FRADELETTO, Antonio

 

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Nacque a Venezia il 4 marzo 1858, da Regina Fradeletto e da padre ignoto.

Trascorse l'infanzia nella casa della nonna materna e all'età di 11 anni entrò nel collegio nazionale "Marco Foscarini" grazie a un sussidio per merito durato fino alla laurea. Nel 1876 s'iscrisse alla facoltà di lettere e filosofia dell'università di Padova, dove si conquistò la stima di molti docenti e in particolare del preside, lo storico G. De Leva. Durante gli anni padovani iniziò la collaborazione con il quotidiano Il Giornale di Padova, occupandosi principalmente di recensioni, di articoli letterari, di critica d'arte.

Si laureò il 30 nov. 1880 con una tesi sulle tragedie di Sofocle. Pochi giorni dopo il conseguimento della laurea ottenne, grazie all'interessamento del De Leva, la cattedra di lettere italiane nella Scuola superiore di economia e commercio di Venezia diretta da F. Ferrara. L'impegno didattico e culturale occupò tutti gli anni Ottanta nel corso dei quali iniziò la sua collaborazione al quotidiano moderato La Venezia. Questa esperienza lo portò a candidarsi nelle elezioni amministrative del 1885, senza peraltro risultare eletto, e in quelle del 1889 che lo mandarono sui banchi del Consiglio comunale durante gli anni della giunta guidata dal conte L. Tiepolo.

In questa fase di transizione, che chiudeva a livello amministrativo il lungo dominio postunitario dei moderati e preparava l'avvento delle giunte democratiche, il F. strinse legami con R. Selvatico, lo scrittore eletto sindaco nell'aprile 1890 alla guida di una giunta sostenuta da un raggruppamento di forze assai composito, nel quale avevano trovato posto i liberali di sinistra vicini al sindaco uscente Tiepolo, conservatori come P. Fambri, radicali come R. Ancona.

Sebbene anche in questa circostanza il F. non avesse assunto responsabilità amministrative dirette, di fatto diventò, insieme con l'assessore alla Pubblica Istruzione G. Bordiga, il grande organizzatore della vita culturale veneziana degli ultimi anni dell'Ottocento. Da questo sodalizio, e dalle frequenti discussioni ai tavolini del caffè Florian, nacque, infatti, l'idea di una esposizione artistica di livello nazionale. Dopo un positivo esperimento nel 1887, con la riuscita edizione dell'Esposizione nazionale di pittura e scultura, il 19 apr. 1893 la giunta Selvatico fece approvare dal Consiglio comunale la proposta. L'inaugurazione ufficiale dell'Esposizione - il nome di Biennale venne dato successivamente - si tenne il 30 apr. 1895 alla presenza di Umberto I e Margherita di Savoia.

A quella data la giunta Selvatico era caduta da pochi mesi, sostituita da quella guidata dal conte F. Grimani, appoggiata dalle forze clericali; il cambio della guardia, tuttavia, non modificò la posizione del F., che continuò a occupare il ruolo di segretario generale dell'ente fino al 1919, diventandone il motore trainante.

Quello dell'organizzazione culturale fu sicuramente il terreno in cui il F. offrì le prove migliori nel corso della sua poliedrica attività. La prima edizione dell'Esposizione ottenne un notevole successo; il F. si occupava di tutti gli aspetti organizzativi: dagli inviti agli allestimenti dei saloni, alla vendite delle opere. Progressivamente concentrò nelle sue mani sempre maggiori poteri, il che provocò attriti con gli artisti, e in particolare con quelli veneziani, che non condividevano le scelte del segretario generale-factotum della Biennale. Le edizioni che precedettero la guerra, in effetti, brillarono per l'assenza dei grandi esponenti delle avanguardie europee; scarsa fu, ad esempio, la presenza degli impressionisti, appena tollerata l'opera di E. Delacroix, completamente trascurati i cubisti. Qualche cambiamento si ebbe nell'edizione del 1910, quando si cominciano a registrare alcune aperture, con la presenza di A. Renoir e di G. Klimt, attribuibili principalmente a V. Pica, che di lì a pochi anni, nel 1912, avrebbe affiancato il F. in qualità di vicesegretario, per ereditarne successivamente il ruolo nel 1920.

