FORMIGGINI, Angelo Fortunato

 

www.treccani.it

Nacque a Collegara, presso Modena, il 21 giugno 1878 da Pellegrino e da Marianna Nacmani.

Il padre apparteneva a una famiglia israelita che aveva messo insieme un'immensa fortuna con il commercio di preziosi e il prestito di denaro, specialmente nella seconda metà del secolo XVIII ed ancor più in età napoleonica. In seguito i Formiggini avevano preferito investire i loro capitali soprattutto in beni immobiliari e in terreni, la cui amministrazione non fu sempre oculata tanto che, alla fine, le perdite ed i debiti avevano ridotto considerevolmente i beni ereditati.

Compiuti gli studi a Modena, vi si laureò in giurisprudenza con una tesi su "La donna nella Thorà in raffronto col Mânava - Dharma - Sâstra. Contributo storico-giuridico ad un ravvicinamento tra la razza ariana e la semita". Subito dopo si iscrisse alla facoltà di lettere dell'università di Roma dove si accentuò il suo interesse verso quanto sembrasse annunciare un superamento delle divisioni e delle barriere tra gli uomini in campo etnico, religioso, sociale e politico; per questo fu attivo nella associazione internazionale Corda fratres di ispirazione massonica e cosmopolita. Conobbe allora e sposò (il 19 sett. 1906) Emilia Santamaria, che si sarebbe poi imposta all'attenzione degli studiosi per le sue ricerche di pedagogia e di storia della scuola. Si trasferì in seguito a Bologna nella cui università si laureò in filosofia il 28 giugno 1907, relatore G. Tarozzi, con una tesi su "La filosofia del ridere".

Dalla festosa e prolungata stagione universitaria, vissuta tra Modena, Roma e Bologna, fino agli ultimi anni della sua vita non smise mai di osservare e di registrare quanto di comico e di umoristico si annida nel comportamento degli uomini, senza mai cadere nell'ironia fredda e distaccata, neppure nei momenti più amari, animato com'era da un sano e bizzarro senso dell'umorismo e da una profonda simpatia per tutti gli uomini.

Nel clima gioviale, tra il goliardico e il serioso, dell'università bolognese degli inizi del Novecento, ebbe i propri natali anche la sua attività editoriale. All'indomani della scomparsa di G. Carducci, sotto la protezione di G. Pascoli con la partecipazione di illustri docenti degli atenei di Bologna e di Modena, si fece promotore delle celebrazioni in onore di A. Tassoni e della sua Secchia rapita, pubblicando La secchia (Bologna 1908), un opuscolo che raccoglieva sonetti inediti del Tassoni ed altri componimenti poetici ed umoristici a cura di O. Guerrini.

Ma la prima autentica manifestazione della sua carriera editoriale fu la pubblicazione di una trentina di "studi storici e letterari" relativi al medesimo tema e riuniti sotto il titolo di Miscellanea tassoniana (Modena 1908); il Pascoli ne stese la prefazione e si assunse il compito di presentare al pubblico il giovane editore.

Il successo di questo primo esperimento fu per lui determinante: sempre nel 1908, in armonia con i propri interessi e con gli indirizzi di studio della moglie, esordì nell'editoria di più ampio respiro con due collane di opere filosofiche. Nella collana "Biblioteca di filosofia e di pedagogia" apparvero sia il Saggio di una bibliografia filosofica di A. Levi e B. Varisco, sia gli atti, sotto il titolo di Questioni filosofiche, del II Congresso della Società filosofica italiana; nella collana degli "Opuscoli di filosofia e di pedagogia" apparve, invece, il Programma didattico per l'insegnamento della pedagogia nelle scuole normali, della moglie Emilia.

Nel secondo decennio del secolo fu compito delle opere apparse nelle collane filosofiche del F. registrare i tentativi degli epigoni del positivismo di trasformarlo dall'interno, attenti, come essi erano, all'uomo e al suo destino, pronti anche a guardare con simpatia, non senza qualche ambiguità, ad atteggiamenti spiritualisti. Questo nuovo orientamento incontrava probabilmente la piena approvazione del F., come editore ma anche come lettore delle opere dei suoi autori. Egli aveva dato veste di libri alle voci multiformi e composite degli eredi di R. Ardigò e le sentiva a sé congeniali non tanto, forse, per profonde convinzioni filosofiche, quanto piuttosto per le inquietudini e le incertezze che esse manifestavano.

