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Pietro Gazzera (Bene Vagienna, 11 dicembre 1879 – Cirié, 30
giugno 1953) è stato un politico e militare italiano.
L'impresa di Libia
Nato a Bene Vagienna in provincia di Cuneo, partecipò alla
guerra italo-turca ed alla Prima guerra mondiale durante la quale fu
addetto al reparto operazioni del comando supremo. In tale veste
risulta tra i firmatari dell'Armistizio di villa Giusti. Sotto il
fascismo fu nominato da Mussolini ministro della Guerra, incarico
che ricoprì dal 1929 al 1934, poi comandante designato
d'armata e dal 1934 senatore.
Campagna dell'Africa Orientale Italiana
Durante la Campagna dell'Africa Orientale Italiana, svoltasi nel
corso della Seconda guerra mondiale fu comandante superiore delle
forze armate in Africa Orientale e responsabile dello scacchiere
sud, comprendente il Governatorato dei Galla e Sidama. Nel luglio
del 1940 il generale Pietro Gazzera occupò il forte di
Gallabat e di Kurmuk nel Sudan Anglo-Egiziano. Dal 23 maggio al 6
luglio 1941, in seguito alla resa del Duca d'Aosta fu governatore
dell'Africa Orientale Italiana e viceré d'Etiopia. Alle sue
truppe si unirono anche quelle del generale Carlo De Simone che si
erano ritirate da Addis Abeba. Tentata una difesa presso la
città di Soddu i reparti italiani si ritirarono oltre il
fiume Omo Bottego. Qui l'attacco britannico infranse le linee
italiane arrivando in pochi giorni ad occupare Gimma. Il 4 luglio i
britannici raggiunsero Dembidollo. In seguito alla sconfitta
militare le truppe italiane guidate da Pietro Gazzera si ritirarono
nella regione del Galla Sidama e il 6 luglio 1941, dopo essere
entrate in contatto con le forze belghe del generale Gilliaert,
provenienti dal Congo Belga, ottennero di arrendersi con l'onore
delle armi.
Dall'ultimo telegramma inviato in Italia annunciando la resa:
« Lo scacchiere sud ha fatto quanto era umanamente possibile
dal 10 giugno 1940 ad oggi per tenere ben alto il nome delle armi
italiane nel Kenia, nel Sudan, nell'Impero. Le truppe si sono
battute come leoni non solo contro gli inglesi, ma anche e ancor
più quando i ribelli giunti di fuori ci hanno martirizzato
lungo le retrovie. Anche dopo la resa dell'Amba Alagi ci siamo
difesi con le unghie e con i denti moltiplicando gli sforzi quanto
più diminuivano i mezzi e si accrescevano le privazioni. Oggi
stesso, pur senza speranza, abbiamo fermato i belgi nel loro attacco
a fondo sul Butta. I nostri ultimi ascari fedeli baciavano poco fa
il fucile dato loro dal governo italiano e piangevano quando hanno
intuito che dobbiamo cedere..»
Consegnato poi ai britannici fu prigioniero in Kenya, India e poi
negli Stati Uniti, rimpatriato dopo l'armistizio ebbe la nomina di
alto commissario per i prigionieri di guerra. Suo figlio, Romano
Gazzera (1906-1985), ha svolto un'intensa attività pittorica
ed è il caposcuola della pittura neo-floreale. Un nipote,
Franco Gazzera, primo segretario del Governo Regio di Danghela e
reggente di Commissariato di Gondar, si è particolarmente
distinto durante l'avventura coloniale in Abissinia.
*
DBI
Figlio di Giovanni Battista e di Anna Dompé, nacque a Bene
Vagienna (Cuneo) l'11 dic. 1879.
Frequentò la R. Accademia militare di Torino tra il 1896 e il
1899 uscendone sottotenente d'artiglieria. Dopo la Scuola di
applicazione d'artiglieria e genio il 28 ott. 1900 fu destinato come
tenente alla VI brigata d'artiglieria da fortezza. Prestò poi
servizio presso la direzione superiore delle esperienze
d'artiglieria e nel 17° reggimento artiglieria da campagna a
Novara. Nel 1903 sposò Bianca Maria Gerardi dalla quale
avrebbe avuto quattro figli.
