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Ludwig Andreas Feuerbach (Landshut, 28 luglio 1804 – Rechenberg, 13
settembre 1872) è stato un filosofo tedesco tra i più
influenti critici della religione ed esponente della sinistra
hegeliana.
Biografia
Ludwig Feuerbach nacque il 28 luglio 1804 a Landshut, in Baviera,
nella numerosa famiglia protestante di Paul Johann Anselm Ritter von
Feuerbach (1775–1833), giurista eminente e professore di diritto a
Jena e a Kiel che, con la scomparsa dalla scena politica europea di
Napoleone, mise da parte i suoi trascorsi progressisti e nel 1814 fu
nominato presidente della Corte di Appello di Bamberg e nel 1817 di
quella di Ansbach. Non approvò mai la scelta di Ludwig di
dedicarsi alla filosofia, a differenza della madre, Eva Wilhelmine
Tröster (1774-1852), che vantava ascendenti nobili, imparentati
con il duca Ernesto Augusto I di Sassonia-Weimar ed era seconda
cugina del granduca Carlo Augusto di Sassonia-Weimar-Eisenach
Dei quattro fratelli di Ludwig, Joseph Anselm (1798–1851)
diventerà archeologo e sarà padre dell'importante
pittore, amante degli ideali classici e dell’Italia, Anselm
Feuerbach, Edward (1803–1843) seguirà le orme del padre,
ottenendo la cattedra di diritto a Erlangen, Karl (1800–1834)
coltiverà gli studi matematici con successo, tanto da creare
il teorema che porta il suo nome, mentre il fratello minore
Friedrich Heinrich (1806–1880), studente di indologia e sanscrito
con Friedrich Rückert, Christian Lassen e August Wilhelm
Schlegel, diventerà un valido filologo.
Delle tre sorelle, Leonore ed Elisa condussero una vita anonima,
mentre Helene studiò e insegnò musica in Inghilterra e
in Francia per poi trasferirsi definitivamente in Italia, dove
rimase fino alla morte.
In un ambiente familiare che privilegiava lo studio ma anche la fede
e l’osservanza religiosa, Ludwig, dopo aver concluso, il 7 settembre
1822, il ginnasio ad Ansbach, fu incoraggiato dal professore di
teologia, l'hegeliano Carl Daub, a frequentare nel 1823 la
facoltà di teologia di Heidelberg ma Feuerbach si rese subito
conto che quella disciplina - e le lezioni condotte dal teologo
Heinrich Paulus - non concordava con le esigenze del suo spirito.
Attratto dal successo delle lezioni che Hegel teneva a Berlino,
s'iscrisse nel 1824 in quella Università, seguendovi i corsi
di logica, di metafisica e di filosofia della religione tenuti da
Hegel: «Bastò che per un semestre seguissi le sue
lezioni e la mia testa e il mio cuore furono rimessi sulla loro via;
io seppi ciò che dovevo e volevo: non teologia, ma filosofia!
Non vaneggiare e fantasticare, ma imparare! Non credere, ma
pensare!».
Abbandonata così la teologia, nell’aprile del 1825 s’iscrisse
alla facoltà di filosofia e l'anno dopo, per la
necessità di contenere le spese del suo mantenimento,
proseguì gli studi in Baviera, a Erlangen, nella cui
Università, nel giugno del 1828, ottenne la laurea,
discutendo la tesi, di stretta ortodossia hegeliana, De ratione,
una, universale, infinita: la ragione è una sola, universale
ed infinita e in essa si risolve la coscienza del singolo. Egli
invia la dissertazione a Hegel, accompagnata da una lettera nella
quale espone la sua convinzione della necessità che la
filosofia, intesa come un idealismo panteistico, prenda il posto
della religione, i cui concetti - compreso quello di Dio - e la cui
visione del mondo sono ormai inadeguati.
