FEDELE, Pietro

 

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Nacque a Traetto (l'odierna Minturno in provincia di Latina) il 15 apr. 1873 da Ferdinando e Angioletta Conte, in una famiglia di modesti agricoltori. Iniziò gli studi presso il seminario di Gaeta e sulla sua formazione incise la figura del fratello Salvatore, di dieci anni maggiore, ecclesiastico di solida cultura classica, destinato a diventare monsignore, che contribuì a suscitargli interessi per la storia della Chiesa e della Cristianità. Completò il liceo presso l'istituto romano dell'"Apollinare", ove venne iniziato, specie da 0. Marucchi, agli studi della latinità e dell'archeologia cristiana. All'università di Roma dal 1890, seguì i corsi di archeologia cristiana, filologia romanza, paleografia e diplomatica, storia antica e medievale, a contatto con docenti quali G. Beloch, G. Monticolo (con il quale si laureà nel 1894) e, soprattutto, E. Monaci, dal quale in particolare apprese la metodologia di ricerca e quel costume filologico ed erudito che avrebbe caratterizzato la sua produzione scientifica. Dopo la laurea insegnò nelle scuole medie di Roma, Arpino, Sezze, Velletri, finché nel 1898, su invito di U. Balzani e grazie a una borsa di studio, seguì il corso della ricostituita Scuola storica di perfezionamento, presso la Società romana di storia patria (avrebbe pubblicato larga parte dei suoi scritti presso l'Archivio della Società romana di storia patria), acquistando padronanza delle fonti della storia romana dal IX al XVI secolo.

Come medievista, la sua produzione si iscrive in un ambito filologico-erudito, intenta prevalentemente all'acclaramento e all'illustrazione di momenti ben definiti della storia dell'Italia centrale (con un riguardo specifico alla sua terra natia) e basata sulla ricerca e ricostruzione di fonti che vengono trattate con una particolare perizia paleografica e diplomatica. Nel periodo più fecondo della sua produzione (1896-1914) pubblicò, sempre nell'Archivio, ampie raccolte di documenti su chiese e monasteri di Roma (il monastero dei Ss. Cosma e Damiano in Mica Aurea, 1898-99; S. Maria Nova, 1900-03; S. Prassede, 1904-05; S. Maria in Monasterio, 1905-06; ecc.), insieme con una fitta serie di note archeologiche e filologiche, di volumi e di articoli su svariati temi quali la battaglia del Garigliano del 915 (1899), i conti di Tuscolo e i principi di Salerno (1905-06), i ducati di Gaeta (1896, 1904, 1907) e Napoli (1903, 1907), le famiglie di Anacleto II e di Gelasio II (1904), i Frangipane (1905, 1910), i vescovi di Sora nel secolo XI (1909), Cola di Rienzo, (1903, tema ripreso nel 1914 e nel 1920). A conclusione di un primo periodo di studi il F. pubblicò le Ricerche per la storia di Roma e del Papato nel secolo X (1910-11, nei voll. XXXII-XXXIV dell'Archivio suddetto), da taluni considerato il suo lavoro più significativo.

Dopo aver insegnato nei licei di Potenza, Benevento e Napoli e avere ottenuto (1903) un comando presso la Biblioteca Vallicelliana di Roma, le porte dell'accademia gli si aprirono nel 1905, allorché vinse il concorso per la cattedra di storia moderna all'Accademia scientifico-letteraria di Milano, in concorrenza con G. Volpe e G. Salvemini; il 1º nov. 1906 assunse a Torino lo straordinariato di storia moderna, sostituendo C. Cipolla, per passare definitivamente nel 1914 all'insegnamento di storia medievale presso l'università di Roma, in sostituzione di A. Crivellucci.

La prima guerra mondiale lo colse dunque a una svolta nella carriera; troppo anziano per l'arruolamento, espresse con scritti e conferenze i suoi sentimenti interventisti, ispirati all'ideale della romanità, specie in un fortunato pamphlet che ebbe varie ristampe (Perché siamo entrati in guerra, Roma 1915); inoltre prese parte alle iniziative del. comitato laziale dell'Unione insegnanti italiani (collaborò nel 1917-19, con G. Cena e A. Marcucci, al Piccolissimo, giornale della sezione propaganda dell'Unione, rivolto ai giovani). In qualche modo collegati alla fase politica sono alcuni lavori a carattere più propriamente storiografico, quale La coscienzadella nazionalità in Italia nel Medio Evo (in Nuova Antologia, 16 ott. 1915, pp. 449-462).