Ammesso il 15 ott. 1905 alla frequenza del corso di stato maggiore
presso la Scuola di guerra di Torino, lo terminò nel 1908,
risultando il primo in graduatoria e venendo assegnato, per il
previsto periodo d'esperimento, al comando del corpo di stato
maggiore a Roma. Dal maggio del 1909 prestò servizio presso
la divisione militare territoriale di Cuneo sino al 1° ott.
1910, quando, promosso capitano, fu destinato al 5° reggimento
artiglieria da campagna a Venaria Reale.
Volontario in Libia, nel marzo del 1912, meritò, nel corso
della campagna, una medaglia d'argento al valor militare "per
l'abilità e l'ardimento spiegati nella condotta della
batteria in ripetuti combattimenti".
Rimpatriato nell'ottobre dello stesso anno fu nominato insegnante
aggiunto di logistica alla Scuola di guerra, un'esperienza, questa,
che dovette essere alla base del successivo incarico presso
l'intendenza della 4ª armata, dove ebbe modo di far valere le
sue spiccate capacità organizzative. Una dimostrazione dei
suoi interessi nel campo della logistica era data, in quel periodo,
da un suo articolo Alcune note comparative circa il servizio
automobilistico negli eserciti francese, germanico ed italiano
apparso nel 1914 nella Rivista militare.
Scoppiata la guerra, fu promosso, il 16 sett. 1915, maggiore
nell'arma d'artiglieria, comandato allo stato maggiore e, dal 6
genn. 1916, nominato capo della sezione istruzione (addestramento)
del comando supremo. Trasferito nel corpo di stato maggiore ebbe
l'incarico di sottocapo di stato maggiore per l'artiglieria della
6ª armata e fu promosso, nel febbraio 1917, tenente colonnello.
Nel luglio passò all'ufficio di segreteria del capo di stato
maggiore del comando supremo, a settembre - ricevuto l'incarico del
grado superiore per merito di guerra - venne destinato al 5°
reggimento artiglieria da campagna, così da essere promosso
colonnello d'artiglieria, pur rimanendo a disposizione del comando
supremo. Qui, nel febbraio del 1918, fu nominato capo ufficio della
Segreteria del capo di stato maggiore, incarico in cui sapeva dare
il meglio di sé, imparando a padroneggiare il complesso
meccanismo degli alti comandi e ottenendo, per "l'infaticabile e
preziosa opera costantemente ispirata a rara acutezza di giudizio e
a nobilissima concezione del dovere militare", la croce di cavaliere
dell'Ordine militare di Savoia in occasione della battaglia del
Piave, nel giugno del 1918.
La permanenza presso il comando supremo fu poi per il G. e per la
sua carriera ancora più preziosa perché gli permise di
entrare in contatto con i più alti gradi dell'esercito e di
legarsi al generale P. Badoglio, allora sottocapo di stato maggiore,
nella cui orbita sarebbe rimasto per tutti gli anni successivi.
Trasferito nuovamente nel corpo di stato maggiore, nell'ottobre del
1918, divenne - nonostante il grado non particolarmente elevato -
uno dei plenipotenziari italiani nelle trattative con
l'Austria-Ungheria sfociate nell'armistizio di Villa Giusti. Poco
dopo fu promosso brigadiere generale "per merito eccezionale".
Il 20 febbr. 1919 venne nominato comandante della brigata di
fanteria "Messina", con la quale ritornava dalla zona d'armistizio;
a giugno fu trasferito a Torino, alla Scuola di guerra, come
comandante in seconda, e l'anno successivo - a luglio - incaricato
del comando della brigata "Basilicata".
Nell'aprile del 1921 - a sua domanda - il G. venne messo in
aspettativa, ma già nel novembre - sempre a sua domanda - era
richiamato in servizio effettivo e nominato presidente del tribunale
militare speciale di Torino, destinato ai processi nei confronti di
ufficiali. Successivamente fu collocato a disposizione per ispezioni
e poi (maggio-giugno 1923) presiedette la commissione italiana
incaricata di comporre, con la Francia, la vertenza relativa alle
spese della base francese a Fiume.