È già l'intento a cui dedicherà tutta la sua
vita. Qualche settimana dopo la laurea, ottenne anche la libera
docenza in filosofia, tenendo lezioni in quella Università, a
partire dal 1829, sulla filosofia di Cartesio e di Spinoza, sulla
logica e sulla metafisica, nelle quali egli accentua la
contrapposizione tra finito e infinito, tra natura e spirito,
attenuando la funzione della soluzione dialettica degli opposti,
essenziale nel sistema hegeliano.
La pubblicazione, avvenuta anonima nel 1830, dei suoi Gedanken
über Tod und Unsterblichkeit (Pensieri sulla morte e
l'immortalità), che negano l'immortalità dell'anima
individuale e affermano che l'individuo - pura apparenza - con la
morte si dissolve nell'autentica ed eterna realtà dello
spirito infinito, si scontrò con il clima politico di
reazione alle Rivoluzioni del 1830 dei governi tedeschi che vedevano
anche nelle espressioni di pensiero non concordanti con l'ortodossia
religiosa un pericoloso attentato all'«ordine» e
all'autorità: il libro venne sequestrato e, riconosciuto
l'autore, Feuerbach fu costretto a interrompere il suo corso
universitario.
Pubblicò ancora la Geschichte der neuern Philosophie von
Bacon von Verulam bis Benedict Spinoza (Storia della filosofia
moderna da Bacone a Spinoza (1833)), l'Abelardo ed Eloisa (1834), la
Darstellung, Entwickelung und Kritik der Leibnitzschen Philosophie
(Esposizione, sviluppo e critica della filosofia di Leibniz) nel
1837 e un saggio su Pierre Bayle nel 1838. Nell'occasione del suo
breve ritorno all'insegnamento nel 1835, scrisse le Lezioni sulla
storia della filosofia moderna, lasciate manoscritte; dopo alcuni
vani tentativi di essere nominato professore straordinario a
Erlangen, dal 1836 Feuerbach non insegnerà più.
Il contenuto degli scritti di questo periodo è omogeneo:
Feuerbach intende rilevare come già dal Rinascimento sia
avvenuta una progressiva emancipazione della filosofia, e in
generale della cultura, dalla teologia e dalla religione cristiana,
sia a motivo della visione sostanzialmente negativa che queste
ultime hanno della natura e dell'uomo, sia a causa del rinato
interesse per lo studio della natura e dell'atteggiamento
generalmente positivo nei confronti della libera attività
umana. Nell'attività scientifica si realizza tra lo spirito e
la natura una feconda unità, nella quale appare difficile la
possibilità di una conciliazione tra la filosofia e la
religione, come dimostra il fallimento della filosofia di Leibniz di
giungere all'unità di ragione e fede e la contraddizione,
riconosciuta dallo stesso Bayle, esistente tra i principi della
ragione e i postulati della teologia, che lo portarono a proclamare
la necessità della tolleranza religiosa e dell'indipendenza
della morale dalla teologia.
Sposò nel 1837 la benestante Bertha Löw, comproprietaria
di una piccola fabbrica di porcellane a Bruckberg, dove Feuerbach si
ritirò nella confortevole quiete del castello di
proprietà della moglie, circondato da un parco vastissimo:
qui, oltre a iniziare studi di botanica, zoologia e geologia,
continuò a sviluppare le sue teorie e a mantenere contatti
epistolari con l’ambiente progressista germanico, in particolare
collaborando agli Hallische Jahrbücher für deutsche
Wissenschaft und Kunst (Annali di Halle per la scienza e l’arte
tedesca), rivista della sinistra hegeliana diretta da Arnold Ruge e
Theodore Echtermeyer, che propugnava la necessità di
introdurre in Germania riforme liberali, liberandola dall’oppressiva
alleanza di trono e altare, alla quale la corrente filosofica della
destra hegeliana forniva gli strumenti di giustificazione culturale:
nel 1839 Feuerbach vi pubblicò la sua Critica della filosofia
hegeliana. A causa della censura, la direzione della rivista dovette
però trasferirsi nel 1840 a Dresda, in Sassonia, da dove fu
costretta ancora a emigrare nel 1843 in Svizzera, assumendo il nuovo
titolo di Deutsche Jahrbücher (Annali tedeschi), e poi a Parigi
nel 1844, con la testata di Deutsch-Französische
Jahrbücher (Annali franco-tedeschi) e la direzione affidata a
Ruge e Marx. Tuttavia Feuerbach smise di collaborare alla rivista
fin dal giugno 1843.
