FALQUI, Enrico

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Nacque a Frattamaggiore (Napoli) il 12 ott. 1901 da Gaetano e Angelina Carlomagno, entrambi sardi, e sino dalla giovinezza risiedette a Roma, dove eserciterà "bene o male, a torto o a diritto, la professione del critico letterario" (cfr. Ritratti su misura di scrittori italiani, a cura di E. F. Accrocca, Venezia 1960, p. 178).

Nel medesimo "autoritratto" dichiara di non "disporre di alcun titolo accademico" e di aver "sempre sbarcato la vita con fatica, tra libri riviste e giornali" (ibid., p. 178). Le stagioni della sua vita sono indicate e scandite dai paragrafi della sua operosa bibliografia.

Quando La Fiera letteraria milanese (fondata nel 1925 da U. Fracchia) passò le consegne alla nuova serie romana che, col nome di L'Italia letteraria, dal 7 apr. 1929 venne diretta da G. B. Angioletti e da C. Malaparte, il ventottenne F. vi assunse l'incarico di redattore-capo. Nei sette anni che vanno dal 1929 al 1936, Angioletti e il F. al suo fianco, pur riconoscendo alla precedente Fiera letteraria il merito di aver attratto e raccolto le disperse forze letterarie e artistiche italiane all'avvento del fascismo, abbandonarono i criteri di condotta seguiti dal foglio di Fracchia, più informativi, da notiziario, che non veramente critici. E investirono L'Italia letteraria di compiti precisi: favorire gli sviluppi nazionali ed europei della "nuova" letteratura del Novecento in piena indipendenza di ricerca e valutazione. La presenza del F. redattore all'Italia letteraria si fece sentire negli indirizzi di un nazionalismo meno fascista e più "rondista"; nel senso che portava avanti gli orientamenti di "richiamo all'ordine", di neoclassicismo, di "prosa d'arte" propri della Ronda, coniugandoli con una modernità innovatrice e insieme fedele alla tradizione (significativo il saggio falquiano D'Annunzio e il finale del "Forse che sì", pubblicato su L'Italia letteraria, il 25 dic. 1932).

Tolleranza, civismo, rispetto delle idee altrui, serietà professionale anche nel calore delle polemiche: queste qualità, tanto più difficili e meritorie per un critico militante che operava in tempi stabilizzati di regime e di costume fascista, improntarono l'attività del F. nello stesso periodo della sua funzione redazionale presso L'Italia letteraria. Il raggio delle collaborazioni era vasto e intenso; dai fogli della cultura ufficiale, come Quadrivio, Pégaso, Pan, Primato, a periodici meno ideologicamente ortodossi se non addirittura frondisti come Corrente. In parallelo il F. iniziava il suo rigoroso, infaticabile lavoro di antologista e di bibliografo, partendo dal convincimento progettuale di antologia come "opera essenzialmente critica, dove tutto è dimostrato e affermato per esempi" (cfr. Capitoli, 2 ed., Milano 1964, p. 12). Antologie chiaramente selettive, consapevoli in anticipo degli itinerari novecentisti che si andavano delineando e degli ingegni meglio promettenti, furono: Scrittori nuovi, in collaborazione con E. Vittorini e prefaz. di G. B. Angioletti (Lanciano 1930): "s'era giovani, allora, e bellicosi: ma fatta la scelta, a noi già piaceva militar sotto quella e non altra bandiera" (cfr. Novecento letterario, s. 7, Firenze 1963, p. 148); e Il fiore della lirica italiana dalle origini a oggi, in collaborazione con A. Capasso e prefaz. di A. Gargiulo (Lanciano 1933): ricerca esemplificativa nei secoli finalizzata al traguardo e al modello terminale della "poesia pura" di G. Ungaretti. Di sicura importanza l'Antologia della prosa scientifica italiana del '600 (Milano 1930; quindi Firenze 1943). Il fatto che questo lavoro antologico, dedicato "A Emilio Cecchi autore dei Pesci rossi", cercasse per il saggio novecentesco autorevoli precedenti e garanzie di legittimità stilistica nelle "nature morte" dei grandi scienziati del Seicento, non gli toglie i meriti di un consistente, storico contributo alla rivalutazione del barocco in Italia.

Ma l'antologia più clamorosamente polemica fu Capitoli. Per una storia della nostra prosa d'arte (Milano 1938; 2 ed., ibid. 1964), molto e a lungo discussa per il problema critico della sua impostazione e relativa esemplificazione, volta a documentare lo svolgimento della prosa d'arte italiana, dal D'Annunzio agli anni Trenta, secondo la specifica categoria letteraria del "capitolo", chiamato in causa al posto delle generiche definizioni allora invalse di "frammento", "elzeviro", "prosa evocativa" e simili. Nei Capitoli (cfr. pp. 503-507) figurava il racconto Gentilina di Gianna Manzini, che il F. aveva conosciuto nel 1935, realizzando con l'autrice di Tempo innamorato (1928) e di Bosco vivo (1932) un profondo, duraturo incontro di sentimenti affettivi e di interessi artistici.

