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    Nacque a Torino il 17 febbr. 1900 da Annibale e
    Battistina Randone.
    
    La famiglia era originaria di Garessio (Cuneo), dove aveva dimorato
    per diverse generazioni, ed era imparentata alla famiglia di Luigi
    Einaudi. Due fratelli del F., Ugo ed Enrico, morirono durante la
    prima guerra mondiale (il primo in combattimento). Un altro
    fratello, Gian Maria, fu illustre neurochirurgo.
    
    Frequentò la facoltà di giurisprudenza
    dell'università di Torino, ove si laureò nel 1924,
    discutendo una tesi sulla doppia tassazione del risparmio, di cui fu
    relatore Luigi Einaudi. Einaudi lo guidò in tutte le fasi
    della sua carriera scientifica e rimase sempre il suo punto di
    riferimento più importante, anche quando, come
    inevitabilmente doveva avvenire, le loro posizioni scientifiche
    cominciarono a divergere.
    
    Frutto della rielaborazione della tesi è il primo saggio,
    Sulla teoria dell'esenzione del risparmio dall'imposta, che
    l'Einaudi trasmise all'Accadernia delle scienze di Torino, nei cui
    atti fu pubblicata (Memorie della R. Acc. delle scienze di Torino,
    s. 2, LXVI [1926], 7, pp. 1-38).
    
    In questo scritto il F. sostiene la validità della teoria
    einaudiana sull'esenzione del risparmio, con una duplice
    dimostrazione: "che la tassazione del reddito guadagnato implica
    effettivamente una doppia imposizione sul risparmio" e "che la legge
    del valore regge effettivamente, almeno in linea tendenziale, il
    fenomeno dell'imposta". La dimostrazione del primo assunto gli
    consente una erudita esposizione della letteratura sull'argomento,
    con critiche puntuali alle teorie contrarie alla doppia imposizione,
    mentre per dimostrare il secondo assunto egli richiama le due
    fondamentali "spiegazioni" del fenomeno finanziario, quella
    "economica" e quella "politica", criticandone acutamente
    l'unilateralità con l'osservazione che in ambedue prevale la
    legge del minimo mezzo e giungendo così alla conclusione che
    tali spiegazioni del fenomeno finanziario non contraddicono la
    teoria della doppia tassazione del risparmio.
    
    Su questo tema il F. ritornò più volte nel corso del
    tempo, dapprima (Sulla doppia tassazione del risparmio, in Riforma
    sociale, XXXV [1928], 39, pp. 123-140) per difendere ulteriormente
    le posizioni di Einaudi, ma dopo qualche tempo per riconoscere che,
    pur rimanendo valida la tesi della doppia imposizione, la
    dimostrazione di Einaudi non era accettabile (A proposito di un
    recente volume sull'incidenza delle imposte, in Giornale degli
    economisti, n.s., II [1940], pp. 1-23, e poi Principii di scienza
    delle finanze, Torino 1941, II, spec. p. 285).
    
    Apparvero nel 1929 un lungo articolo, Elementi per una teoria della
    durata del processo traslativo dell'imposta in una società
    statica (in Giorn. degli economisti, XLIV [1929], pp. 557-583 e
    687-714), nonché due brevi scritti, Riflessioni su di un
    punto della teoria dell'illusione finanziaria (in Atti della R. Acc.
    delle scienze di Torino, LXIV [1928-1929], pp. 333-345) e Di alcuni
    effetti dell'estinzione del debito pubblico mediante un'imposta sul
    capitale (in Riforma sociale, XXXVI [1929], 40, pp. 213-224).
    
    Nel saggio più ampio, sulla durata del processo traslativo
    dell'imposta, certamente il più impegnativo della sua
    produzione giovanile, il F. si proponeva di approfondire un problema
    enunciato da Maffeo Pantaleoni (Teoria della traslazione dei
    tributi, Roma 1882, pp. 52 s.) ma da questo non sviluppato: quello
    della "velocità" della traslazione, anche se in realtà
    tale studio costituisce essenzialmente una premessa all'indagine
    sulla velocità, essendo soprattutto diretto a studiare la
    durata del processo traslativo, nel tentativo di "stabilire le
    condizioni che influiscono sulla determinazione del tempo".
    
    In tale scritto, che ebbe diffusione internazionale (fu pubblicato
    in inglese qualche anno dopo, in Review of economic studies, I
    [1934], pp. 81-101, e II [1935], pp. 122-136), il. F.
    considerò elemento decisivo per la durata del processo
    traslativo l'intervallo temporale tra la fine di un processo
    produttivo e la fine del successivo, pur tenendo conto di numerose
    altre variabili che possono influenzare tale processo in una
    società statica. Questo tipo d'indagine fu successivamente
    sviluppato da un punto di vista più generale (non firnitato
    ai soli aspetti finanziari) dallo stesso F. con particolare riguardo
    alle posizioni intermedie tra un equilibrio e l'altro (in Di un
    fenomeno di attrito, in Rivista ital. di statistica, economia e
    finanza, IV [1932], 2, pp. 248-281, e Velocità nelle
    variazioni della domanda e dell'offerta e punti di equilibrio
    stabile e instabile, in Mem. della R. Acc. delle scienze di Torino,
    LXVII [1932], pp. 383-425).
    