Nel 1839 nacque la prima figlia Leonore e nel 1841 la seconda,
Mathilde, che vivrà però solo tre anni. Feuerbach
pubblicò in quell'anno Das Wesen des Christentums (L'essenza
del cristianesimo), libro che ebbe un clamoroso successo e fece di
lui, per alcuni anni, non solo il leader della sinistra hegeliana,
ma il punto di riferimento del movimento radicale politico tedesco.
Nei due anni successivi Feuerbach, pubblicando le Vorläufige
Thesen zur Reform der Philosophie (Tesi preliminari sulla riforma
della filosofia, 1842) e i Grundsätze der Philosophie der
Zukunft (Principi della filosofia dell’avvenire, 1843), sostenne la
fine della filosofia tradizionale fondata sulla metafisica e la
necessità di fondarne una che da quella prescindesse. Nel
1845 con Das Wesen der Religion (L’essenza delle religioni)
ritornò sulle tesi della sua Essenza del cristianesimo.
Nel 1848, quando la Rivoluzione si espandeva dalla Francia alla
Germania, in Austria e in Italia, partecipò al Congresso
democratico di Francoforte come osservatore legato alla sinistra
democratica e venne invitato dagli studenti liberali di Heidelberg a
dare lezioni pubbliche, con una esortazione ingenuamente retorica ma
sincera: «Nobile pensatore, tu che nei tempi dell'asservimento
del sapere non tradisti mai né la ragione né la
scienza, giacché prendesti sempre come criterio la
realtà tu che con fatica e pazienza, tra le urla di scherno
dei superbi Farisei, traesti dagli strati profondi della natura
l'oro della verità, nobile spirito, è ormai giunta
l'ora della tua attività. L'aurora della verità
comincia a illuminare con i suoi raggi un mondo di
libertà».
Targa commemorativa a Norimberga
Egli tenne lezione dal dicembre nel Municipio della città,
avendo l’Università negato la disponibilità dei suoi
locali. Quel corso fu raccolto in volume e pubblicato nel 1851 con
il titolo di Vorlesungen uber das Wesen des Religion (Lezioni
sull’essenza della religione).
Con la reazione dei sovrani e il fallimento delle prospettive di
liberalizzazione delle istituzioni tedesche, Feuerbach tornò
a Bruckberg nel marzo del 1849, quasi rinunciando a suoi stessi
interessi filosofici e privilegiando lo studio della geologia; solo
nel 1857 scrisse la Theogonie, ancora una ripresa della sua
concezione della religione.
Una relazione con Johanna Kapp, figlia dell’amico filosofo
Christian, provocò una burrasca familiare, mentre il
fallimento della fabbrica di porcellane significò la perdita
di tutte le proprietà della moglie e costrinse Feuerbach a
trasferirsi con la famiglia, nel 1861, nel borgo di Rechenberg,
vicino a Norimberga, in condizioni di estrema povertà, alla
quale cercarono di porre qualche rimedio gli amici e il Partito
socialdemocratico dei lavoratori, al quale aveva aderito. Dopo un
primo ictus superato felicemente nel 1867, un secondo ictus subito
nel 1870 lo paralizzò. Morì dopo due anni di
sofferenze il 13 settembre 1872 e fu sepolto a Norimberga, avendo
avuto grandiosi funerali ai quali parteciparono migliaia di operai.
La filosofia di Feuerbach
All'inizio Feuerbach si colloca nel solco della filosofia hegeliana,
anche se già pone l'accento su elementi che lo allontaneranno
da Hegel. Così, nei "Pensieri sulla morte e
l'immortalità", egli afferma con forza la connessione tra
l'individualità e la sensibilità, propria di un corpo
legato allo spazio e al tempo, e su questa base giunge a negare
"l'immortalità" individuale. Progressivamente egli matura la
convinzione che la filosofia migliore abbraccia tutti coloro che si
sono impegnati nella lotta per la libertà di pensiero, da
Bruno a Spinoza a Fichte, e non ha il suo compimento in Hegel (come
gli hegeliani ortodossi pensavano).