Nel frattempo i volumi saggistici Rosso di sera (Roma 1935), La casa in piazza (ibid. 1936), Sintassi (Milano 1936), Ricerche di stile (Firenze 1939) mettevano a punto un serio nucleo di pensiero critico e una prassi operativa che per il F. consistevano nella sempre più ferma persuasione dell'impegno letterario non meno utile e attualizzante di quello ideologico e politico.

Valga da esempio nelle pagine di La casa in piazza la risentita polemica contro gli "sghignazzatori" che si divertivano a "dileggiare Giuseppe Ungaretti e la sua sofferta poesia" (cfr. Novecento letterario, cit., p. 196). E ancora, nella citata raccolta Sintassi (1936), l'esame dettagliato di Poeti in camicia nera, Poeti del tempo di Mussolini, Poeti del nostro tempo, Antologia di poeti fascisti, riconduceva le quattro antologie sul comune versante dell'arte di regime, con forti riserve nei confronti di "ogni produzione poetica in cui la politica faccia sentire troppo il suo peso" (cfr. Poesia e fascismo, in Sintassi, quindi in Novecento letterario, s. 5, ed. 1957, p. 416).

Dal giudizio negativo sui poeti ufficiali del Ventennio nero, la lezione rondista - sempre viva e convinta presso il F. - dell'arte indipendente dalla politica agiva retroattivamente nei confronti de La Voce di Prezzolini; così come più avanti agirà nella discriminazione e nel rigetto del neorealismo politicizzato a sinistra. La decisa posizione antiprezzoliniana, già verificabile nel lavoro bibliografico Indice della "Voce" (Roma 1938), sembra far dimenticare al F. il riformismo della prima Voce di Prezzolini (1908-1913), che pure aveva inteso combattere "la retorica degli italiani", nello schieramento a tutto favore del più ortodosso, congeniale "leggere" e "saper leggere" derobertisiano. La Voce letteraria (1914-1916) di G. De Robertis viene infatti distinta dalla Voce di Prezzolini e meglio valorizzata per la "riconquistata consapevolezza dell'autonomia artistica" (cfr. De Robertis e la "Voce", in Novecento letterario, s. 5, ed. 1957, p. 196).

La passione e lo zelo del militante intervenivano "bellicosi" sulle riviste e i fogli dell'epoca, al punto che gli avversari - contenutisti come Eurialo De Michelis e cattedratici come Alfredo Galletti - denunciavano gli interessi critici falquiani come unicamente consistenti "nel constatare l'appartenenza o no di un autore al novecentismo" (cfr. Novecento letterario, s. 7, ed. 1963, p. 228). Senza contare la collaborazione a Circoli, di cui il F. era condirettore insieme con Adriano Grande (specialmente attiva negli anni 1937 e 1938), nel periodo 1933-1944 scrisse assiduamente su Quadrivio, diretto a Roma da Telesio Interlandi.

Sul settimanale illustrato Quadrivio, derivante dal movimento di Stracittà e fautore dell'incontro tra cultura ufficiale fascista e novecentismo bontempelliano, oltre a sviluppare i suoi specifici interessi dannunziani (D'Annunzio e la cronologia, 26 sett. e 3 ott. 1937; D'Annunzio e la "Contemplazione della morte", 6 marzo 1938; D'Annunzio e noi, 23 ott. 1938), il F. recensì selettivamente e puntualmente al loro apparire le "novità" di rilievo: Il palio dei buffi di A. Palazzeschi, le Fole e La Maremmana di E. Pea, Le chiavi nel pozzo e Storia di umili titani di L. Viani, Dialoghi dei massimi sistemi di T. Landolfi.