Proseguendo sul terreno dell'attività accademica e storiografica, eseguì studi su Bonifacio VIII (1921), sul ducato di Roma (1922), sul Senato romano nel Medioevo (1911, 1912, 1924, 1933), sulla cultura italiana a Montecassino nel Medioevo (1932), sui giubilei del 1300 e del 1350 (1934).

Legato alla sua terra e non privo di un affiato umanitario di ispirazione cristiana, sin dalla guerra si era dedicato all'organizzazione di opere di assistenza per i soldati e i contadini dell'Agro romano, le cui condizioni di miseria e abbandono aveva verificato attraverso un'approfondita conoscenza della Terra di Lavoro. Nell'aprile 1924 fu eletto deputato nel collegio di Sora per la lista nazionale. Nel settembre il F. aderì al fascismo, intendendo prendere il posto reso vacante tra i deputati del partito fascista dall'uccisione dell'onorevole A. Casalini (ad opera di tale G. Corvi, uno squilibrato, come si chiarì al processo), episodio che fascisti e stampa governativa usarono come diversivo all'indignazione suscitata dal delitto Matteotti. Per questo gesto Mussolini gli avrebbe mostrato pronta riconoscenza, affidandogli di lì a poco il ministero dell'lstruzione pubblica, liberatosi dopo che il ministro A. Casati si era dimesso per protesta contro il discorso di Mussolini alla Camera del 3 genn. 1925. Il F. resse il dicastero dal 5 genn. 1925 al 9 luglio 1928, nel cuore delle polemiche sollevate nel mondo politico, culturale, accademico e scolastico dalla riforma Gentile.

A quelle polemiche Mussolini (per il quale la fascistizzazione della scuola non necessariamente si identificava con il totale e incondizionato sostegno della riforma, che peraltro in quella fase rischiava di unificare l'opposizione antifascista) non era insensibile, tanto da ricorrere per la successione di G. Gentile, che sosteneva l'investitura a ministro di B. Giuliano, a una personalità quale il F., più accetto al mondo cattolico, del quale egli stesso era parte, forse prevedendo che avrebbe potuto svolgere un ruolo "rassicurante" sulla reale portata della riforma. Pur cedendo sul rigore, più che sui contenuti, della riforma, il F. agì nel quadro della direttiva mussoliniana volta alla completa fascistizzazione della scuola: sancì il monopolio della rappresentanza corporativa degli insegnanti, escludendo anche dai colloqui ministeriali le organizzazioni magistrali non fasciste (e in pratica conglobando il corpo docente nelle organizzazioni di regime), integrò altresì l'universo dei discenti nell'Opera nazionale Balilla, promosse e curò l'iniziativa del "libro di Stato".

Fu comunque, quello del F., un ministero travagliato, stretto dagli attacchi di Gentile (e dei gentiliani, specie E. Codignola) e del partito. Gentile - che, come scriveva R. Forges Davanzati a Mussolini sottoponendogli uno scritto del filosofo per L'Idea nazionale, disistimava il F. e si sentiva "profondamente ferito" per le concessioni in tema di esami di riparazione - in un articolo del marzo 1925 (che non venne pubblicato ma del quale il F. ebbe ugualmente notizia) accusava esplicitamente il ministro di aver tradito la scuola ("si vede bene che sta al Governo e tra i fascisti con l'animo di don Abbondio"). Il F. reagì con una lettera a Mussolini (13 marzo 1925) nella quale protestava la propria diligenza "allo spirito e agl'intenti della Riforma Gentile", esprimendo però l'imbarazzo di dover fare i conti con un così ingombrante predecessore: "Se ad ogni atto, anche meno importante, della mia amministrazione, io debba preoccuparmi e magari chiedere' il beneplacito preventivo dell'on. Gentile, io che mi sento responsabile soltanto innanzi a Lei, non esiterei a pregarLa di dispensarmi da un ufficio che ho accettato soltanto per obbedienza e disciplina" (per tutte le citazioni cfr. Roma, Archivio centrale dello Stato, Segreteria particolare del duce, cart. riservato, b. 1, fasc. Gentile).