Per la critica della filosofia hegeliana
In questo scritto del 1839 egli afferma che non è possibile
considerare come assoluto un singolo sistema, neppure quello
hegeliano, anche riconoscendo la sua logica, universalità e
ricchezza. Se questo avvenisse significherebbe arrestare il tempo e
portare gli uomini a rinunciare alla libera ricerca. A questa
conclusione Feuerbach perviene partendo dal presupposto hegeliano
che ogni filosofia è il proprio tempo espresso in concetti,
ma applicandolo alla stessa filosofia hegeliana. Se il tempo non si
arresta anche la filosofia hegeliana non può non essere una
filosofia particolare e determinata: anch'essa infatti non
rappresenta un inizio assoluto privo di presupposti, ma è
sorta in un'epoca determinata e, in quanto ne è
l'espressione, anch'essa parte da presupposti legati a tale epoca.
L'epoca futura non potrà non rendersi conto di questo fatto,
cosicché anche la filosofia hegeliana apparirà allora
una filosofia del passato. In qualche modo l'unica filosofia che
inizia senza presupposti è quella che pone totale
libertà di pensiero e che è capace di mettere in
dubbio anche se stessa. La filosofia, in quanto libertà che
vuole costruirsi da sé e non soltanto come erede della
tradizione, deve dunque procedere oltre Hegel, che non critica mai
la realtà di fatto, ma si preoccupa soltanto di comprenderla
nella sua razionalità e quindi giustificarla. Il compito del
libero uomo pensante, consiste invece, nell'anticipare con la
ragione gli effetti necessari e inevitabili del tempo. Attraverso la
negazione del presente si costituisce la forza per creare qualcosa
di nuovo. «Io alla religione ho dedicato tutta la mia
vita» dirà Feuerbach; partendo dalla riflessione sul
Cristianesimo, Feuerbach giunge a comprendere che la filosofia di
Hegel è in realtà teologia filosofica.
Essenza del cristianesimo
Lo scopo di Feuerbach nell'"Essenza del cristianesimo" (1841) non
è di condurre una critica al cristianesimo di stampo
illuministico, inteso come antireligioso o anticlericale, ossia di
ridurlo a un cumulo di menzogne, falsificazioni, errori e
superstizioni. Egli invece ritiene che la religione, in particolare
quella cristiana, abbia un contenuto positivo che consente di
scoprire quale sia l'essenza dell'uomo. Dalle tesi di
Schleiermacher, secondo cui la religione consiste nel sentimento
dell'infinito, egli trae la conclusione che tale infinito non
esprime altro che l'essenza dell'uomo. Nessun individuo singolo
contiene in sé quest'essenza nella sua compiutezza, ma ogni
uomo ha il sentimento dell'infinità del genere umano. La
religione ha un'origine pratica: l'uomo avverte la propria
insicurezza e cerca la salvezza in un essere personale, infinito,
immortale e beato, cioè in Dio.
Ma, secondo Feuerbach, quando un soggetto entra in un rapporto
essenziale e necessario con un oggetto trascendente, questo
significa che l'oggetto trascendente è la vera e propria
essenza del soggetto, proiettata. Con Dio il sentimento umano
è in un rapporto necessitato dalla sua psiche: Dio dunque non
è altro che l'oggettivazione ideale dell'essenza dell'uomo
che in Dio rispecchia se stesso. La religione è appunto
l'oggettivazione dei bisogni e delle aspirazioni dell'uomo, la
proiezione di essi in un ente immaginario, che viene considerato
indipendente dall'uomo e nel quale tali aspirazioni si trovano
pienamente realizzate idealmente.
