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Nacque a Galliate (Novara) il 16 febbr. 1883 da Luigi e da Angela
Clerici.
Formatosi nell'ambito della cultura ecclesiastica piemontese,
frequentò il seminario di Novara e seguì poi, senza
interrompere gli studi di teologia, i corsi della facoltà di
lettere dell'Universitàdi Torino, sviluppando una viva
sensibilità di storico e un'attenzione convinta al
rinnovamento della vita religiosa.
Fin dagli anni del seminario il G. aveva seguito le idee del
modernismo, mantenendo «una fitta rete di relazioni» con
vari esponenti del movimento (da A. Houtin a G. Semeria, a E.
Buonaiuti) e nutrendosi dei suoi testi-chiave, da quelli di M.
Blondel a quelli di A. Loisye G. Tyrrell. Sempre in quegli anni si
iscrisse alla Lega democratica nazionale, espressione del
cattolicesimo politico democratico, anche se - dopo breve tempo si
dimise. Intanto scrisse numerosi articoli su temi religiosi e
politici, tra i quali spicca una lunga recensione a un volume di U.
Chevalier sulla Casa di Loreto, in cui il G. apprezza la critica
«positiva» a tale credenza e si orienta verso un
cristianesimo meno mitologico e più critico. In conseguenza
di queste amicizie, idee e prese di posizione gli venne nel 1906
negata l'ordinazione sacerdotale (conseguita però nel 1907).
Non avendo poi ottenuta la nomina a parroco di Gal1iate, e anche
« per sottrarsi a odiosi controlli, si recò fino al
19II, come precettore di Fulcieri Paulucci di Calboli, a Lisbona,
dove il padre di questo, Raniero, era ministro plenipotenziario.
Iscritto fin dal 1905 all'Università di Torino, passò
poi a Bologna dove nel 19II si laureò in filosofia sotto la
guida di G. Tarozzi con una tesi sui modernismo. Uscite alcune parti
di questo lavoro su Bilychnis, una rivista protestante, si apri un
lungo, complesso e drammatico contenzioso con il vescovo di Novara
G. Gamba, che gli richiese ritrattazioni, ripensamenti e
sottomissioni alla linea teologica ufficiale della Chiesa. Il G.
cercò prima di resistere a queste pressioni, poi venne
cedendo e venne risolvendo i pur espliciti sintomi di una propria
«crisi di fede_ nel ritorno a posizioni più moderate e
ortodosse in materia religiosa. Anche il rapporto col modernismo
venne, quindi, mutando: pur dichiarandosi a esso fedele e per questo
subendo ancora denunce, pur sperando di veder risorgere il movimento
«ben altrimenti armato», si veniva occupando sempre
più di quei cattolici liberali (Gioberti e Lambruschini, in
particolare) che, a suo parere, non solo erano stati dei «
precursori» del modernismo, ma già anche dei
«superatori».
Nel 1912, a Firenze, pubblicò uno studio intitolato Il
modernismo che riprendeva la sua tesi di laurea e in cui si possono
riconoscere le radici del suo pensiero storico e pedagogico quale
prenderà corpo nei decenni successivi, e fino alla morte. Il
modernismo rappresentava il lievito della cultura cattolica
contemporanea - in quanto la spingeva a dialogare col mondo laico e
a incorporarne le idee di democrazia e di libertà -, mentre
oggetto di critica radicale erano per il G. l'autoritarismo e il
dogmatismo ancora vigenti nel pensiero e nella prassi della Chiesa;
tali principi avevano fatto sì che la Chiesa contemporanea
risultasse ancora organizzata come un «regime dispotico
», in aperta controtendenza rispetto alle conquiste della
modernità e ormai «impraticabile nell'ordine civile e
politico.. Così era necessario, per il tramite del
modernismo, «aprire la vecchia cattedrale gotica del sistema
ecclesiastico. alle istanze e alle pratiche della
«democrazia», la quale risultava «oggimai
conquista definitiva».
Nel medesimo periodo fu pure importante per la formazione
intellettuale del G. la collaborazione a La Voce con articoli (poi
raccolti nel volume Commenti religiosi, Firenze 1926), firmati sotto
diversi pseudonimi, relativi al Portogallo, al modernismo e alle sue
figure di sacerdoti-intellettuali.