Altri attacchi, non necessariamente connessi con i precedenti, venivano dal partito (ma anche alcuni parlamentari, in particolare V. Cian e B. Barbiellini Amidei, non mancarono di richiamare il ministro a una più attenta vigilanza politica verso il corpo docente: vedi l'Indice alfabetico degli atti della Camera per la XXVII legislatura). Nel maggio 1927 il segretario A. Turati denunciava per lettera a Mussolini la scarsa fascistizzazione dell'università e della scuola media: mancata epurazione degli insegnanti, mancata nomina di "autentiche camicie nere" a presidi e provveditori, "svalorizzazione degli elementi veramente fascisti", ecc. Il ministro, investito della questione, respinse nettamente le accuse in un memoriale al sottosegretario G. Suardo, in data 25 maggio 1927: "Quando mi fu affidato il governo della scuola... essa era un mare in tempesta, e tempesta in gran parte antifascista... Un'aria nuova si respira ora nelle aule scolastiche: sono tutti Balilla o Avanguardisti o gregari della Milizia per la Sicurezza Nazionale i nostri giovani, ed i professori nella loro assoluta maggioranza sono devoti al Regime".

Sull'epurazione, il F. ricordava che le pratiche di funzionari e docenti segnalati da prefetti come antifascisti erano state sottoposte "all'esame personale di S. E. il Capo del Governo", il quale aveva scritto "di Suo pugno i provvedimenti da adottarsi", e di aver successivamente "colpito con energia inflessibile, ma sempre secondo la legge, i colpevoli di manifestazioni ostili al Regime", salvo i casi in cui "le denunce non erano originate dal nobile sentimento del dovere fascista"; inoltre, di aver "sostituito con autentici fascisti quasi tutti i rettori" trovati in carica. Rispetto agli organismi ministeriali, il F. rimarcava. di aver "sciolto e ricomposto interamente con membri fascisti, tranne il Padre Gemelli" (perché gradito al governo), il Consiglio superiore della Pubblica Istruzione, mettendovi a capo Gentile, e di aver sciolto la prima Commissione consultiva del ministero "per eliminare elementi ostili al Regime come l'On. Meda". Per i concorsi a posti di insegnanti, il F. assicurava di subordinare l'ammissione dei candidati "al parere favorevole del Prefetto" (evitando però di esercitare "qualsiasi influenza sul giudizio delle commissioni giudicatrici"), mentre per la nomina di provveditori e presidi (che al fine di "fascistizzare" la scuola aveva avocato a sé con un decreto che gli concedeva facoltà discrezionale), avrebbe tenuto conto delle informazioni dei prefetti nonché "di quelle che mi perverranno dalla Direzione del Partito". Infine prometteva per l'inizio del nuovo anno scolastico "una larga epurazione" (Roma, Archivio centrale dello Stato, Presidenza del Consiglio dei ministri 1931-1933, fasc. 5/5/6829).

Per altri versi, il F. operò la difficile mediazione tra Mussolini e P. Tacchi Venturi sulla "questione Buonaiuti" e, agevolato forse da un'antica consuetudine ed amicizia con Pio XI, già prefetto della Biblioteca Vaticana, svolse un qualche ruolo nei preparativi della conciliazione tra Stato e Chiesa allorché, nelle celebrazioni del centenario francescano del 1926, fu protagonista di un incontro ad Assisi con il cardinale R. Merry del Val, primo incontro ufficiale tra un ministro italiano e un legato pontificio.

Tra le iniziative del ministro vanno inoltre ricordati la ripresa degli scavi di Ercolano, il nuovo impulso a quelli di Pompei, il recupero delle navi imperiali nel lago di Nemi, la creazione dell'Accademia d'Italia (1926, in sostituzione dell'Accademia dei Lincei), l'istituzione della Direzione generale delle biblioteche.