Nella religione è l'uomo a fare Dio a propria immagine e
somiglianza attraverso un processo psichico di assolutizzazione
dell'umano. Non quindi Dio che ha creato l'uomo, ma viceversa (Non
è Dio che crea l'uomo, ma l'uomo che crea l'idea di Dio
afferma Feuerbach). Quando a Dio si attribuiscono l'onniscienza,
l'onnipotenza e l'amore infinito, in realtà si intende
esprimere l'infinità delle possibilità conoscitive, di
potere sulla natura e dell'amore che sono tipici dell'uomo. In Dio e
nei suoi attributi l'uomo può quindi scorgere oggettivati i
suoi bisogni e i suoi desideri e, dunque, ri-conoscerli. Feuerbach
ne conclude che «la religione è la prima, ma indiretta
coscienza che l'uomo ha di sé».
La conoscenza che l'uomo ha di Dio non è altro, allora, che
la conoscenza che l'uomo ha di sé stesso, ma nella religione
l'uomo non si rende conto che è la propria essenza a trovarsi
oggettivata in Dio. Solo con la filosofia ciò può
giungere a piena consapevolezza. Questo spiega, tra l'altro
perché nella storia dell'umanità e degli individui la
religione preceda ovunque la filosofia: l'uomo pone la propria
essenza fuori di sé prima di riconoscerla come propria. Nella
proiezione della propria essenza in Dio, l'uomo non possiede
più tale essenza, che ha sede in un altro mondo,
cosicché per riconquistarla l'uomo deve negare il mondo
terreno. Qui si annida, secondo Feuerbach, la vera colpa del
cristianesimo nei confronti del genere umano: l'aver condotto
all'ascetismo, alla fuga dal mondo, al sacrificio e alla rinuncia, e
in ultima analisi alla spogliazione delle qualità umane a
favore di Dio.
Rispetto al cristianesimo, il panteismo ha il merito di aver
riconosciuto che il divino non è un'entità personale,
ma è il mondo stesso. Lo sviluppo della religione consiste
dunque in una progressiva negazione di Dio da parte dell'uomo, la
quale va di pari passo con la consapevole riappropriazione della
propria essenza umana. Quanto c'è di vero e di essenziale nel
cristianesimo deve quindi essere negato come teologia per essere
conservato come antropologia. In quanto antropologia, la filosofia
si assume il compito di liberare l'essenza dell'uomo e le sue
infinite possibilità dalla sua alienazione religiosa in un
ente estraneo. Secondo Feuerbach è ateo non chi elimina Dio,
il soggetto dei predicati religiosi, bensì chi elimina i
predicati con i quali Dio è designato nell'esperienza
religiosa, come bontà o saggezza o giustizia. Anche quando si
è riconosciuta la non esistenza di Dio come entità
separata, questi predicati infatti permangono nella loro
verità, ma come possibilità e prerogative dell'essenza
umana.
Tesi provvisorie per la riforma della filosofia, Princìpi
della filosofia dell'avvenire
Il compito dell'età moderna è consistito secondo
Feuerbach, nella trasformazione e dissoluzione della teologia in
antropologia. Noi dipendiamo dalle esigenze materiali. Già il
protestantesimo, secondo Feuerbach, è originariamente
antropologia religiosa: in esso, infatti, è rilevante
ciò che Dio è per gli uomini, non tanto ciò che
egli è in sé, anche se in teoria gli è
riconosciuta esistenza indipendente. Come si colloca la filosofia
hegeliana rispetto a questa antropologia? Per Feuerbach essa non
è altro che teologia filosofica: la filosofia speculativa
spiritualistica e panteistica, il cui culmine è rappresentato
da Hegel, ha identificato ciò che nella teologia è
concepito come oggetto trascendente (Dio) come ente indipendente: il
soggetto, il pensiero o lo spirito assoluto. Lo Spirito o l'Assoluto
son diventati nella visione hegeliana niente altro che la "causa
finale" di tutte le teologie precedenti di tipo finalistico.
