GARGIULO, Alfredo

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Nacque a Napoli il 2 maggio 1876 da Antonio e Maria Banchieri, in una famiglia di modeste condizioni. Fu avviato agli studi tecnici, terminati i quali, nel 1895, si iscrisse al corso biennale di scienze matematiche dell'Università di Napoli. Conseguito il diploma, assolse gli obblighi del servizio militare come allievo ufficiale (1899-1900), rientrando a Napoli alla fine del 1900.

Sin dagli ultimi anni delle scuole superiori e poi in quelli universitari si era orientato verso gli studi umanistici, approfondendo lo studio delle lingue e delle letterature straniere moderne, frequentando assiduamente le biblioteche napoletane e formandosi, da autodidatta, una vasta e varia cultura filosofico-letteraria. In questo periodo ebbe occasione di conoscere S. Di Giacomo, con il quale si legò di grande amicizia e dalla cui influenza fu spinto a tentare la narrativa, il teatro e la poesia, con una serie di composizioni rimaste inedite (cfr. Tempo di ricordi, pp. 16 s.).

Fu proprio il Di Giacomo a presentarlo, nel 1901, a B. Croce, che lo indirizzò a studi di storia e di critica d'arte, incoraggiandone e guidandone gli esordi. Dal 1904 al 1910, il G. collaborò assiduamente alla rivista del Croce, La Critica, con recensioni soprattutto di pubblicazioni tedesche di estetica ma anche di opere di teorici e storici dell'arte. Nel 1905 vinse il concorso Tenore bandito dall'Accademia Pontaniana di Napoli con lo studio Storia dei criteri coi quali è stata trattata la storia delle arti figurative dal Rinascimento fino alla metà del secolo XIX, di cui fu relatore all'Accademia lo stesso Croce (per il testo della relazione, in cui sono illustrati il contenuto e i caratteri del lavoro, inedito, del G., cfr. B. Croce, Pagine sparse, Bari 1960, I, pp. 63-68). L'anno successivo portava a termine la traduzione della Critica del giudizio di I. Kant, pubblicata nel 1907 a Bari presso la casa editrice Laterza. Sempre nel 1907, cominciò a collaborare con la rivista La Cultura, dove recensì per lo più opere di estetica e di storia dell'arte, ma, a partire dal 1909, si nota un allargamento dei suoi interessi al dibattito ideologico-politico e alla critica della letteratura contemporanea.