Presidente dell'Istituto di studi romani (1925-29), nel 1924 il F. aveva caldeggiato e ottenuto la costituzione, presso l'Istituto italiano per gli studi storici, di una Scuola storica nazionale cui potessero venire comandati insegnanti di ruolo e funzionari di archivi e biblioteche. Dal 1934 il F. fu presidente dell'Istituto storico italiano (che nel 1935 limitò al Medioevo l'ambito di interesse) e impresse un particolare impulso allo studio delle fonti dell'Italia medievale promuovendo la ripresa di edizioni di grande lena storiografica e documentale quali le Fonti per la storia d'Italia, i Regesta chartarum Italiae, le Guide storiche e bibliografiche degli archivi e biblioteche d'Italia, nonché la riedizione dei Rerum Italicarum Scriptores di L. A. Muratori, curata da G. Carducci, V. Fiorini e dallo stesso F. (con l'incorporazione dell'Archivio muratoriano del Fiorini nel Bullettino dell'Istituto). Fu inoltre commissario (1935) quindi presidente, fino alla morte, della Società romana di storia patria (dal 1935 al 1946 Deputazione romana di storia patria). Sostenne e seguì la preparazione della raccolta, a cura di R. Valentini e G. Zucchetti, dei testi atti a gettare luce sulla topografia di Roma nei secoli I-XV (Codice topografico della città di Roma, I-IV, Roma 1940-51).

Pur se non pervenne mai a opere di sintesi, la maturità dello studioso è stata vista nelle "indagini e le ricostruzioni relative alla Roma del sec. XII ed alla funzione che i Papi ebbero in essa, e più tardi al Senato romano e all'attentato di Anagni", nonché negli "studi su i tempi di Cola di Rienzo, su i rapporti che Roma ebbe con tutto il movimentato secolo XIV con gli altri Stati e Signori italiani, le influenze che esercitò su le correnti letterarie, artistiche ed economiche di ogni luogo... Il Medio Evo, inteso come il trionfo dell'etica cristiana, dell'ascetismo cenobitico, del Papato, suscitò in lui visioni realistiche ed originali animate dal fascino di tempi e di uomini che ne rispecchiavano l'essenza stessa" (A. Gallo, p. 121).

Ovvero - come ha scritto O. Bertolini (1963, p. 177) - il F. "ebbe innegabilmente una sua visione storica: l'idea di Roma, che, dopo aver dato all'Italia la sua unità, e dopo aver superato questa unità, senza però averla annullata, nella universalità della lingua, delle leggi, degli istituti, della fede, estesa a tutto il mondo, continuò ad operare, vitale e feconda, sotto il duplice aspetto di tale unità e di tale universalità, attraverso l'intero Medio Evo, anche quando la marea montante degli interessi particolaristi, in Italia e nell'Europa occidentale, parve sommergere e spegnere quell'idea. Per questa visione il Fedele ebbe specialmente caro quanto, pur in forme diverse ed in vario senso, fu scritto e fu fatto nel Medio Evo italiano, sotto l'impulso dell'idea di Roma; e si sentì soprattutto attratto da Arnaldo da Brescia, da Bonifacio VIII, da Arrigo VII, da Dante, da Cola di Rienzo".

Senatore dal 22 dic. 1928 e ministro di Stato 0933), il F. fu membro del Gran Consiglio del fascismo dal gennaio 1925 al giugno 1928 e dal gennaio al dicembre 1929, fu commissario del re presso la Consulta araldica (dal 1930), presidente dell'Istituto poligrafico dello Stato, del Comitato nazionale di scienze storiche, vicepresidente del Consiglio superiore degli Archivi del Regno. Diresse inoltre la prima edizione del Grande dizionario enciclopedico della Utet (Torino 1933-40) e la Storia d'Italia della Mondadori.

Ancora sul piano della storiografia locale promosse tra il 1935 e il 1942 la "Collana minturnese", che pubblicò dieci volumi. Fece inoltre restaurare (1929) la torre di P. Capodiferro, sulla riva sinistra del Garigliano, e vi istituì il Museo di opere d'arte e di antichità della Campania. Nella terra natale si impegnò nel restauro della chiesa della Ss. Annunziata e istituì opere di carità, quali un ospedale (1933), un edificio scolastico, alcuni asili ed un orfanotrofio che furono dati in gestione ad opere religiose.

Fuori ruolo dal 1942, dopo una penosa malattia il F. morì a Roma il 9 genn. 1943.