Proficua anche la collaborazione alle due riviste dirette da Ugo Ojetti, Pègaso (1929-1933) e Pan (1935), che negli anni del consenso, dalla conciliazione alla proclamazione dell'Impero, professavano una moderata, eclettica tolleranza. Sulle riviste ojettiane, in linea col loro redivivo ideale di humanitas, ma senza condividerne il discutibile antinovecentismo, il F. esaminò tra l'altro: Tempo di pace di M. Gallian, Ilsilenzio creato di G. Vigolo, Galleria degli schiavi, Stato di grazia, Noi e gli Aria di M. Bontempelli, Favole e Paese dell'anima di N. Lisi. Se non proprio nella scelta oppositiva di campo, almeno nelle prospettive di libera ricerca per una cultura non totalmente asservita alla ragion di Stato si collocarono nel 1939 i suoi interventi su Corrente di vita giovanile (1938-1940) di Ernesto Treccani, organo milanese-fiorentino dell'ermetismo "puro" e della intelligencija italiana di opposizione. Due linee d'interesse soprattutto fertili caratterizzarono l'attività del F. verso la fine degli anni Trenta: gli studi campaniani (cfr. Notizia intorno a un inedito di Dino Campana, in Corrente, 15 giugno 1939, p. 4) e ancora le antologie: Noi e le nostre antologie, due articoli (cfr. Corrente, 15 ott. 1939, pp. 1 s., e 31 ott. 1939, p. 2) riguardanti, con molte riserve, il primo l'Antologia della letteratura italiana di G. Zoppi, "ideata e compilata appositamente per gli stranieri"; il secondo i Narratori d'oggi di Angioletti e G. Antonini, "ridda di nomi tra i più opposti e di tendenze le più contrastanti".

Gli spiccati interessi campaniani del F. proseguono sul Frontespizio (luglio 1938, p. 442) e su Primato (1940-43), la rivista di G. Bottai che, allo scoppio della guerra, chiamava intellettuali fascisti e non fascisti al "coraggio della concordia".

Nella folta lista dei collaboratori di Primato. Lettere e arti dItalia, tra allineati e non allineati, universitari e militanti, per la letteratura e la critica letteraria emerge appunto lo specialismo campaniano del F.: Campana e i goliardi (cfr. Primato, 1° apr. 1942, pp. 140 s.), Postille campaniane (1° ag. 1942, p. 249), Ancora su Campana (15 nov. 1942, p. 415).

Intanto, con la fine della non belligeranza e l'entrata in guerra dell'Italia fascista al fianco della Germania hitleriana erano cresciuti i doveri dell'interventismo culturale promossi da Bottai. Come "intellettuale" militante di primo piano, il F. partecipò al convegno degli scrittori europei a Weimar nell'ottobre 1942. La folta delegazione italiana era composta da Papini (vicepresidente), dal germanista A. Farinelli, da A. Baldini, da E. Cecchi, oltre che da uomini "nuovi" in fama di eterodossia ideologico-politica come E. Vittorini e G. Pintor.

Quest'ultimo, in Il sangue d'Europa (Torino 1965, p. 135), ci ha lasciato del convegno di Weimar un attendibile ragguaglio, puntato sulle persone dei partecipanti: "Farinelli, generoso di parole e di abbracci ... a volte impaziente, Cecchi placido, e acuto Baldini ... in realtà la loro educazione rondista non corrispondeva al clima di folklore cosmopolita che inevitabilmente si era creato a Weimar; e Falqui aggiungeva alla reazione dei due maestri un rapido e vivace commento" (aveva definito il convegno "un covo di cretini").

Notevole durante gli anni di guerra la collaborazione del F. alla Gazzetta del popolo di Torino, dove pubblicò nel 1941 tre tempestive recensioni alle Lettere di una novizia di G. Piovene (22 maggio), a Conversazione in Sicilia di E. Vittorini (19 giugno), a La siccità di R. Bilenchi (11 novembre).

Quando gli alleati nel giugno 1944 entrarono a Roma, si moltiplicarono nella città le testate dei giornali, tra cui Risorgimento liberale di M. Pannunzio e Il Tempo di R. Angiolillo e L. Rèpaci. Su questi due quotidiani il F. venne proseguendo e intensificando la sua opera di scoperta e difesa dei valori letterari del Novecento. Non meno frequente la collaborazione a La Fiera letteraria, risorta con l'antico nome nell'aprile 1946, di cui risulta segretario di redazione.

In particolare sul Risorgimento liberale segnalò, con vigile e cosciente attenzione, i nuovi testi neorealistici e resistenziali: Uomini e no di Vittorini (12 sett. 1945), Ilquartiere di V. Pratolini (25 sett. 1945), Ilvecchio con gli stivali di V. Brancati (23 ott. 1945), Paura all'alba di A. Benedetti (18 dic. 1945). Questi testi, come gli altri che citiamo - Cristo si è fermato a Eboli di C. Levi (21 marzo 1946), Tre casi sospetti di C. Bernari (12 maggio 1946), Pane duro di S. Micheli (22 maggio 1946) - sono diversamente giudicati a seconda del raggiunto equilibrio o viceversa della negativa prevaricazione in essi dell'invadenza ideologica e sociale rispetto alla fattura artistica.

Assidua e sistematica la collaborazione a Il Tempo, di cui curò la terza pagina, a cominciare dal 1948, la maggior parte degli scritti riuniti nella quarta sezione del Novecento letterario (1954) apparvero dapprima sul Tempo dal 1950 al 1953; ugualmente gli scritti pubblicati sul Tempo durante il periodo 1958-1966 furono raccolti come "punti, appunti e spunti su storici, critici e antologisti" nel settimo volume del Novecento letterario (1963).