    Nelle Riflessioni su di un punto della teoria dell'illusione
    finanziaria, un caso della teoria dell'illusione finanziaria di A.
    Puviani, quello dell'illusione sulla "quantità della
    sensazione penosa", viene fatto rientrare nel concetto marshalliano
    di rendita del consumatore, mentre nello scritto sul debito pubblico
    si considerano alcune limitazioni alla validità della tesi,
    contenuta nel Colwyn Report, secondo cui l'estinzione del debito
    pubblico mediante un'imposta sul capitale ridurrebbe l'imponibile in
    modo da non consentire una rilevante riduzione della pressione
    tributaria.
    
    Nel febbraio del 1930, sulla base dei primi cinque lavori, il F.
    conseguiva la libera docenza in scienza delle finanze e diritto
    finanziario (commissari F. Flora, R. Benini, P. De Francisci
    Gerbino) e assumeva quindi l'incarico della stessa disciplina presso
    l'università di Sassari per l'anno accademico 1930-31.
    
    Pubblicava, quindi, oltre ai due articoli già menzionati
    sull'elemento temporale nel passaggio da una posizione di equilibrio
    ad unaltra, numerosi altri scritti. Il saggio Di un particolare
    aspetto delle imposte sul consumo (in Riforma sociale, XXXVII
    [1930], pp. 1-20, trad. in inglese in International economic papers,
    n. 6, London-New York 1956, pp. 34-49) ha per oggetto il cosiddetto
    teorema di Barone sul confronto in termini di sacrificio tra
    un'imposta sul consumo ed un'imposta sul reddito a parità di
    gettito: in proposito il F. introduce utili precisazioni circa
    alcune possibili eccezioni all'applicabilità del suddetto
    teorema. Il Contributo ad alcuni punti della teoria della
    traslazione delle imposte sui "profitti" e sui "redditi" (in Studi
    sassaresi, IX [1930], 3, pp. 173-207, e X [1931], 1, pp. 1-51)
    esamina alcuni casi che costituiscono eccezioni alla tesi della
    intrasferibilità delle imposte, speciali o generali, sui
    sovrappiù, nonché delle stesse imposte generali sul
    reddito. Nell'articolo Aproposito di una divergenza di opinioni fra
    alcuni scrittori di finanza, in Rivista di politica economica, XXI
    (1931), 9, pp. 677-688, il F. confronta le posizioni contrapposte di
    Einaudi, in favore dell'imposizione del reddito normale, e di B.
    Griziotti, favorevole all'imposizione dei sopraredditi, dimostrando
    che parte di tali divergenze era dovuta a diversità
    terminologiche e parte alla diversa concezione dell'imposta. In A
    proposito degli effetti dell'esenzione dall'imposta delle case di
    nuova costruzione, in Riforma sociale, XXXVIII (1931), pp. 337-363,
    vengono esaminate le divergenze d'opinione tra Renzo Fubini e
    Riccardo Bachi sulle conseguenze di questo provvedimento,
    nell'ipotesi di una società "progressiva", mentre in Schemi
    teorici ed "exponibilia" finanziari, in Riforma sociale, XXXIX
    (1932), pp. 481-514, vengono confrontate le teorie finanziarie di A.
    Graziani, di A. Puviani e dell'Einaudi, giungendo alla conclusione
    che nessuna di esse è in grado di spiegare l'evoluzione dei
    sistemi finanziari, che deve essere considerata come "il risultato
    di un insieme di azioni non-logiche" (p. 514), nel senso che Pareto
    attribuiva a questo termine; infine, in Contributo alla teoria
    dell'"uomo corporativo", in Studi sassaresi, X (1932), 4, pp.
    317-335, accanto alla tradizionale ipotesi dell'homo oeconomicus
    egli considera, come ulteriore approssimazione. quella dell'homo
    corporativus, cioè di un uomo "che si comporti secondo i
    principi fondamentali della Carta del Lavoro e che, a differenza del
    primo [homo oeconomicus], sia anche dotato del sentimento
    dell'interesse superiore della collettività a cui appartiene"
    (p. 326).
    
    Nel 1932 il F. vinse il concorso per professore straordinario alla
    cattedra di scienza delle finanze e diritto finanziario
    dell'università di Messina (commissari: F. Flora, P. De
    Francisci Gerbino, G. Borgatta, A. De' Stefani, G. U. Papi), ma gli
    atti del concorso non furono approvati se non per un diretto
    intervento di Benito Mussolini, sollecitatogli da Einaudi con una
    lunga lettera nella quale si metteva in evidenza che il F. non era
    da considerarsi oppositore del regime per il semplice fatto di
    essere suo allievo, e inoltre che il Fascio di Garessio era stato
    intitolato ai due fratelli del F. morti durante la prima guerra
    mondiale (cfr. G. C. Marino, L'autarchia della cultura -
    Intellettuali e fascismo negli anni Trenta, Roma 1983, spec. pp.
    213-216).
    
    Chiamato dall'università degli studi commerciali di Trieste a
    partire dal 1º dic. 1932 (il ritardo di un mese rispetto
    all'inizio dell'anno accademico fu dovuto proprio alle vicende di
    cui si è detto circa l'approvazione degli atti del concorso),
    il F. vi rimase soltanto fino alla fine dell'anno accademico,
    essendo stato chiamato, a partire dal 1ºnov. 1933, alla
    cattedra di scienza delle finanze e diritto finanziario
    dell'istituto superiore di scienze economiche e commerciali di
    Genova. Promosso ordinario a partire dal 1º dic. 1935
    (commissari: M. Fanno, G. Zingali, G. Masci), il F. fu nominato
    preside nel 1937, carica in cui fu sempre confermato.
    