Intanto si susseguivano le tappe della sua carriera di educatore e
docente: nel 1911-12 insegnante presso il collegio dei barnabiti a
Firenze «Alla querce»); nel 1912-14 educatore privato
nella famiglia dei duchi Bevilacqua a Bologna; poi, dal 1914 al '22,
rettore del nobile collegio universitario Caccia a Torino e, dal
1922 al '30, educatore presso i principi Borghese a Roma; per
passare, infine, dal 1930 al '34, nell'Ateneo pontificio di
Propaganda Fide come professore di storia della Chiesa.
Contemporaneamente, conseguita nel 1929 la libera docenza, tenne
corsi presso l'Università di Roma e quindi, dall'ottobre
1934, a Torino, presso !'Istituto superiore di magistero (poi
facoltà di magistero), dove restò attivo come
pedagogista e storico della pedagogia fino al pensionamento, nel
1958 (fu ordinario dal 1951, poi anche preside della
facoltà), svolgendo una didattica molto attenta sia agli
aspetti attuali del dibattito pedagogico, sia al loro entroterra
storico.
Durante la sua lunga carriera il G. fu politicamente un appartato,
pur nutrendo una sicura fede democratica. Fra il 1914 e il '17
aveva assunto atteggiamenti «patriottici» e
«interventisti», privi tuttavia di polemiche chiassose e
di esasperazioni nazionalistiche, come testimoniano gli articoli
pubblicati su L'Azione di Cesena; e ben chiara, più tardi,
dopo la Liberazione, fu, da parte sua, la denuncia del fascismo da
lui definito un «immane bubbone» da espellere
dall'«organismo sociale».
A partire dal 1918 il G. avviò una rilettura filologica e
critica dell'opera di Raffaello Lambruschini, con la pubblicazione
dei Primi scritti religiosi, usciti a Firenze, in cui sono raccolte
le «conferenze religiose che ai principi Napoleone-Gerolamo e
Matilde Bonaparte tenne il sommo pedagogista toscano», le
quali, se pur «non hanno il carattere esoterico che per
volontà di lui venne impresso a' suoi Pensieri d'un
solitario», offrono - con altri scritti datati fino al 1839 -
un'immagine più ricca e problematica della formazione del
pensiero religioso del Lambruschini. Sul quale il G. tornò a
lungo, con edizioni di opere - il Carteggio Lambruschini-Rosmini
(Firenze 1924); Scritti di varia filosofia e di religione (ibid.
1934); Scritti politici e di istruzione pubblica (ibid. 1936); Della
educazione (Torino 194°); l'edizione critica di
Dell'autorità e della libertà. Pensieri di un
solitario (Firenze 1932) - e con puntuali lavori saggistici: da La
religione nel Lambruschini (in La Nostra Scuola, 1917) a La
modernità di Lambruschini (in Levana, 1924), al fondamentale
Riforma religiosa nel carteggio inedito di R. Lambruschini (I-Il,
Torino 1924-26), allo Schizzo biografico di R. Lambruschini (ibid.
1939). Tali lavori vengono a costituire un corpus assai organico di
studi, capaci di rinnovare l'interpretazione dell'opera del
Lambruschini e di meglio delinearne la complessa personalità
e le tensioni stesse del suo pensiero, rivolti come sono a porre in
luce l'identità di «riformatore religiOSO)} del
Lambruschini e il suo ruolo di preparatore e di ispiratore di
istanze poi maturate nella grande «crisi modernista» e
ancora aperte nel pensiero religioso e nella vita ecclesiastica
della Chiesa romana.
Seguendo il cammino religioso e pedagogico del Lambruschini il G. si
avvicinò a F.-R. de Lamennais, studiando l'influenza della
sua opera in particolare in Piemonte, ma anche altrove in Italia
(Sulle orme del Lamennais in Italia, I, Il lamennesismo a Torino; La
fortuna del lamennesismo in Italia, editi entrambi a Torino nel
1958) e sottolineandone il ruolo di sollecitatore di un approccio
più critico ai temi religiosi.
Sono da ricordare anche i suoi studi sansimoniani (tra i quali la
traduzione del Cristianesimo nuovo, ibid. 1947), costruiti con
«un'oggettività ammirevole)} nella documentazione dei
fatti, come sottolinea R. Fornaca. Nel contempo il G. allargava la
sua attenzione all'altro grande educatore cattolico-liberale toscano
dell'Ottocento, Gino Capponi, cui dedicò un saggio esemplare,
La critica pedagogica di Gino Capponi con l'edizione di tutti i suoi
scritti sull'educazione (Bari 1956), in cui ne ricostruisce il
« pensiero educativo filosofico e religioso» e ne
sottolinea la complessità che dall'ambito religioso si
riflette sul pedagogico, definendolo come un vero maestro
dell'Italia moderna. In quel medesimo tomo di tempo aveva, infine,
dedicato al Rosmini il saggio Antonio Rosmini nella cultura del suo
tempo (in Rivista rosminiana di filosofia e cultura, XLlX [1955],
pp. 162-197).
