed iniziative dello Stato fascista e dal fatto che, alla fine degli anni Trenta, egli aveva espresso la speranza che lo sviluppo della psicologia italiana, avversato dall'idealismo, potesse essere favorito dal fascismo. Al fascismo il G. riconosceva, in un saggio scritto con F. Banissoni (Speranze e preoccupazioni degli psicologi italiani…, in Arch. di psicologia, psichiatria e psicoterapia, II [1941], pp. 16 s.), di avere "una esatta visione dell'importanza e del valore dei fattori psichici, dell'attività umana e della necessità di valutare la personalità umana"; ma notava che con quella visione contrastava l'impreparazione di chi aveva la responsabilità di attuare le possibili applicazioni della psicologia nelle istituzioni dello Stato e del regime. Da questa constatazione nacque, nel 1939, la Commissione permanente per le applicazioni della psicologia presso il Consiglio nazionale delle ricerche (CNR), divenuta, attraverso vari passaggi e modificazioni, l'Istituto di psicologia dell'attuale CNR.

Di fronte al regime fascista il G. tenne in effetti una posizione variamente interpretata. Dato il temperamento autoritario e accentratore, un "movimento d'ordine" come il fascismo poteva senz'altro suscitare nel suo animo una evidente simpatia ("qualcuno lo chiamò naturaliter fascista", scrive Bontadini, p. 229); di fatto il suo atteggiamento, oscillante talora fra tensioni con il regime e aperti riconoscimenti, apparve oggettivamente di consenso al fascismo.

Fra il fascismo e la prospettiva ideologica del G. esisteva certamente un contrasto teorico, comprovato dalla polemica sempre aspra con l'attualismo gentiliano (anche quando Gentile, al quale restò tuttavia sempre grato per l'attuata libertà scolastica, non era più in auge nel regime) e con la concezione dello Stato ch'esso implicava. Di fatto il G. aveva espresso la sua prospettiva di società e di Stato "cristiani" con la campagna, promossa all'avvento dello Stato fascista, in favore della proclamazione della regalità di Cristo: in sintonia con la visione di Pio XI che ne fissò la festa all'ultima domenica di ottobre e cioè in corrispondenza con l'anniversario della marcia su Roma. Alla regalità di Cristo il G. dedicò pure un congresso internazionale (1926), un'apposita Opera e due Istituti di laici consacrati, chiamati missionari della Regalità che, sul modello francescano dovevano mirare alla propria perfezione spirituale, alla evangelizzazione dell'uomo contemporaneo, ma anche alla preparazione, insieme con l'Università cattolica, dei quadri dirigenti di quella società cristiana.

Gelosissimo della sua creatura, di fronte a un partito che s'era insediato con la forza all'interno delle istituzioni statali e tendeva a un controllo totale della stessa attività accademica e scientifica, il G. non esitò tuttavia a fare concessioni che rendessero possibile la vita dell'ateneo e quindi il progetto della formazione e della crescita di una classe dirigente la quale avrebbe potuto consentire, a suo tempo, di agire nello Stato: contrapposizione al fascismo, dunque, ma fors'anche illusione "di riempire la forma fascista con il contenuto cattolico" (Rumi, p. 352).

Un discorso pronunciato dal G. a Bologna il 9 genn. 1939, commemorando il chirurgo medioevale Guglielmo da Saliceto, nel corso del quale aveva usato espressioni duramente antisemite, ha costituito la base dell'accusa di antisemitismo rivoltagli da molti. Tali espressioni gli furono aspramente rimproverate, il giorno dopo, dal collega e collaboratore E. Franceschini, e il G. si affrettò a ritrattare le affermazioni fatte con avventatezza e con un'irruenza non estranea al suo temperamento: una "fugace sbandata dalla quale si riprese subito", scrive Bontadini (p. 229); ma l'intervento, collegato a talune altrettanto irruenti affermazioni antiebraiche risalenti agli anni Venti, non poteva passare inosservato. L'antisemitismo del G. si collocava, peraltro, nella tradizione dell'antisemitismo religioso che per secoli ha visto negli ebrei il popolo deicida, non derivando, quindi, da motivazioni specificatamente razziste. Il G., inoltre, non aveva aderito al Manifesto degli scienziati razzisti e criticò, anzi, le ragioni su cui si basavano gli autori, accusandoli di un determinismo biologico che non si conciliava con il punto di vista spiritualistico con il quale egli affrontava i problemi della genetica.