In tale filosofia-teologia Dio diventa l'essenza della ragione
stessa, non è più rappresentato come essenza autonoma,
distinta dalla ragione, e anzi, le determinazioni di Dio, per
esempio l'infinità sono riconosciute come proprie della
ragione stessa. Ma secondo Feuerbach ciò significa soltanto
che, mentre nella teologia, l'essenza umana è alienata in
Dio, nella filosofia speculativa essa è alienata nello
spirito assoluto, ossia nel pensiero. Nelle "Tesi provvisorie per la
riforma della filosofia" e nei "Princìpi della filosofia
dell'avvenire", Feuerbach mostra che Hegel ha commesso lo stesso
errore della teologia, in quanto di fatto ha ricavato le
determinazioni dell'infinito dalla realtà finita, ma ha
preteso di dedurre il finito dall'infinito, considerando il finito
soltanto un momento negativo dell'infinito. Secondo Feuerbach
invece, è nel finito che deve essere ritrovato l'infinito,
non viceversa; l'infinito stesso è pensabile soltanto
attraverso il finito e la negazione del finito.
Feuerbach sviluppa così un'antropologia filosofica che scava
nella coscienza dell'uomo per scoprire le origini del senso del
divino come infinitizzazione di sé. Si tratta di un'analisi
intorno a un fondamento antropologico, che non è altro che la
proiezione fantasmatica dell'uomo in un ideale ultrauomo "infinito".
Tale infinito è la rappresentazione unitaria di tutti gli
attributi relativi a ciò che egli vorrebbe essere o
diventare, portati all'estremo positivo.
Feuerbach scrive nel § 30 di "Essenza della religione" (1845)
«Il pensare, il volere sono cosa mia; ma ciò che io
voglio e penso non è cosa mia, è fuori di me, non
dipende da me. La tendenza, il fine della religione è volto a
togliere questa contraddizione o contrasto. L'ente in cui questa
viene tolta è qualcosa in cui ciò che è
possibile solo secondo il mio desiderio e la mia rappresentazione,
ma impossibile per le mie forze e facoltà, diviene possibile,
anzi, si realizza. Questo ente è l'ente divino» E nel
§ 32 si precisa: «Il desiderio è l'origine,
è l'essenza stessa della religione; l'essenza degli
dèi non è altro che l'essenza del desiderio.»
L'inizio della filosofia non è dunque Dio o l'Assoluto, ma
ciò che è finito, determinato e reale. La filosofia
dell'avvenire, in quanto antropologia, riconoscendo il finito come
infinito, deve partire, non da come aveva fatto Hegel, dal pensiero
autosufficiente, inteso come soggetto capace di costruirsi con le
sue proprie forze, bensì dal vero soggetto, di cui il
pensiero è soltanto un predicato. Esso è l'uomo in
carne e ossa, mortale dotato di sensibilità e bisogni: in
questo consiste l'umanesimo di Feuerbach. Occorre dunque partire da
ciò che dà valore al pensiero stesso, ossia
dall'intuizione sensibile perché veramente reale è
soltanto ciò che è sensibile. Solo attraverso i sensi
un oggetto è dato come immediatamente certo: il sensibile
infatti non ha bisogno di dimostrazione, perché costringe
subito a riconoscere la sua esistenza. In questa prospettiva, la
natura non si trova più ridotta a semplice forma estraniata
dello spirito, come avveniva in Hegel, ma diventa la base reale
della vita dell'uomo.
Si apre così la possibilità di una nuova filosofia, il
sensualismo, che è la risoluzione compiuta della teologia in
antropologia: in essa è superata ogni scissione tra uomo e
mondo, corpo e spirito. Solo dalla sensibilità deriva il vero
concetto dell'esistenza: infatti, solo ciò che è
piacevole o doloroso modifica lo stato dell'uomo e mostra che
qualcosa esiste o manca. Passione, amore, fame sono dunque la prova
ontologica dell'esistenza di qualcosa: solo esse, infatti, hanno
interesse all'esistenza o meno di qualcosa. La corporeità,
diversificandosi come maschio o femmina, conduce al riconoscimento
dell'esistenza di un essere differente dall'io, che tuttavia
è essenziale per la determinazione della esistenza. Il vero
principio della vita e del pensiero non è dunque l'io, ma
l'io e tu, il cui rapporto più reale si configura come amore,
interesse per l'esistenza dell'altro. E Feuerbach afferma che "la
vera dialettica non è un monologo del pensiero solitario con
sé stesso, ma un dialogo tra l'io e tu". L'uomo singolo non
ha in sé l'essenza totale dell'uomo, come unità di
vita, cuore e ragione; tale essenza è contenuta solo nella
comunità, ossia nell'unità dell'uomo con l'uomo,
fondata sulla realtà della differenza tra io e tu. In questa
prospettiva, l'amore diventa la realizzazione dell'unità del
genere umano. Il fenomeno religioso continuerà a rimanere al
centro delle riflessioni di Feuerbach.