Fin dagli anni Trenta, comunque, l'attenzione del G. come storico
della pedagogia fu rivolta al Risorgimento italiano nel suo
complesso, del quale studiò alcune figure e istituzioni
cruciali. Si interessò, in particolare, di F. Aporti:
Ferrante Aporti. Discorso e bibliografia (Mantova 1928); Ferrante
Aporti e gli asili nel Risorgimento, Il, Documenti memorie carteggi
(Torino 1937); quindi, con la pubblicazione degli Scritti pedagogici
editi e inediti (I-TI, ibid. 1944-45) e con vari altri interventi.
Un quadro generale della pedagogia del Risorgimento lo offrì,
invece, in un denso saggio uscito nel volume collettaneo Questioni
di storia della pedagogia (Brescia 1963), e di tale momento storico
della pedagogia il G. fornì uno «spaccato»
organico, capace di delineare tanto le tensioni ideali, quanto le
innovazioni teoriche, come pure le riorganizzazioni istituzionali
(scolastiche soprattutto). Progressivamente, nella ricerca del G.,
prese corpo anche una serie d'indagini rivolte ad alcune
figure-chiave della pedagogia moderna, come Vittorino da Feltre
(Torino 1946) o Erasmo da Rotterdam, del quale curò
l'edizione critica del Ciceroniano (in Scritti vari, ibid. 1950),
più tardi approfondita in Il Ciceroniano o dello stile
migliore (Brescia 1965), cui prepose una ricca introduzione: l'opera
erasmiana veniva posta in correlazione con la biografia e la cultura
coeva, mettendone in luce sia la polemica antiretorica, sia le
innovazioni pedagogiche, ma anche - e soprattutto - le istanze di
riforma etica e religiosa, via via più sensibili, proprie di
quell' «umanesimo cristiano» che ampiamente circola
anche nel Ciceronianus. Erasmo, così, si dispone alle origini
di quello spirito religioso riformatore da cui, nel pieno della
«tempesta modernista», lo stesso G. aveva preso le
mosse.
Ma altri temi e altri volti della pedagogia occidentale - medievale
e moderna - trovavano spazio nel volume Saggi di pedagogia e brevi
profili (Torino 1939; e, in ed. accresciuta, ibid. 1951), in cui il
G. affrontò, fra l'altro, il nesso scuola-società, il
problema dell'analfabetismo, la questione del metodo d'insegnamento
e dell'educazione religiosa. Un
quadro complessivo - se pur propedeutico - della storia della
pedagogia si ha invece nella Storia dell’educazione e della
pedagogia dalla prima civiltà mediterranea ai nostri giorni
(ibid. 1950). Intensa fu anche la collaborazione del G.
all'Enciclopedia Italiana, con voci storico-pedagogiche (dalle
biografie - Maffeo Vegio, Erasmo, Pietro Thouar, Raffaello
Lambrnschini, Iacopo ScukJlew, Francesco Soave, Luigi Taparelli
d'Azeglio e altri - a lemmi quali Analfabetismo o Metodo);
collaborò inoltre al Granrk dizionario enciclopedico della
UTET.
Nel 1945 il G. dette vita a un settimanale di pedagogia e didattica,
Il Giornale del maestro, con cui intendeva aprire - in un momento
cruciale della storia italiana - una sorta di palestra di formazione
della coscienza magistrale; nel 1951, per suo interessamento, nacque
n Saggiatore, rivista di «cultura filosofica e
pedagogica» con finalità più squisitamente
accademiche, che doveva accogliere i lavori più significativi
della «scuola» torinese del Gambaro .
Il G. mori a Torino il 21 genn. 1967.
Se nel 1939 E. Codignola riconosceva in lui «lo storico
più informato della storia dell'educazione infantile durante
il nostro Risorgimento» e «un indagatore accuratissimo
del pensiero pedagogico-religioso di quel periodo», R.
Fornaca, commemorandolo, ne sottolineò il profilo di
pensatore cattolico aperto all' «assimilazione della
metodologia critica della cultura laica»; analogamente,
più di recente, G. Chiosso lo ha indicato come pedagogista il
cui pensiero {( era improntato ad un cristianesimo aperto e capace
di misurarsi con la cultura moderna».