Sin dal congresso della Società italiana di psicologia (SIPS) del 1929 il G. aveva rivolto un pesante attacco alla scuola costituzionalista di Tubinga di E. Kretschner e P. Hoffmann e alle scuole italiane di G. Viola, A. De Giovanni e N. Pende, a proposito dei fondamenti della "caratterologia". Egli criticava la tendenza alle classificazioni dei caratteri in tipi e schemi incapaci di cogliere il dinamismo della vita psichica, rifiutando le posizioni materialiste delle teorie costituzionaliste. Pur riconoscendo che la caratterologia poteva avvalersi della constatazione che esistono "correlazioni somatico-psichiche" assai più facili a rilevarsi dei sintomi psichici, sosteneva la necessità di sostituire all'approccio causale quello finalistico, cogliendo la vita psichica nella sua autonomia. Rifiutando le posizioni materialiste del costituzionalismo il G. si richiamava peraltro all'insegnamento di S. Freud secondo il quale "per fare psicologia vera bisogna cercare di capire le azioni umane nella loro genesi e nei loro moventi", rilevando il contributo che alla caratterologia veniva dalla psichiatria, la quale, "illuminando la genesi di alcune caratteristiche neurosi", aiuta a comprendere la genesi del carattere e le cause che agiscono nella sua formazione (Sulla natura e sulla genesi del carattere, in Atti della Sips, Roma 1930, I, pp. 169-195: cit. in Israel - Nastasi, p. 142).

Come aveva attaccato il programma eugenetico nazista per ragioni scientifiche, morali e religiose, così a proposito della politica demografica del fascismo rifiutava le tesi di coloro che proponevano forme di eugenetica positiva (favorire la fecondità e lo sviluppo di figli forti in grado di divenire fattori di benessere e di ascesa della nazione) e a maggior ragione l'eugenetica negativa (impedire la riproduzione di individui di mediocre o cattiva qualità), vicino semmai alla formula della "eugenica rinnovatrice" coniata da C. Gini. In effetti il G. attribuiva il declino demografico non a cause biologiche, ma alla decadenza morale e alle difficoltà economiche, tanto che "proponeva di attribuire alle donne un salario familiare" in modo che non dovessero lavorare e si occupassero soltanto della prole (ibid., p. 135). Rifiutava visioni pessimistiche e fatalistiche di determinismo biologico, ponendo l'accento sui fattori sociali e spirituali e sulla libertà come legge di funzionamento dello spirito umano, e, traendone le conclusioni sul piano pratico e della vita politica, affermava che la grandezza della patria era legata alla educazione del carattere degli Italiani. La critica della biotipologia naturalistica e l'approccio spiritualistico del G., nella fase della promulgazione delle leggi razziali, indussero anche il Pende a prendere "le distanze dalle visioni troppo esclusivamente basate sull'idea della razza e del sangue" e a correggere l'impostazione assunta in precedenza "in modo tale da suscitare il consenso dello stesso Gemelli", come avrebbe scritto a Mussolini - in occasione della contrastata storia delle sottoscrizioni al Manifesto della razza del luglio 1938 - lo stesso Pende, che ora difendeva l'approccio "spiritualista-romano" contro l'approccio "biologico-ariano" (ibid., p. 373).

Si è ipotizzato un nesso fra le affermazioni bolognesi del G. e la proposta di una sua nomina ad accademico d'Italia. Una proposta ci fu, appoggiata dalla ipotesi che il G. stesse per essere creato cardinale e che, dunque, sarebbe stato utile avere un accademico in Vaticano, ma Mussolini la respinse. Il G. era stato nominato poco tempo prima presidente della Pontificia Accademia delle scienze, inaugurata il 1° giugno 1937: egli l'aveva riordinata per incarico di Pio XI chiamandovi a farne parte illustri scienziati di tutti i paesi senza distinzione di religione e di razza.

Il 26 dic. 1940, mentre tornava in automobile da Firenze, ebbe presso Anzola, sulla via Emilia, un grave incidente stradale: ricoverato all'ospedale Rizzoli di Bologna vi rimase due mesi fra la vita e la morte. Si riprese, ma per il dinamico e atletico G. essere costretto a camminare con le stampelle fu un duro colpo, mentre la guida dell'università richiedeva energia e prudenza, specialmente dopo la proclamazione della Repubblica sociale italiana e la divisione dell'Italia in due.