Già da questi anni, quindi, l'attività del G. manifesta una varietà d'interessi e di settori di intervento che rimase costante nella sua opera successiva e che è uno dei motivi profondi della sua precoce insoddisfazione e della sua progressiva presa di distanza dalle teorie estetiche e dalla metodologia critica crociane. Così, già in un gruppo di inediti composti tra la primavera e l'estate del 1902 (Architettura, I mezzi di espressione, La conoscenza immediata, pubblicati nella raccolta postuma Scritti di estetica, pp. 349-398) emergono chiaramente, innanzi tutto, i principali punti del dissenso rispetto all'appena pubblicata Estetica crociana e cioè: rifiuto dell'identificazione tra conoscenza intuitiva e arte; rivalutazione delle specificità tecniche delle diverse arti e loro influenza nella realizzazione del prodotto artistico; concezione (di ascendenza kantiana) dell'intuizione artistica come attività in cui, attraverso le tecniche delle diverse arti, si supera la passività inerte dell'oggetto di natura adattandolo ai fini dell'espressione. Si abbozzano, inoltre, le linee portanti di un progetto di distinzione delle diverse arti sulla base di una teoria dell'intuizione (alternativa a quella crociana) fondata su una distinzione funzionale tra intuizione "ordinaria" (intesa come facoltà meramente recettiva) e intuizione "artistica" (nella quale lo spirito opera come attività e il contenuto materiale, risolvendosi più o meno completamente in espressione, diventa "mezzo" rispetto al fine della rappresentazione artistica). Considerata in rapporto a tale retroterra concettuale, l'attività soprattutto di recensore del G., pur esteriormente in linea con l'ortodossia crociana, rivela il precisarsi di non poche posizioni teorico-critiche autonome, tendendo a definirsi in un proprio metodo critico basato sull'esame formale del prodotto artistico, in particolare nei suoi rapporti con l'ispirazione dell'artista (rievocata e ricostruita dal critico). In tal senso, se il lungo dibattito condotto dal G. contro lo psicologismo dei teorici dell'Einfühlung (cfr. La Critica, III [1905], pp. 34-39, 138-146, 309-319, 516-523; IV [1906], pp. 200-211; V [1907], pp. 297-311) lo rinsaldava nella convinzione dell'autonomia della sfera estetica da fattori e condizionamenti psicologico-sentimentali, l'approfondito confronto con il pensiero estetico kantiano, che lo poneva ormai del tutto fuori dagli orizzonti estetici crociani, gli consentiva di indicare la natura della creazione artistica quale libera operatività del soggettivo sui dati di natura, allo scopo di instaurare una sintesi (estetica) tra materia e forma. Ed è di nuovo un testo inedito che segna il pieno distacco teorico del G. dall'estetica crociana, il saggio (scritto nel 1908-09 in forma di lettera aperta a Croce) Per la distinzione di intuizione ordinaria e intuizione artistica (in Scritti di estetica, pp. 271-298), in cui tra l'altro è criticata l'identificazione crociana tra linguaggio e poesia. Se tale dissidio non si manifestò apertamente è forse per gli scrupoli del G. e per il suo senso di lealtà nei confronti del Croce e della sua rivista, ma esso è, tuttavia, chiaramente avvertibile nella recensione alla traduzione italiana di Positivismo e idealismo nella scienza del linguaggio di K. Vossler (in La Cultura, XXVII [1908], pp. 705-708) e in un altro inedito, sempre del 1908, Suono e senso, anch'esso sul libro di Vossler (in Scritti di estetica, pp. 174-180).

Si venivano delineando, pertanto, un programma critico e un paradigma metodologico ormai lontani dall'orizzonte crociano, cui il G. avrebbe dato corso nelle sue opere successive, a cominciare dalla monografia su G. D'Annunzio iniziata nel 1908, la cui stesura fu, però, rallentata dalle solite cautele e dall'arricchirsi della produzione dannunziana; nel 1909 il libro era concluso, ma la pubblicazione fu ritardata dalle vicende biografiche dell'autore.

Nell'agosto del 1910, infatti, il G. si trasferì a Roma per assumere l'impiego di bibliotecario presso l'Istituto internazionale di agricoltura, incarico che avrebbe tenuto fino al pensionamento (nel 1942) e che, nei primi anni, lo assorbì quasi completamente, cosicché con lentezza poté occuparsi della correzione del volume su D'Annunzio, stampato, a Napoli, solo nel 1912. Il G. stesso ne curò successivamente una ristampa (Firenze 1941) "con l'aggiunta di nuovi studi", cioè tre articoli sul Notturno (1921), sul Libro segreto (1935) e In morte del poeta (1938) che, estendendo la trattazione all'esame delle ultime opere dannunziane, completano il discorso critico, fermo, nella prima edizione, alla Fedra (1909).