La sua produzione di edizioni filosofiche si concentrò soprattutto negli anni che precedettero lo scoppio della guerra mondiale. Dei 27 volumi della "Biblioteca filosofica e pedagogica", solo 4 uscirono a guerra iniziata, l'ultimo fu La pedagogia italiana (Roma 1920), scritto dalla moglie: poi più nulla. Stessa sorte toccò agli "Opuscoli di filosofia e pedagogia": 25 edizioni su 30 videro la luce entro il 1915. L'impresa più impegnativa in questo settore, la collana dei "Filosofi italiani", si arrestò alla prima opera, il De rerum natura di B. Telesio a cura di V. Spampanato pubblicato in 3 volumi, il primo nel 1910, il secondo nel 1913 ed il terzo dieci anni più tardi nel 1923. Sono questi, del resto, gli anni nei quali il F. pubblicava anche la Rivista di filosofia (1909-1919) e la Rivista pedagogica (1910-1912), a riprova di relazioni molto strette con gli ambienti della filosofia e delle istituzioni culturali di matrice positivista: per questo videro la luce tra le sue edizioni gli Atti dei congressi della Società filosofica italiana oltre che nel 1908 anche nel 1911 (III Congresso di Roma, 1909) e, dal 1912 al 1913, i 3 volumi degli atti del IV Congresso tenuto a Bologna nel 1911.

Nei primi anni di attività diede vita anche a due collane che avrebbero, fino alla fine, caratterizzato più delle altre la sua produzione editoriale: i "Profili", nei quali apparvero dal 1909 al 1938 ben 189 titoli, e i "Classici del ridere", con 105 titoli dal 1913 al 1938.

Nel 1909 era uscito il primo volume dei "Profili" dedicato al Botticelli e steso da I.B. Supino. Fino alla guerra se ne stamparono circa 6 o 7 ogni anno; la collana andò poi avanti in tono minore con 2 o 3 numeri ogni anno fin verso il 1922, quando sembrò ritornare a nuova vita, prima di riadagiarsi sui 2 o 3 numeri annuali.

Con questa collana, che certamente conobbe il favore del pubblico, il F. voleva da una parte avvicinarsi ai non addetti ai lavori, dall'altra desiderava accontentare quanti, con una spesa contenuta, amavano possedere "graziosi volumetti ben rilegati in pergamena-papirus ed adorni di illustrazioni e di fregi originali" (Trent'anni dopo, p. 10); gli studenti e quanti fossero interessati ad ulteriori approfondimenti avrebbero trovato in appendice una buona messe di informazioni bibliografiche.

Ai "Profili", collana ispirata direttamente dall'editore, si affiancò per breve tempo la "Biblioteca filologica e letteraria", nella quale tra il 1909 e il 1910 furono inserite alcune opere di filologia e di erudizione; più duratura fu invece la collana dei "Poeti italiani del XX secolo" (1910-1938), tenuta in vita soprattutto dai contributi finanziari degli autori.

A circa una settantina ammontano in totale le edizioni pubblicate dal F. a Modena dal 1908 al 1911. Verso la fine di questo anno decise di trasferire la sede dell'azienda a Genova, dove sperava di darle un più ampio respiro editoriale. Furono questi, dal 1912 al 1914, gli anni di maggior successo: ben 46 edizioni nel solo 1913. Mise allora in cantiere la sua collana più riuscita e più rispondente ai suoi gusti e ai suoi interessi culturali: i già citati "Classici del ridere".

Stampata con estrema cura anche nella veste formale dei volumi (la copertina fu illustrata da A. De Carolis), il F. vi raccolse le opere dei classici di ogni cultura che avessero una qualche attinenza col ridere. Questa collana, fin dalla progettazione nel 1912, fu da lui considerata "la più vasta e la più caratteristica manifestazione della sua attività editoriale" (Trent'anni dopo, p. 16). Come i "Profili", e come del resto l'insieme della sua attività editoriale, conobbe due momenti di grande espansione: negli anni che precedettero la guerra e nella seconda metà degli anni Venti.