La guerra decimava professori, laureati e studenti richiamati alle armi, fatti prigionieri o deportati; nei bombardamenti dell'agosto 1943 su Milano l'ateneo di piazza S. Ambrogio subiva gravissimi danni; il G. dette subito inizio alla ricostruzione. Spinto anche dai numerosi professori della sua università da sempre antifascisti, sin dalla fine del '42 aveva indetto riunioni di studio per esaminare i problemi della ricostruzione morale nel dopoguerra e per elaborare gli strumenti per il ripristino della legalità e della democrazia: vi partecipò il gruppo cosiddetto di casa Padovani, di cui facevano parte, oltre allo stesso U. Padovani, G. Dossetti, A. Amorth, G. Lazzati, Sofia Vanni Rovighi, P. Saraceno e il teologo C. Colombo.

Per evitare ogni riconoscimento della Repubblica di Salò il G. deliberò di non conferire lauree, limitandosi a far registrare in via amministrativa il completamento degli studi; ospitò nel laboratorio di psicologia le riunioni del Comitato di liberazione nazionale (CLN) e il comando generale del Corpo volontari della libertà (CVL). Proprio uno dei suoi più stretti collaboratori, il Franceschini, organizzò una vasta rete resistenziale che si avvalse anche di un servizio di sorveglianza all'interno dell'università per impedire che spie e agenti della polizia repubblichina potessero infiltrarsi. Questo obiettivo servizio reso alla Resistenza e alla lotta di liberazione non risparmiò al G. il processo di epurazione imposto dagli Alleati a tutte le università e a tutti i rettori, processo che si concluse, comunque, con un proscioglimento. Nell'estate del '46, poi, il G. ebbe un altro incidente che lo immobilizzò su una carrozzella. Superato il momento difficile, riprese la guida dell'università.

Con la riunione dell'Assemblea costituente e l'avvio della vita politica dell'Italia repubblicana il G. ebbe la soddisfazione di vedere molti degli uomini formatisi nella sua università, già impegnati nella Resistenza o reduci dai campi d'internamento tedeschi, partecipare attivamente alla vita pubblica - forse non proprio nella linea del ricordato suo disegno iniziale - assumendo posti di responsabilità nella politica nazionale, nelle amministrazioni locali, nel sindacato.

Nominato membro del Consiglio superiore della Pubblica Istruzione, portò il contributo della sua esperienza al dibattito sui problemi della scuola e sulla necessità di favorire l'accesso all'istruzione superiore dei giovani capaci e meritevoli che ne erano impediti dalle condizioni economiche (Proposte per la riforma della scuola italiana…, Milano 1946, pp. 5 ss.), dandone l'esempio nella sua università con la politica delle borse di studio e dei collegi, focolai di ricercatori, di futuri docenti, di uomini impegnati nella vita pubblica, ma anche strumento di mobilità sociale e di integrazione culturale di giovani provenienti da tutta Italia. Nel 1948 aprì la facoltà di scienze economiche, resa autonoma da quella di scienze politiche; nel 1953 la facoltà di agraria, con sede a Piacenza. Sempre nel 1953, al compimento del 75° anno d'età, fu nominato, con decreto del presidente della Repubblica, rettore a vita. Il centro della sua attività continuavano a essere tuttavia gli studi di psicologia: ne ampliò l'orizzonte a nuovi campi di ricerca imposti dai problemi aperti dal dopoguerra, dallo sviluppo industriale seguito alla ricostruzione e dai cambiamenti operati nella società di massa.

Con originalità di prospettive condusse con una nuova generazione di allievi - fra i quali G. Zunini, G. Iacono, G. Girotti, G. Peri e un buon numero di attuali cattedratici di psicologia e di sociologia - nuove ricerche e formulò ipotesi come quelle divenute patrimonio d'ogni psicologo cognitivista; incoraggiò i propri allievi a esplorare e a studiare la psicanalisi (benché non amata dai cattolici) e la psicologia sociale americana; estese la ricerca sperimentale di base a una serie di applicazioni nuove rispetto a quelle avviate anni addietro nel campo della psicologia del lavoro, della psicologia dello sviluppo, della psicologia clinica.