Essenza della religione, Teogonia
Nell'"Essenza della religione", egli prende in considerazione non
soltanto il Cristianesimo, ma la religione in generale: essa ha la
sua matrice nel sentimento di dipendenza dell'uomo dalla natura.
Contrariamente a quanto pensava Max Stirner, Feuerbach considera
l'individuo un'entità non assolutamente autonoma, ma
dipendente da una realtà oggettiva: la natura. Per natura
Feuerbach, in questa fase del suo pensiero, non intende più
in primo luogo la natura dell'uomo, che si esprime sotto forma di
sensibilità. La natura è più in generale il
mondo da cui l'uomo dipende: tale dipendenza si manifesta all'uomo
sotto forma di bisogno. Proprio dalla difficoltà di
soddisfarlo nasce la religione. Di fronte al carattere illimitato
dei propri desideri e delle proprie aspirazioni l'uomo si rende
conto del carattere limitato dei suoi poteri. In questa situazione
Dio viene immaginato come l'essere nel quale tutti questi desideri
sono realizzati: a Dio, infatti, nulla è impossibile.
Ma questa concezione della divinità rappresenta soltanto la
forma più sviluppata di religione. All'origine, infatti,
ciò che l'uomo divinizzò fu una natura non
addomesticata, anche ostile, solo successivamente egli
attribuì a questa natura caratteri simili all'uomo, sino a
ravvisare nella natura stessa un ordine dovuto a Dio, inteso come
principio ordinatore. Solo per quest'ultima fase dello sviluppo
della religione vale la tesi secondo cui Dio e i suoi attributi non
sono altro che la proiezione di sentimenti e desideri umani. Ma
così facendo si è dimenticata la dipendenza essenziale
dell'uomo dalla natura: questo è l'errore della forma
più avanzata di religione, soprattutto del cristianesimo, che
è dunque il più lontano dall'origine naturale della
religione. Nella sua ultima produzione teorica Feuerbach
insisterà sull'importanza della conoscenza della natura e di
un rapporto armonizzato dell'uomo con la natura stessa. Ciò
lo condurrà a guardare con interesse agli sviluppi di
concezioni materialistiche nelle indagini scientifiche della
metà del secolo e a continuare nella sua polemica
antireligiosa.
Le tesi della Essenza della religione trovarono ulteriore sviluppo
nelle pagine della Teogonia secondo le fonti dell'antichità
classica, ebraica e cristiana, pubblicata dopo più di sei
anni di intenso lavoro nel 1857. La Teogonia, ultima grande opera di
critica della religione pubblicata da Feuerbach, si incentra su di
una visione antropologica essenzialmente caratterizzata dalla
condizione dell'uomo come essere desiderante. Il processo teogonico
che dà vita alla rappresentazione degli dei nella coscienza
dell'uomo soddisfa in maniera inconscia i suoi desideri più
cari: gli dei sono gli esseri in cui viene superata la
contraddizione tra il volere ed il potere. Nella Teogonia Feuerbach
ricostruisce le cause ed i momenti fondamentali del processo
teogonico attraverso l'analisi linguistica e psicologica del
linguaggio dell'epica classica e delle fonti antiche ebraiche e
cristiane. La religione pagana appare come espressione di
un'umanità i cui desideri sono ancora vicini alla natura; gli
dei degli antichi, sottoposti a loro volta alle leggi del fato e
della necessità, sono solo i ministri della natura, non i
suoi signori e creatori come il Dio cristiano. I pagani volevano
essere felici in vita e non rifiutavano i limiti della propria
condizione mortale. Ai molti desideri dei pagani si oppone l'unico
desiderio dei cristiani, quello di una beatitudine ultraterrena ed
in contrasto con tutte le leggi della natura. Sacrificando le gioie
quotidiane e realizzabili della terra, i cristiani aspirano a
guadagnarsi gioie infinite nel cielo; in tal modo la pretesa morale
cristiana fondata sull'amore del prossimo nasconde soltanto
l'egoismo alienato dell'uomo cristiano. Gli eroi omerici, al
contrario, mostrano ancora i caratteri positivi di una virtù
fondamentalmente atea che, senza misconoscere la finitezza
dell'individuo, lo invita ad impegnare tutte le proprie forze
materiali ed intellettuali per realizzare sulla terra le condizione
concrete della propria felicità.
