FABIETTI, Ettore

www.treccani.it

Nacque a Cetona (Siena) il 20 dic. 1876 da Luigi e da Margherita Tosoni. Terzo di sette figli, pur avendo precocemente manifestato un vivo interesse per lo studio, fu costretto, dopo aver ottenuto la licenza elementare, ad affiancare il padre nella sua duplice ma poco redditizia attività di carraio e coltivatore in proprio di un minuscolo podere. Ciò non lo distolse, tuttavia, dalla lettura. Assicuratisi i primi guadagni, dapprima impartendo lezioni serali ai figli dei contadini, poi lavorando all'esattoria delle imposte, poté più continuativamente provvedere da autodidatta alla propria istruzione. Nella Biblioteca comunale di Cetona, fra circa tremila volumi, parte dei quali provenienti da un antico fondo ecclesiastico, gettò le basi della sua formazione, in prevalenza storico-letteraria.

All'età di vent'anni si trasferì a Firenze, dove lavorò come contabile, ma ebbe in pari tempo l'opportunità di introdursi negli ambienti variamente progressisti della politica e della cultura. Conobbe, fra gli altri, Renato Fucini, Giovanni Marradi, Mario Rapisardi. Sullo scorcio del secolo diede la sua adesione al socialismo, suggellandola con una fortunata volgarizzazione del Capitale di Marx, poì pubblicata dall'editore fiorentino Nerbini (1902): un'opera che ricalcava il celebre compendio di Gabriel Deville, con dichiarati propositi di adattamento "alla mentalità del nostro popolo" (cfr. la Premessa all'edizione del 1921, p. V).

Quando nel 1901 giunse a Milano per risiedervi stabilmente ed entrò in rapporti di amicizia con Filippo Turati, il suo destino si legò strettamente a quello delle iniziative avviate nell'ambito dei riformismo lombardo per l'elevamento culturale delle classi subalterne. Dal leader socialista fu posto a dirigere il Consorzio milanese delle biblioteche popolari, fondato nel 1903 in seno alla Società filantropica umanitaria, con il concorso di una vecchia Società promotrice delle biblioteche popolari il cui patrimonio librario egli aveva accuratamente esaminato e catalogato per trarne un primo fondo da destinare alla pubblica lettura.

La dettagliata relazione sul primo anno di vita del Consorzio stesa dal F. per Critica sociale e successivamente edita in volume (Le biblioteche del popolo. Il primo anno del Consorzio milanese per le biblioteche popolari, Milano 1905; ma cfr. anche Cultura operaia e produzione, in Critica sociale, XIII [1903], pp. 298-301) pone in luce i fondamenti politico-culturali che ispireranno la sua attività di promotore della lettura fra le classi lavoratrici: una vìsione produttivistica della "cultura operaia", tesa, d'altronde, a scongiurare ogni sconfinamento nel mero filantropismo, e la certezza della sua efficacia lenitiva nei conflitti sociali (ancor meglio asserita, più tardi, in Le biblioteche popolari e l'esperimento di Milano, in Nuova Antologia, 10 genn. 1907, p. 126); fondamenti in tutto aderenti all'ideologia di derivazione positivistica di cui si alimentava il socialismo riformista, anche quando assumevano coloriture assai personali nell'esaltazione feticistica del libro e del suo potere divulgativo (cfr. La lettura, problema sociale, in Critica sociale, XXV [1915], p. 266).

L'inatteso successo dell'esperimento di Mìlano suscitò un tale turbinio di iniziative affini da render necessario, nel giro di qualche anno, un adeguato impulso organizzativo, sicché dal primo congresso nazionale delle biblioteche popolari, convocato a Roma nel 1908 dal Consorzio milanese e dall'Unione italiana della educazione popolare appena costituitasi, prese corpo la Federazione italiana delle biblioteche popolari. Il F. ne ebbe la guida, che mantenne ininterrottamente fino al 1926, fino a quando, cioè, non ne fu rimosso dal regime fascista.

Nel Manuale per le biblioteche popolari, pubblicato nel 1908, quindi rimaneggiato e integrato con un "saggio di catalogo modello" nell'edizione patrocinata dalla stessa Federazione (Milano 1909), tracciò le prime essenziali linee direttive, da un lato definendo criteri e metodi per l'istituzione e l'organizzazione interna di una biblioteca popolare, dall'altro indicando i tratti distintivi di questa nell'apoliticità, nell'aconfessionalità e, in special modo, nella capacità di costante autorinnovamento, indispensabile alla sua peculiare funzione di centro di diffusione (non di pura conservazione) del libro. Vi sosteneva, inoltre, l'utilità delle "letture amene" (p. 9).