    Con gli studi di cui si è detto si è, in un certo
    senso, conclusa la prima fase delle indagini del Fasiani. Una fase
    ancor più interessante si apre dopo il conseguimento della
    cattedra, sia per la naturale maturazione dello studioso, sia anche
    per la più completa libertà di elaborazione
    scientifica che una cattedra universitaria ha sempre consentito.
    Tale fase, di cui si tratterà brevemente qui di seguito, si
    conclude con la pubblicazione di due volumi di Principii di scienza
    delle finanze, un trattato che, sebbene rimasto incompleto (il
    disegno originario prevedeva quattro volumi), si può
    considerare tra i migliori che siano stati pubblicati in Italia nel
    periodo tra le due guerre mondiali.
    
    Segue, dopo alcuni scritti polemici per lo più collegati con
    la pubblicazione dei Principii, una terza fase, coincidente con il
    dopoguerra e conclusasi con la morte prematura.
    
    Già in Schemi teorici ed "exponibilia" finanziari (ultimo
    scritto del F. che comparirà sulla rivista di Luigi Einaudi)
    il F. aveva fatto ricorso per la prima volta a concetti paretiani,
    quali quelli di "azione logica" e "azione non-logica", in netto
    contrasto con gli insegnamenti di Luigi Einaudi, che guardava con
    scarsa simpatia la sociologia paretiana. L'interesse profondo (e
    crescente, nel corso degli anni) del F. per gli studi sociologici lo
    indurrà a dichiarare, nei Principii (I, p. 37), che "la Mecca
    della scienza delle finanze è nella sociologia ".
    
    Risentono, invece, dell'impostazione precedente i saggi sulla teoria
    finanziaria in Italia (Der gegenwärtige Stand der reinen
    Theorie der Finanzwissenschaft in Italien, in Zeitschrift für
    Nationalökonomie, III [1932], 5, pp. 651-691; IV [1933], 3, pp.
    357-388, trad. ital. in M. Finoia, Il pensiero economico italiano,
    1850-1950, Bologna 1980, pp. 117-202), in cui l'atteggiamento nei
    riguardi della sociologia paretiana è ancora piuttosto
    critico.
    
    Una certa diffidenza nei riguardi dell'impostazione pigouviana
    traspare dalla Prefazione del F. alla Economia del benessere di A.
    C. Pigou, cui è dedicato il vol. X della "Nuova Collana di
    economisti" (Torino 1934). Il testo del F. (pp. VII-XVI), se si
    escludono i riferimenti bibliografici, è di due sole pagine,
    cosa molto insolita per uno scrittore facondo quale egli fu. Nei
    suoi Principii, inoltre, il F. parla del "concetto di benessere che
    Pigou ha tentato di elaborare", dichiarando che "tale elaborazione
    non è così priva d'incertezze, da costituire una base
    sicura ed inequivoca per gli ulteriori sviluppi della teoria"
    (Principii, I 2 ed., Torino 1951, p. 49). Più esplicitamente,
    in una lettera ad Einaudi del 24 genn. 1934, il F. affermava,
    riferendosi alla sua prefazione all'Economia del benessere: "Ho dato
    dell'inglese al libro di Pigou perché è mia
    impressione che quell'arrabattarsi, suo e di Marshall, a studiare
    dell'opportunità di pigliare qualche po' da una parte per
    dare all'altra, sia un po' il portato della fiducia che in fondo gli
    inglesi nutrono sul valore pratico dei risultati delle indagini
    teoriche".
    
    Accanto alle indagini di carattere strettamente teorico, il F.
    trattò, in quegli anni, tematiche più concrete,
    attinenti alla politica economica quale sembrava configurarsi nella
    nascente teoria economica corporativa.
    
    Dopoil Contributo alla teoria dell'uomo corporativo il F.
    approfondì il suo pensiero al riguardo in una serie di
    scritti, due dei quali apparvero nel 1935. Il più breve di
    essi, Problemi tributari inglesi (in Annali di economia, X [1935],
    2, pp. 335-365), frutto di una conferenza tenuta
    all'università Bocconi, fornisce al F. l'occasione per
    riproporre la metodologia paretiana, parlando di teorie della
    finanza pubblica che minacciano di trasformarsi in "derivazioni".
    Contrapponendo il sistema economico del Regno Unito,
    "collettività organizzata su basi eminentemente
    individualistiche", a quello che stava emergendo in Italia con
    l'organizzazione corporativa, egli concludeva affermando: "Altri
    rimedi, altri spiragli, altre risorse si palesano in una
    organizzazione quale la nostra, in cui il sistema tributario non
    è che una parte, e non la principale, nell'organismo di
    manovra creato dal Fascismo" (p. 365).
    
    In un saggio dello stesso anno, Fluttuazioni economiche e economia
    corporativa (in Annali di statistica e di economia della
    Facoltà di economia e commercio di Genova, II [1935], 3, pp.
    1-70), il F. presentava "alcune osservazioni che possono essere una
    parte, una piccola parte, di una teoria dell'economia corporativa"
    (p. 5).
    