Il mistero del sacrificio o l'uomo è ciò che mangia
Nel 1850 egli recensisce favorevolmente Lehre der Nahrungsmittel
für das Volk (Dell’alimentazione: trattato popolare), uno
scritto di Jakob Moleschott sull'alimentazione, interpretata come la
base che rende possibile il costituirsi e perfezionarsi della
cultura umana: un popolo può migliorare migliorando la
propria alimentazione. Significativo è il titolo di uno
scritto del 1862: Il mistero del sacrificio o l'uomo è
ciò che mangia; cioè esiste un'unità
inscindibile fra psiche e corpo, per pensare meglio dobbiamo
alimentarci meglio. Dio è l'eco del nostro grido di dolore,
Dio è una lacrima dell'onda versata nel più profondo
dolore della miseria umana. Il cristiano vede nel miracolo l'opera
di Dio, ma il miracolo è detto così perché non
conosciamo le leggi fisiche che hanno prodotto il fenomeno.
Tutti i popoli in principio sono religiosi, ma poi acquistano
coscienza e si disalienano. Il compito degli scritti di Feuerbach,
come egli stesso afferma, è di abbattere le illusioni e i
pregiudizi del presente, traendo la filosofia da quello che egli
chiama il regno delle anime morte per reintrodurla nel dominio delle
anime vive, radicalmente legate al corpo e alla sensibilità.
Per ora il problema è di trarre l'uomo fuori dal pantano in
cui era sommerso , non ancora di rappresentare l'uomo quale
è. Si tratta in altre parole di dedurre dalla teologia la
necessità di una filosofia dell'uomo, di un'antropologia,
capendo gli errori concettuali del pensiero pregresso. Questo
è il compito che Feuerbach assume per il suo filosofare,
provvedendo con i suoi scritti a renderlo noto ed accessibile.
Egli è infatti convinto, come dice nella premessa dei
"Princìpi della filosofia dell'avvenire" (1843), che solo
alle future generazioni sarà concesso di pensare, parlare e
agire in modo puramente ed autenticamente umano. In una delle sue
ultime opere, Spiritualismo e materialismo (1866), Feuerbach
ribadisce la sua concezione dell'individuo come organismo sensibile
caratterizzato da bisogni, polemizza contro il dualismo di anima e
corpo e, facendo proprio un punto di vista deterministico, nega
l'esistenza del libero arbitrio. Per molti aspetti le tesi di
Feuerbach saranno uno spunto per il lavoro di Marx, che comunque non
tarderà a criticare il lavoro di Feuerbach nelle Tesi su
Feuerbach; nei Manoscritti del 1844 Marx definirà Feuerbach
il solo che sia in un rapporto serio e critico con la dialettica
hegeliana.
Bibliografia
Le opere principali
* Das Wesen des Christentums (Essenza del
cristianesimo), Lipsia 1841, 4. ed. 1883
* Grundsätze der Philosophie der Zukunft,
Lipsia 1843
* Das Wesen der Religion (Essenza della
religione), Lipsia 1845
* Theogonie nach den Quellen des classischen
hebräischen und christlichen Althertums (Teogonia secondo le
fonti dell'antichità classica, ebraica e cristiana), Lipsia
1857