Nel settembre del 1923 il G. fu nominato presidente della
commissione interalleata di delimitazione dei confini dell'Albania,
in sostituzione del generale E. Tellini rimasto vittima di
un'imboscata di una banda greca.
In tale qualità diresse i lavori della commissione per quasi
tre anni, alternando missioni sul terreno, lungo le frontiere con
Grecia e Serbia, a periodi di studio o di riunioni a Firenze e a
Parigi. Dopo la firma del protocollo tra Albania e Grecia (gennaio
1925) i lavori proseguirono allo scopo di addivenire a un'uguale
intesa tra Atene e Belgrado, non essendosi realizzata la quale, la
commissione, pur sospendendo la sua attività, rimase
ugualmente in vita, su disposizione della conferenza degli
ambasciatori. Soltanto nel luglio del 1926 si raggiungeva l'accordo
albanese-iugoslavo.
A tale data il G., pur mantenendo la presidenza della commissione,
era già stato nominato, dal 15 febbraio, comandante della
Scuola di guerra, incarico che mantenne anche dopo la promozione a
generale di divisione il 12 marzo 1928. Il 1° ottobre venne
posto a capo della divisione militare territoriale di Genova, che
resse però per poche settimane, essendo stato designato il 24
novembre sottosegretario del ministero per la Guerra. Tale nomina
era stata originata dal contemporaneo allontanamento da Roma del
capo di stato maggiore generale, Badoglio, e del sottosegretario per
la Guerra, U. Cavallero che, da tempo antagonisti, avevano dato
luogo a un clamoroso incidente in occasione della rivista per il
genetliaco del re. Questo dicastero era retto allora direttamente,
come diversi altri, da B. Mussolini, che il G. avrebbe poi
sostituito l'anno successivo, il 12 sett. 1929, con la nomina a
ministro per la Guerra.
Metodico amministratore, capace organizzatore, lavoratore assiduo,
anche se di carattere chiuso e, a volte, puntiglioso, il G. era
stato prescelto per le sue qualità, la sua solida
preparazione e, assai probabilmente, anche grazie alla segnalazione
di Badoglio, il quale era consapevole del fatto che il G., allora
come sempre, condivideva le sue scelte di fondo in materia di
politica militare, più orientate verso le passate esperienze
della prima guerra mondiale che alla rapida evoluzione in atto.
L'ordinamento dell'esercito trovato dal G. era quello del 1926
(ordinamento Mussolini, o Cavallero-Badoglio), adottato con la
prospettiva di una guerra contro Francia e Iugoslavia, che
comportava la necessità di 30 divisioni in tempo di pace, da
elevare rapidamente a 40 in caso di guerra sino a raggiungere le 60.
La grave crisi economica di quegli anni e gli indispensabili tagli
da apportare al bilancio resero difficile anche il semplice
mantenimento di questo ordinamento. Il G. dovette così
continuamente battersi per ottenere fondi straordinari, soltanto
parzialmente accordati e che però finivano per servire a
coprire le spese ordinarie, necessarie a conservare, con molta
difficoltà e con uno scadimento dell'addestramento e della
preparazione, un esercito di massa e non certo per migliorarne la
qualità rinnovandolo e modernizzandolo.
Nei quasi quattro anni in cui il G. fu alla guida del dicastero,
come sottosegretario e ministro, vennero prese decisioni di una
certa rilevanza in campo ordinamentale, addestrativo e teorico, che
non conseguirono tutte dei risultati positivi. Ben studiati e, per
l'epoca, moderni si dimostrarono il Regolamento d'istruzione del
1930 e le Norme generali per l'organizzazione e funzionamento dei
servizi in guerra del 1932, in cui per la prima volta la logistica
era considerata a sé stante. Buona riuscita diedero le nuove
armi di reparto della fanteria, poste allora allo studio ed entrate
in dotazione negli anni successivi, come il fucile mitragliatore
Breda, i mortai da 45 e da 81 e la mitragliatrice Breda '37.