Mentre da tali premesse si dipanava il ventennale impegno del F. al servizio della Federazione, non poco rilevante appariva la sua presenza attiva in altri ambiti per taluni aspetti contigui. Se risultano, infatti, trascurabilì gli esiti delle sue episodiche incursioni nel territorio della poesia (Canti di Trifoglieto, Firenze 1898; ediz. ampliata, Milano 1913), ben altra attenzione merita l'attivìtà di propagandista e conferenziere socialista che egli esplicò fino alla prima guerra mondiale, non senza aver perfettamente assimilato i cardini del meccanicismo evoluzionistico. Del materialismo storico, accolto nella sua versione più deterministica e didascalicamente contrapposto all'idealismo, elaborò una sintesi piana ed elementare in un opuscolo (Ilmaterialismo storico, Como 1910) che mise in maggior risalto le sue qualità di divulgatore. Alla produzione divulgativa, cui si consacrò prioritariamente dalla fine degli anni Venti, e alle complesse questioni che vi si connettevano egli guardò con spiccato interesse fin da quando, nel 1912, fu coinvolto dal filosofo Eugenio Rignano nella realizzazione della popolarissima "Collana rossa", ricca serie di libretti di volgarizzazione scientifica e letteraria editi dalla Federazione delle biblioteche popolari con la collaborazione di studiosi di fama (A. Loria, U. G. Mondolfo, G. Supino, ecc.).

Deplorando la scarsa attitudine fin lì manifestata dagli scienziati italiani a cimentarsi con l'arte di "parlare alla gente umile" (Una iniziativa italiana di coltura popolare, in Nuova Antologia, 1º nov. 1913, p. 114), elogiò i grandi volgarizzatori francesi: J. Macé, F. Fabre, C. Flammarion. Nel solco delle tecniche espositive da questi messe a punto e in armonia con le procedure canoniche della propaganda socìalista, compilò La Rivoluzione francese narrata al popolo (Torino 1914), disseminata di formule allocutive e di espedìentì retorico-narrativi volti a condurre il lettore nel "giuoco delle forze profonde" che agiscono nella storia (p. 60).

Fra il 1908 e il 1926 fu tuttavia preponderantemente assorbito dal lavoro di promozione delle biblioteche popolari, in cui ravvisava "la vera scuola dell'uomo del popolo" (Manuale per le biblioteche popolari, p. 15). Coadiuvato da Maria Sanguini, esperta di biblioteche pubbliche inglesi, alla quale si unì in matrimonio nel 1914, sollecitò la costituzione di biblioteche circolanti fra gli allievi delle scuole, creando altresì sezioni speciali per fanciulli, nonché, durante il primo conflitto mondiale, per i soldati. A livello nazionale curò personalmente il Bollettino delle biblioteche popolari, organo ed effettivo strumento di orientamento della Federazione, incorporato dal 1921 nella nuova serie del mensile La Parola e il libro, illustrò criteri di modernizzazione del servizio delle pubbliche letture (cfr. La classificazione razionale del libro, in La Cultura Popolare, II [1912], pp. 460-464), elaborando in seguito progetti di riforma organica del settore (cfr. Per la sistemazione delle biblioteche pubbliche "nazionali" e "popolari", in Nuova Antologia, 1º apr. 1930, pp. 363-390): un operato per più versi lungimirante, seppure non privo di venature di conservatorismo e inevitabilmente imbrigliato nei limiti storici entro cui fu combattuta la battaglia del movimento operaio italiano per la "cultura popolare".

Dopo l'allontanamento dalla Federazione convogliò le proprie energie nel campo dell'editoria popolare e divulgativa. Aveva arricchito di due suoi volumi, entrambi sull'epopea risorgimentale (I martiri di Belfiore, Milano 1915, e I fratelli Bandiera, ibid. 1921), la prima collana mondadoriana ("La lampada"): una collezione per ragazzi cui diedero il proprio apporto autori quali A. Beltramelli, L. Capuana, G. Gozzano. Dal 1919 aveva diretto per gli editori Bemporad-Mondadori una collana denominata "I grandi autori", comprendente volgarizzazioni e riduzioni di classici della letteratura europea. Si insediò nell'editoria libraria nell'epoca in cui questa, sia pur faticosamente e, per ora, solo nelle sue propaggini più avanzate, si avviava a superare le vecchie strutture produttive di tipo artigianale per acquisire le dimensioni di un'industria culturale.