Contributi storico-stilistici determinanti sulla Fiera riguardarono: Cronaca familiare di V. Pratolini (3 apr. 1947), Il Sempione strizza l'occhio al Frejus di E. Vittorini (8 maggio 1947), Uno strano caso (su Italo Svevo, 22 dic. 1949), Penisola pentagonale e Viaggi in Occidente di M. Praz (4 marzo 1956), Dalla lingua al dialetto (dopo l'esplosione del Pasticciaccio di C.E. Gadda, 15-20 ott. 1957), Per una storia delle "Opere giovanili" di A. Palazzeschi (8 febbr. 1959).

Intorno all'origine, allo svolgimento e alla funzione della terza pagina condusse un'Inchiesta per conto del Terzo Programma della Radio Audizioni Italia (RAI) che ne trasmise in parte i risultati nelle tre lunghe comunicazioni dell'11, del 18 e del 25 nov. 1952, e che per intero li raccolse poi nel XXX dei suoi Quaderni (Inchiesta sulla terza pagina, Torino 1953, con prefaz. di C. E. Gadda); all'inchiesta parteciparono circa settanta giornalisti, scrittori e critici, con circostanziati riferimenti anche ai paesi stranieri.

Nel 1954 il F. iniziò la raccolta, scelta e riordinata di tutti i suoi scritti critici e polemici, antichi e recenti, con la sigla s. 9 del Novecento letterario (Firenze 1954-1969). Se l'ordinamento complessivo migliore "rimarrà sempre quello cronologico, corrispondente alla collocazione storica degli autori, nei periodi e nei gruppi e nei movimenti ai quali appartengono o si ricollegano" (cfr. Nota bibliografica, in calce a Novecento letterario, s. 3, ed. 1961, p. 573), l'intenzione emergente e la finalità giustificativa del Novecento letterario si spostano sul terreno dei controlli e delle scelte.

In passato erano anni pionieristici di annuncio e di proposta, di contrattacco e difesa contro i sordi e i denigratori della "nuova" letteratura, nel periodo 1954-1969 sono tempi diversamente maturi di sorveglianza, di selezione e di pulizia. Occorreva arginare i prodotti crescenti e invadenti di una letteratura, specie narrativa, a livello "industriale". Bisognava non esserne influenzati, contagiati nella propria più schietta, laboriosa qualità di osservatore novecentista alieno da ogni "arrendevole conformismo critico" (cfr. Novecento letterario, s. 7, p. 181), poco o niente disposto a segnalazioni e "rivelazioni" provenienti dall'esterno, più editoriali che critiche. Per salvaguardare l'area di un proprio lavoro intorno ai classici del Novecento, l'ultimo F. disponeva del consistente patrimonio delle sue esperte e collaudate paternità critiche: D'Annunzio notturno, Campana, i triestini Svevo, Slataper, Stuparich, Barilli e Bontempelli, Alvaro, Comisso e Landolfi. Ma anche gli autori trattati, gli stessi classici novecenteschi dovevano essere garantiti secondo una misura di ordine.

Nel caso di A. Moravia ad es. e del posto che gli compete nel quadro del Novecento narrativo non era lecito porre Gli indifferenti sul medesimo piano indiscriminato e laudativo de La noia (cfr. Moravia e le stroncature, in Novecento letterario, s. 7, ed. 1963, pp. 182-186); e da un altro versante, nel rapporto Otto-Novecento, non si dovevano confondere alla leggera I viceré di De Roberto con Il Gattopardo (cfr. Novecento letterario, s. 3, ed. 1961, pp. 558-570).

In concomitanza e ad integrazione del suo Novecento letterario, pubblicò Giornalismo e letteratura (Milano 1969), dove l'esperienza diretta del pubblicista, del saggista, del critico militante metteva in rapporto testimoniale e promozionale la "terza pagina" - sede privilegiata, luogo fedele di tanta frequenza e mole di lavoro - con gli aspetti e i caratteri della civiltà letteraria contemporanea in sintonia con l'evolversi dello stesso giornalismo italiano. Fecondo e avveduto operatore culturale, il F. fondò e diresse le collane "Il centonovelle" di Bompiani, "Opera prima" di Garzanti, le collane degli "Umoristi" e degli "Utopisti" di Colombo, i quaderni di "Poesia" di Mondadori, "II nuovo filo di Arianna" di Vallardi. Lavorò ininterrottamente fino agli ultimi giorni, "senza spavalderia, ma con tenacia" (cfr. Ritratti su misura, cit., p. 179).

Morì a Roma il 16 marzo 1974.