Discreto si rivelò - almeno per il momento e, soprattutto,
per i benefici riflessi sull'erario - l'assetto che si volle dare
alla difesa antiaerea del territorio, affidata all'Esercito per
quanto atteneva alla direzione e a una specialità della
Milizia, invece, quanto all'esecuzione. Meno felici furono i
risultati ottenuti dall'introduzione tra gli ufficiali in servizio
permanente effettivo di due nuovi ruoli, a carriera limitata
controbilanciata da più elevati limiti d'età: il ruolo
"mobilitazione" e quello "consegnatari". In questo ruolo venivano
immessi gli ufficiali superiori e i capitani più anziani e
meno motivati; ma ciò non per creare degli specialisti ma,
più semplicemente, per sfoltire i ranghi degli ufficiali -
sovraffollati dalla fine della guerra - così da permettere
agli altri ufficiali, divenuti ora del ruolo "comando",
un'accelerazione della carriera. Ugualmente poco felice fu la
creazione di due divisioni "celeri", in cui convivevano a fatica
cavalleria, carri armati leggeri, bersaglieri ciclisti e artiglieria
motorizzata (con le ultime due componenti vincolate alla strada). I
peggiori risultati vennero dati, specialmente in prospettiva, dalle
decisioni che vennero prese in materia di mezzi corazzati.
Premesso che l'unica guerra che si pensava si potesse combattere era
una guerra difensiva sulle Alpi, i mezzi corazzati vennero ritenuti
un inutile e costoso lusso. Per dirla con le parole del G. "il
terreno dei nostri prevedibili teatri d'operazione circoscrive, a
tutt'oggi, la possibilità delle costosissime e pesanti
unità corazzate". Così, dopo esperienze pratiche in
terreni montuosi, si decise l'adozione di carri leggeri - definiti
"veloci" - armati di sole mitragliatrici, cosicché soltanto
nel 1939, alla vigilia della guerra, sarebbero entrati in servizio,
e in numero scarso, i primi "carri medi".
Durante la sua permanenza al ministero, il G. ottenne altre due
promozioni: a generale di corpo d'armata per meriti eccezionali, su
proposta di Mussolini, il 31 luglio 1930, e a generale comandante
designato d'armata, il 2 luglio 1933, raggiungendo così il
culmine della gerarchia nel breve volgere di quattro anni. Il che
ridimensiona, come ha scritto Rochat, il suo ruolo di "esponente
della rigida tradizione piemontese in contraddizione polemica
all'arrivismo fascista" generalmente attribuitogli allora e,
soprattutto, in seguito, sia per le polemiche di cui fu oggetto nel
1931 la sua gestione dell'esercito, sia per la sua sostituzione al
ministero con elementi dichiaratamente propensi a una
fascistizzazione dell'esercito, che si rivelò poi più
di forma che di sostanza.
Le polemiche del 1931 vennero originate da alcuni articoli di
critica alla sua politica militare di stampo conservatore e
passatista e che propugnavano, invece, l'adozione d'un esercito di
nuovo tipo, meccanizzato, di qualità più che di
quantità. Questi articoli erano l'espressione di una corrente
militare "modernista" che comprendeva, accanto a ufficiali in
servizio (F.S. Grazioli, G. Douhet, E. Caviglia) anche esponenti
politici e pubblicisti (I. Balbo, E. De Bono, R. Farinacci, E.
Canevari) che, più o meno strumentalmente e con diverse
graduazioni presentavano la "modernizzazione" come la premessa e al
tempo stesso la conseguenza della fascistizzazione dell'esercito,
intendendosi per fascistizzazione "il convergere della
pianificazione militare verso gli obiettivi di politica generale,
interna ed internazionale, del regime più che la
politicizzazione dell'esercito" (Ilari, 1990, p. 112). Il G.
reagì vivacemente alle critiche, giungendo a punire il
generale Grazioli, e venne sostenuto da Mussolini, pur se senza
eccessivo entusiasmo.
Nonostante la vittoria la posizione del G. rimase indebolita e
quando, nel 1933, la politica estera italiana si fece più
aggressiva e la minaccia della Francia, dopo l'avvento di Adolf
Hitler al potere, venne ridimensionata, Mussolini volle riprendere
l'interim dei ministeri militari. Così venne per il G. il
momento delle dimissioni, richiestegli con un preavviso di
ventiquattr'ore e con una lettera abbastanza fredda di Mussolini il
21 luglio 1933.