Nelle elezioni politiche del 3 giugno 1900 il F. venne eletto deputato per il collegio di Venezia III nelle file dei radicali, sconfiggendo L. Tiepolo. Ma se nel corso della sua militanza parlamentare il F., grazie alle grandi capacità oratorie, poté conquistarsi l'ammirazione e la stima di larghi settori del Parlamento, la sua collocazione nell'agitato arcipelago del radicalismo italiano fu alquanto movimentata. Già nel 1904 il contrasto con il suo gruppo parlamentare era giunto al punto di rottura; l'atteggiamento filosindacalista assunto dai radicali in occasione dello sciopero generale del settembre 1904 fu l'occasione che determinò l'uscita dal gruppo. Questa rottura non gli impedì di essere rieletto come indipendente nelle elezioni del novembre di quell'anno e di riuscire vincitore anche nelle successive tornate elettorali fino al 1919, anno in cui decise di rinunciare a un'ulteriore candidatura.

Le cronache parlamentari offrono un quadro degli interventi in aula che riflette fedelmente l'evoluzione delle sue posizioni politiche. Critico nei confronti delle brevi esperienze di governo guidate da A. Fortis e da S. Sonnino, il F. iniziò in quegli anni un percorso che lo condusse progressivamente su posizioni fortemente antigiolittiane. In procinto di tornare alla guida del governo, nel 1906, G. Giolitti gli offrì il dicastero della Pubblica Istruzione, ma il F. rifiutò la proposta, intensificando, anzi, gli attacchi contro di lui. In alcuni casi l'azione svolta a livello centrale provocò reazioni a livello locale. Fu quanto avvenne nel febbraio del 1908, quando, pronunciando alla Camera un discorso sulla necessità di abolire l'insegnamento religioso nelle scuole elementari, suscitò le vibrate proteste dei clericali veneziani che lo attaccarono sul quotidiano La Difesa. La più completa e vigorosa requisitoria da lui pronunciata contro Giolitti fu il discorso del 6 apr. 1911, a pochi giorni dal varo del quarto governo presieduto dallo statista piemontese: in quell'occasione il F. non esitò a parlare di "dittatura" e di "regime personale". Molti dei motivi presenti in questi interventi sono ripresi in Dogmi e illusioni della democrazia (Milano 1913), nel quale la critica al parlamentarismo si richiama alle posizioni di G. Mosca per poi allargarsi allo scenario della crisi del sistema liberale e della società italiana di quegli anni. Questo testo può essere considerato il punto di arrivo del percorso politico del F. e, nello stesso tempo, l'inizio di una fase di involuzione del suo pensiero sempre più orientato verso i temi di carattere intimistico-religioso che segnarono gli ultimi anni della sua vita.

Dopo essersi battuto contro il monopolio delle assicurazioni, nel settembre del 1911 il quotidiano Il Secolo nuovo, diretto da C. Alessandri, gli scatenò contro una violenta campagna di stampa, accusandolo di aver intascato 20.000 lire dalle società di assicurazioni. Le accuse si rivelarono del tutto inconsistenti, ma l'episodio contribuì a inasprire la lotta politica a Venezia. Il F. venne ricandidato nel 1913 da un blocco di forze clerico-moderate in funzione antisocialista e contro il candidato radicale N.M. Fovel, e fu rieletto, ma non riuscì più a raggiungere i risultati ottenuti nelle precedenti tornate.

Iniziò così la sua parabola discendente che coincise anche con il declino del suo ruolo all'interno della Biennale; l'ultima da lui organizzata si chiuse nel 1914. Con lo scoppio della guerra, sul problema dell'intervento, almeno all'inizio, il F. si produsse abilmente nel doppio ruolo di neutralista alla Camera e di fervente patriota nella sua Venezia. Negli anni del conflitto si impegnò, insieme con il concittadino P. Molmenti, nella tutela del patrimonio artistico della città e continuò l'attività di conferenziere pronunciando numerosi discorsi di sostegno alla guerra. Conclusa la parentesi bellica, con la ripresa dell'attività politica gli interventi del F. affrontarono i problemi della ricostruzione materiale e morale del paese (Per la concordia e la giustizia, Discorso pronunciato alla Camera il 25 nov. 1918, Roma 1918). Nel gennaio 1919 V.E. Orlando gli affidò il neonato ministero delle Terre liberate. Si trattò di una breve esperienza, contrassegnata dalle difficoltà derivanti da una struttura burocratica completamente nuova, solo in parte compensate dall'attivismo di L. Luzzatti attraverso l'opera dell'Istituto federale di credito per il risorgimento delle Venezie. Con la caduta del governo Orlando e la nomina, nel giugno 1919, di F.S. Nitti il F. venne sostituito da C. Nava. La mancata riconferma alla guida del ministero, coincise con la sua uscita di scena dalla politica. Il 3 ott. 1920 venne nominato senatore ma le sue presenze a Roma si fecero sempre più rare.

Trascorse gli ultimi dieci anni dedicandosi esclusivamente all'insegnamento e morì a Roma il 5 marzo 1930.