    Il primo elemento importante da mettere in evidenza, secondo il F.,
    è che "l'ordinamento economico corporativo è nato in
    una società dinamica e per una società dinamica".
    Deriva da ciò che, qualora ci si ponga dal punto di vista
    della dinamica economica, "non solo gran parte degli studi di
    Economica applicata cessano di persuadere, ma vengono meno tutte le
    critiche e le obbiezioni rivolte alle 'economie regolate', ove
    abbiano unica base nelle nozioni delle 'tendenze' offerte
    dall'Economica tradizionale" (p. 17). In particolare, le crisi
    congiunturali, che nell'ottica della teoria statica sono un
    "fenomeno transeunte" e quindi "non possono fornire argomento di
    critica verso il sistema capitalistico liberista" (p. 17), devono
    essere valutate in modo del tutto diverso quando si riconosca "che
    le leggi della statica non trovano applicazione fuori del caso
    limite in cui sono valide, e che una politica economica riflettente
    i prezzi o le quantità non può poggiare su quelle
    leggi" (p. 21). Sostiene quindi il F. che "se non esiste un
    movimento tendenziale retto dalle leggi proprie della statica, P'
    intervento' non può essere un ostacolo alla manifestazione di
    quelle leggi, ma deve essere considerato e valutato con tutt'altri
    criteri" (p. 19), che giustificano l'economia regolata", che non
    è però sinonimo di "economia corporativa". Le economie
    regolate sono considerate dal F. come "tentativi di raggiungere un
    massimo di utilità per la collettività" (p. 23), ma
    ciò non è ancora economia corporativa, la quale,
    secondo il F., "non si limita a ricercare un massimo di benessere o
    di utile per la società, ma persegue, inoltre, un massimo di
    benessere o di utile della società" (p. 23). Ne deriva che
    "sarebbe assurdo supporre che l'economia corporativa fosse soltanto
    un rimedio alle fluttuazioni. I suoi scopi sono assai più
    vasti ed importanti" (p. 23) e di duplice ordine. Vi sono, in primo
    luogo, gli "scopi fondamentali e generali", che "trascendono di gran
    lunga i problemi di cui solitamente si è occupata
    l'Economica" e "costituiscono le basi fondamentali del sistema
    economico e del sistema politico nazionale" (p.24). In secondo
    luogo, accanto ad essi, "l'economia corporativa ne persegue altri
    minori", "di amministrazione", tra i quali rientra quello del
    controllo delle fiuttuazioni industriali (p.25), che deve attuarsi
    "aggiungendo al movimento controllato dei prezzi, altre forze
    direttive capaci di coadiuvarlo nelle sue funzioni" (p. 27).
    Infatti, l'organizzazione corporativa può "ottenere quel
    rapido adeguamento di prezzi e quel pronto sacrificio di guadagni
    che l'azione separata ed autonoma degli imprenditori non sa
    consentire" (p. 56). In aggiunta al controllo dei prezzi, secondo il
    F., possono essere necessari altri tipi d'intervento, quali
    l'imponibile di lavoro" a carico delle imprese, e l'azione diretta
    sulla domanda e l'offerta di impianti industriali, attraverso un
    "piano controllato di produzione", che includa, se giudicato
    necessario, un "contingentamento della produzione a cui è
    destinato il macchinario-base" (p. 61).Pochi anni dopo, in uno degli
    scritti più impegnativi su questa tematica, Principii
    generali e politiche delle crisi (in Annali d'economia, XII [1937],
    1-4, pp. 25-108), il F. distinse (p. 94) tre diverse "politiche",
    dirette alternativamente: a) "ad alleviare gli effetti più
    dolorosi delle depressioni" (secondo il modello liberale, che il F.
    giudicava superato); b) "ad agire su alcune delle forze che giocano
    sul meccanismo delle fluttuazioni"; c) "a modificare la combinazione
    e il funzionamento di quel complesso di forze". La terza soluzione,
    che è quella "totalitaria, continua, rivolta a tutti i punti
    del sistema, nell'intento di armonizzarne i movimenti" (p. 96),
    è quella che il F. preferisce. Infatti, egli giudica la
    seconda alternativa, nella quale include anche la politica della
    spesa pubblica finanziata in disavanzo suggerita da J. M. Keynes nel
    1933 (The means to prosperity, London 1933) di dubbia efficacia, in
    quanto essa "può, al massimo, risollevare dalla stasi e
    portare a un nuovo ciclo, ma non prevenire o limitare le
    fluttuazioni" (p. 99). Dopo aver individuato la soluzione
    totalitaria come l'unica accettabile, il F. distingue tra la
    "soluzione comunista" con pianificazione centralizzata e la
    "soluzione corporativa fascista", che, invece di un piano
    integralmente predisposto da un organo centrale, prevede "un "piano"
    nato dall'iniziativa individuale, che l'organo centrale controlla e
    plasma, coordinandone le varie parti", (p. 104) e che il F. giudica
    preferibile, sia perché più flessibile, sia
    perché conforme ai principi della proprietà privata.
    In un successivo scritto, Autarchia economica (in Annali di
    statistica e di economia, V [1939], 6, pp. 352), il F. dopo aver
    distinto tra "autonomia", in cui l'indipendenza economica è
    un fine, e "autarchia", in cui l'indipendenza economica è un
    mezzo, sostiene che la Nazione Fascista tende all'"autarchia" e non
    alla semplice "autonomia". L'obiettivo, infatti, dev'essere quello
    di "cornandare" l'economia, al fine di "raggiungere determinati
    obiettivi di politica interna e di politica estera" (p. 8). Anche
    Keynes viene chiamato (p. 16) a sostegno dell'autarchia (in
    Autarchia economica, in "Nuova Collana di Economisti", III, Torino
    1933, p. 339), soprattutto per le sue critiche al "capitalismo
    individualistico". In una parola, "il liberismo commerciale
    internazionale non può sopravvivere al liberismo nazionale"
    (p. 17).
    