La successiva nomina del G. a senatore, il 30 ottobre, fu al
contempo il riconoscimento dell'opera svolta e un segnale del suo
allontanamento dalla vita militare. Il G. non ebbe infatti altri
incarichi e, nonostante che anche in occasione della guerra
d'Etiopia, nel febbraio del 1935, avesse chiesto a Mussolini di
poter servire "comunque e dovunque", il 5 maggio 1935 venne posto
fuori quadro.
Il G. non era però disposto ad accontentarsi del laticlavio
(al Senato faceva parte della commissione Finanze), desiderava
tornare alla vita militare e probabilmente sollecitò un nuovo
impiego in occasione delle udienze accordategli da Mussolini negli
anni successivi. Nell'estate del 1938, infine, fu nominato
governatore e comandante delle truppe del Galla e Sidama, uno dei
sei governi nei quali era stata suddivisa l'Africa orientale
italiana.
Poco più grande dell'Italia e con circa cinque milioni di
abitanti il Galla e Sidama era la regione dell'Etiopia più
isolata, meno progredita, nella quale, forse anche per queste
ragioni, l'opposizione agli italiani si manifestava in maniera meno
virulenta che altrove. Oltre a combattere la guerriglia,
l'attività del G. come governatore fu rivolta al
miglioramento delle comunicazioni, pessime, e allo sviluppo
dell'agricoltura (caffè e cereali).
All'inizio della seconda guerra mondiale il territorio dell'Africa
Orientale venne diviso in scacchieri e il G. fu posto al comando di
quello meridionale, corrispondente all'incirca al Galla e Sidama,
con 50.000 uomini, dei quali 40.000 coloniali, con inadeguati mezzi
di trasporto e dotati d'un armamento - in parte di preda bellica
austriaca - adatto a operazioni di controguerriglia o a una campagna
coloniale ma insufficiente a opporre una valida resistenza contro
mezzi motocorazzati o contro l'aviazione. Lo schieramento era
spiccatamente difensivo, con la possibilità, subito sfruttata
dal G. a Mojale e a Kurmuk, di limitate puntate offensive a
carattere locale. Dopo un periodo iniziale di resistenza a cordone
lungo tutto il confine con il Kenya e il Sudan, le truppe
cominciarono a ripiegare, mentre la ribellione, aiutata dagli
inglesi, cresceva d'intensità.
Lo sfondamento del fronte in Somalia e, poi, l'avanzata britannica
su Addis Abeba portarono il nemico sul fianco e sul tergo dello
scacchiere meridionale, aprendovi un nuovo fronte, soltanto in parte
presidiato dai reparti ripiegati dallo Scioa, dopo che non era stato
preso in considerazione un piano di diversa dislocazione delle
truppe proposto dal Gazzera.
La pressione inglese, favorita dall'assoluto dominio dell'aria e
ancor più dal generalizzarsi della rivolta e dal progressivo
indebolimento dei reparti coloniali, per le diserzioni degli ascari,
riuscì ad avere ragione della resistenza italiana che il G.
aveva voluto fosse effettuata ovunque possibile anziché
concentrarla, forse più efficacemente, in una o due
località. Il 4 luglio 1941 il G. (che dopo la resa del
viceré Amedeo d'Aosta all'Amba Alagi era stato nominato
comandante superiore delle forze armate e reggente il governo
generale dell'Africa orientale) si arrendeva con circa 4000 uomini,
ottenendo l'onore delle armi dalle truppe congolesi che, con quelle
inglesi e i ribelli etiopici, lo avevano accerchiato a Dembidollo.
La difesa del Galla e Sidama, protratta per tredici mesi, faceva
ottenere al G. la gran croce dell'Ordine militare di Savoia,
concessagli motu proprio dal re. Un suggerimento del senatore P.
Fedele di nominarlo marchese di Gimma venne accantonato da
Mussolini, che rinviò la decisione al termine del conflitto.
Il periodo di prigionia del G., nel Kenya, poi in India e negli
Stati Uniti, durò sino alla fine del 1943 quando venne
liberato e rimpatriato su richiesta del capo del governo italiano,
Badoglio, che avrebbe addirittura voluto anteporre la sua
liberazione a quella di ogni altro generale prigioniero, compresi
gli stessi G. Messe e P. Berardi, destinati a divenire nel novembre
1943, capo di stato maggiore generale e capo di stato maggiore
dell'esercito.