Richiamato alle armi nel 1915, lasciò l'amministrazione dell'azienda editoriale alla moglie, che si limitò a pubblicare quanto era già stato programmato. Comunque non rimase a lungo lontano dal suo lavoro: a causa di una malattia ritornò a casa prima della fine della guerra. Nel 1916, grazie ad una cospicua eredità, poté lasciare Genova, dove in realtà non si era mai trovato a suo agio, e trasferì la propria residenza a Roma sul Campidoglio. Nell'aprile del 1918 fece uscire il primo numero de L'Italia che scrive. Rassegna per coloro che leggono. Supplemento mensile di tutti i periodici, una rivista bibliografica che avrebbe dovuto informare il pubblico su quanto avveniva nel mondo del libro.

Il F. partiva dalla convinzione che in Italia, superata la crisi bellica, una più qualificata informazione libraria dovesse essere il punto di partenza per una rinascita del mercato editoriale. Perciò si rivolse anche agli altri editori per una collaborazione, ma questi si mostrarono in generale alquanto tiepidi di fronte alle sue proposte. Nonostante ciò la rivista incontrò il favore del pubblico e divenne un osservatorio particolarmente attento ed informato sull'editoria italiana degli anni Venti e Trenta. Pur dando, infatti, spazio a scritti del F. ed alla sua produzione, non divenne mai un semplice, anche se ricco, bollettino editoriale, ma tenne fede al suo assunto di porsi al servizio dell'intera produzione libraria italiana. Fin dal 1919, per garantirle un vero respiro nazionale il F. affiancò a questa sua pubblicazione un Istituto per la propaganda del libro, da lui stesso fondato e in gran parte finanziato, ma posto sotto la presidenza onoraria dei ministri della Pubblica Istruzione e degli Esteri, e gestito da un consiglio direttivo di cui facevano parte rappresentanti di molte istituzioni politiche e culturali del tempo.

Si impegnò da quel momento in iniziative aventi per fine la diffusione della cultura libraria, trascurando spesso la propria attività editoriale. Sono questi gli anni nei quali molte collane già iniziate prima della guerra non furono più alimentate da nuovi volumi; le stesse collane dei "Profili" e dei "Classici del ridere" segnarono il passo. Egli avrebbe desiderato una più fattiva collaborazione dei suoi colleghi - sempre diffidenti - ed un più concreto riconoscimento da parte delle autorità, che non venne mai. L'Istituto, trasformatosi nel 1921 nella Fondazione Leonardo, assorbì oltre a buona parte dei suoi denari pure la gran parte del suo tempo, speso in iniziative anche editoriali ad esso connesse, come, ad esempio, il progetto di una "Grande enciclopedia italica" del 1922, l'istituzione di una biblioteca circolante nei locali della sua azienda editoriale o la pubblicazione delle Guide bibliografiche della produzione editoriale italiana nei vari settori del sapere.

Le iniziative promozionali della Leonardo ebbero comunque un buon successo tanto che essa, sia dal punto amministrativo sia da quello culturale, divenne sempre più autonoma dall'Italia che scrive. Ma già nel 1923 la "volontà esplicita del Governo di assumere la diretta gestione di tutti gli organismi di propaganda nazionale" (La ficozza, p. 267) fu all'origine di quella che egli stesso chiamò la "marcia sulla Leonardo" da parte di G. Gentile, allora ministro della Pubblica Istruzione: per presunte irregolarità amministrative il F. fu messo sotto inchiesta, e fu lasciato in pace solo quando decise di rinunciare ad ogni suo diritto sulla Fondazione, che divenne così di stretta pertinenza governativa. Solo allora poté riprendere con serenità il proprio lavoro editoriale, non senza aver prima denunciato il sopruso subito nel lungo pamphlet antigentiliano La ficozza filosofica del fascismo e la marcia sulla Leonardo (Roma 1923; 2ª ediz., ibid. 1924).

Negli anni del suo impegno politico e culturale aveva avviato la collana "Il teatro" della quale comparve un solo volume, anche se di notevole interesse, Liolà di Pirandello (ibid. 1917); nel 1920 avviò la pubblicazione del Simpaticissimo, a mezza strada tra la collana editoriale, per la presenza in ogni numero della novella di un singolo autore, e la rivista mensile, per la sua periodicità e per le informazioni di vita culturale che presentava in appendice. Fu comunque una iniziativa che non ebbe successo e dopo i primi sei numeri ne fu sospesa la pubblicazione.

Nella seconda metà degli anni Venti rilanciò la sua azienda riproponendo soprattutto i testi delle sue collane più prestigiose, già attive fin dalle origini: i "Profili" e i "Classici del ridere".