    Nel 1940, in A proposito dei recenti provvedimenti tributari
    italiani (in Annali di statistica e di economia, VI [1940], 7-8, pp.
    209-235), riferito all'introduzione dell'imposta ordinaria sul
    patrimonio e dell'imposta generale sull'entrata, il F., dopo aver
    sostenuto l'importanza dell'autarchia economica come strumento per
    l'indipendenza politica, e considerando che lo stato di guerra
    doveva essere ritenuto come un periodo non eccezionale nella vita
    dei popoli, affermava tra l'altro che "la distinzione tradizionale
    tra "finanza ordinaria" e "finanza straordinaria" perde molto della
    sua importanza", sostenendo che "il sistema tributarlo deve
    preordinarsi in modo da poter funzionare e rispondere alle esigenze
    statali, tanto nei periodi di pace armata quanto nei periodi di
    guerra guerreggiata" (p. 217). Egli giungeva, così, sia pure
    per vie molto diverse, a risultati analoghi a quelli della
    cosiddetta "finanza funzionale" di derivazione keynesiana.
    
    Nello stesso periodo il F. continuava, parallelamente, la sua
    attività scientifica di carattere più tradizionale.
    Nel 1935 egli pubblicava un lungo saggio su Imposta e rischio (in
    Studi in onore di Salvatore Ortu Carboni, Roma 1935, pp. 139-202),
    nel quale esaminava diverse possibili relazioni tra rischio e
    imposizione. L'anno seguente, nell'articolo Diun elementare problema
    di tempo e di alcune sue applicazioni finanziarie (in Annali di
    statistica e di economia, V [1936], 4, pp. 69-112), il F. esaminava
    il calcolo economico individuale nella ripartizione della ricchezza
    disponibile su tutto il periodo economico che l'individuo considera
    e che può essere illimitato o, invece, di durata limitata.
    
    Secondo il F., un soggetto dotato di un "periodo economico" di
    durata limitata ottiene un vantaggio particolare (analogo alle
    "rendite marshalliane" e definito "rendita del celibe") per il fatto
    di vivere in una collettività i cui soggetti "normali" sono
    dotati di un "periodo economico" illimitato. Ritornando sul tema
    già tante volte affrontato della -doppia tassazione del
    risparmio, il F. ne ricava la conclusione che "i sistemi tributarii
    moderni rivelano una tendenza non già ad esentare il
    risparmio, come tale, ma soltanto quel risparmio che è
    rivolto a perpetuare il reddito del soggetto normale, allo scopo di
    restringere la tassazione alle sole rendite del celibe
    presumibilmente realizzate, con esclusione di quelle parti del
    reddito che presumibilmente non ne contengono" (p. 110). Hanno
    carattere erudito due scritti del 1936 e dell'anno seguente. Nel
    primo, Precedenti di alcune recenti teorie finanziarie (in Annali di
    statistica e di economia, III [1936], 4, pp. 195-240), il F. intende
    dimostrare come "frequenti, facili e impensate siano le ripetizioni,
    nello svolgimento della dottrina". Egli si sofferma soprattutto sui
    precedenti della teoria del debito pubblico di A. De Viti De Marco,
    sul "valuta-dumping", sul principio produttivistico dell'imposta,
    sulla polemica tra Einaudi e Griziotti e sulla teoria dell'incidenza
    di De Viti De Marco.
    
    Il secondo saggio, Note sui "Saggi economici" di Francesco Fuoco
    (ibid., IV [1937], 5, pp. 1-131), che costituisce in assoluto lo
    studio più erudito del F., è dedicato alla
    presentazione di uno studioso del primo ottocento lungamente
    ignorato che proprio in quegli anni veniva riscoperto (cfr. il
    commento di L. Einaudi, Fuoco rivendicato, in Rivista di storia
    economica, III [1938], 1, pp. 60-77, rist. in: L. Einaudi, Saggi
    bibliografici e storici intorno alle dottrine economiche, Roma 1953,
    pp. 175-199).
    
    La pubblicazione del libro di Duncan Black, The incidence of income
    tax, London 1939, fu salutata dal F. con un articolo di recensione,
    A proposito di un recente volume sull'incidenza delle imposte, in
    Giornale degli economisti, n.s., II (1940), che gli fornì lo
    spunto per riprendere, con nuovi sviluppi, temi a lui molto cari,
    come quello della doppia tassazione del risparmio e, inoltre, quello
    della teoria dell'incidenza delle imposte di De Viti De Marco. Nei
    riguardi di quest'ultima teoria il F. elaborò delle ipotesi
    circa la possibilità di trascurare l'uso del gettito delle
    imposte, che suscitarono alcuni commenti critici di Attilio Da
    Empoli (in Lineamenti teorici dell'economia corporativa finanziaria,
    Milano 1941, pp. 131-136), ai quali, come vedremo, il F. avrebbe
    replicato poco dopo.
    
    Gli studi condotti dal F. durante un quindicennio ebbero un elemento
    di fusione nei suoi Principii di scienza delle finanze, che
    apparvero nel 1941 dopo una prima versione litografata dell'anno
    precedente (Appunti presi alle lezioni tenute dal prof. M. F. dalla
    cattedra di scienza delle finanze, Genova 1940).
    
    Secondo la sua definizione, basata sul concetto di "gruppo
    pubblico", da lui mutuato da E. R. Seligman, "la Scienza delle
    finanze studia le uniformità di quella parte
    dell'attività economica del gruppo pubblico che assume
    l'aspetto contabile di entrate e di spese nella pubblica
    amministrazione ".
    