In questo testo, che è l'unico saggio monografico del G., il metodo che egli era andato configurando nella sua attività di recensore e teorico, trova la prima e più chiara attuazione. Lo studio, infatti, si propone come una lettura diacronica di tutta l'opera dannunziana ripercorsa integrando due prospettive di analisi: una intesa a rivelare e additare le linee evolutive fondanti dell'intero corpus dello scrittore (una prospettiva di critica estetica "complessiva" volta alla caratterizzazione psicologica e alla valutazione storico-morale); l'altra imperniata sull'analisi formale delle singole opere (generalmente una lettura antologica finalizzata a guidare il lettore verso una personale integrazione analitica). Il tutto teso alla verifica della tesi-formula interpretativa di un D'Annunzio "visivo-sensuale" che sorregge l'intero saggio e che motiva sia le numerose stroncature delle parti, secondo il G., caduche dell'opera dannunziana, sia il giudizio conclusivo (basato su una memorabile lettura formale di Alcyone), secondo cui la concentrazione lirica raggiunta da D'Annunzio nei testi più riusciti di Alcyone - considerato il vertice della sua poesia - lo qualificherebbe come "il più grande lirico paesista della modernità" (ed. 1941, p. 395). Una conclusione che, considerata contraddittoria rispetto all'andamento del saggio, fu additata (da G.A. Borgese e L. Russo) come sintomo di una sua debolezza, ma che nel contesto della trattazione sembra rispondere pienamente a quel riconoscimento della centralità della lirica nel medium espressivo della parola cui il G. si andava indirizzando, e che divenne, in seguito, uno dei temi principali delle sue riflessioni estetiche e della sua attività di critico.

Negli anni precedenti la prima guerra mondiale e durante il conflitto, l'attività critica del G. rallentò sensibilmente (anche per la sua diretta partecipazione agli eventi bellici, cfr. Tempo di ricordi, pp. 60-122), riprendendo nel dopoguerra, a Roma, a contatto con il movimento letterario da cui ebbe origine La Ronda (aprile 1919-dicembre 1923), al quale egli si accostò dopo essersi legato a E. Cecchi. A La Ronda il G. iniziò a collaborare nel novembre 1919 (con una lettera aperta a V. Cardarelli sulla poesia di G. Pascoli, in cui si associava alle riserve del Croce sulla poesia pascoliana, I [1919], 7, pp. 6-12), proseguendo con una serie di recensioni e con un intervento sullo stile (III [1921], 10; rist. in Scritti di estetica, pp. 265-267), in cui la proposta di sostituire il criterio dello "stile" al concetto filosofico (e tradizionalmente idealistico) della "forma" era motivata con la constatazione che, dovendosi considerare chiusa una fase della cultura italiana (il primo ventennio del secolo) caratterizzata da un profondo rinnovamento, era ora necessario volgere le spalle all'ormai inaccettabile predominio del dibattito genericamente culturale e in particolare "filosofico" per dedicarsi a quello specificamente letterario.

Si definivano in tal modo le premesse e i caratteri della fase matura dell'opera del G., in cui la prosecuzione della riflessione estetica sostanzia e sostiene il suo impegno di critico militante in difesa dei diritti dell'arte "pura" contro ogni contenutismo (dal che la derisione di quanti, come A. Gramsci, lo consideravano "la macchietta del sacerdote dell'arte"). La quasi totalità degli interventi critici furono raccolti dallo stesso G. nel volume Letteratura italiana del Novecento (Firenze 1940; 2ª ed., ibid. 1958), costituito da saggi e articoli apparsi su riviste dalla fine degli anni Venti a tutto il 1939 (con il blocco iniziale della serie di articoli, unitariamente concepiti, apparsi sull'Italia letteraria nel triennio 1930-33: ed. 1958, pp. 3-369) secondo un piano accuratamente preparato e solo in parte realizzato. I risultati della sua riflessione estetica non trovarono, tuttavia, una sistemazione organica, rimanendo prevalentemente consegnati a testi inediti e solo parzialmente esposti in sporadici interventi su periodici o in occasione di convegni.