Il G., rientrato il 20 dicembre, venne dapprima incaricato di
presiedere la commissione centrale d'avanzamento dell'Esercito, che
aveva avuto il compito di giudicare la capacità professionale
di tutti gli ufficiali generali - fino al grado di generale di corpo
d'armata - presenti nell'Italia meridionale: un primo tentativo del
regio esercito di procedere a un'epurazione interna, tentativo
rimasto, però, in pratica, allo stato di intenzione.
Successivamente, il 13 apr. 1944, il G. fu nominato alto commissario
per i prigionieri di guerra.
L'Alto Commissariato, oltre a provvedere all'assistenza ai
prigionieri, aveva il delicato incarico di regolamentare, attraverso
accordi con le autorità militari alleate, la collaborazione
che gran parte dei prigionieri italiani si era dichiarata disposta a
prestare, favorendo, se possibile, la loro liberazione e il loro
rimpatrio. Il G. - che prima ancora dell'istituzione dell'Alto
Commissariato aveva ricevuto un incarico simile - poté fare
assai poco, data la particolare situazione internazionale
dell'Italia, cobelligerante e non alleata. Così la
cooperazione dei prigionieri italiani venne organizzata e diretta
dagli Alleati e non si riuscì mai a ottenere la cessazione,
per i cooperatori, dello status di prigionieri di guerra né,
tanto meno, la loro liberazione, con l'eccezione di qualche
centinaio di elementi ritenuti necessari per lo sforzo bellico o per
la ricostruzione della nazione e quella dei prigionieri anziani o
gravemente malati.
Nel giugno del 1945 - istituito il ministero dell'Assistenza
post-bellica nel quale, ad agosto, confluiva l'Alto Commissariato -
il G. veniva posto in congedo.
Ritiratosi a Torino, il G. pubblicò a Roma nel 1952 il volume
Guerra senza speranza. Galla e Sidama (1940-41). Morì il 3
giugno 1953 a Ciriè, paese d'origine della moglie.
Fonti e Bibl.: Roma, Arch. centr. dello Stato, Segreteria
particolare del duce, Carteggio riservato, 271; Presidenza del
Consiglio dei ministri, 1928-30, 5046; Ibid., Arch. dell'Ufficio
storico dello stato maggiore dell'Esercito, Biografie 81, Fondo E 8,
bb. 49-50; Fondo I 3, bb. 164, 165, 169-170: Diari storici della
seconda guerra mondiale, 1528; Boll. ufficiale del Governo del Galla
e Sidama, 1939-40; G. Rochat, Militari e politici nella preparazione
della campagna d'Etiopia. Studio e documenti (1932-1936), Milano
1971, pp. 27, 293; A. Del Boca, Gli Italiani in Africa Orientale. La
caduta dell'Impero, Bari 1982, ad indicem; F. Botti - V. Ilari, Il
pensiero militare italiano dal primo al secondo dopoguerra, Roma
1985, pp. 167-214, 414; F. Stefani, Storia delle dottrine e degli
ordinamenti dell'esercito italiano, III, 1, Roma 1985, pp. 186-214,
278, 280; F.G. Conti, I prigionieri di guerra italiani, 1940-1945,
Bologna 1986, pp. 167-175; V. Ilari - A. Sema, Marte in orbace.
Guerra, esercito e milizia nella concezione fascista della nazione,
Ancona 1988, pp. 147-168; L.E. Longo, Francesco Saverio Grazioli,
Roma 1989, pp. 389-393; S. Pelagalli, Il generale P. G. al ministero
della Guerra (1928-33), in Storia contemporanea, XX (1989), pp.
1007-1058; V. Ilari, Storia del servizio militare in Italia, III,
Nazione militare e fronte del lavoro (1919-43), Roma 1990, pp.
109-129; G. Rochat, L'esercito italiano in pace e in guerra. Studi
di storia militare, Milano 1991, pp. 211 s.; F. Botti, La logistica
nell'esercito italiano, II, Roma 1994, p. 403; O. Bovio, Storia
dell'esercito italiano (1861-1990), Roma 1996, pp. 263 s., 634-636.