Uno dei sogni del G. era stato la creazione di una facoltà medica; essa fu approvata dal Consiglio superiore della Pubblica Istruzione il 23 apr. 1958 e il relativo decreto pubblicato nella Gazzetta ufficiale del 4 agosto: la nuova facoltà, che sarebbe sorta a Monte Mario, a Roma, doveva essere a suo avviso "un faro di sapere e di etica medica irradiante… sul mondo sanitario, sul mondo universitario, sulla cultura scientifica in Italia" (Cosmacini, p. 276).

Non ne vide però la realizzazione; il G. morì, infatti, il 15 luglio 1959 e fu sepolto, dopo il funerale officiato nel duomo di Milano dall'arcivescovo G.B. Montini, che ne tenne la commemorazione, nella cripta della cappella dell'Università cattolica.

Il G. fu un infaticabile promotore e organizzatore di cultura. Fece dell'Università cattolica - che dotò di laboratori, istituti e biblioteche attrezzate ed efficienti - un ateneo competitivo nel campo della scienza, fuori da preoccupazioni apologetiche; vi attivò nuove discipline (quali, tra le altre, la letteratura latina medioevale, la filologia umanistica, la letteratura cristiana antica) passate poi nell'ordinamento universitario nazionale; favorì la formazione di apprezzate scuole scientifiche; già in periodo fascista aveva inviato giovani allievi a studiare all'estero. Acquisì alla sua università riviste dalla tradizione prestigiosa come la Rivista internazionale di scienze sociali (1927) e l'Archivio di psicologia, neurologia e psichiatria (1939); promosse le settimane sociali dei cattolici, settimane di spiritualità e convegni di missionologia che contribuirono allo sviluppo in Italia di una disciplina come l'etnologia. La sua stessa attività saggistica si è esplicata in svariati campi della cultura, con una produzione originale, come gli scritti sulla spiritualità francescana (Giovagnoli, pp. 85 ss.), oppure rivolta alle applicazioni e alla divulgazione della sua opera scientifica. Anche questa saggistica spazia su varie discipline: teologia morale e ascetica, filosofia, psicologia. Nel campo filosofico il G. svolse un ruolo indiretto ("non era filosofo e del filosofo non aveva il temperamento": così Bontadini, p. 227) con la fondazione e la direzione della Rivista di filosofia neoscolastica, dove pubblicò pure molti contributi che si collocano fra psicologia e filosofia, e attraverso la partecipazione, con interventi spesso assai polemici, ai congressi di filosofia e ai dibattiti ideologici del tempo. La sua stessa adesione al tomismo e alla neoscolastica fu un'adesione di scuola che non escludeva simpatie per la tradizione filosofica agostiniana e francescana e per lo stesso Rosmini; ma non fu in grado di evitare che dagli anni Trenta prevalesse fra i tomisti della sua università una chiusura che impedì il dialogo fra la neoscolastica e correnti nuove e più vive del pensiero contemporaneo come l'esistenzialismo e lo spiritualismo cristiano.

Certamente il più significativo contributo scientifico il G. l'ha dato nel campo della psicologia. Accanto ai risultati ottenuti negli studi sulla percezione e nell'analisi elettroacustica del linguaggio, sta il vasto campo da lui aperto nella psicologia clinica e nell'applicazione della psicologia ai problemi sociali: l'orientamento professionale, la psicologia del lavoro, le condizioni dei carcerati, la devianza giovanile, la psicopedagogia. Si può dire ch'egli sia arrivato così a prospettare la psicologia come una integrale antropologia, una scienza totale dell'uomo. Significativa in proposito è la sua teoria della personalità: nella personalità egli riconosce due dimensioni fondamentali, una attinente al parametro biologico, tanto da affermare che "i bisogni vitali di tipo biologico asserviscono il sistema nervoso centrale e le stesse attività superiori dell'uomo"; l'altra, affiancata e sovrapposta a questa, costituita dalle reazioni affettive e dalle conoscenze intellettuali, sicchè per il G. "la personalità si costituisce come uno specifico apprezzamento dell'attività soggettiva, che non risulta ridotta alle funzioni degli organi di senso, ma ne emerge come l'attività di un Io superiore, rivolta a fini conosciuti e voluti per il loro valore sia oggettivo che esistenziale e sociale" (Ancona, pp. 9 s.).