In questa fase della sua riflessione il G. tentò innanzitutto di precisare la concezione, precedentemente delineata, dell'estetica come attività, chiarendo il quadro gnoseologico in cui essa opera mediante i "mezzi espressivi". Di questi si sforzò di definire, in un quadro unitario, i caratteri e le funzioni in relazione alle singole arti. Si confrontò, quindi, con l'estetica gentiliana (I mezzi espressivi delle arti e un confronto Croce - Gentile, inedito, preparato nel 1934 per la Nuova Antologia) e, di nuovo, con le teorie crociane, di cui diagnosticò la dissoluzione (Crisi di un'estetica, in Nuova Antologia, 1° maggio 1936). Il tutto come preparazione e premessa a quel Libro delle arti vagheggiato sin nei manoscritti inediti del 1902, ma destinato a restare incompiuto, e di cui resta una serie di note inedite (scritte nel 1947 e pubblicate negli Scritti d'estetica). Il "sistema delle arti" concepito dal G., pur basato su una distinzione tra "arti della vista" (mezzo plastico e mezzo pittorico) e "arti dell'udito" (mezzo verbale e musicale), conosce una gerarchia non solo tra le diverse arti (o mezzi espressivi), ma anche all'interno di ogni mezzo espressivo: il criterio è quello dell'idealizzazione dei dati naturali e della purificazione da ogni residuo di funzionalità pratica che, dunque, colloca ai vertici le forme di espressione più pure e ideali; in questo contesto, il G. studiò in maggior dettaglio e con più proficue ricadute operative le arti del mezzo verbale, cioè i generi letterari.

Di tali criteri estetici la sistemazione storico-critica delineata nella Letteratura italiana del Novecento è nel contempo l'applicazione, la verifica e la traduzione in termini di gusto; caratterizzata, inoltre, da una organicità profonda in quanto concretizzazione di un'autonoma concezione dell'estetica (non senza un richiamo emulativo, sotto questo aspetto, alla Letteratura della nuova Italia di Croce). Da ciò discende anche l'altro motivo unificante del libro, la concezione e la pratica "militante" della critica, nella convinzione che il critico abbia un ruolo attivo nella realizzazione delle esperienze artistiche nuove. Così, individuato il carattere della nuova fase della cultura italiana appunto nella "letteratura" (cioè nella perfezione formale, nella purezza della lirica) e stabilito un rapporto di contiguità più che di continuità con la letteratura precedente (dominata dalla filosofia e dal dibattito etico-politico; ed. 1958, pp. 51-64), il G., dopo aver ridimensionato l'influsso della Voce ed espresso diffidenza per l'opera di G. Papini e di altri "neoromantici" (P. Jahier, G. Boine e S. Slataper), indica nella linea della prosa d'arte (culminante con lo scrittore per lui più rappresentativo del primo Novecento, il Cecchi) il momento più vivo e alto della cultura letteraria italiana contemporanea (includendovi anche aspetti dell'opera di R. Bacchelli e A. Baldini), subordinando a essa altre esperienze, come quelle narrative di F. Tozzi o critico-narrative di A. Panzini o G.A. Borgese. Analogamente, nella poesia successiva a D'Annunzio, il vertice assoluto viene indicato nell'"essenzialità lirica" di G. Ungaretti, rispetto alla quale risultano necessariamente meno puri la stessa lirica di V. Cardarelli e di S. Quasimodo, l'esperienza isolata di D. Campana, la poesia "occasionale" e "prosaica" di U. Saba e, meno ancora, la poesia autoironica e prosastica dei crepuscolari. Lo stesso canone estetico/paradigma critico della "purezza", cioè della liricità fonosimbolica della letteratura, che guida il G. in questa sua sistemazione storica della produzione primonovecentesca, presiede anche alle omissioni (come quella, clamorosa, di Italo Svevo nella narrativa), alle oscillazioni di giudizio (in particolare quella su E. Montale, già esaltato in una famosa prefazione a Ossi di seppia [1928], poi oggetto di forti perplessità per la "oscurità" delle Occasioni) e, infine, all'esclusione di interi generi letterari (come la letteratura teatrale, e l'opera pirandelliana in particolare) non pienamente inseriti e chiariti nel quadro teorico della sua estetica.

Il G., afflitto fin dal 1938 da una grave malattia che ne aveva rallentato l'attività, morì a Roma l'11 maggio 1949.