Se ebbe così modo di rinsaldarsi nel convincimento che nutriva da tempo, secondo il quale occorreva "mettere il libro in valore" fra gli strati sociali più bassi con tecniche di adescamento autenticamente consumistiche (cfr. Manuale, p. 7, e Le biblioteche del popolo, p. 36), non tardò a porsi in sintonia con un'imprenditoria editoriale che si volgeva ormai a conquistare non tanto i ceti operai, ma quella piccola borghesia impiegatizia da cui il fascismo derivava il suo consenso di massa. Non meraviglia, dunque, che la sua fede socialista andasse, nel frattempo, affievolendosi, fino a far posto a forme di cooperazione con l'indottrinamento fascista.

Sul finire degli anni Venti egli ideò e intraprese presso la casa editrice Paravia una collana dedicata a "I grandi viaggi di esplorazione", che produsse circa sessanta volumi nell'arco di un decennio: l'accorto impiego della forza di seduzione che l'ignoto esercita sulle "anime semplici" ne era il motivo ispiratore, come avvertiva la presentazione da lui fattane in Le esplorazioni polari artiche fino all'ultimo scorcio del secolo XIX (Torino 1928, p. VI). Nello stesso torno di tempo diresse la collana biografica "I Grandi", voluta da Arnoldo Mondadori, per la quale scrisse Garibaldi. L'anima e la vita (Milano 1930). Fu quindi chiamato da Vallardi a dirigere "I grandi cicli storici", collezione che si rivolgeva anche agli studenti, con l'intento di ricomporre in unità cicli di storia che la letteratura scolastica tendeva a disgregare. Nel corso degli anni Quaranta coordinò infine, rispettivamente per conto di Garzanti e di un altro editore milanese, una "Piccola storia delle grandi invenzioni" e una raccolta di "Vite dei grandi" in cui apparvero due dei suoi lavori più tardi: Francesco d'Assisi e Benvenuto Cellini (entrambi Milano 1948).

La biografia, nella versione pedagogico-romantica con tratti di psicologismo anglosassone, spesso improntata a una rigida separazione della narrazione delle vicende vissute dalla storia dell'"anima", era il genere di produzione divulgativa che il F., come autore, prediligeva. Oltre a quelle già menzionate, egli elaborò le biografie di Alessandro Volta (ibid. 1927), Cesare Battisti (Firenze 1928), Vita di Napoleone (Milano 1934), Cesare Augusto (Sesto San Giovanni 1937) e altre ancora. Se come biografo riteneva di dover vivificare "col più caldo palpito umano" (Mameli, Milano-Roma 1933, p. X) una materia altrimenti arida e inerte, nel volgarizzare la storiografia relativa a grandi processi storici non era meno incline a far leva sulla mozione degli affetti, teorizzando una divulgazione programmaticamente di parte. Questi i criteri cui sosteneva di aver informato la sua Storia del Risorgimento italiano (Sesto San Giovanni 1934, pp. 7-9) e la più ambiziosa Storia d'Italia dalle origini ai nostri giorni (Milano 1937), già dichiaratamente in polemica con le idee socialiste la prima, inequivocabilmente plaudente, la seconda, alle avventure imperiali dell'Italia fascista.

Di biblioteche popolari si occupò nuovamente nell'immediato dopoguerra, intervenendo al primo congresso nazionale organizzato a Firenze dall'Unione italiana della cultura popolare (1947). Risaliva a circa quattordici anni prima il secondo, più incisivo rimaneggiamento del suo Manuale per le biblioteche popolari, ribattezzato La biblioteca popolare moderna (Milano 1933). Il F. vi aveva rilevato l'ambiguità del termine "popolare", che pure, in ossequio all'uso, aveva mantenuto nel titolo, e l'opportunità di approntare un servizio di pubblica lettura che si avvalesse di una rete di strutture meglio identificabili come "biblioteche per tutti" (pp. 7 s.). Di qui prese le mosse a Firenze. Si dichiarò pronto a ridar vita al movimento per la diffusione del libro (cfr. Il libro per il popolo, in Atti del Primo Congresso nazionale della cultura popolare, Milano 1948, pp. 29-39).

Una malattia lo costrinse invece, di lì a poco, a smettere ogni attività e a condurre una vita appartata nella casa paterna di Trifoglieto presso Cetona. Morì a Solbiate (Como) il 19 marzo 1962.