    La struttura portante dell'opera è costituita da
    un'applicazione dello schema devitiano dei "tipi" di Stato,
    comprendente lo Stato monopolista e quello cooperativo, con
    l'aggiunta, rispetto all'impostazione devitiana, dello "Stato
    moderno", o "corporativo", verso il quale, a suo avviso, si
    sarebbero indirizzati gli Stati contemporanei, dato che "nel corso
    del tempo, si tenderà in ogni Paese ad allontanarsi sempre
    più dai casi limite dello Stato Monopolista e Cooperativo,
    per avvicinarsi al caso dello Stato Moderno".
    
    Lo Stato monopolista rappresenta "un'organizzazione in cui una
    classe eletta dirigente (i dominanti) eserciti il potere nel proprio
    esclusivo interesse, senza preoccuparsi degli interessi dei
    dominati", mentre lo Stato cooperativo si ha nel caso di
    "un'organizzazione in cui il potere sia esercitato nell'interesse di
    tutti gli appartenenti al gruppo pubblico, ma avendo di mira gli
    interessi particolari di ciascuno o almeno della maggioranza".
    Ambedue questi "tipi" di Stato hanno rispondenza nella teoria
    microeconomica, nei casi di monopolio e di concorrenza perfetta,
    secondo quanto proposto da De Viti De Marco.
    
    Appare al di fuori della struttura "microeconomica" il terzo caso,
    dello Stato corporativo, rappresentato da "un'organizzazione in cui
    il potere sia esercitato invece nella preoccupazione degli interessi
    del gruppo pubblico, considerato come un'unità". La
    differenza tra Stato cooperativo e Stato corporativo consisterebbe
    nel fatto che, mentre nel primo il protagonista è
    l'individuo, nel secondo è il gruppo pubblico, nel cui
    interesse viene perseguita l'attività finanziaria, "anche se
    non accresce il benessere individuale della totalità o della
    maggioranza dei consociati".
    
    Peraltro, secondo il F., tutti e tre questi tipi di Stato
    rappresentano dei casi limite, non potendo nessuno di essi essere
    identificato con uno Stato storicamente esistito.
    
    Il disegno originario dei Principii di scienza delle finanze
    prevedeva quattro volumi, dei quali soltanto due sono stati
    pubblicati, dedicati, il primo, alla finanza dello Stato monopolista
    (dopo un'introduzione sulla teoria generale della finanza pubblica),
    ed il secondo alla finanza nello Stato cooperativo. In questi due
    volumi il F. ha inserito, talvolta con qualche inevitabile
    forzatura, la maggior parte delle tematiche della scienza delle
    finanze. Un terzo volume avrebbe dovuto riferirsi alla finanza dello
    Stato moderno, mentre il quarto volume sarebbe stato dedicato
    all'imposizione straordinaria, che per sua natura, secondo il F., si
    prestava ad essere esaminata allo stesso modo, pur nell'ambito di
    tipi di Stato diversi (anche se, come si è accennato, la
    stessa distinzione tra finanza ordinaria e finanza straordinaria era
    stata messa in dubbio dal Fasiani).
    
    Nella trattazione dello Stato monopolista ampio spazio è dato
    alla tematica delle illusioni finanziarie di Amilcare Puviani, alle
    quali in questo tipo di Stato la classe eletta farebbe
    sistematicamente ricorso per via non logica, sebbene illusioni
    finanziarie possano riscontrarsi anche negli altri tipi di Stato. Lo
    sfruttamento dei fenomeni di illusione, peraltro, non può
    svolgersi oltre certi limiti. Viene inquadrato in quest'ambito il
    fenomeno della traslazione delle imposte, con particolare
    riferimento a quelle di carattere speciale, che più si
    prestano ad un trattamento discriminatorio tipico dello Stato
    monopolista.
    
    Nello Stato cooperativo, invece, secondo il F., la "classe eletta"
    dovrà soddisfare gli "interessi della totalità dei
    consociati o almeno della maggioranza" (II, p. 12), attuando
    così il principio che "non si deve mai giovare ad alcuno con
    danno di altri, ogni qual volta ciò sia possibile". Rientra
    in quest'ambito, secondo il F., la cosiddetta "teoria edonistica
    della finanza pubblica".
    
    In questo tipo di Stato il compito della "classe eletta" è
    quello di risolvere tre problemi: la scelta dei servizi da
    dichiarare pubblici, la determinazione del loro ammontare e la
    ripartizione del costo.
    
    Sul primo problema egli osserva che tutti i servizi (inclusa la
    stessa difesa) potrebbero, in principio, essere prodotti dai
    privati, per cui il criterio per la scelta dei servizi pubblici
    dev'essere quello economico (quando lo Stato fornisca servizi di
    qualità migliore allo stesso costo dei privati o, a costo
    minore, servizi della stessa qualità), con le eccezioni dei
    servizi che devono tipicamente essere prodotti dallo Stato, pena la
    sua scomparsa, e dei servizi prodotti in condizioni di monopolio
    naturale.
    
    Sulla base di queste considerazioni, il F. ritiene che "lo Stato
    cooperativo debba limitarsi a dichiarare pubblici quelli che
    riescono utili alla totalità dei consociati" (II, p. 11), o
    almeno alla maggioranza.
    