Non altrettanto fortunate furono le nuove iniziative di questi anni: i volumetti delle "Medaglie" dedicati a personaggi viventi e di formato più piccolo rispetto ai "Profili" apparvero quasi tutti fra il 1924 e il 1925 per diradarsi sempre più; la collana delle "Apologie" ci rivela invece quanto fosse rimasto vivo in lui l'antico ideale giovanile della fratellanza: si doveva trattare, appunto, delle "Apologie" di tutte le principali religioni dell'umanità, al fine di favorire uno spirito di fratellanza. Per questo si preoccupò che gli autori delle singole apologie fossero accetti alle autorità della religione difesa; ne apparirono in tutto 14.

Le altre iniziative di quegli anni sembrarono rispondere non tanto ad un vasto programma editoriale quanto piuttosto all'esigenza di tenere attiva la propria azienda con libri che comunque garantissero un buon successo presso un largo pubblico.

Nacquero così le "Polemiche", il cui primo volume del 1927 presentava le Battaglie giornalistiche di B. Mussolini, e il dizionario Chi è?, apparso nel 1928 ed aggiornato nel 1931 e nel 1936, che però non incontrò il successo auspicato. Al desiderio del F. di trovare nell'attualità spunti di apertura editoriale vanno ricollegate le collane delle "Lettere d'amore" (1925-1938), delle "Guide radio liriche" (1929-1936), delle stesse "Medaglie", già ricordate, ed anche della "Aneddotica", la collana più riuscita di questi anni con i suoi 25 volumi tra il 1929 e il 1937; di più ampio respiro avrebbe dovuto essere la collana dei "Classici del diritto", ma di essa apparvero solo due volumi, uno nel 1933 e l'altro nel 1937.

La ripresa editoriale, però, non venne: verso il 1930 il F. continuava a spendere per l'azienda più di quanto gli rendesse. Anche l'ultima iniziativa, la pubblicazione di una Enciclopedia delle enciclopedie, alla quale aveva lavorato fin dal 1925, non andò a buon fine: i primi due volumi costarono più di quanto fu possibile raccogliere dalle vendite, e il F. decise di non pubblicare il terzo volume già in gran parte composto. Per trovare nuovi capitali si decise allora a trasformare l'azienda familiare in società anonima A.F. Formiggini editore in Roma, di cui, sotto la presidenza dell'avvocato G.D. Musso, sarebbe rimasto amministratore delegato. Ma la società, nonostante la nuova politica editoriale, orientata, per ovvie esigenze di profitto, più alle produzioni d'occasione che non ad un organico disegno, non risalì la china: nel 1934 il capitale sociale fu svalutato del 40% ed il F., per far fronte agli impegni, dovette vendere anche la casa che possedeva in Modena. Quella in Roma sul Campidoglio l'avrebbe persa di lì a poco nel riassetto "imperiale" dell'area voluto da Mussolini.

Nel 1938, in applicazione delle disposizioni antisemite, il ministero della Cultura chiese informazioni sui dipendenti non ariani della sua società, che divenne Società anonima delle edizioni dell'Italia che scrive per non lasciare traccia del nome ebraico del fondatore.

Per tutta la vita il F. si era impegnato a fondo, come editore e come organizzatore culturale, per diffondere il valore universale degli ideali di fratellanza fra uomini di nazioni, culture e religioni differenti; ora, di fronte ad una barbarie tale da negargli il diritto di appartenere alla comunità cittadina e nazionale nella quale era cresciuto, e la sua stessa ragione di vita, volle lasciare la testimonianza di una protesta altrettanto radicale. Toltagli la possibilità di parlare attraverso le sue edizioni e le sue riviste, non volle morire in silenzio ma riaffermare con forza davanti a tutti il valore e la dignità della propria esistenza spesa per il superamento di ogni discriminazione tra gli uomini. Il 29 nov. 1938 salì sulla torre del duomo di Modena, la Ghirlandina, e si gettò nel vuoto. Il regime impose il silenzio stampa ed i funerali in forma strettamente privata di primo mattino.

Dopo la morte, la sua società fu sciolta, e l'Italia che scrive con il dizionario Chi è? furono messi sotto la direzione di P. Cremonese, mentre le altre edizioni furono poste in liquidazione. La sua raccolta libraria della "Casa del ridere", l'archivio familiare e quello editoriale furono donati alla Biblioteca Estense di Modena.