    Per quanto riguarda, poi, la determinazione della quantità
    dei servizi pubblici, il F. distingue a seconda che essi siano
    divisibili o meno. Nel primo caso, la quantità è
    determinata dalla domanda (mentre il prezzo è pari al costo
    di produzione). Nel secondo, che viene distinto dal F. a seconda che
    vi sia indivisibilità in senso stretto, che dà luogo a
    consolidamento (per i servizi che soddisfano bisogni fondamentali),
    o indivisibilità in senso lato (dovuta all'estensione del
    gruppo pubblico che usufruisce di tali servizi), il meccanismo
    basato sulla domanda non può operare. Nel caso dei beni
    indivisibili in senso stretto, la quantità dovrà
    essere quella necessaria perché il bisogno rimanga
    consolidato, mentre per i beni indivisibili in senso lato la scelta
    è lasciata alla valutazione della "classe eletta", che vi
    provvederà dopo aver soddisfatto i bisogni consolidati e
    tenendo conto delle reazioni dei contribuenti che, nello Stato
    cooperativo, devono essere degli indicatori per l'attività
    finanziaria, mentre nello Stato monopolista costituiscono degli
    ostacoli all'attuazione della volontà della classe eletta.
    
    Infine, la ripartizione del costo dovrebbe avvenire in modo che "la
    contribuzione di ognuno sia proporzionata al vantaggio tratto dal
    servizio pubblico" (II, p. 33), cosa che, nel caso dei beni
    divisibili, richiede da parte di ciascuno il pagamento della quota
    di costo corrispondente al suo consumo, mentre nel caso dei beni
    indivisibili il pagamento deve avvenire attraverso un sistema
    d'imposte che colpiscano il reddito sulla base del principio del
    sacrificio proporzionale.
    
    Anche nell'ambito dello Stato cooperativo vi è un problema di
    traslazione delle imposte, ma, diversamente dal caso dello Stato
    monopolista, poiché in questo caso i servizi pubblici sono
    utili a tutti i cittadini ed il costo viene ripartito secondo il
    principio del sacrificio proporzionale, i fenomeni di traslazione
    saranno meno frequenti. Anche a questo proposito viene accennato il
    tema della considerazione della spesa, di cui, nel caso d'imposta
    generale, il F. sostiene si debba tener conto simultaneamente agli
    effetti dell'imposizione, non essendo più legittimo, come nel
    caso dell'imposta speciale, tipica invece dello Stato monopolista,
    fare ricorso all'ipotesi dell'imposta grandine, almeno "in linea di
    principio" (infatti, anche nell'ipotesi di Stato cooperativo, il F.
    ritiene non si possano escludere fenomeni caratteristici della
    traslazione di imposte speciali).
    
    Quanto al previsto terzo volume, dalle sue anticipazioni possiamo
    ritenere che esso sarebbe consistito soprattutto in una
    risistemazione dei contributi da lui elaborati sul tema della teoria
    del corporativismo, a partire dal saggio del 1932 sull'uomo
    corporativo, integrati da alcuni scritti che diede alle stampe poco
    dopo (La traslazione dell'imposta in regime di concentrazione
    industriale, in Studi economici finanziari corporativi, II [1942],
    pp. 200-225, ed inoltre: Potenziale di lavoro e moneta, in Annali di
    statistica ed economia, VII [1942], 9-10, pp. 139-223).
    
    Sul volume della finanza straordinaria, invece, le sue idee non
    erano, forse, del tutto definite (come egli stesso ebbe a
    dichiarare, in una lettera a Luigi Einaudi del novembre 1941) anche
    se, come si è accennato, era possibile, a suo avviso,
    svolgere una trattazione unica per i tre tipi di Stato.
    
    Dopo la pubblicazione dei Principii, il F., oltre agli scritti di
    cui si è già detto, pubblicò anche un saggio su
    imposta e offerta di lavoro (Appunti critici sull'offerta
    individuale di lavoro, in Annali di statistica e di economia, VII
    [1942], 9-10, pp. 139-223) ed alcuni scritti polemici di notevole
    interesse, per rispondere sia alle critiche rivoltegli da Einaudi
    con riferimento al teorema della doppia imposizione del risparmio
    (Della teoria della produttività dell'imposta, del concetto
    di "stato fattore della produzione" e del teorema della doppia
    tassazione del risparmio, in Giornale degli economisti, n.s., IV
    [1942], 11-12, pp. 491-511) ed al concetto di "gruppo pubblico" (Di
    alcuni connotati del gruppo pubblico e di una definizione dei
    bisogni pubblici, in Rivista di diritto finanz. e scienza delle
    finanze, VII [1943], pt. 1, pp. 62-83, nonché: Postilla a "L.
    Einaudi, Discutendo con F. e Griziotti di connotati dello Stato e di
    catasto e imposta fondiaria", ibid., pp. 190 s.), sia alle critiche
    rivoltegli da Attilio Da Empoli circa la legittimità
    dell'ipotesi d'imposta-grandine nello studio degli effetti delle
    imposte (Sulla legittimità dell'ipotesi di un'imposta
    grandine nello studio della ripercussione dei tributi, in Studi in
    memoria di Guglielmo Masci, Milano 1943, I, pp. 261-279).
    
    Intanto, l'incalzare degli eventi militari e politici toglieva al
    F., come a molti altri studiosi in quegli anni, la serenità,
    premessa indispensabile per ogni indagine scientifica (tra l'altro,
    un bombardamento aveva distrutto la biblioteca della sua
    facoltà). Il 1º apr. 1945 il F., che negli ultimi anni
    aveva visto peggiorare le sue condizioni di salute, da tempo
    malferme, chiedeva al ministero dell'Educazione nazionale
    un'aspettativa per motivi di salute di quattro mesi, "date
    specialmente le attuali contingenze e la necessità in cui si
    trova di evitare qualsiasi genere di strapazzi e fatiche". I tempi
    burocratici e la conclusione della guerra, di lì a poche
    settimane, fecero sì che questo periodo di aspettativa non
    fosse effettivamente usufruito dal Fasiani. È indubbio,
    però, che le sue energie erano ormai molto ridotte. Pertanto,
    nel dopoguerra (che coincide con il periodo che abbiamo indicato
    come la terza fase della vita scientifica del F.) la sua produzione
    si ridusse.
    
    Nel 1946 apparve il saggio L'imposizione degli incrementi
    patrimoniali (in Rapporto della Commissione economica del ministero
    per la Costituente, Roma 1946, V (Finanza). App., pp. 429-451), che
    costituisce una sintesi molto completa dei principali aspetti
    inerenti l'introduzione nell'ordinamento italiano di questa forma
    d'imposizione come tributo a carattere ordinario.
    
    Sono del 1949 tre articoli, uno dei quali è il testo della
    sua commemorazione del collega E. Sella (Emanuele Sella, in Economia
    internazionale, II [1949], pp. 50-67), mentre è
    particolarmente interessante l'articolo Contributi di Pareto alla
    scienza delle finanze (in Giornale degli economisti, n.s., VIII
    [1949], pp. 129-173, rist. nel vol. Vilfredo Pareto, l'economista e
    il sociologo, Milano 1949, pp. 263-307), nel quale il F. dimostra
    come, contrariamente alle apparenze, nell'opera paretiana vi sia "un
    nocciolo attorno al quale riesce possibile costruire una teoria
    finanziaria" (p. 306). Costituisce uno sviluppo di questo più
    ampio studio un altro scritto, su La distribuzione dell'imposta e la
    "legge di Pareto" in una recente indagine teorica (in Economia
    internazionale, II [1949], pp. 299-321).
    
    Infine, appare nel 1950 I'ultimo scritto, Sull'equivalenza tra
    imposte sui redditi e imposte di successione, in Finanza pubblica
    contemporanea (Studi in onore di Jacopo Tivaroni), Bari 1950, pp.
    155-190, nel quale il F. sostiene che la tesi dell'equivalenza tra
    un'imposta sul reddito di capitale e un'imposta di successione deve
    essere assoggettata a numerose limitazioni ed eccezioni.
    
    Non aveva ancora completato la revisione dei primi due volumi dei
    suoi Principii (pubblicati, in seconda edizione ampliata, postumi a
    Torino nel 1951-52, a cura di A. Scotto) quando si spense a Genova
    il 20 luglio 1950.
    
    Fonti e Bibl.: Torino, Fondazione L. Einaudi, Carte Einaudi (lettere
    del F. a L. Einaudi); Necrol. in Economia internazionale, novembre
    1950, pp. 913-919; L. Einaudi, in Riv. di diritto finanz. e scienza
    delle finanze, XIV (1950), pp. 199 ss.; A. Scotto, Gli scritti di M.
    F., ibid., pp. 202-218 (con bibliogr.).
    
    Recensioni e commenti agli scritti del F.: A. Loria, Sintomi di
    risveglio scientifico, in Echi e commenti, 5 dic. 1926, p. 6; G.
    Capodaglio, in Economia, XX (1942), 5-6, pp. 188 s.; E. d'Albergo,
    in Rivista bancaria, XXIII (1942), pp. 187 s.; A. De Pietri Tonelli,
    in Rivista di politica economica, XXXII (1942), 1, pp. 122-125; L.
    Einaudi, Scienza e storia, o dello stacco dello studioso dalla cosa
    studiata, in Rivista di storia economica, VII (1942), 1, pp. 30-37;
    Id., Ipotesi astratte ed ipotesi storiche e dei giudizi di valore
    nelle scienze economiche, in Atti della R. Accad. delle scienze di
    Torino, LXXVIII, 2, disp. 1 (novembre 1942 0 1943), pp. 57-119; B.
    Griziotti, in Rivista di diritto finanziario e di scienza delle
    finanze, V (1941), 4, pp. 274-275. Sul pensiero del F. cfr. inoltre:
    J. M. Buchanan, "La scienza delle finanze". The Italian tradition in
    fiscal theory, in Id., Fiscal theory and political economy -
    Selected essays, Chapel Hill 1960, pp. 24-74 (trad. ital.: La scuola
    italiana di finanza pubblica, in M. Finoia, Il pensiero economico
    italiano, 1850-1950, Bologna 1980, pp. 203-242). Di recente, il
    pensiero del F. è stato oggetto di rinnovato interesse. Cfr.:
    F. Forte, Il pensiero finanziario in Italia fra le due guerre, con
    particolare riferimento a Pesenti, Pugliese, Fasiani e Fubini, in
    Quaderni di storia dell'economia politica, VIII (1990), 2-3, pp.
    197-221; N. Bellanca, Il dibattito Einaudi, Fasiani-Cosciani sul
    declino d. scuola ital. di finanza pubblica, in Annali d. Fondazione
    L. Einaudi, 1990, v. 24, pp. 173-212; R. Cellerino, Dai servizi
    indivisibili ai beni pubblici: nota in margine all'opera di M. F.,
    XXXVIII (1991), 6-7, pp. 585-604. Per i rapporti tra il F. e L.
    Einaudi, cfr. R. Faucci, L. Einaudi, Torino 1986, ad Ind.